GOSIA, Ugolino
Nacque a Bologna poco prima del 1170. Il padre, Guglielmo, era figlio di Martino, uno dei quattro dottori bolognesi allievi e successori di Irnerio. Della madre è noto il nome, Gisla, ma non il casato. Ebbe un fratello, Guglielmo, e una sorella, Maria, entrambi di lui minori d'età, i quali, morti i genitori prima del 1194, restarono affidati alle sue cure. La sorella Maria all'inizio del 1194 andò sposa ad Ardizzone, figlio di Brancaleone; il fratello Guglielmo, molto più giovane, essendo nato dopo il 1180, acquisì autonomia solo nel 1204.
Sulla scia del padre e del nonno il G. seguì gli insegnamenti di diritto nello Studio cittadino, ma le sue aspirazioni non erano circoscritte unicamente alla professione di giurista. Due documenti, entrambi del 1198, attestano una sua non ancora decisa scelta di vita. Nel primo, datato 31 ottobre, il G. è detto iudex e presenzia con altri giuristi al giuramento con cui il preceptor Giovanni si impegnava a insegnare diritto esclusivamente in Bologna e a contrastare ogni iniziativa degli studenti volta a trasferire lo Studio in altra città. Il secondo, del 24 novembre, lo rivela presente in qualità di miles communis all'atto con il quale, di fronte e con l'approvazione del Consiglio generale del Comune, il vicario del podestà ratificava l'operato degli stimatori dei beni comunali e ne autorizzava la successiva attività nei termini fissati nell'atto stesso. In entrambe le circostanze il G. appare dunque pienamente inserito nel ceto dirigente del Comune bolognese, membro di quella che si suole definire aristocrazia cittadina e che, almeno per il successivo trentennio, mantenne saldamente nelle proprie mani la gestione del potere.
Interessante è peraltro la diversità delle qualifiche. Come detto nel primo documento il G. era iudex. Era cioè un esperto di diritto, che non aveva tuttavia terminato l'intero ciclo di studi, solo al termine del quale avrebbe potuto fregiarsi della prestigiosa qualifica di doctor legum. Ciò nonostante presenziava a un atto di grande importanza e delicatezza per i rapporti tra Studio e Comune cittadino. Quest'ultimo, ben consapevole del prestigio e degli introiti garantiti alla città dallo Studio, cercava con questo e con altri simili giuramenti imposti ai professori di garantire a Bologna una sorta di monopolio nell'insegnamento del diritto.
Dal secondo documento risulta invece che il G., pervenuto alla dignità di miles, aveva assunto in quanto tale un incarico, non meglio specificato peraltro, nell'amministrazione del Comune. La dignità di miles proiettava il G. in una sfera diversa, anzi del tutto insolita - come sottolineò alcuni anni dopo Boncompagno da Signa - per un uomo che la tradizione familiare e gli studi compiuti avviavano all'insegnamento del diritto. Ma proprio in questa seconda veste, di uomo più d'azione che di studio, il G. dette di sé le più convincenti prove.
L'occasione gli venne offerta nell'ottobre del 1201 da un invito rivoltogli dalla città di Ancona. L'episodio è ben noto, grazie alla descrizione fattane da Boncompagno da Signa nel Liber de obsidione Anconae, opera che rievoca la vittoria ottenuta nel 1173 dagli Anconetani sull'esercito imperiale, guidato da Cristiano di Magonza, che aveva posto l'assedio alla città. Scritta tra il 1198 e il 1200, fu da Boncompagno stesso rivista, forse in Ancona, nel 1201, e dedicata al G. che ne era allora podestà. In questa dedica Boncompagno narra che le città di Osimo, Fermo, Fano e Jesi, alleatesi, avevano mosso guerra ad Ancona e gli Anconetani dopo alterne vicende avevano deciso di affidarsi al G. quale podestà. I loro ambasciatori incontrarono il G., impegnato con l'esercito bolognese in azione nel territorio tra Faenza e Forlì, e gli chiesero di assumere la podesteria di Ancona. L'invito giunse gradito ai rappresentanti del governo bolognese che guidavano l'esercito ed essi unirono le proprie sollecitazioni a quelle degli ambasciatori anconetani.
