PROCACCI, Ugo
– Di famiglia piccolo-borghese, nacque a Firenze il 31 marzo 1905, secondogenito di Virgilio, ispettore delle Ferrovie, e di Amelia Faini, casalinga. Dopo aver frequentato il liceo classico, nel 1923 s’iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Firenze, frequentando il corso di storia tenuto da Gaetano Salvemini. L’incontro segnò anche il pensiero politico di Procacci, che già per tangenze familiari era vicino ad ambiti antifascisti e in particolare a Carlo e Nello Rosselli. Nel 1924 aderì infatti al Circolo di cultura dei fratelli Rosselli, fondato su ispirazione dello stesso Salvemini, e in quello stesso anno, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, seguendo l’esempio di Salvemini e Carlo Rosselli, s’iscrisse al Partito socialista unitario. Nel gennaio 1925, da poco entrato all'Università, fu picchiato dai fascisti durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico e in seguito a questo episodio, insieme ad altri appartenenti al circolo culturale appena soppresso, fu tra i fondatori, nel marzo successivo, di Non mollare, primo giornale clandestino antifascista, nato come reazione alla soppressione della libertà di stampa da parte di Benito Mussolini.
Anche negli studi, il periodo fascista segnò fortemente Procacci e le sue scelte. Quando nel 1925 Salvemini fu allontanato dall’università, la cattedra di storia rimase momentaneamente vacante e Procacci decise quindi di applicare la sua visione fortemente storica e positivista alla storia dell’arte seguendo le lezioni di Giuseppe Fiocco, con il quale si laureò nel 1927 discutendo una tesi su Spinello Aretino. Di Fiocco, Procacci fu assistente fino al 1929, entrando in contatto con Matteo Marangoni e Mario Salmi, assistente anche lui e poi successore di Fiocco nella stessa cattedra di Firenze.
Nei determinanti anni della formazione Procacci, dall’incontro con Salvemini, aveva maturato, oltre a una coscienza etica e politica, un profondo senso della storia che avrebbe dominato tutta la sua carriera, accademica prima e di funzionario statale poi. Proprio in ambito storico trovò un secondo maestro e un vero punto di riferimento in Giovanni Poggi, direttore della Rivista d’arte nel 1928, quando Procacci cominciò a lavorarvi come segretario di redazione, ruolo che mantenne per tutta la seconda serie del periodico (1929-40), partecipando anche come autore di numerosi articoli basati su uno stretto connubio fra storia e arte, con un particolare amore verso la ricerca d’archivio.
Nel 1931 si sposò con Lucia Bianchi; dal matrimonio nacquero Paolo, nel 1932, e Giovanna, nel 1938.
Poggi era soprintendente all’Arte medioevale e moderna della Toscana, e Procacci, subito dopo la laurea, cominciò presso di lui la sua carriera di funzionario di Soprintendenza, prima come ispettore volontario, da esterno, e poi, dopo aver superato il concorso indetto nel 1933 dal ministero dell’Educazione nazionale per ispettore alle Antichità e alle Belle arti, come ispettore straordinario e poi di ruolo.
L’ingresso nell’amministrazione comportò per Procacci, come per ogni altro funzionario statale, l’obbligo, sancito proprio nel 1933, di prendere la tessera del Partito nazionale fascista, e quindi negli anni successivi Procacci, costretto da necessità di vita, ma anche dal profondo senso della dedizione al suo lavoro di tutela delle opere d’arte, pur continuando a nutrire gli stessi, immutati, ideali politici, fu costretto a professarli in clandestinità. Aderì quindi a Giustizia e libertà, il movimento antifascista fondato da Salvemini e altri intellettuali.
All’interno della soprintendenza, Poggi indirizzò da subito l’attività di Procacci verso la riscoperta delle ricchezze del patrimonio artistico disperso su un territorio ampio e, allora, spesso di difficile raggiungibilità. La passione con cui Procacci abbracciò questo tipo di ricerca, a lui già congeniale, è dimostrata dai suoi primi interventi nella Rivista d’arte, dedicati a Opere d’arte ignote o poco note (1929) e a Opere sconosciute d’arte toscana (1932): una serie che si reiterò nel tempo, per tutto il decennio e oltre, dopo la forzata interruzione della guerra.
