UGO
– Nacque forse nel primo ventennio del XII secolo, da una famiglia genovese di cui è arduo individuare il nome e il rango.
Il cognome Della Volta, sovente attribuitogli, è molto dubbio. Esso compare solo nel XVIII secolo avanzato a seguito della forzata lettura di un’iscrizione tuttora esistente ed è stato acriticamente recepito in seguito, sino a oggi (Polonio, 2016, pp. 273-275). Un Mariscotto nipote di Ugo è citato nel 1163 e nel 1183 sempre senza indicazione di casato, secondo il frequente uso del tempo (Il Cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano - M. Moresco, II, 1935, doc. MLXXIII; Il Registro della Curia arcivescovile di Genova, a cura di L.T. Belgrano, 1862, doc. XLI).
Ugo operò a lungo entro il clero genovese quale arcidiacono del capitolo cattedrale: forse era già presente in tale veste nel 1137, nel 1139 e nei primi anni Quaranta; con ogni verosimiglianza egli era l’uomo di tale nome e tale posizione, unico indicato con l’appellativo personale tra tutti i canonici in occasione di un’importante iniziativa voluta nel 1145 dall’arcivescovo Siro a favore del loro collegio (Liber privilegiorum..., a cura di D. Puncuh, 1962, docc. 46, 13; Il Registro della Curia arcivescovile di Genova, cit., pp. 30, 216 s.).
La carica lo rendeva primo collaboratore del presule e massima autorità entro quel gruppo di chierici che, mentre officiava giorno e notte nella maggior chiesa urbana e diocesana, costituiva per locali e forestieri il quotidiano volto ecclesiastico e rappresentativo della città (Polonio, 2002, pp. 128 s., 226).
Attento agli interessi anche economici del capitolo, conosceva e usava assieme ai confratelli gli strumenti finanziari già posti in atto dalla società locale se nel 1158 essi contrassero un prestito marittimo (Il Cartolare di Giovanni Scriba, cit., I, doc. DXVII). Il legame con il mondo laico è manifesto nell’incarico affidatogli nel 1154: assieme all’annalista Caffaro, uomo di governo e di cultura, venne inviato in rappresentanza di Genova a Roncaglia, al primo degli incontri con le realtà del Regno italico voluti da Federico Barbarossa, al momento re di Germania avviato a ricevere le corone d’Italia e imperiale. Il narratore dei fatti fu proprio Caffaro, in questo caso alquanto evasivo, chiaro solo nel sottolineare l’onorifica accoglienza e i colloqui «discretissimi» riservati dal sovrano ai due ambasciatori (Annali genovesi di Caffaro..., a cura di L.T. Belgrano - C. Imperiale di Sant’Angelo, 1890-1929, I, pp. 38 s.). Il racconto accende un lume non da poco sul prestigio dell’arcidiacono, sulla fiducia nelle sue doti e anche sulla sua conoscenza delle situazioni temporali.
Nel 1163, alla morte di Siro, sempre Caffaro dedicò ampio e per lui insolito spazio alla successione, la prima avvenuta con rapidità e armonia dopo annose e ricorrenti difficoltà (la stessa nomina del presule appena deceduto si era verificata in maniera anomala). L’annalista si soffermò sulla concordia tra ecclesiastici e laici, esponenti questi ultimi della cosa pubblica; descrisse la designazione di un gruppo di elettori tutti ecclesiastici, in formale osservanza della norma canonica che escludeva l’elemento laico da siffatte scelte; concluse con il racconto della rapida e unanime elezione di Ugo, l’acclamazione da parte del clero e del popolo, il suo insediamento (ibid., I, p. 75).
Ovunque, nelle diocesi italiane del XII secolo, l’arcidiacono era il primo candidato alla cattedra; ma nel caso genovese si aggiunse, a orientare la decisione, la lunga militanza sotto il magistero di Siro che garantiva esperienza e capacità. In effetti Ugo si trovò a operare in campo ecclesiastico e temporale con impostazioni affini a quelle già poste in atto dal dinamico predecessore, pur se situazioni inevitabilmente mutate presentarono difficoltà e richiesero adattamenti e nuove soluzioni.
Per disposizione ideale e per posizione personale anch’egli favorì il capitolo metropolitano. Sua cura fu assicurare regolarità, dignità e bellezza del servizio religioso «presso Dio e gli uomini» (Liber privilegiorum..., cit., doc. 17). Nel 1178 approvò le norme statutarie in base alle quali il numero dei componenti il collegio era fissato a diciotto. Vietò espressamente il cumulo delle cariche. Rilevò la povertà delle chiese diocesane – cattedrale inclusa – in fatto di gettiti patrimoniali e quindi l’importanza determinante delle offerte dei fedeli: ciò spiega le diverse cessioni di diritti vescovili a favore della cattedrale. Ma tutto ciò avveniva mentre il capitolo consolidava identità e rilievo di fronte alla città, sino a porsi come elemento in più ambiti concorrenziale con la cattedra, alle cui prerogative il presule era ugualmente molto attento.
