UGOLINO di Vieri
Orafo senese attivo in Italia centrale nel Trecento.
U. apparteneva a una famiglia di orafi, in quanto figlio del maestro senese Vieri di Ugolino, noto dal 1305; orafi sarebbero stati anche i suoi fratelli, Luca e Domenico di Vieri.
Insieme a un altro fratello, Giovanni, e al padre, U. compare citato per la prima volta nel 1329, in un documento relativo alla vendita d'una loro casa a tal Turino di Bartolo di Viteccio. Nel 1332 il Comune di Siena lo risarciva, assieme ai suoi "chompagni", dei danni relativi alla commissione d'una coppa destinata al condottiero Guidoriccio da Fogliano, mentre nel 1336, secondo la dizione d'una Biccherna - laddove in un'altra il socio di Viva è detto "Angelico" o "Angelino" -, collaborava apparentemente nella "acconciatura [di] una coppa d'ariento" con l'orafo Viva di Lando (v.), pur esso figlio d'un celebre artista del settore, Lando di Pietro. Nel 1337-1338 U. è il protagonista della realizzazione, per l'Opera del Duomo di Orvieto, del grandioso reliquiario del Corporale di Bolsena (Orvieto, duomo), per il quale egli ancora riceveva pagamenti nel 1339; il reliquiario porta sulla base la data 1338 e la firma: "Hoc opus [...] per magistrum Ugolinum et sotios aurificies de Senis factum fuit". Nello stesso anno 1339 U. e Viva di Lando risulterebbero creditori, a Siena, d'un certo Andrea di Guglielmaccio; nel 1343 U. e i suoi "compagni orafi" risultano retribuiti dal Comune per la "raconciatura e bruntura" della coppa dei Consoli della Mercanzia, destinata in dono a un cardinale. Nel 1357 egli è inviato come ambasciatore a San Gimignano e a Pistoia, dove - evidentemente orafo ormai di grande e riconosciuta rinomanza - è nominato a dirimere una vertenza riguardante l'altare argenteo di S. Jacopo; nel 1358, infine, dà in pegno alle monache senesi di S. Prospero per cinquantasei fiorini d'oro un calice d'argento dorato con patena (Milanesi, 1854; Fumi, 1896; Lisini, 1904; Machetti, 1929). La data della sua morte è da porsi probabilmente fra il 1380 e il 1385.La figura di U. è da sempre legata al reliquiario orvietano del Corporale - massimo raggiungimento, sotto il profilo tecnico, architettonico e compositivo, dello smalto traslucido italiano - e per tale ragione da sempre considerata come quella dell'orafo e smaltista di maggior caratura nell'innovativa stagione trecentesca del traslucido su bassorilievo in argento. Non è facile tuttavia, nella complessa opera di collaborazione del Corporale, individuare e separare le spettanze di U. da quelle dei suoi 'soci'. Già Carli (1964; 1965) ebbe modo di notare come, anche nei soli smalti principali del reliquiario, fossero individuabili almeno quattro distinte mani di artefici: l'una responsabile delle otto Storie del miracolo del Corporale di Bolsena sulla fronte, già accostate da Toesca (1951) ai modi di Ambrogio Lorenzetti; la seconda responsabile invece delle quattordici Storie della Passione divise fra il recto e il verso e di larga parte delle cuspidi con angeli e profeti; la terza e la quarta attive nelle otto scene dell'Infanzia di Cristo della base; e ciò senza contare gli smalti più piccoli dei pilastrini e quelli decorativi e aniconici dei tanti fregi e cornici.Ciascuno dei due gruppi maggiori di smalti è stato comprensibilmente attribuito in passato a U., il primo da Carli (1965) e il secondo da Dal Poggetto (1965); ma nel 1967 la scoperta del calice di Sacco (Vallo della Lucania, Mus.), firmato da Guidino di Guido, ha reso improponibile questa seconda alternativa, dando un nome certo e diverso al grande maestro 'arcaico' - pieno di riferimenti a Duccio ma anche a Simone Martini e a Pietro Lorenzetti - delle Storie della Passione; così come l'enucleazione di un corpus di opere riferibili ad altri due orafi senesi, Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi, ha dato al contempo modo di ipotizzare anche un loro intervento nelle placche attribuite al terzo maestro. Ove perciò si escluda la recente opinione di Cioni (1994), che tende a riunire la quasi totalità degli smalti - anche quelli con le Storie del miracolo del Corporale di Bolsena - sotto la figura unica del Maestro della Passione, e cioè di Guidino di Guido, per riservare invece a U. la parte 'plastica' del reliquiario, con le microsculture in argento dorato degli evangelisti e profeti nella base e del Crocifisso, dei dolenti e degli angeli nelle cuspidi, l'opinione dei più si orienta a identificare i modi del grande maestro e firmatario dell'opera appunto nelle placche con le Storie del miracolo del Corporale di Bolsena, caratterizzate da una più moderna nitidezza di segno e d'incisione e da una resa accorta ed espansa dei volumi e degli spazi che davvero ricordano il linguaggio di Ambrogio Lorenzetti, pur senza sfuggire al contatto con il senso narrativo e la preziosità cromatica d'un Simone Martini o d'un Lippo Memmi.Di certo questa cultura, diversa e appunto più 'moderna' rispetto alla generazione e al linguaggio di Guidino di Guido, Tondino di Guerrino o Andrea Riguardi, formatisi fra il primo e il secondo decennio del secolo nel solco della lezione gotico-transalpina di Guccio di Mannaia, è assai più compatibile con quanto si vede nelle altre due opere riferibili con certezza a U., sebbene in società con Viva di