LUCCICHENTI, Ugo
Nacque a Isola del Liri, in Ciociaria, il 28 marzo 1899 da Tito e Cristina Andreotti. Il padre, originario di Grottaferrata, si era trasferito a Isola del Liri quando assunse l'incarico di dirigente in una cartiera locale. Primo di quattro figli, con i fratelli Giuseppe, Anna e Amedeo, il L. trascorse grande parte della adolescenza a Grottaferrata.
Nel maggio del 1917 il L. fu chiamato alle armi e partecipò, come caporale maggiore di artiglieria, all'ultima fase della prima guerra mondiale. Dopo il congedo si iscrisse alla Regia Scuola di ingegneria di Roma, dove si laureò il 27 nov. 1928.
Dopo una breve parentesi lavorativa nello studio Rovelli di Genova, iniziò la sua attività professionale a Roma. Tra il 1935 e il 1937 costruì la sua prima opera, una palazzina in via Panama, subito seguita da un'altra palazzina, ultimata nel 1938, in via Giovanni da Procida, e dal palazzetto Papi sul lungotevere Flaminio. Il 15 sett. 1938 sposò Margherita Felici. Sempre nel 1938 curò l'allestimento del reparto marne cementizie alla Mostra autarchica del minerale a Roma e partecipò al concorso per il palazzo della Civiltà italiana all'E42, dove ottenne il quarto premio.
Nel 1939 il L. pubblicò la relazione descrittiva del suo progetto per il palazzo della Civiltà italiana (Concorso per il progetto del palazzo della Civiltà italiana, s.n.t.), nella quale, se da un lato teneva conto del rapporto tra edificio e ambiente naturale, dall'altra riproponeva le geometrie del Colosseo, richiamandosi alla severità dell'architettura antica. L'immagine è di una volumetria compatta, trasformata dal vuoto della grande corte interna in uno stretto corpo che si chiude su se stesso. Grandi aperture disegnano il perimetro anulare, mentre il fronte principale concavo è quasi completamente chiuso. La struttura funzionale della costruzione è il percorso espositivo articolato in maniera discendente, e senza interruzione di continuità, nei sette livelli dell'edificio. In una soluzione di variante il L. eliminava il corpo centrale concavo, aprendo il livello terreno con un portico perimetrale interrotto soltanto dai due blocchi simmetrici delle scale e degli ascensori.
Il L. non fu tra gli architetti che progettarono e costruirono edifici pubblici negli anni del regime fascista. Iscritto al Sindacato nazionale degli architetti, accettò la situazione politica senza una sincera adesione e senza una netta contrapposizione, lavorando in modo praticamente esclusivo nell'ambito dell'edilizia residenziale privata.
Nei progetti di questo primo periodo è chiara l'attenzione verso i temi introdotti dal "razionalismo", filtrati però attraverso quella particolare visione monumentale dell'architettura che caratterizzò l'ambiente romano di quegli anni. Tra il 1939 e il 1941 progettò e seguì la costruzione dell'edificio per abitazione in viale del Vignola, e lavorò alla sistemazione edilizia della zona di Porta Angelica. Nel 1940 progettò una palazzina in piazza delle Muse, interessante esempio della sua raggiunta maturità compositiva.
Nella palazzina in piazza delle Muse il fronte principale rinuncia alla materialità del muro e si trasforma in un telaio disegnato dai pilastri, sul limite della facciata, e dalle solette dei lunghi balconi in aggetto. Lo stesso disegno gira oltre l'angolo e si ripete su una porzione dei prospetti laterali, contraddicendo l'unità volumetrica dell'edificio. Grandi vetrate chiudono i campi vuoti del prospetto, quasi a lasciare entrare il panorama esterno entro le abitazioni.
Nel dopoguerra continuò a lavorare, quasi esclusivamente a Roma, sul tema della residenza per una committenza borghese. Facilitato nei rapporti sociali dal carattere estroverso e solare, la sua elevata e riconosciuta professionalità gli consentì di realizzare un numero consistente di architetture. Il linguaggio divenne eclettico e sperimentale, spaziando dal manierismo razionalista a soluzioni quasi espressioniste, nella costante volontà di sorprendere attraverso un'articolazione spaziale o una caratterizzazione strutturale.
