FANTOLINI, Ugolino de'
Nacque probabilmente a Cerfugnano (odierna Zerfognano di Brisighella, prov. di Ravenna), agli inizi del sec. XIII, da Alberto, che apparteneva ad una delle più antiche famiglie del contado faentino. Di entrambi, come del resto di tutti gli altri membri della famiglia, sono pervenute scarse e frammentarie notizie, per lo più riportate dai cronisti romagnoli del tempo o dai primi commentatori della Divina Commedia di Dante Alighieri: notizie che, in seguito, sono state riprese dagli storici in maniera abbastanza confusa e cronologicamente non sempre esatta.
Il F., seppur ricordato come conte di Donigaglia e signore di molti castelli posti nella valle del fiume Lamone (che scorre a sudovest di Faenza), deve quasi interamente la sua notorietà a una citazione di Dante Alighieri, che lo ricorda nel Purgatorio (XIV, 121-123) con i versi: "O Ugolin de' Fantolin, sicuro / è 'l nome tuo, da che più non s'aspetta / chi far lo possa, tralignando, scuro". Dante fa proferire queste parole a Guido del Duca, il quale, nel menzionare tutti i romagnoli del suo tempo che furono famosi per cortesia e liberalità, indicava Ugolino come l'unico che, a causa della prematura morte dei suoi figli maschi, non dovesse temere di veder macchiato l'onorato nome del suo casato. Forse anche per questo motivo, il F. viene presentato da tutti i commentatori come uomo molto retto e prudente.
Il F., di cui si ignora la formazione politico-militare, senz'altro maturata nella prima metà del sec. XIII, aderì al partito guelfo; stando al Torraca, si deve probabilmente identificare con quel "sier Ugolì" che venne lodato dal trovatore provenzale Ugo de Saint-Circ tra i prodi che, nel 1240-41, combatterono contro l'imperatore Federico II a difesa di Faenza. Nel 1253 il F. venne eletto podestà di Faenza e, nonostante la sua nota adesione al partito guelfo, si sforzò di trovare una soluzione pacifica al conflitto che opponeva la locale famiglia ghibellina degli Accarisi a quella guelfa dei Manfredi, futuri signori della città. I suoi tentativi di riportare la pace fallirono, così come nel 1256 anche gli sforzi di Bologna, il cui intervento era stato sollecitato dagli stessi Faentini, giunti ormai allo stremo delle forze.
Negli anni tra il 1257 e il 1259 il F. risulta impegnato in una contesa con il Comune di Bagnacavallo per la regolamentazione delle acque del fiume Senio. Dopo un tentativo di rappacificazione intrapreso dal podestà di Bologna, la disputa venne risolta nel 1264 (secondo la cronologia proposta dal Torraca), quando gli abitanti di Bagnacavallo, quelli di Lugo e i conti di Cunio e di Donigaglia convenirono di far eseguire in comune i lavori che si rendevano necessari per il libero deflusso delle acque. Nel 1276-77 le terre di Rontana e Quarnento, appartenenti al F. e situate nella montagna faentina, vennero devastate da una spedizione di fuorusciti ghibellini bolognesi, di Forlivesi e di Faentini; e a nulla valsero i tentativi perpetrati dai suoi vassalli per poterle recuperare.
Alcuni storici ritengono che il F. fosse vissuto fino al 1282, ma risulta ormai sicuro che morì il 10 febbr. 1278, data che - come assicura il Tonduzzi - era riportata in un'annotazione di un codice della cronica di P. Cantinelli. D'altronde negli atti relativi all'anno 1279 i suoi figli vengono menzionati con la formula "olim domini Fantulini" che indicava che il F. allora era già morto. Il suo corpo, secondo il cronista faentino Antonio Ubertelli (sec. XVII), che si basava su una testimonianza dell'umanista Matteo Chiromono, databile al 1461, venne seppellito a Faenza, nella chiesa di S. Andrea, detta anche di S. Domenico (cfr. A. Campana, Il sepolcro, p. 29).
Il F. ebbe quattro figli, due maschi e due femmine, come è segnalato dalla documentazione romagnola del tempo. I figli maschi si chiamavano rispettivamente Fantolino e Tano (Ottaviano). Essi furono signori di Sassatello e, come evidenziò bene lo stesso Dante, sopravvissero soltanto pochi anni al padre. Entrambi garantirono l'adempimento del trattato di pace stipulato nel 1279 fra Lambertazzi e Geremei. Ed entrambi, nel 1280, parteciparono con i Geremei bolognesi e con altri guelfi, "simili leoni avidi e intenti alla preda" o a "cani affamati" (come sono definiti dal contemporaneo cronista faentino Cantinelli), all'occupazione di Faenza. L'occupazione, che avvenne nella notte del 13 novembre, fu favorita dal tradimento di un ghibellino faentino, il quale, "mentre si dormia", apri una porta della città agli assalitori. Il traditore era Tebaldello de' Zambrasi, la cui figlia (alcuni storici riportano "sorella") Zambrasina aveva sposato il 29 apr. 1280 Tano Fantolini.