Lando: il reliquiario del Cranio di s. Savino (Orvieto, Mus. dell'Opera del Duomo), firmato da entrambi, in cui le statuette del santo e della Vergine e anche buona parte delle placchette rivelano lo stesso senso plastico, prossimo ad Ambrogio ma anche ad Andrea Pisano (Carli, 1968); la patena con l'Annunciazione di Perugia (Gall. Naz. dell'Umbria), proveniente dalla locale chiesa di S. Domenico e probabilmente da identificare con quella che accompagnava un calice, oggi perduto, firmato dai due orafi e descritto da un inventario della sagrestia della chiesa del 1458 (Santi, 1955), nella quale, nonostante qualche incertezza, le due figure presentano il medesimo senso di grandiosa monumentalità.Nell'impegnativa commissione del reliquiario del Corporale, alla data del 1337-1338, U., presumibilmente ancor giovane, avrebbe dunque convogliato il lavoro di molte botteghe orafe senesi, di molti 'soci', senza diritto di firma ma - com'è comprovato almeno dal caso di Guidino di Guido - responsabili di parti rilevanti del lavoro; e questo potrebbe essere avvenuto anche nel caso delle microsculture, in massima parte riferibili a una forte personalità di scultore dalle grandi doti espressive, ritmiche, lineari, formatosi sul linguaggio più 'gotico', teso, falcato, di Giovanni Pisano e di Goro di Gregorio.Al di là però degli smalti e delle sculture, è possibile pensare che a U. sia spettato in questa impresa proprio il compito, sotteso dalla firma, del coordinamento complessivo e dell'ideazione dell'originale, ricchissima macchina del reliquiario: un'architettura tricuspidata con largo corredo di torrette e contrafforti, che è stata spesso messa in relazione con quella del duomo di Orvieto, e collegata dunque al nome di Lorenzo Maitani, e dei vari progetti per la facciata (Orvieto, Mus. dell'Opera del Duomo), ma che è da vedere anche e soprattutto a fronte di quell'altra mirabile oreficeria dipinta da Simone Martini come trono alla Maestà del Palazzo Pubblico di Siena, cosi come la svettante e simile struttura traforata del reliquiario di S. Savino arieggia - oltre che all'architettura senese del tempo - a quella del pastorale del S. Ludovico di Tolosa di Simone (Napoli, Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte; Leone de Castris, 1984; 1995).Anche questo probabile ruolo e questa attività 'progettuale' confermano nell'idea che U. si sia formato - nella Siena del secondo decennio del sec. 14° - non tanto alla scuola del capostipite Guccio di Mannaia o dei suoi continuatori, quanto a quella dello sconosciuto padre Vieri di Ugolino e specie a quella del più noto padre del suo futuro socio Viva di Lando, e cioè Lando di Pietro, orafo, scultore, ingegnere e architetto di gran talento e - secondo quanto mostra il braccio di S. Ludovico (Parigi, Louvre) - di analoghe inclinazioni anche formali. È in tal senso altamente probabile che al giovane U. possa spettare, fra i tanti smalti attribuitigli, la corona di S. Galgano proveniente dall'omonima abbazia presso Chiusdino (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana), un tempo attribuita proprio a Lando di Pietro e in cui i motivi vegetali a racemi e cartocci e le tonalità degli smalti traslucidi, o anche lo stesso elegante disegno delle lettere e degli alberelli che la compongono, richiamano in modo stretto sia le placchette del citato braccio di Lando al Louvre sia i fregi e le iscrizioni del reliquiario orvietano del Corporale.
Bibl.: G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I, Siena 1854, pp. 210-213; L. Fumi, Il santuario del SS. Corporale del duomo di Orvieto, Roma 1896; A. Lisini, Notizie di orafi e di oggetti di oreficeria senesi, Bullettino senese di storia patria 11, 1904, pp. 645-678; Venturi, Storia, IV, 1906, pp. 932-944; I. Machetti, Orafi senesi, La Diana 4, 1929, pp. 5-110; Toesca, Trecento, 1951, pp. 590-592, 894-897; F. Santi, Ritrovamento di oreficerie medioevali in S. Domenico di Perugia, BArte, s. IV, 40, 1955, pp. 354-358; E. Carli, Il reliquiario del Corporale ad Orvieto, Milano 1964; id., Il duomo di Orvieto, Roma 1965; P. Dal Poggetto, Ugolino di Vieri: gli smalti di Orvieto, Milano 1965; M.P. Guida Di Dario, Precisazioni su Ugolino di Vieri e soci, NN, n.s., 6, 1967, pp. 217-226; E. Carli, Su alcuni smalti senesi, AV 7, 1968, 1, pp. 35-47; M.M. Gauthier, Emaux du Moyen Age occidental, Fribourg 1972, n. 173; P. Leone de Castris, Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi, orafi e smaltisti a Siena (1308-1338), Prospettiva, 1980, 21, pp. 24-44; I. Hueck, Ugolino di Vieri e Viva di Lando, in Il Gotico a Siena: miniature, pitture, oreficerie, oggetti d'arte, cat. (Siena 1982), Firenze 1982, pp. 189-195; E. Cioni Liserani, ivi, pp. 195-197, nr. 68; P. Leone de Castris, Trasformazione e continuità nel passaggio dello smalto senese da champlevé a traslucido, Annali della Scuola normale superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia, s. III, 14, 1984, pp. 533-556; E. Cioni, Considerazioni sul reliquiario del Corporale nel duomo di Orvieto, ivi, 24, 1994, pp. 589-612; P. Leone de Castris, Il reliquiario del Corporale a Orvieto e lo smalto senese di primo Trecento, in Il duomo di Orvieto e le grandi cattedrali del Duecento, "Atti del Convegno, Orvieto 1990", Torino 1995, pp. 169-191.