UGOLINO di Vieri
UGOLINO di Vieri. – Fu il più celebre degli orafi senesi del Trecento: il suo nome compare insieme a «soci» non specificati nella sottoscrizione del Reliquiario del Corporale destinato al duomo di Orvieto, apice tecnico e stilistico dello smalto traslucido senese.
La tradizione critica (Machetti, 1929, p. 37) lo vuole provenire da una famiglia di orafi, di cui sono noti il padre Vieri e i fratelli Luca e Domenico (pp. 37-39). Giampaolo Ermini (2016) ha recentemente esteso la biografia di Vieri sino al 1340/41 (p. 106), consentendo, in teoria, di identificarlo con uno dei soci dell’impresa orvietana, anche se non è noto alcun documento che attesti il mestiere di orafo di Vieri (ibid.). Se Luca collaborò con il fratello Ugolino alla gestione finanziaria della bottega (p. 107), Domenico fu nominato priore della capitudine «bancheriorum et aurificum» di Siena nel 1364 (Ermini, 2016, p. 111).
La più antica notizia documentaria su Ugolino risale al 1328 quando, assieme al padre e al fratello Giovanni, tutti e tre registrati a Siena nel popolo di S. Giorgio, vendettero una casa a un certo «Turino Bartali de Viteccio» (Cioni, 1998, p. 520). Nel 1332 «Ugholino orafo» è menzionato con i suoi «chonpagni» per una commissione non andata a buon fine: una coppa destinata a Guidoriccio da Fogliano, condottiero e capitano di ventura effigiato da Simone Martini nel Palazzo pubblico a Siena (p. 493). Il rapporto societario tra Ugolino e Viva di Lando, probabilmente figlio di Lando di Pietro, orafo, scultore, architetto e ingegnere, è centrale nel dibattito critico. Il sodalizio artistico era già in corso nel 1336, quando i due artisti furono pagati per l’accomodatura di una coppa d’argento per il Comune (pp. 478 s.), e perdurava nel 1339, quando dovevano essere ancora legati da un rapporto societario (ibid.).
Una fitta messe di carte documenta la realizzazione del Reliquiario del Corporale. Il 9 maggio 1337 Ugolino era già a Orvieto «in casella Operis», indizio di un soggiorno avviato da qualche tempo (Ermini, 2015, p. 313). Due documenti relativi al mese di giugno dello stesso anno lo situano ancora a Orvieto (ibid.), prima di rientrare a Siena a fine luglio (ibid.). Basandosi su alcuni pagamenti per materiali d’uso, come cuoio e ferramenta, registrati durante il soggiorno orvietano di Ugolino, Ermini (2015, p. 314) ipotizza che l’artista abbia lavorato al Reliquiario, almeno nella fase iniziale della sua esecuzione, nella città umbra, dove è documentato ancora nel giugno del 1338 (ibid.). Un documento del dicembre del 1339 attesta infine un regolamento di conti tra Ugolino e l’Opera del duomo, secondo Ermini relativo a un contenzioso tra le parti (ibid.). Nel giugno del 1341 Luca e Ugolino riscossero a Siena un credito probabilmente contratto dal loro padre (Ermini, 2016, p. 106). Nell’ottobre dello stesso anno il solo Ugolino incassò il risarcimento di un prestito erogato da Viva di Lando – conferma indiretta del perdurare del loro legame (p. 108) – e nel mese successivo erogò a sua volta un prestito (p. 106). Tra il maggio del 1341 e il gennaio del 1342 il Comune di Siena restituì a dei prestatori sei quantità di denaro che, in precedenza, il Comune stesso aveva versato a Ugolino e che erano state riscosse, per conto dell’orafo, dal fratello Luca e da Neri di Lippo (ibid.). In un documento del 1342 un «Ugolino