Ugo alludeva a S. Lorenzo come alla «nostra chiesa», ma a volte era indotto a indicarla come la «vostra chiesa»: solo il suo desiderio di concordia, esplicitamente dichiarato, sfociava in concessioni di diritti economici (decime, oblazioni, gettiti da chiese minori) e di funzioni ecclesiastiche, peraltro non risolutive (Liber privilegiorum..., cit., docc. 17, 18, 19, 102; Puncuh, 1962, pp. 25-28; Polonio, 2002, pp. 130-133).
Nel settore della vita regolare – canonicale e monastica – non restava molto spazio dopo le innovazioni dei decenni precedenti, sovente cercate in apporti esterni. Tuttavia anche in tale ambito Ugo ebbe modo di inserire un contributo: nel 1184 affidò il monastero di Borzone, sito nell’entroterra di Chiavari nella media valle del torrente Sturla, a una congregazione benedettina che aveva il riferimento centrale nell’abbazia della Chaise-Dieu, con casa madre in Alvernia (Liber privilegiorum..., cit., doc. 81).
La tutela dei diritti ecclesiastici coinvolse il mondo laico su più versanti. Così il marchese Obizzo Malaspina nel 1168 giurò fedeltà alla cattedra, nella persona del presule del momento, «quale buon vassallo al suo signore»: legame di dubbia tenuta dato che proprio i Malaspina coagularono sovente l’opposizione dei signori rurali contro Genova, che aspirava al dominio territoriale; e ben poco controllabili risultavano analoghi impegni assunti da chi si era stabilito di là dal mare (I Libri iurium, I, 1, a cura di A. Rovere, 1992, doc. 218; I, 2, a cura di D. Puncuh, 1996, doc. 315).
Più concreta ed efficace fu la cura dedicata da Ugo alla situazione economica delle chiese, che pure coinvolgeva i laici (concessionari di decime e conduttori dei suoli). Di lui restano centottantadue atti: pochissimi per gli anni dell’arcidiaconato, la grandissima parte estesi lungo tutto l’arco dell’episcopato. Tra l’altro vi si rilevano la cura per il buon investimento costituito dai mulini; un marcato interesse per la produttività della terra con l’estensione delle parti a coltura; una drastica riduzione nella durata dei contratti agricoli – a differenza di precedenti concessioni a lungo termine, dannose sino alla perdita del bene –, resa possibile anche da nuovi acquisti. Non mancarono difficoltà nella riscossione di decime, in particolare per quelle tolte sul commercio marittimo. In caso di contrasti il supporto giudiziario del Comune fu meno frequente rispetto al passato: difficile dire se si trattasse di necessità ridotte della cattedra o più probabilmente di crescente disinteresse per essa dal lato civile (quarantotto documenti pubblicati in Il Registro della Curia arcivescovile di Genova, cit., ad ind., e centotrentaquattro in Il secondo registro della curia arcivescovile di Genova, a cura di L. Beretta - L.T. Belgrano, 1887, ad ind.; Polonio, 2002, pp. 458-460). Da parte sua Ugo non mancò di emettere sentenza a vantaggio della cosa pubblica in materia di prestiti a interesse (I Libri iurium, cit., I, 1, doc. 244).
Per quanto estraneo alle leve di governo della città, come da tempo i suoi predecessori, Ugo fu più volte coinvolto in vicende dai risvolti politici.
Il forte e rapido sviluppo dell’economia e della società genovese aveva prodotto tali trasformazioni da rendere inadeguate le forme di governo, peraltro in evoluzione, e nello stesso tempo da stimolare aspirazioni e rivalità tra le maggiori famiglie, mentre l’espansione sul mare incrementava motivi e ambiti di conflitto. Nel 1164 si giunse a scontri con morti e feriti di alto rango, compreso l’assassinio di un console; nelle vicende ebbero parte personaggi di più bassa condizione sociale e le spaccature ebbero riflessi persino nelle campagne, allineate con gli eventi urbani. Il coinvolgimento si allargò in quella che l’annalista definì «guerra civile», mentre l’aria si faceva «nuvolosa» (Annali genovesi di Caffaro..., cit., I, pp. 168, 201). Le grandi famiglie agivano con il sostegno di consorti, alleati e gruppi armati, quasi milizie mercenarie private. L’unica autorità di qualche efficacia restava quella ecclesiastica, in quanto rappresentante di una religiosità nonostante tutto viva, terreno d’intesa condiviso da tutti (Polonio, 2003, pp. 158-161; Dartmann, 2012, passim).
