MULAS, Ugo
MULAS, Ugo. – Nacque a Pozzolengo, nel Bresciano, il 28 agosto 1928, terzo di cinque fratelli. Il padre Pasquale, di origini sarde, era maresciallo dei carabinieri, la madre, Carmela Nicolodi, era di origini trentine.
Dopo aver trascorso l’infanzia e l’adolescenza tra la casa paterna e Desenzano del Garda, dove frequentò le scuole inferiori e il liceo, nel 1948 si trasferì a Milano per frequentare giurisprudenza presso l’Università Cattolica. Lavorò come precettore per mantenersi, ma gli studi di diritto non lo appassionavano e nel 1951 si iscrisse anche al corso serale di nudo dell’Accademia di Brera dove conobbe i pittori Gianni Dova e Roberto Crippa. Entrò rapidamente in contatto con gli artisti e gli intellettuali che si ritrovavano al bar Jamaica, nei pressi dell’Accademia, locale che in quegli anni vedeva tra i suoi avventori Valerio Adami, Alik Cavaliere, Cesare Peverelli, Emilio Tadini, Luciano Bianciardi, Ennio Morlotti e Bruno Cassinari. Finiti gli esami rinunciò a laurearsi e iniziò a lavorare come caricaturista e giornalista per un’agenzia fino al 1953, quando insieme all’amico fotografo Mario Dondero, organizzò una società per condividere il materiale fotografico e le spese dei lavori free-lance. La fotografia si rivelò uno strumento congeniale che gli offriva la possibilità di tradurre la propria sensibilità estetica e la curiosità intellettuale nel linguaggio delle immagini. Per esercitarsi, con un apparecchio avuto in prestito, realizzò una serie di ritratti degli amici al Jamaica e immagini delle periferie, della vita degli operai e dei sottoproletari nella Milano postbellica. Le inquadrature rivelano l’eleganza della composizione e l’attenzione a una descrizione che mostra i soggetti colti nel loro ambiente.
Nel 1954, alla Biennale di Venezia, realizzò con Dondero il primo reportage, subito pubblicato nella rivista Le Ore. Nel 1955 le immagini sul Jamaica uscirono nel settimanale Tutti; il servizio venne apprezzato e procurò a Mulas una collaborazione stabile con la rivista Settimo Giorno. In questo periodo egli diversificò i campi della sua attività: dal 1955 al 1962 lavorò per L’Illustrazione italiana, diretta dall’amico Petro Bianchi, pubblicando vari reportage insieme con Giorgio Zampa, mentre tra il 1956 e il 1957 iniziò a curare per la Rivista Pirelli e per Domus servizi sull’arte e l’architettura. Sempre nella seconda metà degli anni Cinquanta iniziò la collaborazione con Bellezza eNovità, futura versione italiana di Vogue. La frequentazione delle sfilate francesi gli permise di aggiornarsi sulle tendenze internazionali e per un periodo Mulas considerò la fotografia di moda la sua attività principale.
Nel 1958 incontrò e sposò Antonia Buongiorno, «Nini», che divenne la compagna di vita ma anche del mestiere e dell’arte.
Nel 1960, in occasione di una tournée a Mosca con il Piccolo Teatro di Milano, nacque la serie Russia, un lavoro ormai maturo che allargava la prospettiva del reportage tradizionale a un confronto tra la dimensione urbana e la campagna: «immagini che vogliono renderci partecipi di un modello esistenziale, di una vita di relazione, non dell’ironia di un giudice sovramesso o della retorica di una partecipazione asservita sul piano dell’ideologia» (Arturo Carlo Quintavalle, in U. M.: immagini e testi, 1973, p. 125). Per il teatro collaborò regolarmente con Giorgio Strehler, con il quale pubblicò anche le fotocronache di due pièces brechtiane rappresentate al Piccolo: L’opera da tre soldi (1961) e Schweyk nella seconda guerra mondiale (1962). Nel 1964, in occasione della messa in scena della Vita diGalileo di Brecht, Mulas stabilì con Strehler una modalità di documentazione fotografica che si ispirava alla stessa tecnica del drammaturgo tedesco e che rimase la sua prassi per la rappresentazione dei lavori in teatro (si vedano le immagini dello spettacolo Bello e basta dello Zoo, la compagnia teatrale di Michelangelo Pistoletto, al teatro Uomo di Milano in Domus, 1970, n. 492). Nel 1960 si tennero le sue prime due mostre, la prima alla XIIª Triennale di Milano a cura dello storico dell’arte Lamberto Vitali, e la seconda proprio al Piccolo Teatro di Milano.