A latere di queste riscoperte, e dapprima come attività secondaria, ma poi presto emerso come interesse principale di Procacci, fu il restauro, cui Poggi indirizzò il giovanissimo ispettore, con lo scopo di far nascere una nuova idea di esso, svincolandolo dall’empirismo e dalla pratica artigianale, e rifondandolo su basi scientifiche. Nacque così, nel 1932, il Gabinetto Restauri della soprintendenza, alloggiato al pianterreno degli Uffizi, nei locali cosiddetti della Vecchia posta, che andò ad aggiornare e sostituire quello di stampo più tradizionale che era stato creato da Corrado Ricci e dedicato ai soli Uffizi, come raccontato da Procacci stesso (Restauri ai dipinti della Toscana, in Bollettino d’arte, s. 3, XXIX (1935-1936), pp. 364-383).
L’istituzione venne ufficializzata solo nel 1934, verosimilmente anche perché Procacci in quell’anno diventò ispettore di ruolo; ma delle attività ci sono consistenti tracce amministrative fin dal 1932, e il 1932 è ricordato come anno di effettiva fondazione da Procacci stesso. La data viene così a configurare il Gabinetto Restauri di Firenze come il primo fra i laboratori moderni in Italia (certo il primo fra quelli che hanno avuto continuità di durata).
Le prime e principali attività di Procacci nel suo primo decennio all’interno della soprintendenza di Firenze, sia nel campo della scoperta di opere inedite del territorio, sia in quello del restauro, furono alla base delle due grandi mostre fiorentine degli anni Trenta, quella del «Tesoro di Firenze sacra» (1933), nata nell’ambito delle celebrazioni dell’anno santo straordinario di Pio XI, e la «Mostra giottesca» (1937). Il giovane Procacci fece parte del comitato scientifico della prima mostra e fu segretario della seconda; in entrambe si può riconoscere un suo intervento diretto nella scelta delle opere, selezionate con particolare cura nei confronti di ambiti che sempre sarebbero rientrati tra i suoi maggiori interessi e, spesso, sottoposte a interventi di restauro per l’occasione.
Furono queste le circostanze, ad esempio, per il restauro della Croce di Ognissanti; e per un intervento di manutenzione alle cappelle Bardi e Peruzzi di S. Croce, cui seguì un’importante pubblicazione nella Rivista d’Arte (Relazione dei lavori eseguiti agli affreschi di Giotto nelle cappelle Bardi e Peruzzi in S. Croce, XIX (1937), pp. 377-389). Lo studio lasciò in Procacci il desiderio di eseguire un vero intervento di restauro, per rimuovere le ridipinture di metà Ottocento, alla riscoperta del Giotto autentico: intervento che poté far effettuare solo dopo la guerra, sulla fine degli anni Cinquanta, a opera di Leonetto Tintori.
La creazione di una sovrintendenza coesa, solida e ricca di risorse, oltre alla tempra morale che contraddistingueva Procacci, Poggi e i loro collaboratori, permise di affrontare il gravoso impegno di salvaguardia del patrimonio artistico fiorentino durante la seconda guerra mondiale. Negli anni fra il 1941 e il 1943, il Gabinetto Restauri e Procacci in prima persona ebbero a Firenze un ruolo determinante negli interventi protettivi in loco per i beni immobili, nell’individuazione di rifugi decentrati per il ricovero delle opere mobili e nel loro spostamento. In ambito politico, Procacci era entrato clandestinamente nel Partito d’azione, a seguito dello scioglimento di Giustizia e libertà, e ospitò spesso riunioni segrete nei suoi uffici presso gli Uffizi. Interiormente diviso, al momento dell’armistizio del 1943, tra l’uscire dalla clandestinità politica e unirsi ai partigiani o continuare il suo lavoro per la protezione delle opere d’arte, scelse di dedicarsi totalmente a questo suo compito primario, entrando comunque nel Comitato toscano di liberazione nazionale. Fondamentale fu il suo ruolo anche per la difesa della popolazione civile durante il difficile passaggio del fronte da Firenze (luglio-agosto 1944), ad esempio nell’organizzazione dell’accoglienza degli sfollati di Oltrarno all’interno di palazzo Pitti. In seguito alla liberazione di Firenze, le sue competenze specifiche e la conoscenza del territorio furono indispensabili al recupero delle opere d’arte trafugate da parte delle forze alleate: molto stretti furono da allora i suoi rapporti con il tenente Frederick Hartt, a capo della sezione italiana del Monuments, fine arts, and archives program dell’esercito statunitense.