di Vieri detto Peccia» è registrato nella lira di S. Giusto a Siena (Ermini, 2016, p. 109). Ammessa l’identificazione con il celebre artista – da considerare con cautela –, Ugolino risulterebbe il più tassato degli orafi allirati di quell’anno (ibid.). Nel 1343 «Ugholino orafo» lavorò con i suoi «chonpagni» all’accomodatura e alla brunitura di una coppa dei consoli della Mercanzia destinata a un cardinale non identificato di passaggio a Siena (Cioni, 1998, p. 493). L’anno successivo Ugolino risulta abitare nel popolo di S. Martino, nell’omonimo terzo (Ermini, 2016, p. 107). Un documento del 1349 informa del matrimonio di Ugolino, probabilmente il secondo, con Iacopa, o Giacoma (p. 108). Tra il 1352 e il 1353 l’orafo fu impegnato, assieme al fratello Luca, nella Zecca senese (p. 111), mentre nel 1355 ricevette una somma importante per la realizzazione di due sigilli (Cioni, 1998, p. 60). Due anni dopo fu inviato come ambasciatore a San Gimignano e a Pistoia, dove venne incaricato di risolvere una vertenza relativa all’altare di S. Iacopo, conferma della grande considerazione di cui godeva (Hueck, 1982). Nel 1359 le monache di S. Prospero riscattarono, per 56 fiorini d’oro, un calice con patena che Ugolino aveva avuto in pegno dal Capitolo del duomo (Cioni, 1998, p. 520). Si deve a Michele Tomasi (in Opere firmate nell’arte italiana, 2013, p. 68) il recupero critico di un documento del 1372 pubblicato da Hans Teubner (1985, p. 339). In quell’anno Ugolino chiese al Consiglio generale di Siena l’autorizzazione a fondare nella piazza di Porta Oliviera un ospedale e una cappella in onore di S. Antonio Abate, del quale affermò «io arechai da Parigi la sua figura e i miracoli che Idio fece per lui» (Tomasi, in Opere firmate nell’arte italiana, 2013, p. 68). Tomasi sottolinea l’importanza della notizia, che lascia intuire l’agiatezza e la conoscenza dell’arte gotica francese da parte dell’artista. Ignota la data della morte dell’orafo, avvenuta comunque prima del 1385, quando la figlia Niccola è citata come «del fu Ugolino di maestro Vieri» (ibid.).
Due le opere sottoscritte dall’orafo oggi note: il Reliquiario del Corporale (1338), ora nella Libreria Albèri a Orvieto, con firma collettiva («per magistrum Ugolinum et sotios aurificies de Senis»), e il Reliquiario del cranio di s. Savino, nel Museo dell’Opera del duomo di Orvieto, con firma doppia: «Ugholinus et Viva d(e) Senis fecierut istum tabernaculu(m)». Un calice di argento dorato, ornato di smalti, munito di patena con l’Annunciazione, descritto nell’inventario del 1458 della sacrestia di S. Domenico a Perugia, e firmato anch’esso da Ugolino e Viva («Iste calix fecit Ugholinus et Viva de Senis»), è perduto (Tomasi, in Opere firmate nell’arte italiana, 2013, p. 77). Una lunga tradizione critica ha riconosciuto in una patena fortuitamente trovata nel 1954 nella stessa chiesa, quella originariamente associata al calice (Santi, 1955, p. 356; Carli, 1964, p. 20; Id., 1965, pp. 129 s.; Di Dario Guida, 1967, p. 225; Calderoni Masetti, 1992, p. 253). Se Irene Hueck (1982) si è dimostrata prudente riguardo a questa identificazione, avvertendo che lo stesso inventario cita altre due patene con l’Annunciazione (p. 189), Elisabetta Cioni (1998), avanzando anche motivazioni di carattere stilistico, ha proposto di tenerla distinta dal dibattito critico sui due orafi (pp. 618 s.).