All’inizio degli anni Sessanta Mulas maturò una consapevolezza diversa sulla direzione da imprimere alla propria ricerca. Il continuo rapporto con il mondo dell’arte, l’incontro con personalità quali Vitali e Alberto Giacometti, i reportage alla Biennale di Venezia (avrebbe fotografato tutte le edizioni fino al 1972; di quella del 1956 perse i negativi) lo portarono a una rinnovata attenzione per gli artisti. Il progetto di un reportage critico dedicato alla scena artistica internazionale maturò in occasione della mostra Sculture nella città, curata da Giovanni Carandente che, nel giugno del 1962, aveva riunito oltre 50 scultori al quinto festival dei Due Mondi di Spoleto. Mulas strinse amicizia con Pietro Consagra, Ettore Colla, Lynn Chadwick e molti altri.
Alcuni artisti realizzarono le loro opere per l’occasione grazie a un accordo con le acciaierie Italsider e il fotografo seguì le fasi di lavoro. Le fotografie erano pensate da Mulas per stabilire un dialogo con gli scultori attraverso una lettura della loro opera. La serie più nota è quella sull’artista americano David Smith che ne fu entusiasta a tal punto da pubblicarla nel libro Voltron: David Smith (Philadelphia 1964, a cura di Carandente): era la prima volta che Smith decideva di illustrare le sue opere anche con immagini non realizzate personalmente. Il reportage a Spoleto piacque anche ad Alexander Calder e, l’anno seguente, la visita dei Mulas presso i Calder, nella casa-atelier francese, segnò la nascita di un’amicizia e del progetto fotografico più impegnativo di Mulas con uno scultore, che si sarebbe concluso con un libro nel 1971.
Nel febbraio 1963 Antonio Arcari dedicò a Mulas la rubrica Dibattito su Foto Magazine, sottolineando la qualità del suo lavoro di ritrattista e dando notizia di una sua ricerca sui paesaggi liguri ispiratori di Ossi di seppia di Eugenio Montale, che Mulas pubblicò due anni dopo sulla Rivista Pirelli, con testo di Giorgio Zampa.
Dopo la Biennale di Venezia del 1964, che presentò la pop art al pubblico europeo e celebrò New York come nuovo centro dell’arte mondiale, Mulas decise di recarsi negli Stati Uniti (dove poi ritornò nel 1965 e nel 1967), per realizzare un reportage sulla scena artistica newyorkese, nella quale fu introdotto grazie ai buoni uffici del critico Alan Solomon e all’appoggio del più influente mercante dell’epoca, Leo Castelli.
I riferimenti culturali per il suo progetto sono vari: possedeva il libro di Alexander LiebermanThe artist in his studio (New York 1960) e il volume di Michel Tapié e Tore Haga Continuité et avant-garde au Japon (Torino 1961) con le immagini delle azioni del gruppo Gutai; conosceva le fotografie di Yves Klein e di Piero Manzoni e considerava il reportage di Hans Namuth su Jackson Pollock (1949) un riferimento fondamentale. A New York ritrasse il ‘non fare’ del maestro Marcel Duchamp e la dimensione concettuale della pittura di Barnett Newman; documentò i ‘rituali’ dei pittori geometrici come Frank Stella, Larry Poons e Kenneth Noland, le azioni che Jasper Johns eseguì per lui, gli happenings di Claes Oldenburg, le prove di danza di Trisha Brown nell’atelier di Robert Rauschenberg e le opposte ironie di Roy Lichtenstein e John Chamberlain.
