UCELLI DI NEMI, Guido
– Nacque a Piacenza il 25 agosto 1885, quarto dei cinque figli di Giovanni (1845-1930), direttore dell’azienda daziaria piacentina, e di Savina Ratti (1856-1919).
Completati gli studi superiori a Piacenza, nel 1904 si trasferì a Milano e si iscrisse all’Istituto tecnico superiore, laureandosi nel 1909 in ingegneria elettrotecnica. Il 2 novembre di quello stesso anno entrò a far parte dell’ufficio tecnico della società Ing. A. Riva e C. (Sicola, 1988, p. 66). A ‘introdurlo’ fu Giuseppe Belluzzo, docente di costruzione di macchine, e autore di importanti studi sulle turbine, che in passato aveva avuto modo di collaborare con la Riva (lettera di Ucelli a Belluzzo del 18 ottobre 1940, in E. Canadelli, Le macchine dell’‘ingegnere umanista’. Il progetto museale di Guido Ucelli tra fascismo e dopoguerra, in Physis. Rivista internazionale di storia della scienza, 2016, n. 1-2, p. 101).
La Riva nella quale fece il suo ingresso Ucelli era il maggiore costruttore italiano di turbine idrauliche, la cui domanda era in forte espansione grazie alla crescita dell’industria elettrica. L’acquisizione nel 1896 di una commessa di quattro turbine da 2160 HP ciascuna per la centrale idroelettrica della Edison di Paderno d’Adda, la più grande in Europa, seguita tre anni più tardi dalla fornitura di due turbine da 3000 HP per l’impianto sulle cascate del Niagara della canadese Cataract Power Co. di Hamilton, Ontario, era stata decisiva per l’affermazione dell’azienda. Da quel momento la Riva, come avrebbe ricordato nel 1908 l’ingegnere Ugo Monneret, era stata in grado di aggiudicarsi «pressoché tutti gli impianti più importanti del nostro Paese», realizzando «utili che nell’industria meccanica sono forse senza esempio» (G. Bigatti, Alberto Riva e la Milano industriale del suo tempo, Milano 2013, p. 127), grazie alla cura posta nello studio, nella progettazione, nella costruzione e nella messa in opera del macchinario.
Nell’estate del 1912, a Gressoney, in Val d’Aosta, conobbe Carla, figlia di Luigia Schoch e di Franco Tosi, orfana di entrambi i genitori, il padre era stato ucciso il 25 novembre 1898 da un operaio sulla soglia dello stabilimento di Legnano e la madre si era spenta un anno più tardi (P. Macchione, L’oro e il ferro. Storia della Franco Tosi, Milano 1987, pp. 17-35). Superate le resistenze dei fratelli maggiori, che non vedevano di buon occhio l’unione di una giovane ereditiera di soli diciotto anni con un ingegnere talentuoso, ma privo di fortune personali, Guido e Carla si unirono in matrimonio il 4 marzo 1914, dando vita a un legame saldissimo. Con una parte della cospicua eredità di Carla, valutata in 1.586.319 lire, la coppia acquistò e restaurò la grande dimora di via Cappuccio a Milano e una villa a Paraggi, in Liguria, per le vacanze della famiglia, tra il 1915 e il 1924 allietata dalla nascita di cinque figli: Gianfranco, Paola, Bona, Pia e Umberto.
Improvvisamente, il 27 ottobre 1914, Ucelli si dimise dalla Riva. Non è noto che cosa lo avesse indotto a lasciare l’azienda. La documentazione su questo punto è reticente, né più loquace si mostra lo stesso protagonista nella sua storia della Riva (La “Riva” in cento anni di lavoro 1861-1961, 1961). Presto iniziò però a negoziare le condizioni per un suo rientro in azienda: già il 28 marzo 1915, sottoscritto l’aumento di capitale di 250.000 lire, pari al 10% delle azioni, entrava nel consiglio d’amministrazione e ritornava in Riva come vicedirettore generale. Da questo momento ebbe, di fatto, la responsabilità della gestione industriale e della definizione delle strategie di sviluppo dell’impresa (G. Bigatti, Storia di un imprenditore, in Guido Ucelli di Nemi. Industriale, umanista, innovatore, 2011, pp. 88 s.).
