ULCERA (lat. ulcus)
L'ulcera è una lesione di continuo che non tende alla guarigione. Può presentarsi o sotto forma di perdita più o meno estesa di sostanza, ovvero in forma di fessura (ulcere fissurali o ragadi), avente, in questo caso, sede per lo più nella cute dell'areola mammaria o del dorso delle mani, o all'orificio anale. A volte l'ulcera è rappresentata dallo sbocco di un tragitto che non tende a guarigione (ulcere canalicolari o fistole).
Le cause che mantengono il processo ulcerativo possono essere: stimoli meccanici, quali, per esempio, i continui attriti, le contrazioni sfinteriche, il passaggio di secreti o escreti, la presenza di corpi estranei, ecc.; stimoli chimici (contatti ripetuti o prolungati con sostanze irritanti o caustiche); oppure stimoli microbici (ulcere veneree, talune ulcere gastriche o intestinali, le ulcere tubercolari, sifilitiche, micotiche); stimoli trofici (ulcera perforante del piede, talune forme di ulcera gastrica, ulcere da varici, ulcere da decubito); alterazioni tossiche, dicrasiche, da avitaminosi, quali, per esempio, le ulcere da scorbuto, o, infine, fattori neoplastici (ulcere carcinomatose e sarcomatose).
In ogni ulcera, come in qualsiasi lesione di continuo, si distinguono: un fondo e i margini. Il fondo può essere pianeggiante, scodellare, crateriforme, esuberante. Talora ha aspetto necrobiotico (ulcera sifilitica terziaria), o necrotico, tal'altra fungoso (ulcera tubercolare), facilmente sanguinante. I margini possono presentarsi pianeggianti o rilevati, estroflessi o introflessi, aderenti al fondo o scollati, molli (ulcera venerea), o duri (ulcera sifilitica, ulcera carcinomatosa).
Talune ulcere hanno tendenza a estendersi più o meno rapidamente nei tessuti vicini (ulcere fagedeniche).
La cura delle ulcere consiste nel rimuovere, là dove è possibile, la causa che ne impedisce la guarigione, e talora nell'escissione del tratto ulceroso, e, nei casi di neoplasmi, nell'ampia asportazione di essi.
Ulcera dura (fr. chancre induré; sp. chancre sifilítico; ted. harter Schanker; ingl. hard chancre). - Con questo nome si denota la manifestazione iniziale della sifilide. La denominazione è impropria perché non sempre il sifiloma iniziale è ulcerato, ma talora è integro e solitamente appena abraso senza evidente perdita di sostanza. Essa è dovuta a uno dei caratteri predominanti della lesione, che ha sul fondo e sui margini consistenza dura, simile a quella di una cartilagine, e vale a distinguere questa manifestazione della lue da un'altra affezione venerea, l'ulcera venerea semplice o ulcera molle. La durezza è variamente apprezzabile da caso a caso e a seconda anche delle diverse localizzazioni ed è legata a una particolare infiltrazione del connettivo del derma provocata dalla presenza della Spirochaeta pallida. L'ulcera dura può avere sede in qualunque parte della superficie cutanea o sulle mucose. È solitamente indolente e s'accompagna costantemente ad adenite multipla dei ganglî linfatici della regione.
Ulcera gastro-duodenale. - L'ulcera gastrica (v. stomaco) e l'ulcera duodenale (v. duodeno) sono affezioni oggi così frequenti e importanti dal punto di vista medico e sociale, da meritare una particolare trattazione d'insieme. Di patogenesi tuttora oscura, l'ulcera, risieda essa nello stomaco o nel duodeno, può essere definita una perdita di sostanza, originariamente della mucosa, ma che può interessare i diversi piani costitutivi del viscere, la quale ha tendenza alla progressione e alla cronicità, mentre clinicamente si manifesta con crisi dolorose e dispeptiche periodiche, che sono separate da periodi di guarigione apparente. Generalmente uniche, con una notevole frequenza le ulcere sono doppie o anche plurime (dal 30 al 40% e più secondo gli autori); si può trovare, per es., un'ulcera nella piccola curva gastrica e un'altra nella prima porzione duodenale; oppure si trovano due ulcere duodenali, spesso una di fronte all'altra, per esempio nella faccia anteriore e nella faccia posteriore, oppure nella piccola curvatura e nella grande curvatura (ulcer contact di B. Moynihan, ulcères en face), o tre ulcere duodenali, ecc.
