SANSEVERINO, Ugo
– Figlio secondogenito del conte di Tricarico Giacomo Sanseverino e di Margherita di Chiaromonte, nacque verosimilmente negli anni Trenta del XIV secolo.
Prima del 1362 sposò Costanza di Sangineto, esponente di un’importante famiglia baronale meridionale; infatti il 14 settembre di quell’anno la donna ratificò la convenzione stipulata tra Sanseverino e il nipote Filippo di Sangineto, conte di Altomonte, in merito al pagamento della dote per la cui riscossione nominò procuratore il marito.
Nel corso degli anni Settanta Sanseverino consolidò la propria posizione presso la corte della regina Giovanna I d’Angiò, dove divenne uno tra i membri più influenti. Nel frattempo, sullo scenario lucano si oppose, con il resto della famiglia, a Francesco Del Balzo duca d’Andria, che aveva occupato tra la fine del 1372 e l’inizio del 1373 alcuni beni dei Sanseverino di Tricarico.
Nonostante gli iniziali tentativi di composizione del papa e della regina, il contenzioso mutò in aperta ribellione di Del Balzo e si concluse con la sua condanna per tradimento e la relativa confisca dei beni. Sanseverino fece poi anche parte della legazione regia che nel 1375 raggiunse la corte pontificia per illustrare a Gregorio XI i provvedimenti assunti contro Del Balzo.
Con l’acuirsi dello scisma d’Occidente e di fronte ai prodromi di una complessa successione al trono napoletano, Sanseverino rimase fedele a Giovanna, che lo impiegò in delicate missioni.
Nella tarda primavera del 1379, dopo un’insurrezione a Napoli in favore di Urbano VI, fu infatti tra gli ambasciatori inviati dalla regina per rassicurare il pontefice romano dell’appoggio, rivelatosi temporaneo, della corte angioina contro il papa avignonese Clemente VII. Il 3 settembre 1380, a seguito di «un tremendo e sanguinoso tumulto tra i nobili delle piazze» (G.A. Summonte, Dell’historia della città..., II, 1675, p. 457) napoletane, Sanseverino fu incaricato, come protonotario e logoteta del Regno, di ricevere l’omaggio in nome di Giovanna dai rappresentanti dei seggi, a garanzia della tregua tra le parti fino al ritorno in città di Ottone di Brunswick, quarto marito della regina. Nel luglio 1381 riparò con la sovrana in Castelnuovo; qui sostenne, per più di un mese, l’assedio delle truppe di Carlo III di Durazzo, che era stato incoronato re di Napoli (2 giugno) da Urbano VI. Su ordine di Giovanna, il 20 agosto trattò con l’assediante giungendo a un accordo di resa per i rifugiati, se entro 4 giorni non fosse giunto Brunswick in loro soccorso. La regina, dopo la sconfitta del marito il 25 agosto, inviò il giorno successivo di nuovo Sanseverino a Carlo di Durazzo con la richiesta di un incontro per esaminare i termini della capitolazione.
Nella prima fase dell’affermazione del regime durazzesco Sanseverino scontò la fedeltà alla sovrana angioina, tenuta in rigorosa prigionia (prima nel Castel dell’Ovo, poi a Nocera e, infine, a Muro Lucano), con un significativo ridimensionamento del suo peso politico.
Ad esempio, nel Parlamento generale, convocato ai primi di novembre del 1381, parlò a nome del re Carlo il nuovo logoteta Giovanni Orsini conte di Manoppello a cui rispose, per i baroni, Tommaso Sanseverino, fratello di Ugo.
Il 14 ottobre 1382 Ugo Sanseverino, insieme ad altri baroni regnicoli, raggiunse a Maddaloni (Caserta) Luigi d’Angiò, che – designato due anni prima erede al trono da Giovanna (morta nel luglio del 1382) – era giunto nel Regno (giugno 1382) per rivendicare i propri diritti, e lì si unì al suo esercito. Durante la campagna militare nel Sud Italia affiancò con costanza l’Angioino, dal quale fu ampiamente beneficiato.
Era a Taranto il 23 settembre 1383 quando Luigi, minacciato dalla pestilenza, testò ed era a Bari il 23 luglio 1384 quando la città, pacificamente arresasi all’Angioino, ebbe riconosciuti diversi capitoli. Sanseverino, che aveva già ottenuto da Luigi la conferma della città di Potenza «cum titulo comitatus» (Archivio di Stato di Napoli, Archivio Sanseverino di Bisignano, b. 314) donatagli dalla duchessa Giovanna di Durazzo, ricevette l’8 giugno 1384, tra l’altro, la possibilità di dividere liberamente i propri beni feudali.