Sia Tano sia Fantolino fecero anche parte delle milizie papali che nell'aprile 1282, sotto il comando di Jean d'Eppe (Giovanni d'Appia), mossero contro Forlì, difesa dal conte Guido da Montefeltro. Lo scontro, che per le gravi perdite subite da entrambe le parti fu definito il "sanguinoso mucchio", avvenne il 1° maggio: tra i personaggi più conosciuti che perirono i cronisti contemporanei riportano, oltre a Tebaldello de' Zambrasi, anche Fantolino de' Fantolini. Ma ancora nel 1280 Fantolino e Tano risultano vivi: il 2 giugno nominarono i loro rappresentanti per trattare la pace con i ghibellini. Fantolino morì nel 1282, in uno scontro con i guelfi presso Forlì, Tano probabilmente nello stesso anno. Risulta comunque certo che entrambi i fratelli erano già deceduti nel 1291, senza lasciare eredi. Infatti, a partire da questo anno le sorelle Caterina e Agnese potevano disporre liberamente di tutti i beni paterni. Delle due figlie del F. la prima, Caterina, aveva sposato il conte Alessandro di Romena, che era il capitano generale dei bianchi fiorentini fuorusciti, e la seconda, Agnese, il conte Taddeo da Montefeltro. In quello stesso anno 1291, infatti, Agnese vendeva le terre da lei ereditate dal padre e dai fratelli a Maghinardo di Susinana e ai conti di Cunio. La cessione non piacque a suo cognato Alessandro di Romena, il quale inviò i suoi uomini a vendicarsi sul castaldo della cognata, tal Iacopo di Castel de' Britti, il quale riuscì a salvarsi solo grazie al pronto intervento dei Faentini.
A detta di alcuni, Caterina de' Fantolini risulterebbe ancora viva nell'anno 1316 - la data del documento non appare sicura -, quando vendette metà di un "resedio" con case da lei posseduto a Faenza insieme con la sorella, che viene anch'essa nominata nell'atto. Questa vendita è assai nota ai dantisti, dal momento che si connette con la questione dell'autenticità di una lettera attribuita a Dante (datata, e proprio grazie al citato atto di vendita, dopo il 1316), nella quale vengono presentate vive condoglianze a Umberto e Guido di Romena per la morte dello zio Alessandro, cioè il marito di Caterina de' Fantolini. Nell'atto di vendita, che risulta privo della datazione, diventata illeggibile per la corrosione della pergamena, sono altresì menzionati come ancora viventi la sorella Agnese e suo marito Taddeo da Montefeltro. Quest'ultimo morì nel 1299: pertanto è senza dubbio ad un periodo antecedente a questo anno che sarebbe più verosimile - conclude il Torraca che riporta in dettaglio tutta la questione - collocare la datazione della vendita del "resedio" faentino da parte di Caterina de' Fantolini. Comunque, a prescindere dalla sua esatta cronologia, il sopra menzionato documento risulterebbe essere l'ultimo atto in cui si vedono agire dei Fantolini. Dopo di esso, infatti, non abbiamo più notizie relative a ulteriori membri della famiglia, che, quindi, al più tardi nel terzo decennio del sec. XIV, pare già essere completamente estinta. Si sa inoltre che in quel medesimo periodo la maggior parte delle sue antiche proprietà territoriali, situate nel contado di Faenza, era stata acquistata dai Manfredi, ormai avviati a diventare gli incontrastati signori della città.
Fonti e Bibl.: Modena, Bibl. Estense, cod. Campori app. 63 (y.O.115), c. 111v; Faenza, Bibl. comunale, G.M. Valgimigli, Memorie storiche di Faenza (ms.), IV, pp. 193 ss.; Petri Cantinelli Chronicon (aa. 1228-1306), a cura di F. Torraca, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXVIII, pp. XXII s., XLVIII, 3, 26, 31, 41, 44, 64, 69; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, ibid., XVIII, 1, vol. II, p. 213; Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di F. Torraca, Roma-Napoli 1951, pp. 438 s.; G.C. Tonduzzi, Historia di Faenza..., Faenza 1675, pp. 52, 311; A. Metelli, Storia di Brisighella e della valle di Amone, I, Faenza 1869, p. 153; G. J. Ferrazzi, Manuale dantesco, V, Bassano 1877, pp. 398 s.; L. Balduzzi, Bagnacavallo e il governo dei Bolognesi, in Atti e mem. d. Deput. di storia patria per le prov. dell'Emilia, n. s., IV (1879), 1, p. 47; F. Torraca, Le rimembranze di Guido del Duca, in Nuova Antologia, 1° sett. 1893, rist. in Id., Studi danteschi, Napoli 1912, pp. 13, 23 ss.; C. Ricci, L'ultimo rifugio di Dante, Milano 1921, p. 122; C. Rivalta, Relazione del Comitato dantesco faentino, Faenza 1922, pp. 14 ss.; A. Campana, Il sepolcro di U. dei F., in Valdilamone, XIII (1933), 2, pp. 29 s.; G. Fasoli, La pace del 1279 tra i partiti bolognesi, in Arch. stor. ital., s. 7, XCI (1933), pp. 49 ss.; Ead., Guelfi e ghibellini in Romagna nel 1280-1281, ibid., s. 8, II (1936), pp. 157 ss.; A. Vasina, Cento anni di studi storici sulla Romagna 1861-1961. Bibliografia storica, Faenza 1963, II, n. 7544; Id., I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di Dante, Firenze 1965, pp. 145, 409, 430; E. Malato, F., U. dei, in Enciclopedia dantesca, II, Roma 1970, p. 794; J. Larner, Signorie di Romagna. La società romagnola e l'origine delle signorie, Bologna 1972, pp. 5, 49, 66, 91, 111; P. Zama, Romagna romantica. Donne, avventurieri e signori di Romagna, Bologna 1978, p. 51; M. Banzola, Albertino di Fantolino e suo figlio Ugolino signori di Zerfugnano e conti di Donigalia, in Manfrediana, Boll. della Bibl. comunale Faenza, XXVI (1992), pp. 3-10.