A soli trent’anni era ormai un importante esponente del mondo industriale. Nel 1916 si costituì a Milano il Comitato nazionale scientifico-tecnico per lo sviluppo e l’incremento dell’industria nazionale, con lo scopo di promuovere un più stretto rapporto fra ricerca scientifica e industria. Fra i promotori del Comitato, il germe da cui sarebbe sorto il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), figuravano alcuni dei maggiori industriali della città come Ernesto Breda, Ettore Conti, Silvio Crespi, Carlo Esterle, Giorgio Falck, Ercole Marelli, Giacinto Motta, Giovanni Battista Pirelli, Ettore Ponti, Alberto Riva. Insieme a tecnici di valore come Giuseppe Colombo (presidente del Comitato), Giuseppe Belluzzo, Emanuele Jona ed Ettore Molinari troviamo anche il nome di Ucelli, che si sarebbe adoperato instancabilmente per promuovere la cultura scientifica del Paese (M. Minesso, Giuseppe Belluzzo. Tecnico e politico nella storia d’Italia 1876-1952, Milano 2012, p. 62).
Appassionati d’arte e di musica, i coniugi Ucelli fecero della loro casa milanese un crocevia di mondi diversi: alle cene o ai concerti che vi organizzavano partecipavano industriali, i Dell’Acqua, i Falck, Senatore Borletti, Ettore e Giannina Conti, artisti come lo scultore Arrigo Minerbi e sua moglie Malvina, o il pittore Amos Nattini, celebre per le illustrazioni della Divina commedia; ma anche archeologi come Aristide Calderini e Amedeo Maiuri. Poi gli amici di sempre, i Sessa, gli Anau, Carlo Foà, Alcide Malagugini, costretto a lasciare l’insegnamento per non aver giurato fedeltà al fascismo (F. Samorè, Tra due culture, in Guido Ucelli di Nemi, cit., p. 37).
Molte delle energie di Ucelli erano assorbite dalla Riva. Nei turbolenti anni del primo dopoguerra, alle tensioni che agitavano le maestranze si sommavano le mire di grandi gruppi industriali che cercavano di assumere il controllo della società, desiderando entrare in un settore al riparo dai problemi della riconversione. Per salvaguardare l’autonomia della società respingendo le interessate offerte non solo dell’Ansaldo e della Breda, ma degli stessi cognati che puntavano alla fusione tra la Tosi e la Riva, Ucelli elaborò una strategia difensiva che mirava a cointeressare nell’azienda alcuni dei suoi abituali clienti. Nel 1919 strinse così accordi con la Società adriatica di elettricità e con la Società idroelettrica di ponente, che sottoscrissero un nuovo aumento di capitale, mentre Giuseppe Volpi, Conti e Rinaldo Negri entravano nel consiglio d’amministrazione. Erano personalità che garantivano alla Riva non solo una costante domanda, ma anche non meno preziose coperture finanziarie ed entrature ministeriali. Altrettanto rilevante per la storia dell’impresa fu l’accordo concluso nel 1923 con la Calzoni di Bologna, il cui nome fu poi associato nella ragione sociale dell’azienda.
In parallelo, ed era il secondo aspetto della sua strategia imprenditoriale, pose la massima attenzione all’adeguamento dei mezzi tecnici e all’organizzazione dei reparti di un’impresa caratterizzata dalla produzione di pezzi singoli o al più, nel caso delle pompe, per piccoli lotti. Ampliamento e riorganizzazione della fonderia e creazione di una nuova sala prove furono l’inizio di un percorso che, chiusa la disastrosa parentesi della guerra, sarebbe culminato nella costruzione del nuovo stabilimento di via Stendhal.
