GALLUZZI, Ugolino
Nacque a Bologna verso il 1320 da Guidocherio di Guglielmo e da Lisia, figlia del conte Bonifacio da Panico. Ebbe tre sorelle, Magdalucia, Lippa e Selvaggia, e cinque fratelli, Giovanni, Luchino, Bonifacio o Fazio e altri due, dei quali si ignora il nome, scomparsi in tenera età.
Il padre Guidocherio, eminente figura della famiglia Galluzzi, possedeva numerose proprietà, concentrate nella località di Funo, nei pressi di Argelato nella pianura bolognese, oltre ad alcune case in città, tra le quali la grande casa di famiglia nella "cappella" di S. Ambrogio. Col matrimonio si era legato alla più prestigiosa casata feudale bolognese e, a sottolineare il suo inserimento tra i grandi della città, vi era la sua affiliazione all'Ordine di S. Maria Gloriosa, detto anche dei frati gaudenti. Guidocherio, a differenza degli altri Galluzzi, non ebbe parte nelle lotte di fazione che segnarono la prima metà del secolo XIV: solo in occasione della vendita da parte dei figli di Taddeo Pepoli all'arcivescovo Giovanni Visconti dei loro diritti sulla città di Bologna, egli assunse un'aperta opposizione nei confronti dei Pepoli. Questo atteggiamento non ebbe peraltro seguito, né si hanno notizie di Guidocherio e dei suoi figli durante il successivo decennio nel corso del quale la città fu soggetta prima all'arcivescovo Giovanni e poi a Matteo Visconti, indi a Giovanni da Oleggio.
Con la scomparsa di Guidocherio e con l'inasprirsi della signoria di Giovanni da Oleggio, il G. si avvicinò al cardinale Egidio Albornoz il quale, dal 1353, aveva intrapreso la ridefinizione dei diritti della Chiesa sui territori un tempo a essa soggetti. Quali siano stati i rapporti del G. col cardinal legato non è possibile determinare, ma furono di certo intensi, tanto che nel corso dei festeggiamenti con i quali, alla fine di ottobre del 1360, si volle celebrare l'ingresso in città dell'Albornoz, questi armò cavaliere, con pochi altri cittadini, proprio il Galluzzi. Non risulta però che egli abbia collaborato con l'Albornoz e i suoi immediati successori; è testimoniata soltanto la sua nomina tra i sovrintendenti incaricati di decidere i provvedimenti per il riattamento del canale Navile.
Più numerose sono invece le notizie concernenti la sua vita privata. Dopo aver contratto un primo matrimonio con Iacopa Castellani, che morì senza lasciare figli, sposò in seconde nozze, poco prima del 1360, Mea figlia di Bonincontro, dottore e figlio a sua volta del famoso canonista Giovanni d'Andrea. Da questo matrimonio nacque o, comunque, sopravvisse un solo figlio, Nerino. Quasi a integrare il proprio nucleo familiare così ristretto, il G. legò a sé negli affetti e nella gestione dei beni il nipote Guidocherio, figlio di suo fratello Luchino, precocemente scomparso.
In alcuni casi le fonti cronachistiche sembrano attribuire al G. il titolo di dottore di leggi. Che egli avesse acquisito una formazione giuridica è cosa in sé credibile, considerati sia gli incarichi assolti dal G. sia gli stretti rapporti con prestigiosi rappresentanti dello Studio cittadino. Tuttavia di una sua specifica attività nell'insegnamento del diritto o, quanto meno, nell'applicazione forense non è stato possibile reperire tracce sicure. Mancano anche riscontri precisi sulla gestione del suo patrimonio che egli dovette peraltro amministrare in modo estremamente oculato ed efficace. Un primo nucleo di proprietà nella zona di Funo venne dal G. via via ampliato con l'acquisizione, nella stessa località e in centri vicini, di altri appezzamenti che insieme giunsero a superare abbondantemente gli 80 ettari.
