PECCHIOLI, Ugo
PECCHIOLI, Ugo. – Nacque a Torino il 14 gennaio 1925, ultimo di tre figli di Dante e di Gioconda Dionisy.
La sua era una tipica famiglia della media borghesia: il padre, simpatizzante anarchico, era un artigiano gioielliere; la madre, donna profondamente cattolica, era insegnante di pianoforte; abitavano in un appartamento in corso Vinzaglio, nell’elegante quartiere della Crocetta, uno dei più esclusivi della città.
Terminate le scuole dell’obbligo, Pecchioli frequentò il prestigioso ginnasio-liceo Massimo d’Azeglio, da tempo luogo di formazione di numerosi elementi ostili al fascismo; qui ebbe di modo di dare corpo a quell’embrionale sentimento antifascista che gli era stato trasmesso sia dal padre, sia dalla frequentazione di Alfredo Corti, professore di orientamento liberale e genitore del suo amico Nello, entrando in contatto con compagni che avrebbe ritrovato in seguito durante la guerra di liberazione.
Il 25 luglio 1943 si trovava in villeggiatura a Cogne, in Val d’Aosta: qui apprese la notizia della destituzione di Benito Mussolini e prese parte ai festeggiamenti spontanei che ne seguirono; il che gli valse un arresto da parte dei carabinieri fino alla mattina seguente.
Proprio in quel periodo decise di diventare comunista, attratto, così come molti altri esponenti della sua generazione, da un partito – il Partito comunista d’Italia (PC dI) ridenominatosi Partito comunista italiano (PCI) nel giugno 1943 – che appariva in quel momento l’unica forza organizzata capace di combattere il nazifascismo a viso aperto, non solo a parole.
Dopo l’armistizio (8 settembre 1943) riparò in Svizzera per sfuggire all’imminente chiamata alle armi; il soggiorno in territorio elvetico fu però di breve durata: ben presto si allontanò dal campo profughi in cui risiedeva per tornare in Italia e prendere parte fin dalle sue prime fasi alla guerra partigiana, che combatté inizialmente in Val d’Aosta.
Nel novembre 1944, in seguito a una possente controffensiva nazista, Pecchioli si rifugiò in Francia, dove risiedette per breve tempo presso una caserma di Grenoble, dalla quale però si allontanò assieme al compagno Franco Berlanda, per raggiungere un domicilio messo a loro disposizione da militanti del PCI espatriati. Iniziò allora a collaborare, sempre assieme a Berlanda, con i servizi segreti francesi, interessati a infiltrare in territorio italiano elementi che fornissero loro informazioni di tipo militare; questa collaborazione durò fino al febbraio 1945.
Subito dopo tornò a combattere, questa volta nella zona del Canavese, militando sino alla fine della guerra nella LXXVII brigata Garibaldi, di cui divenne capo di stato maggiore. In quella veste partecipò alla liberazione di Torino del 26 aprile 1945.
Giunta al termine l’esperienza partigiana, dei cui ideali Pecchioli sarebbe stato uno strenuo difensore per tutto il resto della sua attività politica, si pose il problema del reinserimento nella vita civile: da un lato, gli si prospettò la possibilità di lavorare a tempo pieno nel Partito, dall’altro l’occasione di trovare un impiego presso il Club alpino italiano. La scelta, non senza attenta riflessione, cadde sull’impegno in politica, che iniziò presso la federazione del PCI di Torino, in qualità di funzionario. Nel 1947 entrò nella Segreteria federale e dal 1948 guidò la Commissione giovanile; nel 1949 fu nominato membro della segreteria nazionale della Federazione giovanile comunista italiana (FGCI), guidata da Enrico Berlinguer: come era allora prassi abituale in ambito comunista, nessuno gli preannunciò l’incarico ed egli apprese della sua designazione leggendo l’Unità.
Sempre nel 1949 sposò Luciana Franzinetti, con la quale ebbe due figli, Laura e Vanni.
Il lavoro nella FGCI, che in quel periodo era impegnata, tra l’altro, in un intenso sviluppo delle attività ricreative, lo tenne a Roma sei anni.
