NEBBIA, Ugo
NEBBIA, Ugo (Virginio Ugo). – Nacque a Perugia il 16 marzo 1880 da Paolo Alberto, impiegato della Regia Intendenza di finanza, e da Anna Pezzani. Al primo nome anagrafico, Virginio, preferì accostare il più amato Ugo, che in seguito utilizzò in modo esclusivo.
I Nebbia seguirono attraverso la penisola il capofamiglia, che variava con frequenza sede di lavoro. Ugo trascorse gli anni dell’infanzia a Genova e fuggì ancora adolescente da casa per impiegarsi come mozzo a bordo di un mercantile; questa esperienza, vissuta perlopiù al chiuso della sala macchine, accese in lui la passione per la marineria e per l’arte navale, argomento di futuri scritti (Arte navale italiana: pagine di storia e d’estetica marinara, Bergamo 1932; voci per l’Enciclopedia italiana).
Nel 1898 sostenne a Livorno l’esame di licenza liceale, ma non riuscì a superare la prova di fisica. Si iscrisse lo stesso anno, con la promessa di regolarizzare la sua posizione scolastica, alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Pisa, dove seguì le lezioni di letteratura italiana di Alessandro D’Ancona. Nel 1899 la famiglia si trasferì a Milano e Nebbia, che l’anno successivo riuscì finalmente a ottenere il diploma al Liceo Manzoni, si immatricolò all’Università di Pavia, dove, nonostante qualche difficoltà legata anche alle precarie condizioni di salute e i voti mediocri, si laureò in lettere il 15 dicembre 1902 con la dissertazione Di alcuni risultati degli studi epigrafici di Bartolomeo Borghesi rispetto alle istituzioni pubbliche romane e un punteggio complessivo di 65 novantesimi.
Ancora studente universitario si era dedicato a Milano alla ricerca storica e documentaria, coadiuvando il perugino Ettore Verga nel riordino dell'Archivio Storico civico e di quelli della Camera di commercio e della Fabbrica del duomo, di cui schedò il fondo ancora inesplorato. Fu da subito apprezzato da un gruppo di intellettuali e architetti, gravitanti intorno all’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti della Lombardia (tra i quali Camillo Boito, Luca Beltrami, Gaetano Moretti, Carlo Romussi), con cui avviò una proficua collaborazione.
Romussi, deputato della Fabbrica del duomo, gli affidò nel dicembre 1904 lo studio completo della decorazione plastica della cattedrale milanese, cui Nebbia si dedicò con dedizione, profittando delle sue doti di provetto scalatore per librarsi, nell’incredulità dei passanti, tra le guglie. Il volume, apparso con il titolo La scultura nel duomo di Milano (Milano 1908), costituisce tuttora una buona base di partenza per gli studi sulla scultura milanese e lombarda, grazie anche a un apparato illustrativo insuperato, e rappresenta la migliore e più organica prova di Nebbia, presto assorbito dagli impegni di lavoro come funzionario delle belle arti e dall’attività di critico militante: «Giovandosi di una monumentale campagna fotografica e della libertà di movimento nell’archivio della Cattedrale, ma fidando soprattutto in un occhio che si rivela acutissimo, Nebbia distingue le mani dei vari scultori, costituisce corpora, incrocia opere e documenti, fa scoccare puntuali analogie tra pezzi fisicamente anche molto lontani tra loro, con un ragionare di forme e di stili solido e di buon senso» (L. Cavazzini, Il crepuscolo della scultura medievale in Lombardia, Firenze 2004, p. X).
Agli anni giovanili e di formazione risalgono alcuni viaggi in Europa: forse a Copenhagen (1902), numerosi a Parigi – dove conobbe i fuoriusciti russi, tra i quali Gor’kij, e si mantenne lavorando come decoratore – e in Russia (1909) al seguito dello scultore Stepan Erzia, che poi ospitò e sostenne in Italia. Nella capitale francese ebbe l’opportunità di aggiornarsi e di entrare in contatto con la moderna pittura europea (Cézanne, Gauguin, Matisse) e con le avanguardie, esperienza fondamentale per la sua attività di critico e teorico dell’arte contemporanea (sulla sua attività critica cfr. in dettaglio Sartori, 2000-01). Conobbe Filippo Tommaso Marinetti e strinse amicizia con Umberto Boccioni e Antonio Sant’Elia.