Topograficamente, oltre alle ulcere gastriche e alle duodenali, così dette in quanto occupano le une il corpo gastrico e l'antro in corrispondenza della piccola curva (zona alcalina) e le altre il duodeno a una certa distanza dal piloro, si sono distinte, dalla scuola francese in particolare, le ulcere sfinteriche o juxtapiloriche, della zona cioè finitima al piloro, per cui può essere difficile stabilire la sede più propriamente gastrica o duodenale. Questa scuola non accetta cioè la suddivisione di W. Mayo, secondo la quale vanno considerate ulcere gastriche le ulcere a sinistra della vena pilorica, ulcere duodenali le ulcere situate a destra; distinzione tuttavia molto facile e netta se la vena pilorica è rilevabile, come avviene quando mancano infiltrati infiammatorî callosi periulcerosi che la nascondano.
Così intese l'ulcera gastrica e la duodenale, si può dire che per frequenza s'osservano circa in un quarto dei casi ulcere gastriche, nei tre quarti ulcere duodenali.
Automicamente, dall'ulcerazione mucosa superficiale (exulceratio simplex), male differenziabile dalle ulcerazioni multiple della gastrite ulcerosa, la quale può accompagnare del resto l'ulcera semplice, si può passare all'ulcera perforante e all'ulcera cronica callosa. La perdita di sostanza interessa a poco a poco estensioni sempre maggiori di mucosa, e, approfondendosi, la sottomucosa, la muscolare; alle lesioni di tipo necrotico s'associano a un certo momento fenomeni reattivi e si ha la formazione di un tessuto sclerotico, duro, calloso (ulcera callosa). Le dimensioni variano, da mezzo centimetro o meno, fino anche a 4-5 cm. di diametro. L'ulcera può cicatrizzare, attraverso o no a fasi emorragiche. Si comprende come il processo infiammatorio, estendendosi alla sierosa, possa provocare reazioni da parte di questa, con fenomeni di perigastrite, adesiva o no, e deformazioni varie dello stomaco e del duodeno per coartazione delle pareti nella sede dell'ulcera (stomaco a clessidra, stenosi pilorica o duodenale, pseudodiverticoli duodenali, ecc.). Oltre alle ulcere gastriche e duodenali debbono poi essere ricordate le ulcere peptiche digiunali postoperatorie, che insorgono sulle bocche di gastroenteroanastomosi o nelle loro immediate vicinanze in soggetti che sono stati operati di gastroenterostomia o più raramente di resezione per ulcera.
L'età più frequentemente colpita è l'età media, fra 20-40-45 anni. Si sono però riscontrate non di rado ulcere in età più giovanile e in età più avanzata, anche senile. Le ulcere callose dell'età avanzata hanno una certa tendenza alla trasformazione cancerigna.
Il sesso più colpito è il maschile, particolarmente per ciò che riguarda l'ulcera duodenale (oltre l'85% dei casi), mentre l'ulcera gastrica si riscontra nell'uomo con una frequenza un po' minore (70% circa dei casi). Questi rapporti variano tuttavia secondo le statistiche.
La patogenesi è stata variamente interpretata. Si sono pertanto elaborate teorie diverse: traumatica, neurogena, infettiva, peptica, gastritica, anafilattica (A. Cesaris-Demel), ecc.; teorie che sarebbe lungo discutere, tanto più che sono state fondate su un enorme numero di ricerche sperimentali e cliniche. Vi sono anche teorie eclettiche, che ammettono l'importanza di più fattori.
Così B. Schiassi ritiene che l'ulcera gastro-duodenale s'istituisca soprattutto in individui a costituzione nevrosica in cui si produce uno squilibrio vago-simpatico che turba il trofismo e la vascolarizzazione della mucosa: una volta iniziato il processo ulcerativo-necrotico, per azione. riflessa si produce e si mantiene ipersecrezione, e così un fattore nuovo e importante, l'azione del liquido peptico-cloridrico, sorge nella produzione e nel mantenimento del fatto ulceroso. Taluni, con a capo N. Leotta ritengono che l'appendicite sia quasi sempre associata all'ulcera (come anche alla colecistite) e sia anzi il primum movens di un'alterazione peritoneale infettiva che si diffonde per contiguità fino a interessare la sierosa gastrica o duodenale, donde un'alterazione vascolare locale che diverrebbe causa dell'ulcera. Né va trascurato un fattore costituzionale, ché non di rado accade di osservare delle famiglie di ulcerosi gastro-duodenali.