Il terzo decisivo tassello della strategia di Ucelli era l’estrema attenzione per la gestione del personale. Fin dagli anni Venti, alla Riva venne adottata un’articolata politica sociale a favore dei dipendenti, che andava dalla mutua interna alle colonie estive e alle borse di studio per i figli, senza dimenticare la scuola per apprendisti. Inoltre, l’azienda offriva un ‘servizio sociale’ seguito personalmente dalla «Signora Carla», che si recava tutti i giorni in azienda, nell’intervallo di mezzogiorno, per essere a disposizione di chi aveva bisogno. Una funzione che i dipendenti mostravano di apprezzare, come si sarebbe visto nel 1946, in un momento di forte contrapposizione fra la direzione aziendale e le organizzazioni sindacali, quando il Giornale di fabbrica, organo del Comitato di liberazione nazionale (CLN) aziendale, rese omaggio all’attività assistenziale della signora Ucelli (La “Riva” in cento anni di lavoro 1861-1961, cit., p. 98)
Ucelli ebbe a cuore il problema della formazione professionale dei lavoratori nel quadro di una più complessiva azione per la promozione della cultura tecnico-scientifica. Membro del consiglio d’amministrazione dell’Istituto industriale milanese Giacomo Feltrinelli e, dal 1932 al 1964, di quello della Società di incoraggiamento d’arti e mestieri (C.G. Lacaita, L’intelligenza produttiva. Imprenditori, tecnici e operai nella Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri di Milano (1838-1988), Milano 1990, p. 253 e passim), lamentò in più occasioni la scarsa considerazione nella quale erano tenute nell’ordinamento scolastico italiano le discipline tecnico-scientifiche. Per questo suo impegno nel 1935 venne chiamato a presiedere il Consorzio provinciale per l’istruzione tecnica, adoperandosi per il potenziamento della rete degli istituti tecnici professionali.
Uomo dai molteplici interessi, all’impegno imprenditoriale affiancò quello nel campo della cultura, mettendo con grande generosità capacità, risorse e tempo al servizio di progetti di interesse nazionale, come il recupero di due navi romane nel lago di Nemi. Sollecitato da Belluzzo, ministro dell’Economia nazionale (1925-28), mise in campo le competenze tecniche e industriali che permisero, grazie all’impiego di grandi pompe idrovore, l’abbassamento del livello del lago, convogliandone le acque nell’antico emissario, in modo che fosse possibile il recupero delle due navi. Questa attività, avviata nel 1928, fu completata nel 1932. Il successo della campagna archeologica ebbe una vastissima risonanza, di cui indirettamente beneficiò la stessa Riva. A riconoscimento dell’impegno profuso da Ucelli, il 27 luglio 1942 con motuproprio di Vittorio Emanuele III aggiunse al cognome il predicato «di Nemi».
Il 1944 fu per Ucelli e la sua famiglia un anno drammatico. Nel timore di requisizioni di macchinari e materiali e dell’invio di operai in Germania, furono assunte forniture belliche per il comando germanico, facendo però in modo di non portarle a termine. A seguito di una denuncia anonima, il 14 luglio Ucelli e sua moglie furono arrestati con l’accusa di aver favorito l’espatrio clandestino di alcuni ebrei, fra i quali Gino Minerbi, fratello dello scultore Arrigo, e sua moglie Bianca. Guido fu rilasciato ai primi di agosto, mentre Carla, inviata al campo di transito di Bolzano, riuscì per un soffio a evitare di essere inviata in un lager in Germania.
Grazie al proprio impegno a favore di ebrei e ricercati dalle SS, all’organizzazione della difesa degli impianti, ai rapporti con i partigiani delle Fiamme verdi, e in particolare con don Giovanni Barbareschi, che presentò al CLN aziendale una testimonianza sul sostegno attivo della famiglia Ucelli e dello stesso Guido agli uomini della resistenza, nei giorni immediatamente successivi al 25 aprile, malgrado un tentativo di epurazione, il consigliere delegato poté restare alla direzione della Riva guidandone lo sviluppo nel dopoguerra (F. Samorè, Tra due culture, cit., pp. 57-68).