Il Reliquiario del Corporale, sontuosa architettura in argento fuso, sbalzato e dorato, è interamente decorato di smalti traslucidi ed è arricchito da un complesso di microsculture. L’opera, dalla doppia funzione di reliquiario e ostensorio (Ermini, 2015, p. 306), fu concepita per custodire il corporale del miracolo di Bolsena e un’ostia consacrata ordinaria, immessa di volta in volta per la celebrazione del Corpus Domini (ibid.). Nel 1992 ha subito un importante intervento di restauro (Basile - Fiorentino, 1992). L’iscrizione apposta sull’opera ci fa conoscere i committenti, il vescovo d’Orvieto Tramo Monaldeschi, con altri sei prelati, l’anno d’esecuzione – il 1338, al tempo di papa Benedetto XII – e i già citati autori: maestro Ugolino e soci. Impossibile sapere se tra questi soci figurasse Viva di Lando, documentato comunque in attività con Ugolino sia prima sia dopo l’esecuzione del Reliquiario. I documenti relativi al pagamento dell’opera ne indicano un costo complessivo di 1374 fiorini (Carli, 1965, p. 123).
Rimandando alla sintesi di Cioni (1998, pp. 472-496) per una rassegna della vicenda critica, ci si limita qui a segnalare i contributi maggiori. Pietro Toesca (1951) sottolineò per primo la disomogeneità stilistica dei cicli smaltati (pp. 590-592, 896), condizionando fortemente la critica successiva; su questa scia Enzo Carli (1964, pp. 7-22; Id., 1965, pp. 123-132, 138-142) individuò quattro maestri attivi nella decorazione: uno nelle Storie del Corporale, identificato con Ugolino, un altro nelle Storie della Passione, e infine due nelle scene smaltate del basamento. Paolo Dal Poggetto (1965) attribuì a Ugolino le Storie della Passione per via del timbro duccesco, più tradizionale, collegabile a suo avviso alla cultura figurativa dell’orafo, che immaginava più arcaica. Decisivo il contributo di Maria Pia Di Dario Guida (1967), la quale ha messo convincentemente in relazione gli smalti con le Storie della Passione con quelli del calice della chiesa di S. Silvestro a Sacco (Salerno), sottoscritto da Guidino di Guido, supposto autore delle figurazioni traslucide, lasciando a Ugolino la paternità delle Storie del Corporale e della statuetta del Crocifisso. Da questa premessa muovono due proposte. Cioni (1994, pp. 601-608, e 1998, pp. 566-592) ha attribuito al ‘possibile’ Guidino di Guido i due principali cicli di smalti, fatta eccezione per la scena con l’Ostensione del Corporale che considera opera di un altro smaltista e che ritiene affine ad altre cinque nel basamento. Le differenze tra le Storie della Passione, dipendenti da prototipi ducceschi, e le Storie del Corporale, impregnate di cultura lorenzettiana, sono da lei motivate in relazione alla diversità del registro narrativo e iconografico dei due cicli (Cioni, 1998, pp. 604-606, ma anche 1994, pp. 604 s.), come evidenziato anche da Anna Rosa Calderoni Masetti (1994, pp. 740 s.). Infine, Cioni ritiene Ugolino responsabile dell’architettura del Reliquiario e delle microsculture, a suo avviso stilisticamente omogenee (1994, pp. 595-601, 612, e 1998, p. 618). Pierluigi Leone de Castris (1995) mantiene divisi i due principali cicli smaltati, attribuendo a Ugolino la modernità lorenzettiana delle Storie del Corporale e ipotizzando un intervento della bottega di Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi negli smalti della base (p. 173). Sul notevolissimo complesso di microsculture, da sempre trascurato dalla critica rispetto agli smalti, le posizioni sono discordi. Se Carli (1965, pp. 131 s.), Di Dario Guida (1967, p. 224) e Leone de Castris (1995, p. 170) le pongono in continuità con la lezione di Giovanni Pisano, Cioni (1998, pp. 496-540) ritiene che i loro caratteri risultino più chiari se valutati in relazione a quanto era stato prodotto a Siena in ambito orafo.
