FLERES, Ugo
Nacque a Messina l'11 dic. 1857 dal procuratore legale Mariano e dalla baronessa Felicia Costagiorgiano, detta anche Felicita. Ultimo di otto figli, gli fu imposto il nome di Vincenzo.
Adolescente irruente e con innata passione per il disegno, dapprima fu indirizzato a studi di natura commerciale e frequentò l'istituto tecnico di Messina. Questa scelta, evidentemente condizionata e più vicina alla tradizione professionale familiare (lo zio, A. Fleres, fu docente di economia politica nella facoltà di giurisprudenza dell'università di Messina), non venne comunque considerata irrevocabile dal padre. Questi, infatti, resosi conto che il ragazzo, non ancora diciassettenne, mostrava una vocazione istintiva verso l'esperienza artistica, gli fece ottenere un assegno complessivo di 1.000 lire, emesso in due rate annuali dal Municipio di Messina, e favorì la sua partenza alla volta di Napoli nel 1874, insieme col giovane amico P. Vetri. Entrambi approdarono così allo studio del pittore D. Morelli.
Autodidatta per eccellenza, il F. preferì alle accademie il confronto concreto con gli ambienti che più ritenne idonei per l'arricchimento della propria sensibilità artistica, e i due anni trascorsi a Napoli rappresentarono la prima vera esperienza. Frequentando lo studio del Morelli, egli ebbe modo di conoscere le diverse tendenze della scuola figurativa napoletana di fine Ottocento. Al tempo stesso, l'iniziazione alla raffinata tecnica del suo maestro gli fece comprendere quanto fosse complessa la costituzione dell'espressione pittorica, tanto da dissuaderlo dall'intraprenderla seriamente.
Trascorso il periodo napoletano, il F. si trasferì a Roma; la città gli offiì grandi possibilità, oltre a un fertilissimo terreno di confronto tra l'antico e quanto di moderno si veniva attuando nelle arti. Così, per circa quattro anni, il F. spaziò tra lo studio e la sperimentazione di diverse fonne e discipline umanistiche. All'università seguì le lezioni di S. Cannizzaro, ma rimase sempre fedele al proprio convincimento di restare comunque un autodidatta. Non si laureò, ma studiò il greco, il latino, il francese e lo spagnolo, la storia della letteratura e dell'arte.
Oltre all'attività di studio, probabilmente in questi anni il F. mosse i primi passi nell'ambito della composizione letteraria.
Già avvezzo alla pratica del diario personale, nel genere delle "memorie", e ad un'intensa consuetudine epistolare, in questo periodo il F. redasse in un quaderno, forse posteriore ad alcuni poemetti già ideati, una novella intitolata Il cieco, datata in quelle pagine 2 sett. 1879.
Nel 1880, grazie all'amicizia con il poeta G.A. Costanzo, il F. s'inserì nella redazione del Capitan Fracassa e sviluppò subito una gran mole di articoli e cronache d'arte, a volte accompagnandoli con illustrazioni e bozzetti: una novità allora, su quel giornale espressa solo da "Gandolin", il direttore L.A. Vassallo. Ma furono solo del F. i disegni a matita o penna, preferendo l'altro la composizione ad acquerello. Inoltre il F. portò agli estremi il significato dell'uso degli pseudonimi tanto da operare rilevanti cambiamenti di stile secondo il nome prescelto. Questa la ragione per cui son sempre risultate ardue le raccolte e le compilazionì dei suoi lavori, tanto più che egli utilizzò moltissimi pseudonimi di cui i più noti furono: Ariel (di chiara ascendenza shakespeariana e utilizzato, com'è noto, anche da G. D'Annunzio), Caliban, Fantasio, Fortunio, Leo Fergus, Nano Misirizzi, Pifagna, Il Principe azzurro, Prospero, Revisore, Uriel.
Dal Capitan Fracassa la sua collaborazione si estese, nel corso degli anni, ad almeno una trentina di testate, tra giornali e riviste. Ma fu con la pubblicazione di Versi (Roma 1882) che il F. iniziò la vera e propria attività di scrittore, inaugurando così una produzione di opere che, pur a discapito di un'unitarietà formale, verrà trattenendo in sé la freschezza ingenua di un certo realismo narrativo, magico e provinciale. Consapevolmente costretto nella propria iniziale fase di formazione. il F. si cimentò in diversi generi letterari: dalla poesia al romanzo, dai racconti alle novelle, dai libretti d'opera alle tragedie. Apparvero dunque: le Profane istorie (Roma 1885), La serra (Parma 1886), Extollat (Torino 1887), Varie (ibid. 1887), Vortice (Catania 1887), La tazza del tè (Milano 1888), Sacellum (Catania 1889), La messa notturna (Roma 1899).