La visione critica maturata sulla scena americana fu alla base delle celebri serie che realizzò sul taglio di Lucio Fontana (Attesa, 1964) e sul lavoro di Alberto Burri (1965). A New York incontrò anche il fotografo Robert Frank e scoprì la fotografia del New Documents che si stava affermando in quel momento negli Stati Uniti con Diane Arbus, Garry Winogrand e, soprattutto, Lee Friedlander, di cui Mulas aveva visto i primi lavori nel 1964 a casa di Jim Dine. Nel libro New York: arte e persone, pubblicato nel 1967, sono frequenti i rimandi alla tecnica fotografica còlti in artisti quali Robert Rauschenberg, Gorge Segal, Tom Wesselmann, Jim Rosenquist e, in modo particolare, Andy Warhol.
Tornato definitivamente in Italia nel 1967, presentò la mostra New York: arte e persone alla galleria Il Diaframma di Milano, pubblicò il libro su Alik Cavaliere, a cura di Guido Ballo, e seguì le manifestazioni artistiche più importanti: dalla mostra Lo spazio dell’immagine in palazzo Trinci a Foligno (1967) alle contestazioni per la Biennale veneziana e la Triennale di Milano del 1968, fino a Documenta di Kassel dello stesso anno. Sperimentò anche nuove aperture tra arte e moda: per Vogue Uomo posarono, nel suo studio, Alighiero Boetti, Valerio Adami, Paolo Scheggi, Tommaso Trini, Lucio Fontana, Agostino Bonalumi e Ettore Sottsass, mentre in un reportage per la stilista Mila Schön ricostruìambienti ispirati a Lucio Fontana e Mario Ceroli.
Come spiega lo stesso Mulas, «una volta finito il libro degli americani verso il 1967, non volevo diventare il fotografo dei pittori, fare i minimali e poi i concettuali, e poi la land art. (…) Questi pittori impongono il loro punto di vista perché la fotografia è la loro opera e (…) scelgono, di tutto il lavoro che fai, quella foto che a loro interessa e tutto il resto deve essere eliminato. (…) Ho sempre cercato di esprimere un mio punto di vista, un mio modo di vedere, non mi interessava essere usato dagli altri» (U. M.: immagini e testi, 1973, p. 35).
In questi anni la ricerca di Mulas cambiò profondamente: l’interesse verso il lavoro degli artisti dei primi anni Sessanta diventava ora confronto concettuale. Dal 1969 spostò la sua attenzione critica dal reportage sui singoli artisti alle manifestazioni collettive. Campo urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana è il libro curato da Mulas assieme a Luciano Caramel e Bruno Munari per documentare la manifestazione organizzata nel centro storico di Como il 21 settembre 1969 e che raccoglieva molti protagonisti della neoavanguardia italiana. Di questo lavoro realizzò anche una mostra, sempre a Como (1969), dove presentò grandi immagini-provino.
Mulas ormai prendeva le distanze dall’idea della singola immagine, le operazioni urbane degli artisti diventavano occasioni per indagare analiticamente la propria ricerca di fotografo. Il provino, assumendo un valore estetico unitario che permetteva di visualizzare l’operazione fotografica, sarebbe divenuto un elemento estetico centrale della sua ultima opera, la serie delle Verifiche. In alcune opere Mulas sperimentò anche dei viraggi colorati che richiamano l’estetica della pop art, ma l’uso artistico del colore rimane un episodio limitato alla serie Campo urbano.
