Faggiuola, Uguccione della
Nato intorno al 1250 da un Ranieri già morto nel 1293, Uguccione appartenne a una stirpe di feudatari minori, probabilmente diramatasi da quella più potente dei conti di Carpegna. Essa nel secolo XIV signoreggiava su settantadue castelli posti nel Trivio e nella Massa Trabaria. Non è quindi esatta la notazione del Compagni (II 28), che vuole Uguccione " rilevato di basso stato ".
Uguccione iniziò la sua carriera politica nel 1292 come podestà di Arezzo dove fu in carica fino al 1295, nonostante varie interruzioni, in quanto in alcuni periodi fu cacciato dalla città. Sostenne in Arezzo la Parte ghibellina e le forze popolari, dalla riconoscenza delle quali traeva speranza di riuscire a dominare le sanguinose lotte faziose intestine fino a costituirsi in quel centro una signoria personale, calpestando le ambizioni delle grandi casate locali come i Tarlati ghibellini e i guelfi Bostoli.
Nel 1295, il marchese Azzo VIII d'Este, che era in guerra con Bologna, lo chiamò a un parlamento che aveva convocato ad Argenta, cui parteciparono anche Maghinardo dei Pagani, signore di Susinana, capitano delle milizie di Faenza, e Scarpetta degli Ordelaffi che era capitano di Forlì e di Cesena. Essendo nel 1296 Cesena, Forlì e Faenza collegate in guerra contro Bologna, nominarono Uguccione capitano generale di guerra. Egli assunse il comando in Forlì il 21 febbraio dello stesso anno, e nel maggio diede vigore alle operazioni militari; nel 1297 occupò Imola. Il resto di quell'anno e il successivo trascorsero in trattative di pace condotte da papa Bonifacio VIII e dalla repubblica di Firenze; nel febbraio del 1299 si giunse alla pace.
Nell'anno 1300 Uguccione fu podestà di Gubbio, contro cui, collegato con Federico da Montefeltro e Uberto Malatesta, aveva diretto una spedizione militare. Ma i guelfi cacciati dalla città ricorsero a papa Bonifacio VIII, che inviò il cardinale Napoleone degli Orsini, governatore di Spoleto, il quale, con l'aiuto di Perugia, il 23 giugno entrò in Gubbio con conseguente cacciata dei ghibellini e rientro dei guelfi. Subito dopo, sempre nell'anno 1300, Uguccione fu chiamato come capitano di Cesena, e l'anno appresso venne espulso dall'ufficio e dalla città.
Nel 1302, mentre Uguccione era di nuovo podestà di Arezzo, i Bianchi fuorusciti di Firenze, tra cui D., si concentrarono in quella città sperando di trovare nel fiero ghibellino un aiuto, magari militare, per rientrare in patria. Al della F. non poteva dispiacere quel concentramento in Arezzo di tante persone notevoli sia sotto l'aspetto militare sia sotto quello finanziario, dalle quali poteva attendersi una mano per raggiungere quella signoria della città cui tendeva con tutte le sue forze. Ma, come narra il Compagni (II 28), tutti quegli uomini riuniti in Arezzo misero in sospetto Bonifacio VIII che cercò di rendere loro la vita dura facendo intravvedere a Uguccione la speranza di un cardinalato per un suo figlio. Questi dunque inflisse agli esuli tante angherie e soperchierie, che essi decisero di rifugiarsi a Forlì, dove in quel momento era vicario per conto della Chiesa Scarpetta degli Ordelaffi; tra quelli che emigrarono, a detta di tutti i biografi, si trovava D. stesso. Nel 1303 Uguccione reggeva ancora la podesteria aretina con la conferma di Bonifacio VIII, però venne in sospetto presso i governati, i quali ancor una volta lo cacciarono, chiamando a sostituirlo il conte Federico di Guido da Montefeltro. Intanto il ghibellinismo aretino si era scisso in due fazioni corrispondenti ai Bianchi e ai Neri del guelfismo fiorentino, cioè i Verdi e i Secchi. Nella fazione dei Verdi erano concentrati i popolari ghibellini e su di essa faceva leva Uguccione; i Secchi invece erano costituiti da ghibellini della fazione aristocratico-nobiliare ed erano capeggiati dalla famiglia dei Tarlati, signori di Pietramala.
