FASOLO, Ugo
Nato a Belluno, il 27 dic. 1905 da Umberto e da Rosa De Salvador, a vent'anni si trasferì a Firenze, ove terminò gli studi laureandosi in scienze naturali e intraprendendo una brillante carriera tecnico-industriale che mai abbandonerà.
Nel '27 pubblicò su una rivista i suoi primi versi, e venne a contatto con il gruppo del Frontespizio, la fiorentina rivista cattolica in cui, pur nel quadro di un'ideologia letteraria che prediligeva i grandi temi dell'esistenza, si opponevano sempre più chiaramente la linea tradizionalistica, toscana e strapaesana di D. Giuliotti, G. Papini, A. Soffici e G. Manacorda, e le spinte universalistiche ed antiprovinciali di C. Betocchi e del giovane C. Bo. In questo contesto, nella consentaneità ad una disposizione religiosa (Pomilio) più che nell'adesione programmatica, apparvero I giorni terrestri (Genova 1936), nei cui versi si ravvisava immediatamente quella centrale ambizione "di elevare il fatto del tempo a coscienza d'eterno" (Betocchi, Prefazione).
Una poesia lontana da "modalità idilliche e descrittive" con una decisa accentuazione delle tensioni esistenziali (Barberi-Squarotti), nel segno di una "metamorfosi assoluta tra forma poetica e forma spirituale" (Betocchi, 1950): non senza, però, qualche vaghezza ed incertezza di termini dovuta a quella violenta ingerenza dell'assoluto nell'effimero, col rischio di restare soffocata in virtù "della forza e dell'altezza della sua ispirazione" (Bo).
Nel '40 dette alle stampe La sorte pura (Firenze), una raccolta di ventuno poesie, sette delle quali erano riprese, con varianti, dalla precedente, mentre le restanti saranno tutte rielaborate nelle sillogi successive: a segnare una tenace opera di riscrittura che si manterrà costante.
Si tratta di liriche non esenti da un certo gusto per l'espressione ellittica e per l'ambiguità semantica, con qualche concessione alla poetica dell'analogia, ma difficilmente riducibili ai modi della coeva esperienza ermetica (Pomilio, Barberi-Squarotti). Sempre in primo piano un vivissimo senso della spiritualità di contro ad "una fisicità che non riesce ad essere esattamente compresa e classificata" (Barberi-Squarotti).Nel '48 il F. affrontava il giudizio critico con Poesie (Firenze), in cui confluirono tutti i versi già editi, più alcuni inediti o pubblicati solo su riviste, insieme ai sette componimenti di Viene a noi il cielo della sera (Vicenza 1946), incentrati sugli eventi bellici dell'invasione e dell'odio fratricida.
Ci si rivelava una poesia ormai priva di quegli eccessi di luce che, in passato, compromettevano l'equilibrio generale, una poesia nella quale le proprie ragioni spirituali non erano più "reclamate" ma intimamente possedute (Bo): entro forme placate "in cui la frase conta più della parola, il discorso più dell'immagine" (Pomilio), in una dimensione che prediligeva il colloquio, la testimonianza orale, la parenesi liberatrice (Frattini, 1978).
Nel '50, trasferitosi a Venezia, curò la prima antologia dei Nuovi poeti (Firenze), con singole presentazioni critiche, cui seguì alcuni anni dopo la seconda (Firenze 1958), ad impegnare un sicuro talento esegetico ravvisabile anche nella monografia dedicata all'artista Ardengo Soffici (ibid. 1950) e nelle traduzioni dell'Album dei versi antichi di P. Valéry (ibid. 1947) e de La Passione di Ch. Péguy (ibid. 1951). Sempre nel '50 dava alle stampe Accettazione della notte (Firenze), che raccoglieva tre poemetti: quello del '46 già pubblicato in Poesie, una meditazione sulla tragedia della guerra e sulle difficoltà della ricostruzione che dava il titolo al volume ed una riflessione sull'ultima notte dell'anno (La notte dell'anno).
Il libro si apriva, quasi a dichiarazione di poetica, con una lettera del F. al Betocchi, il fautore del ritorno al canto come consolazione, nella quale si manifestava il proposito di accertare "dentro la notte" contemporanea "la presenza del divino che non annulli l'uomo". Tale "tensione escatologica" spingeva il F. ad una poesia "come sermone" (Anceschi), di "accesa eloquenza" (Frattini, 1978), con un conseguente mutamento stilistico, nel recupero dell'endecasillabo, luogo privilegiato di "una meditazione vigilata" (Pomilio).
Nel '57 pubblicò in silloge L'isola assediata (Vicenza), in cui, con toni di risentita moralità, dette avvio alla riflessione, d'ora innanzi incessante, su una civiltà che idolatrava macchine sempre più complesse e micidiali. Nel '63, insieme con Elegia per Attilio (ibid.), dedicata ad un amico alpinista morto nel corso di una discesa nel gruppo di Lavaredo, apparvero le Poesie brevi d'amore (Milano), scritte per la donna amata, nelle quali, tuttavia, mai era dismesso un impegno di ricerca esistenziale e religiosa. Due anni dopo, in dura polemica con le neoavanguardie poetiche ed i loro fini di distruzione, dette alle stampe Il Malumore (Vicenza) con cui vinse il premio Bergamo, in una lingua monologante, veloce e franta, che, "per gusto demistificatorio", si serviva di "schemi e moduli espressivi avversati" (Frattini, 1978).