Nel 1969 collaborò anche con il regista Virgino Puecher per la scenografia dell’opera lirica Giro di vite di Benjamin Britten (Piccola Scala di Milano, 1969). La trama del dramma, con le sue suggestioni surreali, lo portò all’uso della solarizzazione e delle proiezioni in dissolvenza. Dopo il successo dello spettacolo realizzò con Puecher anche la scenografia del Wozzeck di Alban Berg (teatro Comunale di Bologna, 1969). L’ambientazione dell’opera in un lager nazista lo condusse a fotografare le periferie milanesi e a riscoprire le sue ricerche di paesaggio urbano. Da questo lavoro di scenografia nacque l’idea di un Archivio per Milano (1970) che teorizzò come produzione di immagini urbane da mettere a disposizione di chiunque volesse compiere studi sulla città. Nel 1970 una grave malattia ridusse bruscamente la sua attività e il progetto su Milano non poté essere realizzato, ma le poche immagini di cui disponiamo mostrano una sintonia con le ricerche fotografiche sul paesaggio urbano che si sarebbero sviluppate negli anni Settanta e Ottanta. A questo periodo si possono riferire anche i grandi provini tratti dal reportage sugli artisti americani. Le opere mostrano l’intera seduta fotografica avvenuta con i singoli artisti a metà degli anni Sessanta: si tratta di immagini di grandi dimensioni ottenute stampando a contatto varie pellicole o ingrandendo strisce intere di negativo.
Nel giugno 1970, d’accordo con l’artista Paolo Scheggi, pubblicò un suo lavoro nel catalogo della mostra Amore mio, organizzata a Montepulciano da Achille Bonito Oliva: sei variazioni di un provino sulla Marcia funebre realizzata da Scheggi l’anno precedente a Campo urbano.
Rispetto ai provini sugli artisti pop in questo lavoro la prospettiva è rovesciata: il provino non è più lo strumento di controllo dell’operazione fotografica ma la verifica del negativo fotografico quale condizione di possibilità di qualsiasi documentazione. Nella successione delle sei pagine il primo provino mostra la pellicola vuota che, nelle variazioni successive, si riempie progressivamente lasciando apparire le immagini dell’azione di Scheggi.
Il lavoro per Amore mio anticipa la Verifica 1 - Omaggio a Niépce (1970), che rappresenta anch’essa un provino vuoto; dedicata all’inventore della fotografia, fu esposta per la prima volta a Milano alla fine del 1970. Nel novembre del 1970 Mulas fotografò le ultime manifestazioni artistiche prima di completare la serie delle Verifiche. Nello stesso anno, a Milano, documentò gli eventi e le installazioni per il decennale del Nouveau Réalisme organizzato da Pierre Restany; subito dopo fu a Roma, invitato dalla collezionista e mecenate Graziella Lonardi Buontempo, per fotografare la mostra Vitalià del negativo nell’arte italiana 1960-70, curata da Achille Bonito Oliva in palazzo delle Esposizioni (dicembre 1970 - gennaio 1971). Il libro su Vitalità del negativo, nonostante le bellissime fotografie del reportage, non fu ultimato, ma l’evento romano diede l’occasione a Mulas per sviluppare le sue nuove ricerche. Nelle sale della mostra realizzò la Verifica 3, il tempo fotografico, dedicata a Jannis Kounellis. L’anno seguente alla galleria dell’Ariete di Milano presentò la Verifica 1 insieme alla Verifica 2, autoritratto per Lee Friedlander, e organizzò la mostra Künstler in New York 1964 alla Kunsthalle di Basilea in omaggio ad Allan Solomon.
Nel 1971 riuscì a portare a termine il volume su Alexander Calder, di cui aveva realizzato anche il progetto grafico (Calder, Milano-New York 1971) e il libro Lo spazio inquieto, sulle esili sculture di Fausto Melotti (Torino 1971, a cura di Paolo Fossati, con testo di Italo Calvino), ma da quel momento la sua ricerca fu tesa a una ricognizione retrospettiva e critica del proprio lavoro. Dal 1971 si impegnò nella realizzazione delle restanti Verifiche, composte alla fine da una serie di 12 opere (ne erano previste 14) che costituiscono l’analisi strutturale degli elementi tecnici, linguistici ed etici del fotografare attraverso un complesso sistema di immagini, titoli e dediche.