Nel 1909 fu nominato ispettore della Soprintendenza ai Monumenti di Milano (sulla carriera all’interno del ministero della Pubblica Istruzione: Tropea, 2007), dove iniziò, continuando con dedizione per tutto il tempo trascorso all’interno della Soprintendenza, a dirigere restauri e a battersi per la tutela delle opere d’arte e del paesaggio (da ricordare almeno, nel 1913, la difesa della Casa degli Omenoni, minacciata di demolizione). I suoi contributi cominciarono ad apparire sui quotidiani locali e sulle riviste specializzate, come il Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione, Arte italiana decorativa e industriale diretta da Camillo Boito (dove si occupò di temi, come le armi antiche, l’oreficeria, la ceramica, le arti grafiche, a cui restò fedele per tutta la vita), la milanese Rassegna d’arte e la bergamasca Emporium. Di quest’ultima fu assiduo collaboratore per un trentennio, non limitandosi a proporre articoli relativi alla storia dell’arte antica o alla critica d’arte contemporanea, ma contribuendo alla veste grafica della testata: sono sue numerose copertine apparse tra il dicembre 1913 e l’agosto 1929; l’impegno maggiore si registrò nel triennio 1914-16.
L’attività di disegnatore e illustratore, esercitata anche per altri periodici italiani ed esteri come Kunst und Reise, occupò parte delle energie giovanili di Nebbia, la cui produzione grafica, inizialmente legata al gusto liberty e secessionista, interessò principalmente il campo della decorazione libraria; l’esordio fu nel suo Milano che sfugge (Milano 1909), seguito dall’antologia scolastica La beata riva (Ancona 1911). Negli anni Venti evolse verso esiti decò e si concentrò nell’esecuzione di modelli e bozzetti per la realizzazione di oggetti d’arte decorativa, statuette in vetro di Murano e mobili (Thea, 1980; tre opere in cristallo, realizzate dalla IVAM (Industrie vetri artistici Murano) su disegno di Nebbia nel 1927 e nel 1930-31, sono state acquistate nel 1991 dal Comune di Milano presso Mia Cinotti e si conservano alle Civiche Raccolte d’arte applicata del Castello Sforzesco: ripr. in Mori 1996, pp. 88-90, nn. inv. 277-279). Dagli anni Trenta l’attività artistica cominciò a scemare e a ridursi a mero esercizio amatoriale e privato.
Nel 1911 fu tra i firmatari, insieme a Boccioni, Carlo Carrà e altri, della Lettera invito per l’Esposizione d’arte libera, inaugurata nel padiglione Ricordi a Milano il 30 aprile. Manifestò apertamente l’impegno critico a favore delle avanguardie cubiste e futuriste con l’articolo Sul movimento pittorico contemporaneo pubblicato su Emporium nel 1913, che gli procurò i primi dissensi con la Soprintendenza e un ammonimento da parte di Corrado Ricci, ma soprattutto come teorico del gruppo Nuove Tendenze. Fondato a Milano nell’inverno tra 1913 e 1914, il gruppo era composto dai pittori Leonardo Dudreville, Carlo Erba, Achille Funi, Marcello Nizzoli e Adriana Fabbri, dallo scultore Giovanni Possamai, dagli architetti Mario Chiattone e Sant’Elia – aiutato dallo stesso Nebbia a stendere il primo Manifesto dell’architettura nuova – e dalla ventenne decoratrice tessile Alma Fidora (Arich, 1997), conosciuta alcuni anni prima e che più tardi sarebbe divenuta sua moglie. Trovata ospitalità presso la Famiglia artistica milanese, dove tenne la sua prima e unica esposizione dal 20 maggio al 10 giugno dello stesso 1914, la formazione ebbe vita breve e i suoi membri presero ben presto strade diverse, riconfluendo per la maggior parte nel movimento futurista, di cui molti di essi avevano incarnato, pur con le loro diverse personalità, una versione più edulcorata e conservatrice.
Nel 1915, all’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale, si arruolò come volontario nel battaglione Negrotto, poi nel battaglione Morbegno del V Alpini e durante uno scontro rimase vittima dei gas, perdendo l’uso dell’olfatto. A Milano, nell’aprile 1917, sposò Vittoria Boneo. Al termine del conflitto riprese il posto di ispettore, ma lontano dal capoluogo lombardo, continuando a spostarsi lungo la penisola (alle Gallerie di Palermo, 1919; ai Monumenti di Genova, 1919-22; al Museo nazionale di Ravenna, 1922; alla Soprintendenza all’arte medievale e contemporanea di Venezia, 1922-33; all’Ufficio distaccato per i monumenti della Liguria a Genova, 1933-39) insieme a Fidora, con la quale visse «periodi errabondi e di follie» (L. Vergine, L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, catal., Milano 1980, p. 116). Conobbe e strinse amicizia con artisti e intellettuali, tra i quali Gino Severini, incontrato a Parigi nel 1925, Filippo De Pisis ed Eugenio Montale.