Consapevole della responsabilità sociale dell’impresa, oltre ad avere a cuore i problemi della formazione professionale Ucelli dispiegò un’azione indefessa per arrivare a dotare Milano di un’istituzione che fosse insieme vetrina dei traguardi raggiunti dalla scienza e dall’industria italiana e stimolo per ulteriori avanzamenti, sull’esempio dei grandi musei della scienza europei. Era un’idea cui aveva cominciato a pensare ancora studente visitando l’Esposizione internazionale del 1906 a Milano e discutendone con Belluzzo. I tempi non erano maturi e l’idea sarebbe tornata di attualità nel clima di acceso nazionalismo scientifico del primo dopoguerra (E. Canadelli, Le macchine dell’‘ingegnere umanista’, cit.). Se fu semplice trovare consensi sull’opportunità di una simile iniziativa, vi erano però molteplici ostacoli da superare. Una parte dell’establishment scientifico riteneva che fosse la capitale a dover ospitare il futuro museo (E. Canadelli, Primati scientifici e divenire del mondo. Il Museo di Guido Ucelli e il CNR prima e dopo la guerra, in I ‘primati’ della scienza, 2018). Ma anche quando prevalse l’idea che per il museo fosse vitale il rapporto con il tessuto industriale, e quindi fosse Milano la sede più opportuna, restarono da risolvere i problemi di una sede adeguata (P. Redemagni, La nascita del Museo, in Guido Ucelli di Nemi, cit., pp. 135-137), di organizzare le raccolte e di trovare le risorse. Ucelli si spese senza sosta, trovando alleati preziosi prima nel presidente del CNR Guglielmo Marconi e poi nel ministro dell’Istruzione pubblica Giuseppe Bottai. Finalmente, nel luglio del 1943, pochi giorni prima della caduta di Benito Mussolini, che non aveva fatto mancare il suo appoggio all’iniziativa, il Parlamento approvò un disegno legge che dava veste giuridica alla Fondazione creata un anno prima a Milano da Ucelli e che da quel momento assunse la denominazione di Museo nazionale della tecnica. Passarono ancora dieci anni e finalmente il 15 febbraio 1953, nei locali del vecchio convento degli olivetani di San Vittore, venne inaugurato alla presenza del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi il Museo nazionale della scienza e della tecnica intitolato a Leonardo da Vinci, di cui ricorreva il V centenario della nascita. Accanto alle sezioni espositive, implementate nel corso degli anni per dare conto degli avanzamenti della scienza, il Museo venne dotato di una ricca biblioteca e di una sala per proiezioni cinematografiche, qualificandosi come uno dei maggiori centri di diffusione del sapere tecnico-scientifico (ibid., p. 154).
Gli ultimi anni della vita di Ucelli furono ricchi di riconoscimento per l’uomo e l’imprenditore, affiancato nella gestione dell’impresa dal figlio Gianfranco e dal genero. La morte della moglie nel 1963 fu per lui un colpo durissimo dal quale, nonostante l’affetto di figli e nipoti, non si riprese mai del tutto.
Morì il 23 agosto 1964 a Milano.
Fonti e Bibl.: L’archivio privato e familiare è conservato in Milano, Archivio del Museo della scienza e della tecnica, Fondo Carla e Guido Ucelli.
Sulla figura di Ucelli si segnala in particolare il volume G. U. di N. Industriale, umanista, innovatore, Milano 2011, che, oltre a un’interessante documentazione fotografica tratta dal suddetto archivio, contiene anche la bibliografia completa dei suoi numerosi scritti e interventi. Per gli aspetti relativi al suo impegno di direzione della Riva, oltre al volume da lui scritto La “Riva” in cento anni di lavoro 1861-1961, Milano 1961, si veda C. Sicola, 125 anni per l’energia, Milano 1988, p. 74 e passim. Sulla creazione del Museo, oltre ai contributi di P. Redemagni in G. U. di N., cit., si segnala I ‘primati’ della scienza. Documentare ed esporre scienza e tecnica tra fascismo e dopoguerra, Milano 2018.