Nel 1955 tornò a Torino per volontà del segretario della Federazione, Antonio Roasio, che prima lo nominò suo vice, e poi, nel 1958, lo indicò quale suo successore; la sua designazione segnò il definitivo passaggio del testimone dalla generazione dei fondatori del Partito a quella formatasi durante la Resistenza.
L’esperienza alla guida del PCI torinese, che durò fino al 1966, fu caratterizzata, in particolare, dalla volontà di non appiattire eccessivamente l’azione del Partito sul sostegno, pur necessario, alle rivendicazioni operaie, nella convinzione che fosse doveroso mostrare attenzione anche verso altri ceti sociali, al fine di evitare di rimanere confinati su posizioni veteroperaiste.
Nel 1956 Pecchioli visse da vicino il drammatico travaglio, particolarmente forte a Torino, che sconvolse il PCI in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria, rispetto alla quale ebbe modo di esprimere un sia pur molto cauto dissenso, peraltro mai emerso all’esterno del Partito.
Dal 1960 al 1970 sedette sui banchi del Consiglio comunale di Torino, in costante contrapposizione alle giunte centriste; esercitò questa opposizione con argomentazioni critiche ricorrenti, la principale delle quali fu quella, espressa icasticamente all’indirizzo della maggioranza in un intervento del 4 luglio 1966, di «non assolvere un ruolo autonomo dai grandi gruppi del potere economico privato che decidono a loro arbitrio le sorti della città» (Roma, Fondazione Istituto Gramsci, Fondo Ugo Pecchioli, b. 11, f. 17); chiaro riferimento allo strapotere esercitato dalla FIAT.
Dalla fine degli anni Cinquanta iniziò a ricoprire nel Partito incarichi nazionali di crescente importanza: membro del Comitato centrale dal 1959, della Direzione dal 1962, dell’Ufficio politico dal 1966 e della Segreteria dal 1969. Nel 1972 entrò inoltre per la prima volta in Parlamento, eletto in un collegio senatoriale torinese.
Negli anni Settanta, in particolare durante la stagione dei governi di solidarietà nazionale sostenuti dal PCI (1976-79), Pecchioli visse la fase più intensa della sua vita politica; il ruolo da lui svolto, all’interno del Partito, di responsabile della Sezione problemi dello Stato, gli valse l’appellativo indelebile di ministro ombra dell’Interno del PCI.
In quella veste si ritrovò inevitabilmente in prima linea nella gestione della lotta al terrorismo rosso, nella quale il PCI si impegnò a fondo. Esercitò questa funzione con particolare determinazione, finendo per apparire il più severo e zelante esecutore della politica ‘emergenzialista’ decisa dal Partito. A più riprese Pecchioli si scagliò contro il «garantismo esasperato» (ibid., b. 15, f. 92, intervento al Comitato centrale del PCI del 27 gennaio 1978) che – a suo dire – frenava un’efficace lotta al terrorismo.
Nel 1978, durante le drammatiche giornate del sequestro di Aldo Moro, fu tra i più risoluti sostenitori del cosiddetto partito della fermezza, nettamente ostile a qualsiasi forma di trattativa con le Brigate rosse volta alla liberazione del leader democristiano. In quel periodo lavorò a stretto contatto con il ministro dell’Interno Francesco Cossiga che, non a caso, ebbe a definirlo «il mio dirimpettaio di via delle Botteghe Oscure» (ibid., b. 15, f. 97, intervista a Il Tempo, 8 giugno 1978); ciò gli attirò gli strali dei movimenti della sinistra extraparlamentare, che lo consideravano un loro acerrimo nemico, vedendo in lui l’emblema della saldatura, a loro dire ormai compiuta, tra il PCI e il sistema di potere democristiano, al punto da storpiarne il cognome – così come avveniva per Cossiga – in Pekkioli.
In quegli anni, anche a causa delle cariche istituzionali ricoperte (membro della Commissione difesa del Senato; vicepresidente, dal 1977 al 1987, del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, organismo che avrebbe poi presieduto dal 1993 al 1994), ebbe rapporti costanti con i vertici dei servizi segreti e delle forze armate, e anche con personaggi che, alla luce di vicende giudiziarie successive (P2, Gladio), risultarono essere di assai dubbia fedeltà costituzionale e democratica.
