CAMERARIO, Ugo
Iniziò la sua carriera politica come console di giustizia di Milano, nel 1183, anno in cui intervenne in tale veste a una sentenza del giudice Eriprando in favore di Arderico Menclozzi in lite con parenti.
L'Argelati, nella sua Bibliotheca script. Mediolanensium (I, 2, col. 266), afferma, riprendendo una notizia dello storico milanese Fiamma, che il C. fu console del Comune di Milano nel 1172, tale ipotesi è stata negata in modo netto dal Manaresi (Atti del Com. di Milano, p. 544), il quale sostenne che l'anno in questione è certamente il 1192. Oggi si è propensi a ritenere più attendibile l'attribuzione del Manaresi, anche perché il C. nel 1183, anno in cui fu console di Giustizia per la prima volta, secondo la documentazione in nostro possesso, doveva essere molto giovane. Infatti non fu assolutamente presente, come delegato del Comune, alle trattative di pace con l'imperatore Federico Barbarossa, mentre in seguito svolse in modo proficuo e costante l'attività diplomatica.
Nel 1185 il C. ricoprì per la prima volta la carica di console del Comune e il 27 gennaio fua Piacenza, incaricato di affiancare il rettore di Milano presso la lega lombarda, Pietro Visconti, nel giuramento che le città della pianura padana si erano impegnate ad effettuare per rispettare le concessioni ottenute nell'atto della pace di Costanza. L'11 febbraio dello stesso anno giurò con i suoi colleghi una convenzione con l'imperatore Federico I, che trasferiva ai Milanesi le regalie sin'allora esercitate dall'Impero nel territorio dell'archidiocesi di Milano e nei contadi del Seprio, della Martesana, della Bulgaria, di Lecco e di Stazzona, a patto che i cittadini pagassero al fisco imperiale 300 libbre annue di buona moneta.
Le particolari doti di diplomatico e la rilevante importanza politica raggiunta all'interno della città permisero al C. di essere presente, pur non ricoprendo cariche amministrative, l'8 giugno 1186, insieme col podestà e con alcuni notabili politici milanesi, al campo di Federico I. Ivi i Cremonesi, dopo aver concesso all'imperatore i castelli di Guastalla, Luzzara e Crema, giurarono la pace con i Cremaschi, i Milanesi e i Piacentini. Due anni più tardi, il 13 nov. 1188, in qualità di sapiente del Consiglio di credenza, accompagnò a Vercelli il rettore milanese della lega, Amizo Bonaldo, per accordare tra di loro i Comuni di Vercelli e di Novara, in lotta per il possesso dei territori dei conti di Biandrate.
Nel 1191 fu ancora presente a Milano a un atto dell'imperatore Enrico VI, relativo alla lite tra la badessa del monastero di S. Vittore di Meda e gli uomini di Barlassina.
Queste presenze indicano senza dubbio la cresciuta importanza politica del C., che doveva certamente rappresentare in seno al consolato milanese una ben precisa categoria di cittadini, a noi non nota, ma presumibilmente da identificarsi con quella dei cives, tenuto conto della totale assenza di rapporti economico-sociali con le classi feudali.
Nel 1192 dovette essere di nuovo console del Comune, ma non possediamo alcuna menzione diretta della sua attività. La sua specifica competenza nelle questioni relative a Cremona, acquistata per il passato, lo portò, accanto a tre consoli di Milano, a Vercelli, dove erano convenuti il 12 genn. 1194, nel palazzo del vescovo Alberto, i rappresentanti politici di Cremona e di Pavia per giurare le condizioni di pace tra Milanesi e Cremonesi. Nel luglio dello stesso anno il C. ricopriva la carica di console di giustizia. Risulta infatti che in tale veste egli firmò una sentenza, pronunciata dal collega giudice Guercio Ostiolo, a favore di Carbono Subinago in lite con Ruggero e Pagano Porcazzoppi per il possesso di beni sul territorio di Vicomaggiore. Nel 1197 fu nuovamente eletto console del Comune ed emanò, affiancato dal collega Pagano Della Torre e da Uberto Diano, console dei mercanti, una serie di disposizioni per frenare la esorbitanza delle usure fissando l'interesse del denaro al 15% per i privati cittadini e al 10% per la Comunità. Tali leggi stabilirono inoltre, per disposizione transitoria, che tutti i crediti, risalenti ad oltre tre anni, fossero dichiarati nulli qualora il debitore non li avesse riconosciuti come legittimi. Èda presumere che, in tale lasso di tempo, gli interessi versati avessero ampiamente superato il capitale prestato.