Il Reliquiario del cranio di s. Savino ha ricevuto un’attenzione critica minore, o comunque limitata al confronto con il Reliquiario del Corporale. Probabilmente ab origine nella chiesa di S. Giovenale di Orvieto, non se ne conoscono né i committenti né l’anno d’esecuzione. Se il dibattito critico sui rapporti stilistici tra i cicli smaltati dei due reliquiari è complesso – e impossibile da rievocare in questa sede –, è chiaro che le microsculture dei due manufatti non sono stilisticamente omogenee (Cioni, 1998, p. 506).
Toesca (1951, pp. 896 s.) assegnava la concezione generale dell’opera a Ugolino, riservando a Viva l’esecuzione, compresa la statua della Vergine, che Carli attribuiva invece a Ugolino (1965, pp. 129-131). Sempre Carli (1968), successivamente, insistette sui rapporti tra gli smalti del basamento, in particolare la scena di Teodorata cade da cavallo, e quelli del perduto Reliquiario di S. Galgano un tempo a Frosini, chiedendosi se essi fossero opera di smaltisti diversi oppure dello stessa artista in due momenti distinti. La conoscenza dell’arte matura dei fratelli Lorenzetti che emerge nella maggior parte degli smalti e nella statuetta della Madonna col Bambino (Carli, 1965, p. 130; Hueck, 1982, p. 195; Cioni, 1998, pp. 506 s.) ha indotto parte della critica a collocare l’opera nel quinto decennio del Trecento, non molto tempo dopo l’esecuzione del Reliquiario del Corporale (Tomasi, in Opere firmate nell’arte italiana, 2013, p. 72).
Più recentemente, Leone de Castris (2000) ha proposto di riconoscere in Ugolino il ‘direttore’ dei lavori per le due commissioni orvietane, responsabile della loro concezione e del coordinamento delle maestranze specializzate coinvolte nella loro esecuzione.
Accanto a queste opere sottoscritte da Ugolino con i soci e con Viva di Lando, si segnala una sola la cui attribuzione a Ugolino è condivisa dalla critica: la Corona per la reliquia della testa di s. Galgano, oggi nel Museo dell’Opera del duomo di Siena, un tempo parte integrante dell’omonimo Reliquiario, conservato nello stesso museo (Cioni, 2005, pp. 96 s.).
Ancora una volta, la definizione del profilo storico e artistico di un orafo medievale si scontra con la scarsa conoscenza del funzionamento di una bottega del genere, della ripartizione del lavoro al suo interno e del significato delle sottoscrizioni apposte sui manufatti d’oreficeria: assemblaggio, questi ultimi, di parti tecnicamente diverse, come magistralmente sottolineato da Giovanni Previtali (1995). Nel caso di Ugolino, la cui firma in entrambi i reliquiari è accompagnata da quella di altri artisti (Viva e soci), è impossibile determinare con certezza quale sia stato il suo contributo alla loro realizzazione.