Agli uni e agli altri il G. rispose con un discorso che Boncompagno ha avuto cura di tramandare nei contenuti e, in parte almeno, nella stessa forma. Dopo un brillante esordio nello stile della più genuina retorica, il G. enumerava le ragioni che gli rendevano difficile accettare la nomina: gli impegni dettati da una tradizione familiare di illustri giuristi e professori, l'età ancora giovane, la troppo recente acquisizione della dignità di miles, gli studi appena conclusi, tal che solo nel corso dell'ultimo anno era pervenuto all'insegnamento e a essere annoverato tra i dottori dello Studio e, da ultimo, l'importanza della città che lo aveva chiamato alla podesteria, importanza che, lasciava intendere, troppo sopravanzava le sue forze e capacità. Aggiungeva peraltro che, persistendo gli Anconetani nel loro invito, egli avrebbe chiesto l'autorizzazione ad accettare ai propri studenti, verso i quali aveva evidentemente assunto l'impegno di svolgere per un anno un regolare corso di lezioni. Così avvenne. Ritornato a Bologna, avuto il consenso dei propri studenti, il G. accettò l'incarico offertogli e si diresse ad Ancona.
Le prove che il G. fornì come podestà giustificarono pienamente la scelta fatta dagli Anconetani. Tra il novembre del 1201 e il gennaio successivo l'esercito di Ancona con l'aiuto di Pesaro e di altri alleati sconfisse l'esercito di Fermo che si era attestato a Sant'Elpidio e si impossessò di un castello tenuto dagli Osimani. Queste operazioni militari furono guidate di persona dal G. che mostrò di essere non solo un abile stratega ma anche un combattente indomito e coraggioso. Il trattato di Polverigi, siglato il 18 genn. 1202 e pubblicato dal G. quale podestà di Ancona, pose fine, almeno temporaneamente, agli scontri fra le città marchigiane.
Nel dicembre del 1202, cessato l'incarico in Ancona, fu chiamato podestà a Osimo. Qui si trovò a gestire un forte contrasto con l'arcivescovo di Ravenna per l'abbattimento da parte di Osimo di due castelli tenuti da vassalli dell'arcivescovo. Nel corso di tale scontro sembra che il G. sia incorso nella scomunica per non aver ottemperato all'ordine di presentarsi nel settembre del 1203 al tribunale del vescovo di Rimini, giudice delegato dal papa per la causa promossa dall'arcivescovo ravennate in merito all'abbattimento dei castelli.
Degli sviluppi di questa causa e, in particolare, della parte in essa sostenuta dal G. non si sono trovate notizie certe. E ben poco si sa anche della sua successiva vicenda.
I documenti bolognesi recano sporadiche testimonianze dell'attività di un "Ugolinus legum doctor", ma non sono emersi elementi atti a identificarlo con certezza con il Gosia. La sola testimonianza che sicuramente lo concerne è un atto del giugno 1204 nel quale il G., che non è qualificato come legum doctor, e il fratello Guglielmo addivengono alla divisione di beni comuni. È anche l'ultima testimonianza, né si hanno notizie di suoi discendenti diretti.
Il silenzio delle fonti può quindi indurre a porre la morte del G. in una data prossima al 1204.
Diversi documenti attestano invece le vicende del fratello Guglielmo e dei suoi figli e nipoti e rivelano che questi diretti discendenti di Martino Gosia indirizzarono la propria attività verso impegni di carattere più politico che di insegnamento nello Studio. Guglielmo ebbe incarichi dall'imperatore Ottone IV, fu podestà di Città di Castello, probabilmente nel 1219, e nel corso di questa podesteria venne ucciso. Il figlio Scannabicco fu tra i rappresentanti bolognesi che nel marzo 1226 rinnovarono l'adesione della città alla Lega lombarda e nel 1228 assunse la podesteria di Arezzo. Il figlio di Scannabicco, Guglielmo, fu capitano del Popolo a Forlì nel 1255, podestà a Faenza nel 1256 e ad Arezzo nel 1267. Ma la sua adesione alla parte lambertazza, ossia ghibellina, sconfitta negli scontri del 1274, provocò la sua cacciata dalla città e la distruzione della sua casa. Nell'area già da essa occupata e detta perciò "guasto dei Gosii" sorsero alcuni anni dopo l'ospedale e la chiesa di S. Maria della Vita.
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