Al luglio del 1367 risale quello che sembra sia stato il primo incarico ufficiale del G., inviato con il podestà Francesco da Calboli, il dottore Giacomo de' Buoi e Ugolino Scappi a Viterbo per rendere omaggio a papa Urbano V, il quale scendeva da Avignone a Roma con l'intento di riportarvi la Sede apostolica. L'ambasceria bolognese, notano i cronisti, parve ai cittadini abbastanza misera rispetto a quelle inviate dalle altre città italiane, ma è probabile che il giudizio negativo sia da attribuirsi, più che alla composizione dell'ambasceria, agli scarsi benefici che essa poté apportare alle aspirazioni della città, sempre più gravata dal pesante regime fiscale instaurato dai legati pontifici.
Quattro anni trascorsero prima che il G. ricoprisse un altro incarico. L'occasione gli venne offerta nel 1371 con l'assunzione al pontificato di Gregorio XI quando gli Anziani e consoli della città inviarono ad Avignone un'ambasceria. Ne facevano parte i dottori Riccardo da Saliceto e Gaspare Calderini, il G. e Antoniolo Bentivoglio. Al nuovo papa essi espressero le felicitazioni per l'elezione e alcune richieste; l'oggetto di queste non è noto, ma è probabile che si trattasse di concessioni volte a risollevare le sorti della città, compromesse dal grave fiscalismo dei legati pontifici e a ottenere riconoscimenti sul piano politico delle antiche prerogative cittadine. Le richieste bolognesi non ebbero una precisa risposta, in quanto il papa rinviò ogni decisione con la scusa di non essere pienamente aggiornato sulla situazione.
Di fatto non si ebbe nell'immediato alcuna innovazione e anzi, rinnovatisi a partire dal 1372 i tentativi dei Visconti di riprendere il controllo del territorio bolognese, la città fu sottoposta ad aggravate misure fiscali per sostenere le milizie assoldate a contrastare quelle nemiche. La situazione si fece perciò sempre più critica, in particolare quando, nel marzo del 1374, assunse il potere come vicario pontificio il cardinale di S. Angelo, Guillaume Noellet, le cui indecisioni, in un momento di estrema tensione per le minacce esterne, facilitarono l'esplosione di una vera e propria rivolta.
Preceduta da una serie di sollevazioni nelle Marche e in Romagna, provocate da Firenze, impegnata nella guerra degli Otto santi per affermare contro la Chiesa il proprio predominio sulla Toscana, nella notte tra il 19 e il 20 marzo anche in Bologna scoppiò una rivolta. La provocarono gli aderenti alla fazione scacchese, guidati da Taddeo Azzoguidi, ma essa ebbe anche l'adesione della opposta fazione dei Maltraversi, nonché, sollecitati da Firenze, di gruppi armati provenienti dalla montagna e guidati dai conti Ugolino da Panico e Antonio di Bruscolo. La rivolta coinvolgeva però anche strati molto vasti della cittadinanza e, in primo luogo, gli operatori nel campo della produzione e del commercio.
Il ripristino delle antiche strutture dell'autonomia comunale e anzitutto del Consiglio deliberativo detto ora dei cinquecento, l'attribuzione dei poteri di governo al rinnovato Collegio degli anziani e consoli, l'istituzione della nuova magistratura dei gonfalonieri del Popolo, sotto il cui comando dovevano riunirsi tutti i cittadini atti alle armi, danno l'immagine di un ampio coinvolgimento capace di bloccare per un certo periodo ogni tentativo di instaurare sulla città vecchie o nuove signorie personali. In questo rinnovarsi dell'antico regime comunale ebbe parte anche il G. che fu del primo Consiglio dei cinquecento e del primo Collegio dei gonfalonieri del Popolo.
A partire da settembre del 1376 vennero progressivamente eliminate le più forti fazioni cittadine. Furono colpiti anzitutto i Maltraversi i cui aderenti passavano per partigiani della Chiesa e vennero perciò facilmente accusati d'intesa con il cardinale legato Roberto di Ginevra (Clemente VII, antipapa), le cui bande di bretoni saccheggiavano il territorio bolognese. Nel dicembre del 1376 anche i capi della fazione scacchese, legati ai Pepoli e, attraverso questi, ai Visconti, vennero esiliati. Infine nel marzo del 1377 fu colpita la fazione dei raspanti, che era sostenuta da Firenze e che, nel secondare la lotta di questa contro la Chiesa, portava a coinvolgere Bologna in iniziative militari estremamente gravose e contrarie alle aspirazioni della maggioranza dei cittadini.
