CONTI SINIBALDI, Ugo
Nacque a Bologna il 4 dic. 1864 da Ercole e da Luisa Fausti, da una famiglia aristocratica; compì gli studi a Bologna laureandosi in giurisprudenza nel luglio 1886 con una tesi, parzialmente stampata a Bologna lo stesso anno, Intorno alle nuove dottrine in diritto penale con particolare riguardo alla pena di morte. In essa si soffermava ad esaminare, peraltro in modo non sempre esauriente né criticamente originale, i vari indirizzi della penalistica e si dichiarava in favore sia delle tendenze totalmente abolizioniste, sia, più in generale, della cosiddetta "terza scuola" del diritto penale., intermedia tra la classica e la positiva. Era allievo infatti di Luigi Lucchini, uno dei penalisti italiani più influenti e più conservatori di fine Ottocento, e di lui seguì l'orientamento eclettico, condividendone in larga parte le propensioni ideologiche (collaborò successivamente con lui alla direzione della Rivista penale) ed affidandogli le proprie sorti nella carriera universitaria, cui dedicò ogni energia, risolvendo la propria personalità per intero nella dimensione accademica, nelle sue regole e nei suoi riti.
Nel 1889 si pose in luce con un lavoro su La recidiva e il progetto Zanardelli, premiato dall'Accademia delle scienze di Modena e pubblicato tra le sue Memorie, nel quale, assieme ad un tentativo più o meno riuscito di definire sul piano tecnico-dogmatico un istituto ancora controverso, per mezzo di analisi e comparazioni della legislazione e dottrina di diversi paesi, affrontava già per accenni alcuni temi sui quali negli anni a venire dovevano concentrarsi i suoi principali interessi di studioso: il fenomeno della delinquenza abituale, della delinquenza minorile, della situazione carceraria, dell'incertezza e mitezza - a suo dire - del sistema penale italiano, infine dei provvedimenti amministrativi accessori alle pene, riuniti in lavori più tardi sotto il concetto giuridico dei "complementi di pena".
Erano i temi che l'affermarsi nella criminalistica degli indirizzi sociologici ed antropologici ponevano con maggiore urgenza: infatti, una volta che il problema teorico del diritto di punire e le soluzioni empiriche che ne discendevano non trovavano più un criterio di orientamento nella considerazione oggettiva del reato, ma nella valutazione del soggetto agente e dei suoi condizionamenti, diventavano incerti interi campi della repressione penale e tanto più bisognosi di nuove soluzioni tecnico-giuridiche quanto più sfuggente si presentava la possibilità di definire in modo netto le responsabilità individuali nei comportamenti delittuosi. La questione della "imputabilità", che già di per sé rinviava ai più antichi e intricati dibattiti sui fondamenti della giustizia penale, acquistava così un'attualità tutta nuova e pressante.
Ad essa il C. dedicò nel 1890 una monografia (Della imputabilità e delle cause che la escludono o la diminuiscono), accolta nel Completo trattato teorico e pratico di diritto penale secondo il Codice unico del Regno d'Italia, che si stampava a Milano per le cure di P. Cogliolo. Le discussioni filosofiche più spinose, come quella sul libero arbitrio, venivano deliberatamente trascurate a vantaggio di un metodo empirico-positivo, che si definiva "strettamente giuridico" e che consisteva soprattutto in un'esegesi e un'analisi accurata degli articoli del codice e dei relativi progetti, proposte delle commissioni relazioni ministeriali, legislazioni straniere.
L'anno successivo il C. conseguì la libera docenza in diritto e procedura penale a Bologna, subentrando come supplente per il 1891-92 a L. Lucchini sulla cattedra e nella direzione della Scuola pratica criminale.
La sua produzione scientifica s'infittì in seguito, accompagnando di pari passo i progressi nella carriera universitaria, ma investendo anche, con puntuale attenzione, le riforme legislative e amministrative che si compivano in materia penale. Del 1894, ad esempio, è lo studio, edito a Milano, su Ilproblema dei riformatori, molto dibattuto dappertutto in quegli anni, sia sul piano scientifico sia sul piano pratico e operativo, al fine di definire ed organizzare in concreto quell'"universo carcerario" che tutte le concezioni ottocentesche della repressione penale prospettavano.
L'opera, già preceduta da altri lavori sulla delinquenza minorile, doveva proporre il suo autore come uno dei maggiori esperti italiani, apprezzato anche in campo internazionale, dei problemi dell'infanzia dal punto di vista criminalistico e dei sistemi penitenziari. In virtù di questa competenza, ribadita nel corso dei tempo con articoli e conferenze in diverse sedi, il C. rappresentò regolarmente l'Italia, a partire dal 1905, nei congressi penitenziari internazionali, fu delegato italiano presso la Commissione internazionale penitenziaria di Berna e presso l'analoga commissione della Società delle nazioni; fece parte infine, in Italia, di numerose commissioni per la riforma penitenziaria e per la protezione dell'infanzia.
Nel 1899 ottenne la cattedra di diritto penale presso l'università di Cagliari. Professore ordinario nel luglio 1902, Si trasferì successivamente nelle università di Messina, Modena, Siena e infine Pisa che abbandonò col pensionamento nel 1934. Tra il 1908 ed il 1910 insegnò istituzioni di diritto penale internazionale e coloniale presso il R. Istituto di studi coloniali e commerciali di Roma, pubblicando, sempre a Roma nel 1910, un Saggio del programma di un corso di diritto penale coloniale, che rispecchiava il contenuto dei corsi ed esprimeva una chiara propensione nazionalistica per le tendenze espansionistiche del nuovo Stato unitario.
Sul piano politico, infatti, seguendo un itinerario per nulla insolito tra gli intellettuali italiani del primo Novecento, passo via via da un'iniziale adesione, non priva di spiriti democratici, al partito radicale (parlò nel giugno 1907 Delle riforme alla legislazione penale al congresso nazionale del partito), ad un acceso interventismo (partì volontario nel 1915), ad un'opera di fiancheggiamento esplicito del fascismo, ben visibile nell'orientamento seguito. alla direzione della Rivista penale e nella partecipazione a varie commissioni legislative del regime, che lo nominò senatore alla fine del 1934.
Morì a Roma il 3 nov. 1942.
Tra i suoi allievi fu ricordato, oltre che per le opere di commento al codice penale e di procedura, per la monografia su La pena e il sistema penale, pubblicata nel 1910 come quarto volume della Enciclopedia del diritto italiano curata da E. Pessina, per una serie di articoli, comparsi a Cagliari tra il 1911 ed il 1916, sul Diritto penale e suoi limiti naturali, per i numerosi contributi sulla teoria del movente, le riforme penitenziarie, le misure preventive e di sicurezza, la delinquenza giovanile, e soprattutto per il suo ruolo nel precisare le caratteristiche di una dottrina penalistica, che egli stesso aveva riassunto nel 1925, descrivendo L'indirizzo giuridico attraverso cinquant'anni di "Rivista Penale" (in Per il cinquantenario della Rivista penale, Città di Castello, pp. 541-566).
Fonti e Bibl.: Necrol. in La Nuova Antologia, 1° dic. 1942, p. 221; G. Sabatini, U. C., in Scritti in on. del prof. U. C., Città di Castello 1932, pp. 15-22; Elenchi storici e statistici del Senato (1848-1937), Roma 1938, p. 84.