Questi furono solo alcuni degli scritti pubblicati, frutto dei molteplici tentativi di sperimentazione stilistica. Inevitabilmente certe scelte risultarono prevalenti, costituendo anche i pregi e i limiti dell'attività a venire; altre invece comparvero sporadiche, fino ad essere in seguito tralasciate. Su tutto resta evidente la grande attenzione che il F. pose nei riguardi delle origini della lingua italiana. Non a caso preferì la composizione della novella, genere precipuo per gli inizi della prosa trecentesca.
Contemporaneo ed amico di personalità appartenenti al decadentismo, al classicismo di stampo carducciano, al verismo zoliano, a quel frammentarismo che rappresentò uno degli esiti estremi della prosa del primo '900, il F. non aderì a nessuna di queste tendenze ma preferì un'evoluzione spiritualmente autoctona. D'altro canto, a pochi anni dall'inizio del nuovo secolo, poteva ormai definirsi giornalista vivace ed esperto, critico d'arte che non elaborava ex cathedra ma che preferiva condividere l'atmosfera dei laboratori di pittura, gli ambienti delle mostre e i luoghi d'incontro a via Margutta, nel cuore di Roma.
Nel 1892, grazie ai titoli ottenuti per l'intenso lavoro di recensore, il F. divenne viceispettore alle Belle Arti presso il ministero della Pubblica Istruzione e in questa veste produsse alcuni studi che, pubblicati per cura del ministero, apparvero nell'Annuario delle gallerie italiane: Disegni della Galleria Nazionale di Roma (1896), Macrino d'Alba (1897), Moretto da Brescia nel IV centenario della nascita (1899). In occasione della seconda (1897) e terza (1899) Biennale di Venezia ottenne il secondo e il primo premio di critica giornalistica, quali riconoscimenti per gli articoli pubblicati sulla Rivista d'Italia, come inviato del ministero: in ragione di ciò fu proposto per l'incarico di ispettore. Nel 1903ebbe la nomina ad ispettore di prima classe, mentre, già dal 1899, aveva cominciato ad insegnare: dal 1900, come professore di storia dell'arte al pensionato artistico, incarico che conserverà fino al 1903, per poi passare all'Istituto superiore femminile di magistero di Roma e rimanervi per ben 23anni, molti dei quali trascorsi tra colleghi illustri quali A. Costanzo, R. Giovagnoli, G. Mantica, M. Rovena e L. Pirandello.
Quest'ultimo condivise intimamente con il F. l'esperienza romana; siciliani entrambi, componenti di primo piano del cenacolo letterario che si teneva in casa del F., sul lungotevere Mellini, insieme al Mantica furono fondatori della rivista Ariel, periodico settimanale che durò dal 18 dic. 1897 al 5 giugno 1898. Il F. si dimostrò molto attivo per l'elaborazione delle scelte intraprese su queste pagine: rifiuto del decadentismo dannunziano e del naturalismo francese, attuazione di una letteratura sincera e trasparente che, come indicò Pirandello, doveva edificarsi sulle contraddizioni del reale, senza bisogno di orpelli estetici artificiosamente sublimi.
Alla morte del pittore romano F. Jacovacci, nel dicembre 1908 il F. venne chiamato a dirigere la Galleria d'arte moderna. Nello stesso periodo apprese della scomparsa dei suoi cari nel terremoto di Messina.
La Sicilia fu oggetto di diversi suoi scritti (ad es. il romanzo Fata Morgana [Roma 1928]) in cui utilizzò talvolta anche il dialetto messinese; sul piano pratico, con scritti e richieste d'intervento, il F. incoraggiò gli aiuti volti alla ricostruzione della città, mentre la notorietà del suo impegno continuò a tributargli nuove cariche e responsabilità. Divenne membro del Consiglio superiore delle Belle Arti, socio della R. Accademia di S. Luca e di quella Peloritana e direttore di Roma, Rassegna illustrata dell'esposizione del 1911, pubblicata negli anni 1910-1912, in occasione del cinquantenario dell'Unità italiana. Ma soprattutto fu autore di Roma nel 1911. Guida ufficiale storico-artistica della città (Roma 1919), ultima moderna pubblicazione che fotografò la capitale prima degli interventi urbanistici attuati dal regime fascista.