Dell'evoluzione s'è detto. Aggiungeremo che la guarigione spontanea può avvenire con cicatrici ora piane, ora retraenti, che presso il piloro divengono facilmente stenostanti (stenosi cicatriziali). L'ulcera approfondendosi nella parete può provocare adesioni intime dello stomaco o del duodeno col fegato, col pancreas, con la parete addominale anteriore, assumendo il carattere di ulcera penetrante. Frequenti, anche indipendentemente da ciò, sono le periduodeniti e le perigastriti, le mesenteriti sottomesocoliche (M. Donati), provocanti adesioni sessili o laminari fra stomaco-duodeno e colecisti, fegato, colon, digiuno, ecc. L'evoluzione callosa dell'ulcera può anche dare luogo a ispessimenti così voluminosi delle pareti viscerali, con compartecipazione o no degli omenti, da produrre delle neoformazioni pseudoneoplastiche. V'è poi sempre una reazione infiammatoria delle linfoghiandole regionali, che aumentano spesso in modo cospicuo di volume rimanendo tuttavia, di regola, molli, con i caratteri anche macroscopici dell'iperplasia semplice. Ma se il decorso è particolarmente rapido e l'ulcera s'approfonda senza che si siano potute manifestare reazioni adesive, avviene la perforazione gastrica o duodenale nella cavità peritoneale libera, con conseguente versamento del contenuto e peritonite, più spesso generalizzata, più raramente circoscritta (ascessi perigastrici, subfrenici, subepatici, ecc.). Per addossamento di un organo vicino si può tuttavia avere la copertura della perforazone (perforazione coperta) con limitazione del processo peritonitico. Ma la perforazione, avvenuta la copertura, può proseguire attraverso la parete del viscere, così che si formano fistole (gastrocoliche, gastrocolecistiche, duodenocolecistiche, gastro-cutanee, ecc.). Infine per erosione delle pareti vasali, si producono emorragie; e qualora siano interessati grossi vasi (arteria gastrica sinistra, arteria gastro-epiploica, ecc.) si possono produrre emorragie anche fulminanti, o comunque gravissime. In certi individui il carattere particolarmente emorragico delle ulcere si mantiene anche per anni; in altri non si osservano praticamente emorragie o solo emorragie subcontinue di modico grado. La gastrite cronica, cui vedemmo essere attribuito da taluno valore patogenetico, accompagna con grande frequenza l'ulcera specialmente non recente; rara invece, come complicazione, la gastrite flemmonosa.
La degenerazione maligna s'è già detto essere particolarmente temibile nelle ulcere dei vecchi. Non è possibile stabilire la percentuale di trasformazione maligna delle ulcere gastriche, che per taluni arriva anche al 50%, per altri è enormemente più bassa; certo è che per l'ulcera duodenale la degenerazione maligna non è stata rilevata, mentre la trasformazione maligna dell'ulcera gastrica, specialmente delle ulcere callose, è sempre da temersi. Un'ulcera persistente di grandi dimensioni, senza tendenza a guarire, in un individuo d'età adulta o vecchia, è sempre da ritenersi sospetta e deve essere il più rapidamente possibile radicalmente operata.
La sintomatologia è molto variabile, ma abbastanza ben definita e in certi casi addirittura tipica. A essa è collegato il problema diagnostico. Quando l'ammalato si presenta al medico, spesso ha già da tempo sofferenze gastriche a tipo di bruciori e di dolore postprandiale, ora immediatamente dopo i pasti (ulcera gastrica), ora qualche ora dopo. I dolori sono di varia intensità, avvertiti come trafittura o senso di peso, di stiramento, aumentati o provocati spesso da determinati cibi. Uno dei più sicuri elementi diagnostici è che essi intervengono a periodi della durata di alcune settimane, o meno, alternati a periodi più lunghi di benessere (periodicità tipica dei dolori). Eruttazioni acide, cefalee, nausee, salivazione abnorme si associano spesso, completando il quadro della così detta "dispepsia iperstenica". Se sopraggiungono fatti aderenziali o stenotici, a questa sintomatologia periodica segue una sintomatologia dolorosa continua o subcontinua, spesso con vomito degli ingesti (sindrome pilorica).
