BONCOMPAGNI, Ugo
Secondo figlio maschio di Gregorio, duca di Sora, e di Eleonora Zapata, nacque a Sora il 19 luglio 1614. Destinato dapprima alla carriera ecclesiastica (ricevette la prima tonsura il 30 giugno 1627), la morte del fratello maggiore Giacomo, nel 1636, gli aprì la successione ai titoli e alle sostanze familiari: Urbano VIII gli attribuì ufficialmente il seggio nel Senato bolognese, ereditario nella sua famiglia, il 16 giugno 1636, e Filippo IV, con diploma del 22 apr. 1637, lo investì del ducato di Sora e dei feudi di Aquino e Arpino.
Nel 1640, durante l'offensiva francese in Lombardia, in un momento particolarmente difficile per le forze spagnole già largamente impegnate dalla rivolta della Catalogna, il B. fece mostra di lealismo inviando a proprie spese nello Stato di Milano una compagnia di cavalleggeri e Filippo IV gli testimoniò il suo apprezzamento creandolo capitano generale degli uomini d'arme del Regno. Divampata nel 1647 l'insurrezione che prese il nome da Masaniello, il B., al quale speciali responsabilità competevano sia per la sua carica militare, sia per essere uno dei principali feudatari del Regno, partecipò all'organizzazione della reazione baronale in quella assemblea di Aversa del 24 ottobre che si concluse con l'elezione di Gerolamo Tuttavilla a comandante dell'esercito dei baroni.
Al comando di cinquanta fanti e di altrettanti cavalleggeri arruolati a proprie spese il B. fu impegnato nella prima parte della campagna, concorrendo alla difesa di Pozzuoli contro i popolari. Già nel dicembre, tuttavia, per ordine del viceré duca d'Arcos tornava in Terra di Lavoro con le sue milizie, per affrontare la banda di popolari capeggiata da Domenico Colessa, detto Papone. L'allontanamento del B. dalla principale zona di operazioni dell'esercito baronale suscitò qualche maldicenza tra "i suoi malevoli", i quali - come riferisce il Capecelatro (p. 307) - insinuarono che il B., "fastidito dalla lunghezza della guerra e della spesa che faceva in mantenere la sua gente, sotto tale pretesto per gire a sua casa in Sora, chiedette, ed ottenne licenza di partirsi". Vero è che un gruppo di uomini del B. si scontrò di lì a poco con il Colessa, ma le voci trovarono conferma nella rinunzia del B. a portare a fondo la campagna contro il capobanda popolare, che in effetti - contrariamente a quanto sostiene il Litta - fu sconfitto e catturato nel 1648 non dal B., ma da un contingente viceregio al comando di Ercole Visconti.
Come accadde in molti feudi del Regno, i vassalli e i contadini del B. insorsero contro di lui unendosi ai popolari e, dopo la definitiva repressione della rivolta, il B. si abbandonò alle più feroci vendette, lasciando tristissima memoria di sé.
Il B. morì il 29 ott. 1676.
Aveva sposato nel 1640 Maria di Francesco Ruffo, duca di Bagnara, dalla quale ebbe dodici figli: tra questi vanno ricordati Gregorio, suo erede diretto; Francesco (1643-1690), ecclesiastico, governatore della Sabina per Clemente X; Giacomo, cardinale Antonio, successo al fratello Gregorio nel ducato di Sora ed erede del principato della famiglia Ludovisi.
Fonti e Bibl.: F. Capecelatro, Diario, a cura di A. Granito di Belmonte, II, 1, Napoli 1852, ad Indicem; P. Litta, Le fam.celebri ital.,s. v. Boncompagni di Bologna, tav. II.