Fu un progettista solido, attratto contemporaneamente dalle innovazioni formali e dal rigore della costruzione, da lui approfondita fino al minimo dettaglio nel progetto. Nell'ambiente architettonico romano e nazionale visse lontano dai maestri e dalle correnti di pensiero, preferendo la professione al confronto sulle teorie dell'architettura. Fu amico dei pittori M. Maccari, A. Donghi e G. Capogrossi, e iniziò a dipingere lui stesso, coltivando anche un grande interesse per la musica.
Nel 1948 il L. fu incaricato, dall'Istituto per l'edilizia economica e popolare, della realizzazione di un edificio di undici piani in viale Pinturicchio, dove un partito di piccoli balconi in aggetto si sovrappone alla rigida stereometria del volume segnato, in orizzontale, dalla bucatura continua delle logge su piani alterni. Nel 1949 progettò e seguì la costruzione della palazzina in via Fratelli Ruspoli (soprannominata "La nave"), nella quale il contrasto tra le pareti in vetro, che si ritraggono dal limite del lotto, e l'aggetto dei balconi, che si slanciano sullo stesso limite disegnando un angolo molto acuto, rappresenta un felice esempio della sicurezza compositiva ormai raggiunta.
In questo periodo ebbe inizio a Roma la notevole espansione urbana dominata in gran parte dalle regole della speculazione edilizia, e lavorare per una committenza privata significò spesso dover accettare i condizionamenti imposti dalla ricerca del massimo profitto.
Il L. fu tra i progettisti che cercarono di salvaguardare una dignità professionale portando avanti una personale ricerca compositiva.
Nel 1952, con il progetto e la successiva realizzazione del complesso residenziale di Belsito in piazza delle Medaglie d'oro (1953), iniziò una lunga collaborazione con la Società generale immobiliare, dalla quale ricevette numerosi incarichi.
Nel 1953 realizzò la sede dell'Ente Cellulosa, un edificio lineare con gli elementi verticali di chiusura del prospetto disegnati con raffinatezza e armonia dell'insieme, e la palazzina al n. 185 di via Archimede, nella quale l'aggetto del balcone e della pensilina, presente su ogni livello con la funzione di supporto all'avvolgibile continuo, conferisce all'insieme un caratteristico sviluppo orizzontale.
Immediatamente dopo progettò e seguì la costruzione dei due interventi più interessanti della sua lunga carriera professionale: l'edificio per abitazione in viale Libia (1953-54) e la palazzina in largo Spinelli.
L'intensivo di viale Libia è una dimostrazione dell'abilità del L. nell'accettare la volontà di massimo sfruttamento delle aree edificabili senza rinunciare all'uso di soluzioni architettoniche di valore. In un lotto rettangolare, con due strette e lunghe appendici laterali, il L. riesce a disporre tre appartamenti per piano con negozi al livello della strada, rispondendo così alle esigenze della committenza. Acquisito questo risultato, trasforma il blocco edilizio in un'unità sconnessa e divide l'edificio in due parti, tra loro sfalsate di mezzo piano, con la più alta che si piega verso l'esterno come bloccata al termine di un movimento impresso all'origine. La scala, denunciata nel prospetto, diventa parte del regolare disegno delle bucature, schermate da persiane scorrevoli di colore rosso.
Nella palazzina in largo Spinelli il volume dell'edificio è diviso in basamento, corpo principale e coronamento, e ogni parte è trasformata dal L. in un motivo di composizione. Il corpo principale, in aggetto rispetto ai due piani del basamento, è inciso nel livello più basso da una loggia continua sui quattro lati e si piega verso l'esterno in corrispondenza del fronte su via Paisiello. Nella copertura, la lastra in aggetto su largo Spinelli trasforma il piano attico in una grande loggia che scava il volume nella sua parte terminale. L'articolata disposizione delle finestre a nastro, ben disegnate, conferisce all'insieme un'immagine molto caratterizzata.
In questi anni il L. acquisì una grande sicurezza nella professione, e divenne per lui motivo di vanto l'essere capace di immaginare e saper definire i suoi edifici fino al dettaglio già nella fase progettuale, senza ripensamenti e senza la necessità, o la volontà, di apportare modifiche. Nel 1957 istituì provocatoriamente il premio di una medaglia d'oro per l'impresa che avesse eseguito una sua opera così come da lui definita, senza voler introdurre soluzioni economicamente più convenienti di quelle indicate.