Nell'ulcera duodenale particolarmente tipico è il cosiddetto dolore con carattere di fame o al momento della fame, dolore che passa ingerendo alcunché di solido o di liquido; si stabilisce così spesso un'altra periodicità del dolore, cioè: alimentazione, benessere, dolori, alimentazione, ecc. Dolori gastrici si possono avere anche per appendicite o per colecistite o per altre cause; da ciò la necessità di un esame completo dell'ammalato, e in particolare di un esame viscerale e del sistema nervoso. D'altra parte le associazioni morbose di cui si è detto a proposito della patogenesi impongono questo esame, sia a scopo diagnostico differenziale o associativo, sia ai fini terapeutici.
L'emorragia patente (ematemesi e melena, questa spesso isolata nell'ulcera duodenale) non è un sintomo necessario dell'ulcera, e non è del resto sufficiente a giustificare la diagnosi di ulcera; tuttavia l'emorragia può essere il primo segno di una lesione rimasta fino allora latente. L'emorragia può essere fulminante, acuta, cronica; bene spesso l'emorragia è occulta, e può essere dimostrata solo con l'esame microscopico o meglio chimico delle feci, o anche - ma vi possono essere ancora più cause d'errore - con l'intubazione gastrica e duodenale.
Obiettivamente il riscontro può essere negativo; a volte si rileva iperestesia nella "zona solare" o si provoca dolore alla pressione sul punto duodenale, a due dita dalla cicatrice ombellicale sulla bisettrice dell'angolo formato dalla linea alba con l'ombellicale traversa. Si può anche osservare una contrattura del muscolo retto di destra al terzo superiore. Quando esista sindrome pilorica, per spasmo o per stenosi, si può constatare dilatazione e ipermotilità gastriche, con sintomi di ristagno (guazzamento) anche a molta distanza dai pasti. Il chimismo gastrico a digiuno dopo pasto di prova è per lo più alterato nel senso dell'ipercloridria e, specialmente nell'ulcera duodenale, dell'ipersecrezione; non però costantemente (secondo R. Alessandri nell'80% dei casi). L'evacuazione gastrica è accelerata (ipercinesi gastrica) nei primi momenti dopo il pasto, poi alla fine è ritardata.
L'esame radiologico conferma questo fatto, come pure può dimostrare la presenza di liquido a digiuno. Ma soprattutto l'esame radiologico è importante, in quanto nella quasi generalità dei casi, se eseguito a regola d'arte, può mettere in evidenza il segno diretto dell'ulcera, cioè la nicchia (figg. 4-5), che appare come un'estroflessione più o meno ampia della parete del viscere (nicchia diverticolare). E ciò accanto a varî segni indiretti, quali la deformità del bulbo duodenale o dello stomaco, lo spasmo controlaterale, la possibilità di localizzare il dolore viscerale, le turbe motorie e di svuotamento gastrico e duodenale, ecc. L'esame radiologico permette pertanto la diagnosi generica e la diagnosi topografica di ulcera. Le radiografie in serie sono particolarmente utili a questo scopo.
L'esame del sangue permette di osservare non di rado iperglobulie (eritrocitosi), specialmente nelle ulcere duodenali; anemia a tipo ipocromico consegue alle continuate perdite di sangue.
Il gastroscopio flessibile può essere utilizzato nella diagnosi di ulcera; ma generalmente non ne è necessario l'uso, anche per una certa difficoltà e per qualche pericolo a esso inerenti.
La diagnosi differenziale può essere necessaria con le gastriti semplici, con la sifilide gastrica, con dispepsie non ulcerose da colecistite, da appendicite, ecc., con il carcinoma gastrico; particolarmente difficile può essere la diagnosi di provenienza ulcerosa delle emorragie, specialmente di quelle acute e fulminanti.