Nel 1308, allorché ancora una volta era in Arezzo, Uguccione promise un aiuto armato a Corso Donati, suo genero dal 1302, che tentava di assicurarsi la signoria di Firenze con il suo esercito personale; ma la Signoria riuscì a fermare con un inganno Uguccione già presso Firenze, e l'impresa ebbe per conclusione la morte violenta di Corso. Intanto Uguccione era in Arezzo, dove il podestà Francesco degli Ubaldini, il quale mirava a una conciliazione delle fazioni, lo aveva fatto rientrare; ridivenne podestà della città e l'anno appresso capitano, sì che fino al 1310 fu agli effetti pratici il signore di Arezzo.
Alla discesa di Enrico VIII, Uguccione, con Federico da Montefeltro, con il consorto di questi Galasso e Castruccio Castracani andò incontro all'imperatore, di cui il della F. era sì valido sostenitore, da esserne premiato con la nomina a vicario di Genova (1312).
La morte di Enrico VII produsse un certo scompiglio nella politica del governo pisano che, dovendo provvedersi di un rettore, scelse Uguccione dandogli le cariche di podestà e di capitano del popolo e di guerra; egli giunse a Pisa il 20 settembre 1313, neppure un mese dopo la morte del sovrano. Di lì a non molto ebbe luogo uno degli atti più crudeli della sua vita politica: il 22 marzo 1314 fece arrestare e decapitare come colpevoli di tradimento Banduccio e Pietro Bonconti, gli ambasciatori di Pisa che avevano concluso un trattato con Roberto d'Angiò e la lega guelfa (il Villani [IX 75] pone questa decapitazione al marzo 1316). Il comune di Pisa che aveva cercato in Uguccione un valente guerriero che ne risollevasse le sorti militari e riportasse ordine e pace, trovò in lui un tiranno il quale si circondò di persone di sua particolare fiducia, soprattutto di membri della famiglia Lanfranchi.
Da Pisa Uguccione aveva volto le sue mire anche verso la vicina Lucca e, favorito dal disordine politico della città e con la complicità di un altro valentissimo guerriero ghibellino, pur esso assetato di dominio e di signoria, Castruccio Castracani, il 14 giugno 1314 v'impose la sua signoria. Uguccione, divenuto signore di Pisa, Lucca e dei relativi territori, cominciò a risalire l'Arno fino ai pressi di Firenze con una guerra continua, insidiosa e pericolosissima per la repubblica. Un diploma di Lodovico il Bavaro del marzo 1315 confermò a Uguccione un certo numero di castelli nel Valdarno inferiore conquistati in queste scorrerie. Finalmente, andò a porre il campo ai piedi del castello di Montecatini di Valdinievole tenuto dalle truppe fiorentine. Nel tempo che Uguccione mise insieme un forte esercito di 2.000 fanti e 5.000 cavalieri con l'aiuto di tutte le signorie ghibelline di Toscana e di Lombardia, i Fiorentini fecero altrettanto dal canto loro raccogliendo le forze guelfe completate da soccorsi forniti dagli Angioini. Il 29 agosto 1315 si venne alla grande, sanguinosissima battaglia, la quale segnò l'annientamento dell'esercito guelfo. Tra i caduti fu Francesco, figlio di Uguccione e governatore di Lucca per conto del padre. Questa battaglia segnò l'apogeo della signoria di Uguccione, il culmine della sua rinomanza militare e, a un tempo, il principio della fine della sua potenza. Il suo carattere dispotico, tirannico, avido di potenza, di gloria e di danaro, la crudeltà stessa che si accompagnava a tante malvage qualità, avevano sdegnato la popolazione delle due città, ghibellini compresi, che già apprezzavano in Castruccio l'astro sorgente. Approfittando di un tentativo di U. di eliminare il Castracani, Coscetto del Colle promosse una ribellione in Lucca, il 10 aprile 1316, e così il della F. perse la signoria sull'una e sull'altra città. Di conseguenza, egli, temendo per la sua persona stessa, con le milizie e il figlio Neri, se ne andò verso la Lombardia passando per i domini del marchese Spinetta Malaspina, raggiunse Verona e si mise al servizio di Cangrande della Scala. Alla fine di agosto dell'anno appresso, con l'aiuto dello Scaligero e di certi scontenti pisani, Uguccione tentò di riprendere il dominio di Pisa. Il marchese Spinetta gli concesse il passaggio, ma Coscetto, radunati i suoi fidi, annientò i congiurati Lanfranchi.