Per l’aggravarsi del tumor gutturis che di lì a qualche giorno avrebbe ucciso Luigi, il 15 settembre 1384 Ugo Sanseverino rinnovò, nella chiesa di S. Nicola a Bari, la propria fedeltà all’Angioino e ai suoi eredi con altri sedici baroni regnicoli, che lo riconobbero guida provvisoria del partito insieme a Luigi d’Enghien, conte di Conversano. Fu inoltre tra i tredici nobili destinati, secondo le ultime disposizioni dello stesso Luigi, ad amministrare il Regno fino all’arrivo di Enguerrand de Coucy, che in luglio aveva valicato le Alpi con le sue truppe ed era stato nominato luogotenente generale.
Nel dicembre del 1384 Ugo fu a capo della legazione che raggiunse la Francia per trasportare ad Angers il cuore di Luigi e per ottenere fondi in vista del proseguimento della lotta a sostegno delle rivendicazioni angioine. Nonostante la sua abilità oratoria, la missione risultò improduttiva sia per il progressivo esaurimento delle risorse finanziarie dell’antipapa Clemente VII sia per l’opposizione della corte di Parigi. Tuttavia, durante la lunga permanenza in Francia (dicembre 1384-giugno 1388), la sua influenza e il suo potere alla corte angioina crebbero costantemente.
Il 17 settembre 1387 Maria di Blois, madre e reggente di Luigi II, gli donò alcuni feudi di Ottone di Brunswick, qualora costui fosse morto, e nell’attesa una provvisione di 12.000 ducati annui per sé e i suoi eredi. In provvedimenti successivi la reggente aggiunse alcuni feudi in Basilicata, la conferma di tutti i privilegi, il merum et mixtum imperium a vita su tutte le sue terre e la facoltà di disporre liberamente dei beni.
Il 23 giugno 1388 Sanseverino chiese licenza di poter tornare nel Regno e il 18 ottobre sbarcò a Napoli insieme al conte di Caserta Francesco Della Ratta, ad altri nobili napoletani e, soprattutto, al francese Louis de Montjoie, nipote di Clemente VII e nuovo vicario di Luigi II in sostituzione di Tommaso Sanseverino, che si ritirò nelle sue terre, e di Ottone di Brunswick.
Il 10 ottobre 1390, un paio d’anni più tardi, giurò fedeltà a Luigi II; costui, incoronato re di Sicilia ad Avignone (1° novembre 1389), era nel frattempo giunto a Napoli (agosto 1390). Nel Parlamento convocato qualche giorno dopo nella chiesa di S. Chiara (28 ottobre), Sanseverino, dopo aver lodato la fedeltà dei baroni lì convenuti, promise al re, in nome degli stessi nobili, mille lance per tutta la durata della guerra fino alla completa distruzione dei nemici degli Angiò. Accanto a un consiglio di nobili francesi, Luigi ne creò immediatamente uno composto da regnicoli, tra i cui membri v’erano anche Ugo e Tommaso che, riconciliatosi con il sovrano, ebbe l’ufficio di gran camerario.
La politica accomodante dell’Angioino nei confronti del baronaggio regnicolo, e in particolare dei Sanseverino, si tradusse sul piano bellico, almeno per i primi mesi del 1391, in successi militari a Napoli e nelle diverse province del Regno. Diversamente, nel marzo del 1392 il partito angioino, che sembrava essere coeso, subì una profonda frattura per i forti contrasti sorti tra Montjoie e gli stessi Sanseverino.
Ad esempio, un nipote di Ugo, Venceslao duca di Venosa e viceré di Calabria, si dimise dalla sua carica e abbandonò, seguito da altri baroni, la capitale.
Ugo partecipò alla battaglia presso Ascoli Satriano (24 aprile 1392) tra i Durazzeschi, che non avevano saputo trarre vantaggio dalla situazione di dissenso maturata all’interno al partito, e il clan dei Sanseverino: la vittoria di questi ultimi indusse Montjoie a ricomporre prontamente il dissidio. Ugo Sanseverino giocò un ruolo importante anche nella fase successiva quando, dopo la battaglia di Ascoli, la famiglia di fatto prese in mano la strategia a sostegno dell’Angioino e assunse la direzione delle operazioni. Fu lui che, a nome dell’intera casata, illustrò (settembre 1395) a Giacomo Marzano duca di Sessa –- uno tra i più potenti sostenitori di Ladislao – il progetto, poi non realizzato, del matrimonio tra Luigi d’Angiò e la figlia Maria Marzano, ottenendo l’adesione temporanea del duca allo schieramento filoangioino.