Fonti e Bibl.: G. Milanesi, Documenti per la storia dell’arte senese, I, Siena 1854, pp. 210-213; L. Fumi, Il santuario del SS. Corporale del duomo di Orvieto, Roma 1896, passim; A. Lisini, Notizie di orafi e di oggetti di oreficeria senesi, in Bullettino senese di storia patria, XI (1904), pp. 645-678; I. Machetti, Orafi senesi, in La Diana, IV (1929), pp. 5-110; P. Toesca, Storia dell’arte italiana. Il Trecento, Torino 1951, pp. 590-592, 894-897; F. Santi, Ritrovamento di oreficerie medioevali in S. Domenico di Perugia, in Bollettino d’arte, s. 4, XL (1955), pp. 354-358; E. Carli, Il reliquiario del Corporale ad Orvieto, Milano 1964; Id., Il duomo di Orvieto, Roma 1965, pp. 123-142; P. Dal Poggetto, U. di V.: gli smalti di Orvieto, Milano 1965; M.P. Di Dario Guida, Precisazioni su U. di V. e soci, in Napoli nobilissima, s. 3, VI (1967), pp. 217-226; E. Carli, Su alcuni smalti senesi, in Antichità viva, VII (1968), 1, pp. 35-47; M.-M. Gauthier, Émaux du Moyen Âge occidental, Fribourg 1972, scheda n. 173, pp. 389 s.; P. Leone de Castris, Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi, orafi e smaltisti a Siena (1308-1338), in Prospettiva, 1980, n. 21, pp. 24-44; I. Hueck, U. di V. e Viva di Lando, in Il Gotico a Siena: miniature, pitture, oreficerie, oggetti d’arte (catal., Siena), a cura di G. Chelazzi Dini, Firenze 1982, pp. 189-195; H. Teubner, S. Antonio Abate – Ausstattung, verlorene Zustände. Bewegliche Ausstattung, in Die Kirchen von Siena, a cura di P.A. Riedl - M. Seidel, I, 1, Abbadia all’Arco – S. Biagio, München 1985, p. 339; G. Basile - P. Fiorentino, Il Reliquiario del Corporale di Orvieto. Interventi di conservazione e restauro, in Arte medievale, s. 2, VI (1992), 1, pp. 193-196; A.R. Calderoni Masetti, Sui disegni figurati trecenteschi del Museo dell’Opera del duomo a Orvieto, in Ori e Tesori d’Europa. Atti del Convegno di studio... 1991, a cura di G. Bermanini - P. Goi, Udine 1992, pp. 245-254; Ead., Fra pittura e smalto, nella prima metà del Trecento, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia, s. 3, XXIV (1994), 2-3, pp. 739-741; E. Cioni, Considerazioni sul reliquiario del Corporale nel duomo di Orvieto, ibid., pp. 589-612; P. Leone de Castris, Il reliquiario del Corporale a Orvieto e lo smalto senese di primo Trecento, in Il duomo di Orvieto e le grandi cattedrali del Duecento. Atti del Convegno internazionale... Orvieto 1990, Torino 1995, pp. 169-191; G. Previtali, Scultura e smalto traslucido nell’oreficeria toscana del primo Trecento: una questione preliminare, in Prospettiva, 1995, n. 79, pp. 2-17; E. Cioni, Scultura e smalto nell’oreficeria senese dei secoli XIII e XIV, Firenze 1998, passim; G. Freni, The reliquary of the Holy Corporal in the cathedral of Orvieto: patronage and politics, in Art, politics and civic religion in central Italy, 1261-1352, a cura di J. Cannon - B. Williamson, London 2000, pp. 117-177; P. Leone de Castris, U. di V., in Enciclopedia dell’arte medievale, IX, Roma 2000, pp. 393 s.; E. Cioni, Il reliquiario di S. Galgano. Contributo alla storia dell’oreficeria e dell’iconografia, Firenze 2005; A. Dietl, Die Sprache der Signatur. Die mittelalterlichen Künstlerinschriften Italiens, II, Berlin-München 2009, schede n. A414 pp. 1128 s., n. A417 pp. 1131-1134, III, n. A456 pp. 1196 s.; Opere firmate nell’arte italiana. Siena e artisti senesi. Maestri orafi, a cura di M.M. Donato, Roma 2013 (in partic.: S. Riccioni - M. Tomasi, scheda n. 5.P., pp. 67-79; Idd., scheda n. 5.S.1, pp. 70-76; Idd., scheda n. 5.S.2, pp. 77-79; Idd., scheda n. 5.S.3.1, pp. 80-86); G. Ermini, Intorno (e sotto) al Reliquiario del Corporale, in Il Corpus Domini. Teologia, antropologia e politica, a cura di L. Andreani - A. Paravicini Bagliani, Firenze 2015, pp. 293-327; Id., «In mano di Mario». Notizie inedite e nuovi argomenti per Ambrogio Lorenzetti e gli orafi senesi del Trecento, in Prospettiva, 2016, nn. 161-162, pp. 104-121.