DELLA STUFA, Ugo (Lotteringhi, de' Lotteringhi)
Nacque a Firenze da messer Lotto (o Lotteringo) di Cambio. Sua madre non era Vianese di Casino de' Monaldi, come indicano invece tutte le genealogie. Infatti Vianese fu la seconda moglie del padre; il matrimonio avvenne nel 1302, mentre già nel 1319 il D. viene indicato come "ser" in un atto notarile.
Nei documenti il D. è ricordato di solito come Ugo de' Lotteringhi, e solo raramente con il cognome, di derivazione toponomastica, "de la Stufa", che si affermerà, però, nella cognomizzazione dei suoi discendenti. Ci sfugge il suo corso di studi; ignoriamo anche la data della sua immatricolazione nell'arte dei giudici e notai, per la perdita della documentazione relativa al periodo: si può soltanto costatare, come detto, il titolo di "ser" attribuitogli in un documento relativo a un acquisto di beni, eseguito coi fratelli, nel giugno del 1319. È certo, ad ogni modo, che seguì un regolare corso di studi, giungendo ad addottorarsi in legge, perché in documenti posteriori è definito "iuris peritus".
Da considerare come poco probabile l'identificazione con quell'Ugo di Lotto, che prese gli ordini minori nel 1309, indicata in una memoria più tarda della casa, soprattutto per l'omonimia ricorrente nei componenti della famiglia. Da escludere del tutto è invece la possibilità che sia esistito un altro Ugo di Lotteringo giudice, a lui contemporaneo, date le prove inconsistenti e facilmente smontabili prodotte a questo proposito dal padre Ildefonso di S. Luigi nei suoi monumenti genealogici (Delizie degli eruditi toscani); perciò si possono tranquillamente attribuire ad un solo individuo tutte le notizie documentarie che potevano richiedere difficili tentativi di attribuzione.
Il D. emerge dai ricordi familiari come un giudice assai considerato, i cui consigli furono spesso usati a Firenze. L'unica notizia di una sua attività professionale testimoniata dalle fonti documentarie rimane, tuttavia, quella di una causa vinta a favore della badia di Settimo, grazie alla quale la badia acquisì una notevole quantità di beni, ma non ci è concesso sapere la relativa datazione.
Il D. sposò nel 1326 Mandina di Giovenco di Averardo de' Medici, ricevendo una dote di 400 fiorini; tale matrimonio rivela dunque, come quello del padre, il prestigio della sua famiglia. Due anni dopo il matrimonio si aprì comunque l'intenso capitolo della sua partecipazione alle cariche pubbliche del Comune. Nel 1328 fu inviato in missione a Genova, quale sindaco di Firenze con Niccolò Guicciardini, per comporre la vertenza provocata dall'atto di rappresaglia contro i mercanti fiorentini, posto in atto dai creditori locali della fallita compagnia degli Scali.
Nello stesso anno salì al suo primo priorato delle arti, proprio negli ultimi mesi della signoria di Carlo d'Angiò duca di Calabria. In questa carica fu probabilmente uno dei primi a conoscere la notizia della morte di Castruccio Castracani, signore di Pisa e nemico irriducibile dei Fiorentini, che combatteva da anni in una difficile e incerta guerra. Dopo aver ricoperto cariche minori tra i Consigli dei buonomini (1329) e i gonfalonieri delle arti (1330), nel 1331 fu incaricato nuovamente di una ambasceria che lo portò dapprima a Pistoia ad appianare le controversie sorte tra le principali famiglie locali; fu inviato quindi a Colle Val d'Elsa, che si era posta sotto il dominio di Firenze, ed in altre località della val di Nievole.
Fu estratto priore alla fine di quello stesso anno, proprio quando le terre degli Ubaldini venivano sottomesse alla giurisdizione comunale. Dopo qualche periodo di apparente inattività in cui il suo nome non compare tra le persone che ricopersero i maggiori uffici pubblici, nel 1335 fu scelto come legato del Comune con Naddo Rucellai per i fatti di Romagna, dove la potente famiglia degli Ordelaffi si stava espandendo a danno dei domini papali; sembra che finalmente si riuscisse a costituire dei patti fra i due contendenti. L'ascesa al suo terzo priorato coincise con l'inizio della guerra più dispendiosa che fosse stata fino ad allora intrapresa dai Fiorentini: quella combattuta, a fianco di Venezia, contro i Della Scala, la casata che aveva costituito intorno a Verona una delle più potenti signorie italiane.
II, D. fece dunque parte della Signoria nei mesi in cui si organizzavano le prime campagne - militari contro Pisani e Lucchesi, alleati di Mastino Della Scala, e si ottenevanoi primi successi sul campo. Durante questa guerra gli fu affidata una difficile ambasceria indirizzata a Perugia: doveva fornire assicurazioni ai locali circoli dirigenti allarmati per l'entrata di Arezzo nell'ambito dei domini fiorentini (1337); l'avvenimento sconvolgeva le mire perugine e l'assetto politico territoriale dell'Italia centrale. Il D., con gli altri delegati fiorentini, riuscì a risolvere la vertenza concedendo ai Perugini alcuni privilegi e rappresentanze in Arezzo e nel suo contado. Il D. tornò a Perugia quattro anni dopo ancora nella sua solita veste di diplomatico: lo accompagnavano rappresentanti di prestigiose casate magnatizie come gli Adimari e i Bardi. Questa volta il contesto politico era diverso dal precedente, dato che si chiedeva l'aiuto del Comune perugino - in un ampio cerchio di alleanze - contro i Pisani che contendevano ai Fiorentini il possesso di Lucca. Nel corso di questo conflitto, altamente costoso per le finanze pubbliche, il D. rivestì per l'ultima volta la carica di priore nei primi mesi del 1342.