Cura. - La cura dell'ulcera gastrica e duodenale è medica e chirurgica.
La cura medica consiste in norme dietetiche rigorose che debbono però essere individuali, nell'uso di alcalini (continuo nella cura di Sippy), nel riposo assoluto con ghiaccio sull'epigastrio nelle crisi acute dolorose o emorragiche. Si può influire sulla secrezione con l'uso di polveri inerti (il bismuto in prima linea, il silicato d'alluminio, ecc.) e dell'atropina. In certi casi ci si è giovati addirittura dell'alimentazione duodenale o digiunale diretta, per mezzo della sondina di Einhorn, allo scopo di mettere in assoluto riposo l'ulcera. Il benzoato di sodio al 20% (iniezione endovenosa di 2 cc. giornalieri) è stato consigliato recentemente da S. Bazzano; i risultati sul dolore nonché sulla secrezione pepsinica sono in certi casi buoni, in altri tuttavia temporanei o nulli.
Così pure si sono consigliati il solfato di sodio in soluzione satura per via endovenosa (L. Manginelli); la mucinoterapia, considerata come un antiacido; la pepsinoterapia (M. Loeper, K. Glaessner), tuttavia già molto discussa e di meccanismo incerto; l'istidinoterapia mediante iniezioni di cloridrato d'istidina (larostidina Roche) al 4%; la proteinoterapia; i lavaggi gastrici con soluzioni di nitrato d'argento all'1 : 200; l'uso di calmanti (papaverina, acido tannico, ormone paratiroideo, che avrebbe azione antispastica, ormone del lobo posteriore dell'ipofisi); l'insulinoterapia associata ad alte dosi di glucosio, ecc. Tutte codeste cure, intelligentemente adoperate e variate a seconda delle esigenze dei singoli casi, possono favorire - senza che alcuna di esse abbia carattere di specificità - la guarigione dell'ulcera. Ma vi sono casi ribelli alle cure mediche, che recidivano o s'aggravano; vi sono condizioni sociali che si oppongono per molti malati a una razionale e prolungata terapia medica; vi sono esiti i quali non sono suscettibili di alcun trattamento interno efficace (stenosi, deformazioni gravi); vi sono complicazioni (emorragie intense e ripetute ribelli agli emostatici, al riposo e alla dieta più rigorosi, alle trasfusioni; perforazioni in cavità addominale) che non ammettono una terapia medica.
In tutti codesti casi necessita provvedere con cura chirurgica. A tale riguardo si parla erroneamente di cure palliative e di cure radicali intendendo come tale la resezione gastro-duodenale, che sopprime la lesione e asporta l'antro, centro del riflesso acidosecretorio, e come palliative la gastroenterostomia, la resezione semplice o la termocauterizzazione dell'ulcera, ecc. In realtà non si può parlare di cura radicale, dato che non sempre, nemmeno con la più vasta resezione, s'ottiene la guarigione definitiva. L'ulcera peptica postoperatoria, se anche quasi solo s'osserva dopo gastro-enteroanastomosi, può insorgere, sia pure di rado, dopo resezione gastro-duodenale, così da far pensare a una vera e propria "malattia ulcerosa" ribelle a ogni metodo terapeutico. Tuttavia è certo che la resezione gastrica ha preso sempre più piede, sia perché la mortalità operatoria è ormai ridotta a cifre minime (anche 2-3% in certe statistiche), sia perché realmente i risultati lontani si sono dimostrati quasi sempre ottimi. Il pericolo di anemie tardive gravi, talora anche di tipo pernicioso, è da considerarsi del tutto eccezionale, e pertanto trascurabile; il rapido svuotamento gastrico e l'ipo- o l'ana-acidità conseguenti alla resezione non si sono dimostrati dannosi.