Ciononostante, nel biennio 1398-99 la posizione di Luigi II in Italia meridionale divenne progressivamente insostenibile. I Sanseverino – dai quali dipendevano economicamente le sorti del re – tentarono ancora di concludere un accordo tra l’Angioino e i Del Balzo di Taranto, ma ormai le sorti del partito volgevano al peggio e i tempi erano infatti maturi perché la casata abbandonasse Luigi, destinato alla sconfitta, e si allineasse con Ladislao, prodigo in questa fase di benefici e indulti. Il 20 settembre 1399 il re durazzesco ordinò ai suoi officiali di osservare e di far osservare tutti i privilegi goduti da Ugo Sanseverino.
Sanseverino morì nel 1401; il 27 dicembre di quell’anno Ladislao riconobbe in effetti al figlio Giacomo (morto post 1421) tutti i privilegi e le prerogative del padre, che aveva avuto con sicurezza anche almeno una figlia, Ceccarella, sposa di Carlo Ruffo di Montalto.
Ugo Sanseverino ebbe significativi rapporti con diversi intellettuali. Nel 1370 incoraggiò il ritorno a Napoli di Giovanni Boccaccio, che accolse calorosamente e dal quale ricevette il manoscritto della Genealogia deorum gentilium; mantenne scambi epistolari con Francesco Petrarca (Fam. XXIII 17; Sen. XI 9); fu celebrato in un’epistola metrica dal napoletano Giovanni Moccia per le sue gesta e la sua potente oratoria (significativamente designato come alter Cicero) dimostrata soprattutto nelle missioni in Francia; fu, forse, uno dei due protagonisti del dialogo De contemptu mortis (post 1386) del poeta francese Jean Muret.
Il noto giudizio di Benedetto Croce (1925, pp. 78 s., 97 s.) sui «generosi e turbolenti baroni meridionali» e sull’inesistenza di idee politiche nelle grandi case feudali, certamente autorevole e a tratti forse anche condivisibile, si fonda su una semplificazione che pone in secondo piano gli elementi di costante fedeltà a una causa, secondo i quali si possono interpretare i comportamenti della famiglia aristocratica (Galasso, 1965) e individuare i criteri di funzionamento dei gruppi familiari. L’esperienza biografica di Ugo Sanseverino, figura di primo piano nella storia del Mezzogiorno della seconda metà del XIV secolo, esprime dunque al meglio la complessità del ceto baronale meridionale.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Sanseverino di Bisignano, perg. 21, 24, 40, 47, 50, 52 (I num.); perg. 2 (II num.); b. 314; G.A. Summonte, Dell’historia della città, e Regno di Napoli, II, Napoli 1675, p. 457; Journal de Jean Le Fèvre, évêque de Chartres, publié par H. Moranvillé, Paris 1887, I, pp. 78, 80, 87, 110, 140, 144, 146, 297, 314, 363, 415, 514, 519, 521, 526; Chronicon Siculum incerti authoris ab anno 340 ad annum 1396, a cura di G. De Blasiis, Napoli 1887, pp. 27 s., 38-40, 48, 68-70, 79, 97-99, 104 s., 122; M. Camera, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, regina di Napoli, e Carlo III di Durazzo, Salerno 1889, pp. 272-275, 278-280, 292-299, 306 s., 316 s.; I Diurnali del duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, in RIS2, XXI, 5, Bologna 1958, pp. 27-29, 31, 33, 45 s., 52, 58, 61, 68.
B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari 1925, pp. 78 s., 97 s.; A. Cutolo, Re Ladislao d’Angiò-Durazzo, Milano 1936, ad ind.; A. Coville, La vie intellectuelle dans les domaines d’Anjou-Provence de 1380 à 1435, Paris 1941, pp. 360-369; G. Galasso, Momenti e problemi di storia napoletana nell’età di Carlo V, in Id., Mezzogiorno medievale e moderno, Torino 1965, pp. 137-197; E. Ornato, L’umanista Jean Muret ed il suo dialogo “De contemptu mortis”, in Miscellanea di studi e ricerche sul Quattrocento francese, a cura di F. Simone, Torino 1967, pp. 243-353; A. Pellettieri, U. Sanseverino, un feudatario della Basilicata nella lotta tra angioini e durazzeschi, in Rassegna storica lucana, XIV (1991), pp. 61-78; S. Pollastri, Une famille de l’aristocratie napolitaine sous les souverains angevins: les Sanseverino (1270-1420), in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen-Âge, CIII (1991), 1, pp. 237-260; D. Cecchetti, Un umanista tra Italia e Francia. La poetica di Giovanni Moccia, in Studi di storia della civiltà letteraria francese: mélanges offerts à Lionello Sozzi, Paris 1996, pp. 55-128.