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UGUCCIONE della Faggiuola

di Giovanni Battista PICOTTI - Enciclopedia Italiana (1937)
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UGUCCIONE della Faggiuola

Giovanni Battista PICOTTI

Nato intorno al 1250 a Massa Trabaria, da antica famiglia ghibellina, ch'era forse un ramo di quella dei conti di Carpegna, morto a Vicenza il 1° novembre 1319. Fu nel 1292 podestà di Arezzo, e di nuovo nel 1294 e 1295; nel 1297 capitano generale di guerra della lega ghibellina di Romagna; nel 1300 fu a capo della spedizione degli Aretini contro Gubbio, e qui divenne podestà; ma la città venne presto ripresa dai guelfi. Ancora nel 1300 fu capitano di Cesena, donde fu cacciato l'anno seguente. Parve allora accostarsi ai guelfi; procurò in Arezzo la pace e ne fu podestà nuovamente (1303) con la conferma di Bonifacio VIII. Caduto in sospetto ai ghibellini, fu espulso dalla città e dalla podesteria (1303). Diede una figlia in sposa a Corso Donati e lo aiutò nel tentativo di farsi signore di Firenze (1308). Rientrò in Arezzo lo stesso anno con la fazione ghibellina dei Verdi: poi, con l'appoggio dei Secchi, pure ghibellini, ne ridivenne podestà e nel 1309 capitano, e fino al 1310 fu il vero signore della città. Disceso Enrico VII, ne divenne valido sostenitore, e fu per lui dal 1312 vicario di Genova. Alla morte di Enrico, si rivolsero a lui le speranze dei ghibellini di Toscana: Pisa, con insolita concordia di cittadini, lo nominò per dieci anni "podestà e capitano del popolo e di guerra". Iniziò il suo regime il 20 settembre 1313, e, fallite le trattative di Quosa con i Lucchesi, condusse energicamente la guerra fin sotto le mura della loro città. Frattanto i Pisani avevano conchiuso a Napoli la pace con re Roberto e i comuni guelfi di Toscana, a condizioni assai favorevoli per Firenze e per i mercanti di Pisa, ai quali giovava l'accordo con i Fiorentini (27 febbraio 1314). Ma U., che si vedeva sfuggire il potere, fece condannare alla morte Banduccio e Pietro Buonconti, principali fautori della pace (24 marzo), riformò l'anzianato, sottopose a sé le magistrature comunali: si fece, con l'appoggio del popolo minuto, padrone assoluto della città. Nella pace di san Marco (25 aprile) ottenne dai Lucchesi la restituzione delle terre tolte ai Pisani; poi, accusandoli di non avere eseguito i patti, con l'aiuto di Castruccio Castracane, si impadronì di Lucca (14 giugno) e fu creato capitano generale della lega pisano-lucchese (13 luglio) con pienezza di autorità. Batté a Montecatini (29 agosto 1315) l'esercito guelfo; ma non seppe trarre tutto il vantaggio dalla vittoria. Il suo governo tirannico, il lusso a cui egli si abbandonava, la gravezza delle tasse e delle prestanze, il danno che la sua politica avversa a Firenze recava ai mercanti e agli armatori, fiaccarono la signoria. Intimorito, fece arrestare Castruccio: ma Pisa si sollevò per una coalizione di nobili, di mercanti, di popolo (10 aprile 1316); i Lucchesi tumultuarono a lor volta. U. si rifugiò prima in Lunigiana, poi a Modena, in ultimo a Verona, presso Cangrande, dal quale ebbe il comando della guerra contro Brescia e Padova e l'ufficio di podestà di Vicenza (1317); in questa città venne a morte. Lodato per facondia e astuzia, ma uomo d'armi più che politico, fu dal Troya identificato col Veltro dantesco.

Bibl.: C. Troya, Del veltro allegorico di Dante, Firenze 1826; id., Del veltro allegorico de' ghibellini, Napoli 1856; P. Vigo, U. d. F., Livorno 1879; articoli in Arch. stor. ital., s. 4ª, V (1880), p. 31 segg.; e in Riv. stor. ital., VI (1889), p. 36 segg.

Vedi anche
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