Nel 1924 tornò, dopo un decennio, a fare su Emporium il punto Sul movimento pittorico contemporaneo (1913-1924), richiamando l’attenzione sulla situazione italiana, nella quale, rapidamente esauritasi la positiva forza propulsiva del Futurismo, la pittura sembrava emanciparsi dagli influssi transalpini per acquisire, nell’ottica di un 'ritorno all’ordine' europeo, caratteristiche nazionali. Il suo giudizio negativo si appuntava però sulla pittura metafisica e su chi, come Carrà, si rifugiava nella tradizione pittorica italiana dei secoli passati. In quel periodo cominciò a seguire come cronista le Biennali veneziane e a interessarsi alle sorti del gruppo di Novecento, a Mario Sironi e al dibattito sull’arte murale e pubblica, mentre vedeva sbarrarsi ogni possibilità di avanzamento di carriera negli uffici della Soprintendenza.
Nel 1929 sposò Alma Fidora con il rito religioso, seguito nel 1932 da quello civile. In laguna lavorò sotto il soprintendente Gino Fogolari – che a più riprese si espose per fargli ottenere una promozione, ma senza successo – e si distinse per l’attività di tutela e di catalogazione degli edifici monumentali nelle province venete. Si occupò della sistemazione delle sale d’armi del Palazzo ducale e della raccolta Franchetti alla Ca’ d’Oro, senza tralasciare di interessarsi ai giovani pittori (mostra della Scuola friulana d’avanguardia, Udine 1928). Anche se il 31 luglio 1933 si era iscritto al Partito nazionale fascista, gli anni Trenta furono un periodo di crisi personale: ai ripetuti attacchi, anche anonimi, che ne mettevano in dubbio la condotta lavorativa, morale e politica, seguì il progressivo allontanamento dall’attività critica e l’intensificarsi di quella espositiva, con collaborazioni alle Triennali, e alla curatela di rassegne dedicate alle arti decorative (Mostra di vetri, ceramiche e merletti d’arte moderna italiana, tenuta ad Amsterdam nel 1931, con quella sull’Incisione italiana moderna ideata insieme a Lamberto Vitali). Il soggiorno genovese si concluse con il trasferimento, quasi punitivo, a L’Aquila nel 1939, che durò fino al 1942, quando riuscì finalmente a tornare a Milano, dove occupò un appartamento in Palazzo reale, poi devastato dai bombardamenti dell’agosto 1943.
Sintetizzò il suo pensiero critico sulla pittura del Novecento in una dettagliata e informatissima monografia apparsa nel 1941 e poi ripubblicata nel 1946, in un’edizione ampliata ed emendata nel linguaggio, talvolta indulgente verso le teorie nazionaliste. Negli anni Quaranta iniziò una lunga collaborazione con l’Istituto geografico De Agostini di Novara, per il quale compilò volumi di divulgazione storico-artistica e dal 1952 curò le agili monografie della collana «Galleria antica e moderna». Sua collaboratrice fu la storica dell’arte Amalia 'Mia' Cinotti, figlia del pittore Guido, inizialmente traduttrice dall’inglese e poi autrice di testi per la casa editrice, nota in seguito soprattutto come esegeta del Caravaggio, con la quale Nebbia iniziò una relazione sentimentale che durò fino alla morte.
La messa a riposo dai ranghi della pubblica amministrazione, a partire dal 1° luglio 1950, non segnò il ritiro dagli studi di Nebbia, che anzi rinsaldò i rapporti di antica data con la Fabbrica del duomo di Milano. La conoscenza capillare del patrimonio artistico della cattedrale ambrosiana e l’esperienza maturata nel campo della museografia gli guadagnarono la commessa della progettazione del nuovo Museo del duomo, già immaginato all’inizio del secolo, ma non ancora realizzato. Dalla fine del 1950 si dedicò, insieme all’architetto della Fabbrica Adolfo Zacchi e con la collaborazione di Ferruccio Maspero della Soprintendenza, ad allestire e ordinare undici sale al pianterreno dell’ala sinistra del Palazzo reale, allora di proprietà statale, duramente colpito dagli eventi bellici. Il Museo, inaugurato il 28 novembre 1953, suscitò un grande apprezzamento, tanto che nel 1957-58 si avviarono le pratiche per l’ampliamento nei locali attigui, concessi dopo uno scambio operato da Stato e Comune di Milano tra Palazzo reale e Ospedale maggiore. Nel frattempo Nebbia collaborò con Guido Gregorietti e Carlo Zanon alla Mostra dei ritratti cinesi al Museo Poldi Pezzoli di Milano, mentre continuava a scrivere d’arte sul Tempo di Milano (1949-51) e sulla rivista La Ceramica (1953-64).