I successivi quattro anni furono per lui ugualmente densi di ragguardevoli incarichi nelle relazioni estere di Firenze e negli avvenimenti interni. Nel settembre del 1342 fu presente nella piazza dei Priori, in qualità di testimone, all'atto pubblico in cui si concedeva a Gualtieri di Brienne, duca d'Atene, la signoria della città: nel documento relativo, infatti, egli viene ricordato come "sapienti et discreto viro D. Ugone de Lotteringhis iurisperito", accanto a Baglione Baglioni da Perugia, podestà, a Tuccio Guicciardini e Lippo Cattani. In questo momento di rivolgimento politico il ruolo svolto dal D. sembra essere stato piuttosto quello tecnico del dottore di leggi, che non l'altro di simpatizzante del regime signorile; all'indomani della cacciata del duca, infatti, egli fu uno dei protagonisti della lotta armata condotta dal popolo grasso contro i grandi, principali sostenitori dell'avvento e del regime di Gualtieri di Brienne.
Negli anni 1343 e 1344 la sua abilità diplomatica lo portò attraverso la Toscana e le Romagne, tra San Miniato, Bologna e Ferrara. L'ultima ambasceria che amministrò a nome del Comune fiorentino fu forse la più prestigiosa e una delle più complesse dal punto di vista politico, dovendo tener conto di un intreccio di rapporti fra potere laico, autorità ecclesiastica e interessi economici. Meta della missione fu la corte del papa Clemente VI ad Avignone; scopo, l'allontanamento da Firenze dell'inquisitore dell'eretica pravità, che aveva abusato dei propri poteri, facendo arrestare, per insolvenza nei confronti di un cardinale spagnolo, un socio dei falliti Acciaiuoli e lanciando l'interdetto contro la città. La trattativa terminò con soddisfazione del Comune e del prelato, creditore degli Acciaiuoli.
Accanto a quella di uomo politico, il D. svolse anche un'intensa attività economica, di cui siamo in grado di valutare, grazie alla documentazione pervenutaci, soprattutto la costituzione del patrimonio fondiario, benché vi siano prove che questo non fosse l'unico settore da lui praticato. Comune a molti esponenti dei ceti mercantili e professionali di Firenze, e dai molteplici significati, l'acquisto di terre risulta infatti più documentato di altri investimenti: la testimonianza, ad esempio, di depositi esterni nelle compagnie, oppure di acquisti in un mercato del debito pubblico in pieno sviluppo è raramente giunta sino a noi, per il periodo precedente la metà del Trecento. La memoria notarile ci ha tramandato informazioni essenzialmente su contratti di compere immobiliari, lodi e mutui accesi con privati dal D., cui doverosamente dovremo attenerci. Non conosciamo l'entità dell'eredità paterna, comunque già nel 1307 i tutori del D. e dei suoi due fratelli acquisirono beni a loro nome nei pressi di Sesto Fiorentino. Maggiorenni, i figli di Lotto comprarono sempre collettivamente, nel 1319, case per 410 fiorini, estendendo le loro precedenti proprietà nel popolo di S. Lorenzo.
Dal 1320 al 1323 il D. concentrò gli acquisti fondiari personali nel Comune di Vico. Più tardi i suoi interessi fondiari si spostarono a Bivigliano, dove si trovavano i possessi ereditari della sua famiglia. Nell'ambito di questa attività di investimenti fondiari spicca, per consistenza, un mutuo di 800 fiorini chiesto nel 1339 ad un certo Duccio di Banchello del Buono, la cui finalità purtroppo non ci è chiara, ma che indica il notevole flusso di denaro passato per le mani del D., ed il contatto che egli ebbe con il mondo dei prestatori fiorentini.
Il D. morì durante la peste del 1348, e non in decrepita età come si narra nelle biografie. Lo apprendiamo da un registro del Monte comune datato 1350, relativa alla successione ereditaria della quota di debito pubblico "domini Ugonis domini Lotteringhi", concessa a Giovenco suo erede e attore "domine Mandine vidue", per la tutela ereditaria rogata da ser Piero Lapi il 6 luglio 1348.
Dei sei figli del D. Giovenco risulta capofamiglia nei ruoli fiscali del 1351, mentre più tardi un altro nucleo fu costituito da Andrea, ma ambedue risultano tassati per cifre non rilevanti nelle prestanze comunali.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplom., Casa Stufa, 1303 genn. 28; Diplom., Bigallo, 1319 giugno 20, 1328 maggio 16, 1336 ag. 8, 1339 febbr. 5, 1341 ag. 8, 1342 nov. 11; Diplom. Riformagioni, Atti pubblici, 1346 apr. 4; Ibid., Capitoli V, cc. 150rv; Ibid., Monte comune 2835; Ibid., Manoscritti 250: Priorista Mariani III, c. 577; Firenze, Bibl. nazionale, Poligrafo Gargani 1958-1959; Ibid., Carte Passerini 8, c. 51; Cronica fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani, in Rer. Ital. Script. 2 ed., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, rubr. 45, 478, 526, 544, 629; G. Villani, Cronica, a cura di F. Dragomanni, Firenze 1845-47, l. XII, capp. 21, 5 8; D. M. Manni, Osserv. istoriche sopra i sigilli antichi, XX, Firenze 1746, pp. 3 ss.; Delizie degli eruditi toscani, X (1778), pp. 343 s., 399; XII (1779), pp. 92, 122, 134, 141, 153, 190, 194, 204, 206, 222, 241; XIII (1780), pp. 8, 13, 121; XV (1781), p. 271; Delle eccellenze e grandezze della nazione fiorentina, Firenze 1780, p. 123.