A guerra finita, Procacci diede un’ulteriore dimostrazione di capacità organizzativa e propositiva organizzando già nel 1946 e 1947 due mostre di opere restaurate dopo il loro periodo di occultamento o dopo i danni degli eventi bellici.
Alcuni punti del metodo di lavoro di Procacci sono degni di particolare considerazione: la capacità di mettere in relazione i dati materiali dei manufatti artistici con il contesto storico, il riferimento alle fonti storiche e alla trattatistica d’arte, la continua ricerca che inquadrava artisti e opere, attraverso capillari verifiche d’archivio, nel loro quadro sociale, economico e storico di riferimento. Importante fu anche percepire come dovere morale il rendere conto al pubblico dell’attività svolta nel campo del restauro, dell’impiego di tempo e risorse, della scientificità di operazioni altrimenti troppo facilmente ammantate da un’aura quasi magica. Un’attenzione, la sua, che nasceva dalle molte critiche riservate all’attività di ricerca documentaria e di restauro da una ristretta cerchia di intellettuali, maldisposti verso metodi oggettivi e scientifici che erano percepiti come minacciosi nei confronti della loro impostazione idealistica e attribuzionistica.
Nel dopoguerra si ampliarono le dimostrazioni della considerazione di Procacci all’estero, testimoniata da alcuni articoli usciti in sede anglosassone e francese e dalle recensioni in riviste internazionali di sue pubblicazioni. Fra queste, particolarmente significativo il volume Sinopie e affreschi (Milano 1960), nato dagli innumerevoli lavori di restauro, descialbo, recupero e strappo delle pitture murali.
Procacci proseguì anche la sua carriera interna all’amministrazione: dal 1958 al 1964 fu soprintendente ai monumenti di Firenze, Arezzo e Pistoia, e dal 1962 soprintendente alle gallerie fiorentine, dandosi così la circostanza che per due anni, dal 1962 al 1964, entrambe le massime cariche della tutela toscana furono riunite nella sua persona.
La seconda drammatica emergenza per il patrimonio artistico che Procacci si trovò a dover affrontare fu l’alluvione di Firenze del 1966. La soprintendenza e il Gabinetto Restauri ebbero il gravoso compito di organizzare un’opera di emergenza di immani proporzioni, per la quale furono necessarie decisioni immediate, lucide e mirate. L’impegno di Procacci fu da subito indirizzato a individuare un luogo di ricovero per le opere alluvionate, da allestire ed equipaggiare in tempi brevissimi e in assenza di una attrezzatura adeguata alle proporzioni dell’evento; a una suddivisione delle opere in base alla gravità e alla necessità di un intervento immediato o meno; all’approvvigionamento di materiali, apparecchiature e strumentazioni per intervenire adeguatamente. Nell’immediata gestione dell’emergenza Procacci prese la decisione importantissima di restaurare tutte le opere a Firenze, nonostante le difficoltà in loco e le offerte da parte dei laboratori di tutto il mondo. La decisione garantì l’omogeneità dei metodi di restauro, e il controllo e la programmazione delle operazioni, ma soprattutto fu decisiva per il futuro, perché gli aiuti confluirono a Firenze e crearono un crogiuolo irripetibile di esperienze e ricerca, con un accrescimento straordinario delle competenze.
Nel 1970, per raggiunti limiti di età, Procacci fu collocato in quiescenza. Da quello stesso anno avviò una continuativa attività di insegnamento presso l’istituto di storia dell’arte della facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Firenze, tenendo un corso di storia e teoria del restauro e uno dal titolo Avvio alla ricerca e alla comprensione dei documenti d’archivio.
Fu tra i promotori del Centro studi sulle arti minori decorative e industriali (1986-87, presso la Fondazione Aida Baduel Zamberletti di Castel di Poggio); progettò un Centro toscano di studi archivistici, presso la Fondazione Horne a Firenze (di cui fu presidente dal 1974). Fra i numerosi impegni all’interno delle associazioni e istituzioni culturali fiorentine e toscane si ricordano quelli presso l’Istituto nazionale di Studi per il Rinascimento e presso la Colombaria, quello per il Museo etrusco di Cortona (dal 1979), quello presso la Fondazione Longhi (dal 1981). Dal 1986 fu socio nazionale dei Lincei.
Procacci morì a Firenze il 19 febbraio 1991.
Nel 1996 uscì, postumo, il volume Studio sul Catasto fiorentino, frutto dei suoi studi di una vita, ricchissima fonte di informazioni sulla società e l’economia del Quattrocento, curata da un gruppo di suoi ex allievi.
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