In situazioni drammatiche per la cosa pubblica, l’arcivescovo riuscì a ripristinare la legalità una prima volta nel 1164 e poi, nel 1169, a fermare imminenti duelli mortali tra esponenti di clan avversi e a indurre i nemici a un giuramento di pace: ebbe successo organizzando, su iniziativa dei consoli e in accordo con loro, una memorabile riunione del parlamento, convocato con le campane all’improvviso e all’alba. Di fronte alla singolarità della chiamata nessuno rifiutò di intervenire; arcivescovo e consoli pronunciarono parole di pace mentre sfilava in processione il clero in paramenti solenni recando le reliquie di s. Giovanni Battista, portate in città nel 1099 e dotate di forte richiamo alle antiche glorie comuni della crociata e alla pacificazione interna. Ugo tentò anche di sedare i contrasti con Pisa a proposito della prevalenza in Sardegna, in conformità alle indicazioni del papa (Regesta pontificum romanorum, a cura di P.F. Kehr, 1914, p. 329, nr. 32; Annali genovesi di Caffaro..., cit., I, pp. 168, 210 s., 217 s.; Polonio, 2000, pp. 37 s., 41).
Del resto, lo stesso Comune cittadino aveva interesse per i contraccolpi sul piano temporale delle funzioni ecclesiastiche.
Quando aveva istituito l’arcidiocesi (1133), papa Innocenzo II aveva esteso la giurisdizione diretta del presule al monastero di S. Venerio del Tino, ponendo la presenza genovese proprio di fronte a Portovenere, base avanzata di Genova rispetto al territorio ligure orientale e in direzione di Pisa; nel 1162 Alessandro III aggiunse le chiese di Portovenere e il monastero dei Ss. Maria e Martino della Gallinaria, tolto ad Albenga e ben piazzato di fronte al riottoso Ponente. Inoltre sin dal 1133 al nuovo metropolita erano soggette diocesi tutte esterne al territorio ligure: tre erano in Corsica, tante quante quelle sottoposte all’arcivescovo di Pisa; sulla terraferma si trattava di Bobbio e di Brugnato. Infine, la carica di legato «transmarino» attribuita da Alessandro III a Siro, concessa non alla persona bensì all’istituzione, si apriva su orizzonti lontani e fomentava speranze.
Durante l’episcopato di Ugo l’autorità metropolitica sulle tre diocesi di Corsica, unita alle presenze monastiche liguri collocate nei vescovadi isolani sottoposti a Pisa, esercitò in effetti un’influenza favorevole agli ambienti genovesi, e analoga constatazione vale per Brugnato e Bobbio (I Libri iurium, cit., I, 3, a cura di D. Puncuh, 1998, nr. 588; Guglielmotti, 2015, pp. 228-237; Polonio, 2015, pp. 214-219). Poco efficace si dimostrò invece la carica di «legato transmarino»; ma ciò non scoraggiò i tentativi del Comune – peraltro falliti – di conseguire per il proprio presule primazia e legazia apostolica in Sardegna e addirittura l’estensione della sua autorità arcivescovile sul vescovado di Nizza (I Libri iurium, cit., I, 2, docc. 362, 384).
Nel 1179 Ugo partecipò al III Concilio lateranense. Si recò a Roma su una galea attrezzata con speciale decoro, accompagnato dalle dignità del capitolo cattedrale e da laici di rango; fu ospitato assieme agli accompagnatori, con ogni eleganza e reverenza, da Cencio, scriniario pontificio e buon amico della città ligure. Nella circostanza ottenne per la propria chiesa conferma dei privilegi e il riconoscimento pubblico del culto, ancora locale, per le ceneri del Battista, a vantaggio generale per devozione, notorietà, pellegrinaggi, oblazioni; il capitolo spuntò l’uso della mitria per il magiscola; in cambio, Cencio poco dopo ebbe dai consoli privilegi commerciali.
I genovesi volsero la prua verso casa «con gioia totale» (Annali genovesi di Caffaro..., cit., II, pp. 12 s.; Iacopo da Varagine e la sua Cronaca, a cura di G. Monleone, 1941, II, p. 355; I Libri iurium, cit., I, 1, doc. 246).
Il viaggio a Roma fu un successo collettivo, momento di incontro delle parti ecclesiastica e civile, tra prestigio personale del presule e spirito comunitario – nonché utilitaristico – dei cittadini: frutto tanto felice quanto precario date le crescenti crepe già individuabili nei rapporti tra le parti, persino entro quella ecclesiastica (cattedra-capitolo).