Durante il corso dello stesso anno il C. guidò le milizie cittadine contro l'abate di S. Donato in Sesto Calende, il quale rifiutava, rivendicando esenzioni apostoliche e imperiali, la giurisdizione ecclesiastica e politica dell'arcivescovo di Milano. Da una lettera di Innocenzo III risulta che il C., giunto a Sesto, mise in fuga i monaci, depredò le celle del monastero, ferì parecchi conversi, bruciò le case situate fuori dal convento con alcuni animali ed uccise persino un uomo.
La notizia di tali fatti indusse il pontefice Celestino III ad affidare la controversia tra il monastero e l'arcivescovo al grande maestro Uguccione, allora presule di Ferrara, e a ordinare la scomunica, previo accertamento dei fatti, contro il Camerario. Il vescovo di Ferrara, nonostante l'opposizione dell'arcivescovo di Milano, scomunicò il C., il quale era stato contemporaneamente accusato e riconosciuto reo di violenza nei confronti dell'abate di S. Donato, che dopo i gravissimi avvenimenti intendeva pacificamente riprendere possesso del monastero. Venuto a morte Celestino III, il suo successore Innocenzo III, il 2 marzo 1198, riconfermò la scomunica, da revocarsi solo nel momento in cui il C. avesse dato una degna riparazione per i misfatti. Non sappiamo come la questione si sia conclusa, tuttavia è certo che il C. venne allontanato per qualche tempo dalla politica attiva. Infatti solo nel 1205 fu nuovamente eletto console del Comune e con tale dignità partecipò alla sentenza pronunciata da Rizzardo Crivelli nella lite tra Vercelli e Pavia per la questione del possesso del castello di Robbio, di cui i Pavesi si erano impadroniti con la violenza. Il 25 apr. 1206 il C. si recò nel territorio di Alessandria, a Bassignana, sulla riva del Tanaro, per negoziare, insieme con il podestà di Milano Uberto Visconti, una tregua tra Ugo, vescovo di Acqui e di Alessandria da una parte, e il podestà di Acqui e i consoli di Pavia dall'altra.
Dopo tale data i documenti milanesi non forniscono più alcuna notizia sul Camerario.
Nella già menzionata opera dell'Argelati, ripresa puntualmente dal manoscritto del Mazzuchelli, il C. è presentato come giureconsulto e autore di numerose leggi. Tale affermazione non trova riscontro nelle fonti a noi note. Non risulta infatti che il C. abbia mai dichiarato nelle sottoscrizioni delle sentenze dei colleghi la sua attività giuridica, né tanto meno la documentazione esaminata offre direttamente una pur minimaconferma. L'essere stato più volte console di giustizia a Milano e la costante partecipazione alle trattative diplomatiche con l'imperatore e con le città della lega lombarda lasciano supporre che il C. conoscesse in modo approfondito il diritto, ma non costituiscono la prova definitiva di una sua professione giuridica. Anche l'attribuzione di leggi al C. è inesatta. Certamente dovette partecipare alla elaborazione di importantissime sentenze e di numerose leggi, ma i documenti non permettono, di stabilire con precisione se tali opere furono dovute allo sforzo del solo C. o alla attività collegiale dei principali uomini politici milanesi del suo tempo.
Fonti e Bibl.: Ottone Morena, De rebus Laudensibus, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XVIII, a cura di G. H. Pertz, Lipsiae 1863, p. 109; Innocentii III Regestorum sive epistolarum liber primus, in Migne, Patr. Lat., CCXIV, coll. 28-31; A. Potthast, Reg. Pontif. Roman., Berolini 1874, I, p. 5; Galvaneo Fiamma, Chronicon Maius, a cura di A. Ceruti, in Miscellanea di storia italiana, VII (1869), p. 716, E. Riboldi, Le sentenze dei consoli di Milano nel secolo XII, in Arch. stor. lomb., XXXII (1905), I, pp. 279-280; G. Biscaro, Gli appelli ai giudici imperiali dalle sentenze dei consoli di giustizia di Milano sotto Federico I ed Enrico VI, ibid., XXXV (1908), p. 231; C. Manaresi, Gli atti del Comune di Milano fino all'anno 1216, Milano 1919, pp. 179, 215-216, 219, 224, 238, 258, 263, 286, 393, 395, 404; Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 9263: G. M. Mazzuchelli, Notizie relative agli Scrittori di Italia, f. 319r; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, col. 266; B. Corio, Historia di Milano, Milano 1855, pp. 209, 261; A. Spinelli, Ricerche spettanti a Sesto Calende, Milano 1880, p. 32; A. Bellini, L'abbazia e la chiesa di San Donato di Sesto Calende, in Arch. stor. lomb., LII (1925), pp. 90-93; G. Franceschini, La vita sociale e politica del Duecento, in Storia di Milano, IV, Milano 1954, p. 144; D. Tamborini, L'abbazia di San Donato in Sesto Calende, Milano 1964, pp. 39-43.