Molti però tuttora, ove manchino gravi deformazioni o stenosi o non si tema la degenerazione maligna dell'ulcera, usano la gastro-enterostomia, che apre una nuova via declive di comunicazione fra stomaco e digiuno e consente il rapido scarico del contenuto gastrico, la diminuzione dell'acidità e la messa a riposo dell'ulcera. La gastroenterostomia, che B. Schiassi associa alla discontinuità vascolo-nervosa e N. Leotta alla appendicectomia, in omaggio alle su esposte vedute patogenetiche, non è tuttavia una buona operazione nell'ulcera gastrica, mentre trova più logica applicazione nell'ulcera duodenale. Essa può essere eseguita anastomizzando la prima ansa digiunale per via retrocolica transmesocolica alla faccia posteriore dello stomaco (fig. 6 a) oppure per via antecolica alla faccia anteriore aggiungendo in tale caso un'anastomosi complementare fra ansa afferente ed efferente; può anche essere eseguita a y secondo l'idea di C. Roux (fig. 6 b).
La resezione può pure essere eseguita con varia tecnica. Si può anastomizzare stomaco e duodeno (gastroduodeno-anastomosi, metodo Billroth I, fig. 6 d), oppure stomaco e digiuno chiudendo a parte il duodeno. L'anastomosi può in tale caso essere fatta a pieno canale (fig. 6 c) secondo Reichel-Polya, sia sulla parete posteriore (fig. 6 e, metodo Billroth II), sia anche sulla parete anteriore, aggiungendo una entero-entero-anastomosi complementare (fig. 6 f).
I due metodi principali di cura chirurgica qui ricordati, resezione e gastroenterostomia, non debbono essere considerati in contrasto; ma debbono essere usati l'uno o l'altro secondo le condizioni cliniche e anatomiche dei singoli casi. S'intende, per es., che ulcere emorragiche o sospette di degenerazione maligna dovranno essere possibilmente operate con resezione; ulcere fortemente adese, o stenosanti, o viceversa ulcere non molto estese o profonde e non callose saranno trattabili con gastroenteroanastomosi.
Nelle perforazioni acute è necessario l'intervento d'urgenza che consisterà nella sutura della perforazione, o nella sutura associata a gastroenteroanastomosi, o infine, nelle prime ore, anche nella resezione gastroduodenale, seguite generalmente da drenaggio della ferita laparotomica. Nelle ulcere peptiche la cura, delicata e difficile, consiste nella resezione del blocco gastro-duodeno-digiunale, ricostruzione della continuità del digiuno, chiusura del moncone duodenale, anastomosi gastro-digiunale. Se v'è fistola gastrocolica o gastro-digiunocolica, occorre anche la sutura del colon o la sua resezione, con ricostituzione della continuità anche di questo viscere. Regole dietetiche e igieniche di vita dovranno essere seguite con cura dai guariti con mezzi chirurgici.
Ulcera molle (fr. chancre mou; sp. chancro caballo; ted. weicher Schanker; ingl. soft chancre). - Malattia venerea, la cui frequenza va notevolmente scemando grazie alle migliorate cognizioni d'igiene. Si contrae quasi esclusivamente nei rapporti sessuali, ed è localizzata, salvo eccezioni rarissime, ai genitali e alle zone perigenitali (nel maschio più frequentemente nel solco balanico e sul frenulo, nella donna sulle grandi e piccole labbra, sull'ostio vaginale, sul collo uterino, al perineo e ai contorni dell'ano). Ha periodo d'incubazione breve (2-5 giorni). Inizia sotto forma di una pustoletta, il cui opercolo si rompe, lasciando un'ulcerazione, che tende a estendersi e ad approfondirsi. L'ulcera costituita può raggiungere il diametro di 1-2 e più cm.; ha fondo sanioso, giallastro e margini irregolari, profondamente intagliati, corrosi e scollati sul fondo; attorno v'è di solito un alone arrossato e infiltrato; alla palpazione la consistenza è molle; s'apprezza un certo indurimento solo quando l'ulcera è stata ripetutamente causticata. È dolente specie allo sfregamento. Raramente è unica, per lo più molteplice, per inoculazioni successive dal primo focolaio. Si complica spesso di linfangite e di adenite inguinale a tipo infiammatorio suppurativo (bubbone), ed eccezionalmente di fagedenismo. Non dà complicazioni generali. Non conferisce immunità ma è indefinitamente autoinoculabile. Crea nell'organismo uno stato allergico (reazione cutanea a vaccini specifici), che si può mantenere per anni dopo la guarigione.