Clemente III da poco salito al soglio confermò a Ugo privilegi e diritti della sua arcidiocesi e il 27 maggio 1188 gli ordinò di disporre contributi da parte del clero e di selezionare sul territorio chierici adatti per provvedere alla raccolta di denaro, tutto in vista della terza crociata (Regesta pontificum romanorum, cit., p. 276, n. 46; Acta pontificum romanorum inedita, a cura di J. Pflugk-Harttung, 1881-1886, III, doc. 417). Ma il presule non fu in grado di agire: il mese successivo morì e fu tumulato presso l’altare di S. Nicola (certo in cattedrale) «secondo l’uso vescovile solennemente con inni e canti» (Annali genovesi di Caffaro..., cit., II, pp. 26 s.). Iacopo da Varazze lo definì uomo «di grande sapienza» (Iacopo da Varagine e la sua Cronaca, cit., II, p. 345), mentre l’annalista Ottobuono Scriba ne dava tale giudizio da essere certo che avesse raggiunto nel gaudio eterno il beato Siro: forse il veneratissimo protovescovo, forse l’omonimo immediato predecessore.
Il manoscritto parigino degli Annali genovesi (Bibliothèque nationale de France, lat. 10136) all’altezza del passo in cui è narrato l’episodio del 1169, quando Ugo fermò i duelli, raffigura sul margine la piccola figura a inchiostro di una testa coronata dalla mitria (disegnata secondo il modello usato a quel tempo), con la definizione Ugo archiepiscopus Ianue (Annali genovesi di Caffaro..., cit., I, p. 217). Per ciò che può valere, il volto presenta un uomo di mezza età di bell’aspetto e tratti regolari, con sopracciglia cespugliose, corta barba, capelli mossi e ben sistemati: l’effetto è di ordine, franchezza (gli occhi guardano diritto), decisa autorevolezza.
Fonti e Bibl: Il Registro della Curia arcivescovile di Genova, a cura di L.T. Belgrano, in Atti della Società ligure di storia patria, II (1862), 2; Acta pontificum romanorum inedita, a cura di J. Pflugk-Harttung, Tübingen-Stuttgart 1881-1886; Il secondo registro della Curia arcivescovile di Genova..., a cura di L. Beretta - L.T. Belgrano, in Atti della Società ligure di storia patria, XVIII (1887); Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, I-V, a cura di L.T. Belgrano - C. Imperiale di Sant’Angelo, Roma 1890-1929; Regesta pontificum romanorum. Italia pontificia, VI, 2, a cura di P.F. Kehr, Berlin 1914; Il Cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano - M. Moresco, Torino 1935; Iacopo da Varagine e la sua Cronaca di Genova dalle origini al MCCXCVII, a cura di G. Monleone, Roma 1941; Liber privilegiorum Ecclesiae Ianuensis, a cura di D. Puncuh, Genova 1962; I Libri iurium della repubblica di Genova, I, 1, a cura di A. Rovere, Genova 1992, I, 2, a cura di D. Puncuh, 1996, I, 3, a cura di D. Puncuh, 1998.
D. Puncuh, I più antichi statuti del capitolo di San Lorenzo di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., II (1962), 2, pp. 25-28; V. Polonio, L’arrivo delle ceneri del Precursore e il culto del Santo a Genova e nel Genovesato in età medioevale, in San Giovanni Battista nella vita sociale e religiosa a Genova e in Liguria tra medioevo ed età contemporanea. Atti del Convegno..., 1999, a cura di C. Paolocci, Genova 2000, pp. 37 s., 41; Ead., Istituzioni ecclesiastiche della Liguria medievale, Roma 2002, ad ind.; Ead., Da provincia a signora del mare. Secoli VI-XIII, in Storia di Genova. Mediterraneo Europa Atlantico, a cura di D. Puncuh, Genova 2003, pp. 158-161; C. Dartmann, Politische Interaktion in der italienischen Stadtkommune (11.-14. Jahrhundert), Ostfildern 2012, passim; P. Guglielmotti, Bobbio e il suo episcopato tra Genova e Piacenza: un sistema di relazioni nei secoli XII e XIII, in La diocesi di Bobbio. Formazione e sviluppi di un’istituzione millenaria, a cura di E. Destefanis - P. Guglielmotti, Firenze 2015, pp. 228-237; V. Polonio, «Bobiensis Ecclesia»: un vescovado peculiare tra XI e XII secolo, ibid., pp. 214-219; Ead., Un santo e due arcivescovi della Genova medievale. Cognomi immaginari e conservatorismo storiografico, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., LVI (2016), Omaggio a Fausto Amalberti, pp. 273-275.