A questo periodo risalgono la palazzina in via Salvini, un grande blocco a gradoni che segue la forte pendenza del terreno, e l'edificio residenziale in via Montello (Di Gaddo). Nel 1959 partecipò, con S. Musmeci, al concorso per il nuovo ponte a Tor di Quinto, con un progetto caratterizzato dalla soluzione strutturale dei sostegni resistenti per forma (S. Rossi, Appalto concorso per un ponte sul Tevere(, in L'Architettura: cronache e storia, V [1959], 44, p. 138).
Tra il 1957 e il 1960 realizzò, su incarico dell'INA-Casa e con M. Manieri Elia, M. Nicoletti e L. Rota, il progetto per case in linea a Margherita di Savoia, in provincia di Foggia.
Tra il 1958 e il 1965 lavorò con A. Libera, M. Paniconi, G. Pediconi e G. Vaccaro alla sistemazione urbanistica del quartiere di Casalpalocco su incarico della Società generale immobiliare. Per la stessa società il L. realizzò con E. Pifferi e A. Ressa l'albergo Cavalieri Hilton sulla collina di Monte Mario, edificio duramente contestato per il suo impatto sia sul centro storico che sulla zona, di cui ha modificato i rapporti paesistici e le successive scelte urbanistiche.
L'operazione, al centro di un'aspra polemica portata avanti dal settimanale L'Espresso e dall'Istituto nazionale di urbanistica (M. Valori, I lavori per il Piano Regolatore di Roma. Quattro anni difficili, in Urbanistica, XXIX [1959], 28-29, pp. 140 s.), era iniziata fin dal 1954, quando la società Hilton aveva stipulato un accordo con l'Immobiliare per realizzare la costruzione di un albergo a Monte Mario in un'area destinata a prevalente verde pubblico, o edilizia estensiva, in cui era previsto un piazzale panoramico sul tipo del Gianicolo. La questione dibattuta anche in tribunale nel processo Espresso-Immobiliare, si concluse, tuttavia, con la costruzione di un enorme albergo (1960-63), 8 piani fuori terra e 3 interrati, il cui impatto è risultato "nella realtà ancora peggiore di quanto si poteva prevedere" (Insolera).
Negli ultimi anni della sua vita il L. costruì diverse ville, anche una per sé e sua moglie a Saturnia, nelle quali sembrò preferire soluzioni costruttive e formali della tradizione allo sperimentalismo che aveva caratterizzato la sua lunga attività professionale. Tra il 1969 e il 1976, infine, il L. si dedicò alla pittura, passando dai primi quadri figurativi a una produzione astratta in cui la natura sembra essere sempre la prima fonte di ispirazione. Schivo anche come pittore rimandò l'organizzazione di una mostra dei suoi quadri che si tenne postuma per volere della moglie nell'aprile del 1977 (Lucchese).
Il L. morì a Roma il 28 apr. 1976.
Fonti e Bibl.: L'archivio del L. è stato acquisito dall'Archivio dell'Accademia di San Luca. B. Di Gaddo, Opere di U. L., professionista romano, in L'Architettura: cronache e storia, II (1957), 15, pp. 638-643; Guida dell'architettura contemporanea in Roma, a cura di V. Bacigalupi - G. Boaga - B. Boni, Roma 1965, schede c6, c7, c8, e2, m27; I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica, Torino 1971, p. 215; R. Lucchese, U. L. (catal., galleria d'arte Trifalco), Roma 1977; U. L. architetto, a cura di F. Pierdomenico - M. Piersensini, Roma 1980; M. Manieri Elia, Il contributo di U. L., in Metamorfosi, 1990, n. 15, pp. 33-38; L. Ciancarelli, La palazzina romana degli anni Cinquanta. Tipi e miti, ibid., pp. 29-31; G. Muratore, Un maestro romano: U. L., in Rass. di architettura e urbanistica, XXX (1996), 89-90, pp. 110-115; P.O. Rossi, Roma. Guida all'architettura moderna 1909-2000, Roma-Bari 2000, ad indicem.