Ma, nel '69, con Frammenti d'un ordine (Milano), libro vincitore del premio nazionale Sebeto di Napoli, il F. tornò ai temi suoi più congeniali. Si trattava di cinquantanove liriche nella misura del "diario d'anima" (Barberi-Squarotti), in cui il poeta, benché fermo nelle sue certezze e speranze, e volto sempre ad una ricerca dell'ordine e della chiarezza mentale, si rivelava "più esposto, più ansioso, più turbato", nel procedere degli anni, di fronte agli interrogativi della storia (Pomilio). Nel '71 dette alle stampe i quattordici poemetti in prosa di Lungo l'eclittica (Padova), in uno stile limpido e riposato che "nell'interazione tra gusto gnomico e lettura poetica di realtà familiari richiamava all'alto modello leopardiano" (Frattini, 1978). Nel '75 appariva la raccolta Sole luna anni (Pisa), mentre l'anno dopo, a conferma di una passione critica sempre viva, pubblicava a Vicenza la monografia Corrado Balest.
Ancora nel '76 dava alle stampe a Milano Le varianti e l'invariante, che vinceva, l'anno seguente, il premio nazionale Gabicce-De Benedetti.
Nel titolo fissava in modo emblematico il senso di tutto il suo lavoro: la ricerca di un principio trascendente nel flusso incessante dell'esperienza vissuta, in modo da segnare, di contro alle varianti della storia, "le invarianti esistenziali del suo essere uomo" (Sgorlon). La dimensione di tali versi era quella del colloquio di anime, in una trama di assoluta purezza e candore, nel quadro di una visione fondata sull'"unione di verità e letteratura" (Barberi Squarotti).
Lo stesso anno la vita del F. era segnata da un evento tragico, la morte del figlio Sebastiano, poco più che ventenne, in un incidente stradale: gli dedicava i componimenti di Anno 1976 inclusi nella raccolta I graffi sulla pietra (Milano 1981). La poesia dei F. era ormai dominata da una straziata ed ansiosa interrogazione sulle ragioni del vivere, in un'atmosfera "foscamente notturna" (Pento, 1983), nella quale prendeva nuovo vigore la polemica contro la civiltà tecnologico-capitalistica.
La raccolta però era destinata ad uscire postuma: il F. aveva corretto le bozze da pochi giorni quando, il 19 ott. 1980, trovò la morte in un incidente automobilistico presso Vicenza. Aveva da poco pubblicato una monografia sul dilettissimo Tiziano (Firenze 1980).
Per un elenco completo delle opere del F. cfr. Notizia, in Le varianti e l'invariante, cit., pp. 31 s., e in I graffi sulla pietra, cit., pp. 87 s., correggendo però le date di pubblicazione con quelle da noi indicate.
Bibl.: C. Betocchi, Prefaz. a I giorni terrestri, cit.; C. Bo, Introd. a Poesie, cit.; C. Betocchi, in Sicilia del Popolo, 5 luglio 1950; V. Volpini, Introd. a Antologia della poesia religiosa italiana contemporanea, Firenze 1952, pp. 32 ss.; L. Anceschi, ibid., pp. 249 ss.; E. Falqui, F. e la poesia italiana odierna, in Id., Novecento letterario, IX, Firenze 1968, pp. 333-337; M. Pomilio, Introd. a Frammenti di un ordine, cit.; R. Papò, La poesia di U. F. (con la risposta del F. e due liriche inedite), Pordenone 1971; A. Frattini, F. controcorrente, in Fuoco, XIX (1971), 3, pp. 14 s.; G. Occhipinti, U. F.: poesia come itinerario dello spirito, in Cronorama, II (1974), 5, pp. 12-19; G. Barberi-Squarotti, Introd. a Le varianti e l'invariante, cit.; G. Nogara, in Avvenire, 26 giugno 1976; B. Pento, Da F. a Cimatti, in Il Ragguaglio librario, XLIII (1976), 10, pp. 330 s.; C. Sgorlon, Le tre parole di U. F., in Nuova Antologia, giugno-luglio-agosto 1977, pp. 74-80; A. Frattini, Bilancio per la poesia di F., in Libri e riviste d'Italia, XXX (1978), pp. 411-415; C. Toscani, F. e Pento: poesia in terra veneta, in Uomini e libri, XVII (1981), 82, p. 46; F. Mazzariol, Due poeti veneti: U. F. e B. Rebellato, in Humanitas, n. s., XXXVI (1981), 3, pp. 419-424; B. Pento, La poesia ultima di F., in Il Ragguaglio librario, L (1983), 6-7, pp. 219 s. (con lettere inedite di U. F. a I. Scaramucci).