Intanto, il 25 luglio 1911, il F. aveva avviato un curioso quanto prolisso procedimento burocratico per ottenere il cambiamento del proprio nome di battesimo in Ugo, che ottenne a distanza di quattro anni. Di fatto egli usava ormai da tempo tale nome.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale il F. ebbe l'incarico di dirigere il Museo antiquario di Castel Sant'Angelo, ove furono inviati oggetti d'arte di ogni genere perché fossero sottratti ai rischi della guerra. Tornato alla direzione della Galleria d'arte moderna di Roma alla fine del conflitto, il F. proseguì l'attività di scrittore, critico d'arte e articolista.
La collaborazione con quotidiani e riviste fu sempre più larga e attiva, libera da schemi pregiudiziali e ricettiva alle nuove forze in campo, da Il Messaggero a Vita e pensiero, dalla Rassegna d'arte antica e moderna al Popolo di Sicilia. Redasse poi un'interessante raccolta di novelle, intitolata A briglia sciolta (Milano 1923), e diversi volumi sull'arte contemporanea - tra cui Ettore Ximenes, sua vita e sue opere (Bergamo 1928) e La Galleria nazionale d'arte moderna in Roma (Roma 1932) -, in cui riversò tutta l'esperienza acquisita attraverso la propria professione e che, certamente, testimoniarono la cifra complessiva della sensibilità critica raggiunta. A queste pubblicazioni fece seguito Italia e Mediterraneo nell'Eneide (Roma 1941), opera postuma in cui gli elementi narrativi e il sentimento di origini siciliane diedero luogo ad un dolce dissertare sul testo virgiliano. Il F., inoltre, sottolineò la propria passione verso il mondo classico con alcune traduzioni di opere latine: di Catullo I carmi (Milano 1927) e di Vitruvio il Trattato dell'architettura (Milano 1933). Per il bimillenario virgiliano nel 1930 vinse il premio della Reale Accademia d'Italia grazie alla composizione Inno a Virgilio.
Il 16 luglio 1933 il F. passò le consegne della direzione della Galleria d'arte moderna a R. Papini. Continuò il proprio lavoro tra le mura domestiche e, fino all'ultimo, rimase fedele al vulcanico fervore compositivo che lo contraddistinse.
Complessivamente la sua opera risentì dell'intenso carico propositivo disperso nelle più varie iniziative. L'intensa amicizia con Pirandello, e la fortuna di aver vissuto il travaglio degli anni a cavallo tra '800 e '900 sortirono in lui effetti contrastanti: da una parte l'evidente maturazione conseguita, dall'altra la grande mole delle attività intraprese e forse non abbastanza sviscerate nelle loro reali potenzialità espressive.
Il F. morì a Roma nella notte tra il 28 e il 29 dic. 1939.
Fonti e Bibl.: Non è stato ancora possibile redigere una bibliografia completa delle pubblicazioni del F. che furono innumerevoli e sovente occultate sotto diversi pseudonimi. Fonte essenziale è il fondo della Bibl. naz. di Roma, alla collocazione A. R. C. 10, donato nel 1974 dalla figlia, Diana d'Onghia Fleres. Necr. in Il Messaggero, 30 e 31 dic. 1939; ampia biografia e bibliogr. si trova in: G.E. Calapaj, U. F. (estratto dagli Atti della Reale Accademia Peloritana), Messina 1941 (alle pp. 23-41 elenco delle opere del F. e ulteriore bibliogr.); si veda inoltre: L. Capuana, Libri e teatro, Catania 1892, pp. 131-140; C. Pellizzi, Le lettere ital. del nostro secolo, Milano 1929, p. 153; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, Bari 1940, VI, pp. 153 ss.; T. Gnoli, Un cenacolo letterario: F., Pirandello e compagni, in Leonardo, VI (1935), pp. 103-107; G. Costa, Ricordi di U. F., in La Scuola nazionale fascista, X (1940), I, pp. 8 s.; E. Altavilla, Un maestro: U. F., in Gazzetta, 21 febbr. 1940; A. Barbina, Ariel: storia di una rivista pirandelliana, Roma 1984, passim.