Uguccione servì bene Cangrande, il quale gli affidò il comando della guerra contro Brescia e Padova, e infine gli dette l'ufficio di podestà di Vicenza, nel quale si segnalò per la crudeltà con cui eliminò gli ultimi guelfi vicentini ribellatisi (maggio 1317). Di lì a poco, morì (1 novembre 1318); la sua salma, portata a Verona, venne collocata nella chiesa di S. Anastasia dei frati predicatori. Di lui, morto Francesco nella battaglia di Montecatini, rimase il figlio Neri a continuare la discendenza. Anche Neri fu uomo d'arme e s'immischiò nelle più grosse vicende belliche del suo tempo; è ricordato tra gli aderenti dell'arcivescovo di Milano, Giovanni Visconti, con l'elenco dei suoi 72 castelli, nella pace del 1343 tra quel Visconti e la lega delle città guelfe di Toscana, capeggiata da Firenze. Nel 1331, Francesco di Neri sposò Francesca di Pier Saccone dei Tarlati, signore di Arezzo.
La falsa lettera di frate Ilaro (v.) e la tradizione leggendaria raccolta anche dal Boccaccio vorrebbero che D. pensasse di dedicare a Uguccione l'Inferno e che gli avesse trasmesso una copia completa della cantica tramite il predetto monaco. Si è anche voluto vedere in Uguccione la personificazione dell'allegoria del veltro dantesco, ma è difficile, anzi impossibile, che D. provasse tanta stima e simpatia per un uomo così moralmento abbietto, sempre pronto a ogni misfatto, pur di saziare la sua fame di potenza, di signoria, di danaro e di sangue.
Altro legame fra D. e Uguccione è determinato dalla presunta ospitalità offerta al poeta in esilio nel castello della F. a Massa Trabaria. Questa tradizione raccolta dal Boccaccio è convalidata dalla conoscenza dimostrata dal poeta delle zone circostanti il castello, quali la strada di S. Leo, il massiccio del monte Catria, nonché la vicinanza con altri luoghi sicuramente visitati da D. come Forlì e Ravenna. Resterebbe da stabilire se sia stato proprio Uguccione o qualcuno dei suoi familiari l'ospite del poeta, ma dati i vari impegni politici del della F. la prima ipotesi sembra da scartare. Il momento migliore per questa supposta visita di D. alla Massa Trabaria può essere stato intorno al 1302 quando si trovava tra i rifugiati Bianchi in Arezzo ov'era podestà Uguccione, perché si può pensare che il poeta fosse allora inviato dai suoi compagni di sventura a fare un giro presso i signorotti delle Marche settentrionali e dell'alta Umbria che erano in buona parte di fede ghibellina, allo scopo di trarne partito per la causa dei fuorusciti di Firenze magari assoldandoli.
Un'allusione alla battaglia di Montecatini, e quindi indirettamente a Uguccione, è con probabilità in Pg XXIII 106-108, allorché Forese, vaticinando una punizione per le svergognate donne fiorentine, allude a una sciagura imminente per quanto non specificata: " e l'unico evento davvero terrificante e sanguinoso che i Fiorentini dovettero subire in quel lasso di tempo, è costituito dalla sconfitta di Montecatini... una strage che, venendo dai soldati di colui che era il capo riconosciuto dei ghibellini toscani e il continuatore morale dell'impresa di Arrigo VII, poteva essere intesa da Dante la crudele ma giusta punizione delle colpe di tutta la città " (Petrocchi).
Bibl.-D.M. Manni, Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi, XX, Firenze 1764, 75-78; L. Passerini, Armi e notizie delle famiglie toscane che son nominate nella D.C., in L'Inferno di D.A., a c. di G.G. Warren lord Vernon, II (Documenti), Londra 1862; P. Vigo, Uguccione della F., potestà di Pisa e di Lucca (1313-1316), Livorno 1879; F. Lampertico, Uguccione della F. a Vicenza. Due documenti di diritto penale e un verso della D.C., in " Arch. Stor. Ital. " s. 4, V 5 (1880) 31-44; E. Cristiani, Nobiltà e Popolo nel Comune di Pisa, Napoli 1962, 294 ss.; G. Sandri, Un " quaternus condempnationum Communis Vincentiae " e la sorte degli ultimi guelfi vicentini, in " Arch. Veneto " XXII (1939); G. Petrocchi, Intorno alla pubblicazione dell'Inferno e del Purgatorio, in " Convivium " n.s., VI (1957) 672 (rist. in Itinerari danteschi, Bari 1969, 112).