I singoli temi trattati – Gli obiettivi, L’uso della fotografia, L’ingrandimento, Il laboratorio eccetera – sono accompagnati da dediche che costituiscono rimandi estetici e storici al rapporto tra arte e fotografia (Man Ray, Kounellis, Friedlander, Alinari, Duchamp, Talbot) ma anche all’esperienza esistenziale del fotografo (Fine delle verifiche, Il cielo per Nini, Autoritratto con Nini). Ogni opera rivela così una propria autonomia e trova nuove rispondenze nelle altre costituendo il senso della serie.
Alla fine del 1972 realizzò anche una cartella di dieci fotografie su Marcel Duchamp, presentata alla galleria Multicenter di Milano e pubblicò alcune riflessioni teoriche che integrano il progetto delle Verifiche, aprendo così anche in Italia una stagione di nuovo confronto tra arte contemporanea e fotografia.
Nell’ultimo periodo tenne dei corsi di fotografia presso l’Università di Parma ed è qui che organizzò un’ampia retrospettiva, nella quale per la prima volta espose la serie completa delle Verifiche, insieme alla selezione definitiva della sua opera.
Morì a Milano il 2 marzo 1973.
La retrospettiva Ugo Mulas: immagini e testi fu inaugurata subito dopo la sua morte, nel maggio 1973, presso l’istituto di storia dell’arte dell’Università di Parma, accompagnata in catalogo da una lunga intervista autobiografica rilasciata ad Arturo Carlo Quintavalle.
Critico raffinato e anticipatore sensibile del nuovo statuto estetico e concettuale dell’arte, Mulas intese la fotografia quale ambito imprescindibile per indagare gli sviluppi più fecondi della scena contemporanea. Fu il primo fotografo italiano a costruire una strategia critica del proprio lavoro: in questo senso la sua opera non può essere giudicata solamente dalle immagini ma va intesa come un complesso progetto che si concluse, alla fine della sua vita, con la realizzazione delle Verifiche e la pubblicazione di una serie simultanea di opere autobiografiche e autocritiche. Libri come La fotografia, a cura di Paolo Fossati (Torino 1973), e Fotografare l’arte, scritto in dialogo con Pietro Consagra (Milano 1973, prefazione di Umberto Eco), sono strumenti imprescindibili per comprendere l’opera del fotografo, dell’artista e del critico.
Fonti e Bibl.: M. Muraro, Invito a Venezia (fotografie di U. M.), Milano 1962; U. Mulas, Lucio Fontana, Milano 1968; A. Cima, Con Marianne Moore, Milano 1968; Id., Allegria di Ungaretti, Milano 1970; U. M.: immagini e testi (catal.), a cura di A.C. Quintavalle, Parma 1973; Le «verifiche» e la storia delle Biennali (catal.), Venezia 1974; U. M. fotografo (catal.), Basel 1974; U. M., Alexandre Calder a Saché e a Roxbury1961-1965 (catal.), Milano 1982; U. M., David Smith working in Italy (catal.), Roma 1982; U. M., fotografo 1928-1973 (catal., Genève-Zürich), a cura di H. Teicher, Genève 1984; U. M. fotografo 1928-1973 (catal.), Lugano 1986; U. M. Vent’anni di Biennale: 1954-1972, a cura di T. Trini, Milano 1988; U. M. (catal.), a cura di G. Celant, Milano 1989; U. M. Incontri (catal.), Pesaro 1995; David Smith in Italy (catal.), Milano 1995; U. M.: dentro la fotografia (catal.), Nuoro 2004; U. M.: la scena dell’arte (catal., Roma-Milano-Torino, 2007-08), a cura di P.G. Castagnoli - C. Italiano - A. Mattirolo, Milano 2007; U. M.: la scena dell’arte. Photocolors (catal., Torino), a cura di P.G. Castagnoli, Milano 2008; U. M. Vitalità del negativo, a cura di G. Sergio (con testi di A. Bonito Oliva), Milano 2010; E. Grazioli, U. M., Milano 2010.