I lavori di risanamento di Palazzo reale ripresero nel 1959; l’ordinamento delle nuove sale del Museo del duomo fu affidato di nuovo a Nebbia che dovette sistemarvi le statue calate dall’edificio in occasione della mostra dell’Arte lombarda dai Visconti agli Sforza (1958), alla quale, con suo grande rammarico, non era stato invitato a partecipare (cfr. la lettera a Gian Alberto Dell’Acqua, segnalata da T. Barbavara di Gravellona, Arte lombarda dai Visconti agli Sforza (Milano 1958), in Medioevo/Medioevi. Un secolo di esposizioni d’arte medievale, a cura di E. Castelnuovo - A. Monciatti, Pisa 2008, p. 272, nota). Nel 1961-62, a lavori ancora in corso, l’allestimento si interruppe a causa dei problemi burocratici legati al passaggio di proprietà del palazzo.
Nebbia, che stava per mettere mano a una nuova edizione del libro sulle sculture del duomo di Milano e aveva intenzione di scrivere un’autobiografia intitolata Noi dell’Ottocento, di cui è stato pubblicato solamente un breve frammento (Flutter, l’ultimo scritto di U. N., Milano 1966, a cura di M. Cinotti; il titolo fa riferimento al disturbo cardiaco che lo aveva da poco colpito), morì improvvisamente a Sori (Genova) il 1° aprile 1965.
Mia Cinotti, erede di Nebbia, scomparsa il 17 maggio 1992, ha legato con le sue ultime volontà alcuni oggetti appartenuti allo studioso e opere da lui realizzate a istituzioni museali lombarde: undici dipinti di mano di Nebbia si conservano presso il Museo civico di Monza, disegni e acquerelli presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano. Tre velieri appartenuti alla sua collezione sono stati destinati al Museo della scienza e della tecnologia di Milano.
Fonti e Bibl.: Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia, Facoltà di lettere e filosofia, Carriera scolastica, reg. 687, matr. 271; Ibid., Archivio di deposito, Fascicoli personali studenti, fasc. Nebbia Ugo Virginio; S. Samek Ludovici, in Storici teorici e critici delle arti figurative d’Italia dal 1800 al 1940, Roma 1946, pp. 258-261; L. Bracchi, Per U. N., in La Martinella di Milano. Rassegna di vita italiana, XIX (1965), 9, p. 467; E. Camesasca, U. N. storico dell’arte navale, in Il Vasari, gennaio-luglio 1966, p. 49; D. Villani, L’opera grafica di U. N., in Linea grafica, luglio 1966, p. 49; P. Gazzola, Il pensiero critico di U. N., in Arte lombarda, XII, (1967), 1, pp. 91-102 (con ampia bibliografia); Id., Il Museo del duomo nell’opera di U. N., in Il duomo di Milano, Atti, a cura di M. L. Gatti Perer, Milano 1969, II, pp. 125-134; P. Thea, U. N., in Nuove Tendenze. Milano e l’altro Futurismo (catal.), Milano 1980, pp. 94-98; R. Mangili, Duecentoquaranta copertine di «Emporium». Dalla spina di rosa alla spina di guerra, in «Emporium» e l’Istituto italiano d’arti grafiche. 1895-1915, a cura di G. Mirandola, Bergamo 1985, pp. 97s.; G. Mori, Le collezioni dei vetri artistici. Civiche Raccolte d’arte applicata - Castello Sforzesco, Milano 1996, pp. 24, 88-90; D. Arich, Fidora, Alma, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVII, Roma 1997, pp. 414 s.; S. Sartori, U. N. cronista e critico dell’arte contemporanea, tesi di laurea, a.a. 2000-01, Università degli studi di Padova; C. Tropea, U. N., in Dizionario biografico dei soprintendenti storici dell’arte (1904-1974), Bologna 2007, pp. 423-426; M. Patti, Cronache e grandi rassegne. L’arte contemporanea su «Emporium» tra le due guerre, in Emporium. Parole e figure tra il 1895 e il 1964, a cura di G. Bacci - M. Ferretti - M. Fileti Mazza, Pisa 2009, pp. 491-519; G. D’Amia, Il Padiglione della Fabbrica del duomo, tra iniziativa promozionale e sperimentazione museale, in Per l’Esposizione, mi raccomando…! Milano e l’Esposizione Internazionale del Sempione del 1906 nei documenti del Castello Sforzesco, (catal.), a cura di G. Ricci - P. Cordera, Milano 2011, pp. 136, 138.