Ulcera tropicale (lat. ulcus tropicum; fr. ulcère phagédénique des pays chauds; ted. tropischer Phagedenismus; ingl. tropical ulcer). - Stati ulcerativi della pelle sono estremamente comuni nei tropici; alcuni sono manifestazioni di infezioni generali ivi frequenti o peculiari (leishmaniosi, framboesia, lebbra, elefantiasi, ecc.); altre sono cosmopolite (sifilitiche, tubercolari, da vene varicose, ecc.); sennonché presso gl'indigeni, essendo per solito a lungo trascurate, assumono spesso enormi dimensioni e possono, per infezioni secondarie, diventare fagedeniche. Ma un'entità sui generis è l'ulcera tropicale propriamente detta, che s'incontra nei paesi caldi d'Asia, Africa e America, mentre in Europa è rarissima anche nelle parti più meridionali delle isole e penisole del Mediterraneo. Essa, secondo la maggioranza degli autori, è causata dalla simbiosi del bacillo fusiforme con uno spirochete (Spiroschaudinnia vincenti, Blanchard, 1906), come fu provato dalle ricerche di F. Le Dantec, H. Vincent e S. Prowazek. Questa simbiosi è analoga a quelle proprie dell'angina di Plaut-Vincent e della cancrena nosocomiale e perciò Le Dantec e Vincent e altri la ritengono identica a quest'ultima malattia, frequentissima in tutti gli ospedali d'Europa nel periodo preantisettico e ormai quasi scomparsa; ma, secondo A. Castellani, le due affezioni sono ben diverse, perché manca assolutamente all'ulcera tropicale la contagiosità estrema dell'altra malattia. Cause favoreggianti sono il calore unito alla grande umidità atmosferica e le piccole lesioni, frequenti negl'indigeni che vanno scalzi e a gambe nude; infatti, essa s'incontra generalmente localizzata in basso alle gambe o al dorso del piede, per lo più unica, talora plurima. Comincia come una piccola papula o pustola dolente o pruriginosa, circondata da un'areola rossa scura, che, per ulteriori processi purulenti e degenerativi, diventa un'ulcera più o meno estesa e progrediente, a contorno rotondo o ovale con margini poco rilevati poco o punto dolenti, e coperta di detriti d'aspetto fangoso. La secrezione grigiastra e fetida può essere facilmente rimossa con bagnature antisettiche e allora il fondo apparisce concavo di colore rosso acceso in principio, e, col tempo, piuttosto pallido. Se abbandonata a sé, l'ulcera prende facilmente un carattere fagedenico per estensione e profondità, fino a invadere muscoli, tendini e periostio. Il corso è cronicissimo e assai di rado v'è tendenza alla guarigione; questa, quando avviene, lascia una spessa cicatrice biancastra. Una cura generale di salvarsan o neosalvarsan reca qualche vantaggio; meglio valgono i trattamenti locali e veramente efficace è quello indicato dal Castellani consistente nel rimuovere anzitutto la cotenna secretiva, tenendovi sopra in permanenza della garza intrisa di sublimato all'1% di acqua ossigenata al 10% o di permanganato di potassa all'i per 2000; quando il fondo sia bene deterso, dopo un lavaggio antisettico, si applica ogni giorno un unguento di protargolo (5-10-20 per 100).
Importa fare la diagnosi differenziale, non solo con gli stati ulcerativi in principio ricordati, ma anche con altre non ben determinate ulcerazioni croniche e subcroniche pure frequenti nei paesi caldi: 1. Ulcere settiche per ferite trascurate, di solito grandi e profonde, causate da stafilococchi, guariscono presto con lavaggi e medicature antisettiche; 2. Ulcere atoniche croniche, non molto estese, spesso crostose indolenti e indurite ai margini, difficili a guarire; sono peraltro giovevoli le medicazioni di bismuto o dermatolo con bendaggio compressivo, l'unguento al protargolo 5% o al balsamo del Perù 1%, innesti e plastiche; 3. Ulcere difteroidi hanno inizio rapido tumultuoso da piccole vescicole confluenti e si coprono di una membrana grigiobruna o nera; rimovendola si trova un pus verdastro poi la membrana si riproduce. L'ulcera s'estende senza vero fagedenismo e mancano gli spirocheti. I blandi antisettici sono la migliore cura.