Nel 1986 fu nominato capogruppo al Senato, carica che conservò fino al 1992. Ricoprì anche incarichi internazionali: fu membro dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (1976-1994) e dell’Unione europea occidentale.
Nel 1989 fu da subito favorevole alla svolta di Achille Occhetto che portò allo scioglimento del PCI e alla nascita del Partito democratico della sinistra (PDS), convinto che il crollo del muro di Berlino imponesse un radicale cambiamento: come disse nella riunione del Comitato centrale del 24 novembre 1989, «se tutto resta come prima noi rischiamo un arroccamento sterile e la gestione – magari anche decorosa – del declino» (ibid., b. 26, f. 237).
In qualità di capogruppo in Senato del neonato PDS, alla fine del 1991 fu tra i firmatari della richiesta di messa in stato di accusa del presidente della Repubblica Cossiga, ritenuto responsabile di un’eccessiva dilatazione della sua sfera di azione non prevista dalla Costituzione. Cossiga si autodenunciò alla magistratura ordinaria e fu prosciolto nel 1994, a seguito dell’istruttoria e della conforme proposta del Tribunale dei ministri.
Nel 1994, alla vigilia delle elezioni politiche, Pecchioli rinunciò a una nuova candidatura, ritenendo conclusa la sua carriera parlamentare: come scrisse al segretario del PDS, Occhetto: «La rappresentanza non può essere una sorta di appannaggio: l’avvicendamento è la chiave stessa della democrazia» (Tra misteri e verità, 1995, p. 189).
Morì a Roma il 13 ottobre 1996.
Opere. La FGCI, scuola di comunismo, Roma 1950; Un Partito comunista rinnovato e rafforzato per le esigenze nuove della società italiana. Noi, i giovani e il socialismo, Roma 1970 (con R. Serri); PCI ’70. I comunisti in cinquanta anni di storia, Ciampino 1970 (con L. Longo - A. Natta); La ripresa operaia, in I comunisti a Torino (1919-1972). Lezioni e testimonianze, Roma 1974, pp. 259-273; La riforma democratica delle forze armate, Roma 1979 (con A. D’Alessio); prefazione a Rapporto sul terrorismo, a cura di M. Galleni, Milano 1981, pp. 5-44; Mafia e corruzione. Un libro scritto da 150.000 italiani, Milano 1994 (con M. Marturano); Tra misteri e verità. Storia di una democrazia incompiuta, a cura di G. Cipriani, Milano 1995.
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione Istituto Gramsci, Fondo Ugo Pecchioli; Torino, Fondazione Istituto piemontese A. Gramsci, Archivio PCI, Federazione di Torino, Fondo Garelli, Biografie, f. 1.1/4; Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, Banca dati del partigianato piemontese, ad nomen; conversazione con Franco Berlanda; necr., M. Notarianni, Addio P., in il Manifesto, 15 ottobre 1996.
Per l’attività parlamentare di Pecchioli si rimanda alle schede personali dalla VII alla XI legislatura (1972-1994), consultabili sul sito web del Senato della Repubblica: http://www.senato.it/ sitostorico/home, ad nomen.
A. Roasio, Figlio della classe operaia, Milano 1977, ad ind.; A. Ballone, Torino operaia (1939-1962), Pinerolo 2003, ad ind.; G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Roma 2003, pp. 62, 164 s., 170, 327, 460, 485 s., 502; Alla ricerca della simmetria. Il PCI a Torino (1945-1991), a cura di B. Maida, Torino 2004, ad ind.; L. Barca, Cronache dall’interno del vertice del PCI, I-III, Soveria Mannelli 2005, ad ind.; A. Giovagnoli, Il caso Moro. Una tragedia repubblicana, Bologna 2005, ad ind.; L. Annunziata, 1977. L’ultima foto di famiglia, Torino 2007, pp. 13, 67, 73 s., 164.