Deciso a intavolare una reale trattativa di pace col papa Gregorio XI, il governo bolognese inviò a Roma, il 9 maggio 1377, una solenne ambasceria composta da Giovanni da Legnano, il G., Dante Dainesi e Francesco Foscarari. Il risultato dell'ambasceria è noto: raggiunta la pace col papa, la città, pur ricondotta sotto la supremazia pontificia, si vide riconosciuta un'ampia autonomia. La concessione del vicariato apostolico non più a un cardinale legato, ma al dottore dello Studio Giovanni da Legnano costituì una sorta di sanzione ufficiale del nuovo regime.
Membro del Collegio degli anziani e consoli agli inizi del 1380, il G., con altri sette cittadini, fu inviato il 17 luglio 1381 in rappresentanza del governo bolognese presso Astorre Manfredi, signore di Faenza, per definire la questione del castello di Solarolo. Il castello era stato consegnato a Bologna da Francesco Manfredi, fratello e rivale di Astorre, e scopo della missione, in effetti raggiunto, era di convincere Astorre a riconoscere il dominio di Bologna su questo centro della Romagna.
Nel febbraio del 1382 fu di nuovo a Roma in occasione di un'ambasceria, nuovamente guidata da Giovanni da Legnano, avente lo scopo di ottenere da Urbano VI nuove concessioni e il rinnovo del vicariato apostolico, a favore dello stesso governo cittadino e, per esso, al Collegio degli anziani e consoli. Il pontefice però, pur accogliendo con profferte di stima e di amicizia i rappresentanti bolognesi, non concesse al Collegio il vicariato apostolico, che restò di fatto confermato a Giovanni da Legnano.
Fu questo, a quanto risulta, l'ultimo impegno pubblico del G., che morì a Bologna due anni più tardi l'8 sett. 1384. Nel testamento, redatto il 19 agosto precedente, aveva lasciato erede l'unico figlio Nerino; aveva ricordato con significative elargizioni numerose chiese e con consistenti legati la moglie Mea e il nipote Guidocherio e aveva chiesto di essere sepolto, come avvenne, in un'arca, elevata sopra la porta di accesso alla sacrestia della chiesa di S. Domenico.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Comune, Governo, Provvigioni cartacee, s. III, regg. 45, cc. 9-10v; 48, c. 5v; 50, c. 15v; Riformatori degli estimi, s. I, voll. 6/2, c. 3; 8, c. 33; s. II, b. 212, S. Ambrogio; Venticinquine, b. 8, a.1354, S. Ambrogio; Ufficio dei Memoriali, voll. 148, c. 300v; 208, c. 372v; 209, cc. 361, 380; 229, c. 183; 242, c. 296; 275, c. 413; 277, c. 358; 284, c. 60; 286, c. 306; Ufficio del registro. Testamenti, vol. A, cc. 48-51; Notarile, Not. Giovanni Albiroli, reg. 18/8; Studio Alidosi, Memorie ed epitaffi, s.v. Galluzzi; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 1, vol. III, ad ind.; M. de Griffonibus, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, ad ind.; Cronica gestorum… civitatis Bononie, a cura di A. Sorbelli, ibid., ad ind.; C. Ghirardacci, Historia di vari successi d'Italia e particolarmente della città di Bologna, II, Bologna 1669, ad ind.; F. De Bosdari, Giovanni da Legnano canonista e uomo politico del 1300, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le prov. di Romagna, s. 3, XIX (1901), pp. 44 s., 76 s.; O. Vancini, Bologna della Chiesa, ibid., XXIV (1906), p. 551; Id., La rivolta dei Bolognesi al governo dei vicari dellaChiesa (1376-1377)…, Bologna 1906, pp. 19, 29, 58, 61; Diz. biogr. degli Italiani, s.v. Foscarari, Egidio.