BENVOGLIENTI, Uberto
Nacque a Siena il 3 ott. 1668 da Marcantonio, di mediana nobiltà cittadina, e da Adelasia Pannocchieschi d'Elci. Le vicende della sua vita privata e pubblica furono discrete e banali; sposatosi una prima volta nel 1704 con E. Finetti e rimasto vedovo l'anno seguente, si rimaritò nel 1707 con Caterina Ghini-Bandinelli, da cui ebbe l'unica figlia Adelasia. Privo di preoccupazioni finanziarie, alieno dalla vita mondana e dalle cariche pubbliche (ne occupò soltanto qulcuna, di carattere municipale), sin da giovane si dedicò con profonda passione agli studi letterari ed eruditi, mostrando presto una particolare propensione per la storia medievale senese, per la diplomatica e per gli antichi testi in lingua volgare.
Erano queste le vie maestre dell'erudizione storica locale, che aveva avuto un secolo avanti in Celso Cittadini il suo massimo rappresentante, e che, sia pure con i limiti e gli arricchimenti di una singolare personalità, era allora vivente in Gerolamo Gigli. Ma a questa tradizione, con la quale venne spesso in contrasto, il B. aggiunse una allora non ancora comune esperienza tecnica in campo diplomatistico e numismatico e un vivo interesse per la storia dell'arte medievale italiana. Ben conscio che ad un ripudio della vecchia ed approssimativa erudizione locale non poteva giungersi se non con un totale rinnovamento della metodologia su basi rigorosamente filologiche, egli già in una lezione accademica del 1699, e poi in una lettera-programma del 1710 ad I. A. Nelli, tracciava le linee maestre di una storiografia fondata sulle discipline ausiliarie, sullo studio diretto delle fonti, sulla più recente bibliografia straniera, e affrontava, con un discorso compiuto nel 1705, ma rimasto inedito, uno dei grandi temi dell'erudizione toscana dei tempo: le origini di Firenze (Siena, Bibl. Comunale, E IX 1, c. 11 r). Le sue capacità tecniche e l'ampiezza delle sue conoscenze ben presto lo misero in contatto coni maggiori studiosi italiani e stranieri e resero universale la sua fama, come quella dell'uomo meglio informato su tutti gli argomenti dell'antica storia senese. In tale veste già nel 1700 fece da guida a B. de MontEaucon allora in visita a Siena; fornì nel 1707 a G. Fontanini copiose notizie su documenti medievali senesi e ne ricevette elogi per la sua rara preparazione tecnica; lo stesso fece per A. Zeno l'anno seguente, e, per un certo periodo, anche a favore di G. Gigli, allora occupato nella redazione di quel Diario Senese nel quale tutte le notizie storiche o erudite provengono dalla infaticabile, ma anonima attività del B., che con il Gigli redasse anche fra il 1710 e il 1711 un albero genealogico della famiglia Borghese.
Il B., per una forma di ritrosia allora frequente nei nobili dilettanti di erudizione, era alieno dal mettere in pubblico il frutto dei suoi lavori e, quando riteneva opportuno farlo, mascherava il suo nome con un ingegnoso anagramma. Così fece - per ragioni di elementare prudenza - quando nell'anno 1711 pubblicò sotto lo pseudonimo di Gilberto Benvenuti nella Bibliothèque choisie (XXXIII, 1, Amsterdam 1711, pp. 57-70) di J. Leclerc una dissertazione sul dominio temporale dei papi (Extrait d'une Dissertation italienne touchant la papesse jeanne et le domain temporel des Papes...), nella quale, sulla base di una fine analisi di fonti documentarie e numismatiche, finiva col negare l'esistenza in epoca altomedievale di ogni effettivo potere politico del papato.
Con questo articolo, che era stato in un certo senso preparato dal carteggio svoltosi negli anni precedenti sullo stesso argomento tra il B. e il Fontanini, l'erudito senese entrava, schierandosi dalla parte imperiale, nel grande bellum diplomaticum originato dall'occupazione di Comacchio da parte delle truppe di Giuseppe I. Di esso erano protagonisti in Italia, da una parte il Muratori, impegnato nella difesa delle prerogative imperiali e del possesso di Comacchio da parte del duca di Modena, e dall'altra parte proprio il Fontanini, accanito sostenitore dei diritti della Chiesa. Nel suo saggio il B. confutò puntualmente le tesi enunciate dal Fontanini nella sua opera La difesa del Dominio temporale, allora (1711) pubblicata a Roma, chiamandolo personalmente in causa, fatto che originò la rottura della loro amicizia. La Dissertation del B. fu conosciuta negli ambienti imperiali milanesi ancor prima che fosse edita; e forse lo stesso Muratori la conobbe e ne sollecitò la pubblicazione presso il Leclerc, suo buon conoscente, cui comunque il manoscritto fu direttamente - come pare - presentato da un amico del B., P. Jouneau.
Fu questo, dunque; l'esordio pubblico del B., ormai più che quarantenne, nel campo degli studi; ma ebbe, per lui, un disgraziato epilogo, che condizionò gravemente la sua attività futura. Il S. Uffizio, infatti, non ebbe difficoltà a scoprire (forse per segnalazione del Fontanini?), dietro il trasparente pseudonimo, l'identità dello scrittore; e il B. venne imprigionato il 12 apr. 1712, rilasciato il 3 agosto seguente e quindi costretto ad un'umiliante ritrattazione, che lo obbligò, da allora in poi, ad una sorvegliata prudenza.
Può sorpendere che un isolato dilettante della provincia italiana osasse, sotto il dominio clericale di Cosimo III, pubblicare in Olanda uno scritto così vivacemente impegnato nella polemica antiromana. Ma il B. era uomo di esperienze vaste, di curiosità intellettuali senza limiti, di vivaci intenti riformatori in campo religioso. Profondo conoscitore della letteratura e della filosofia francesi, condivideva molti dei motivi della polemica anticlericale allora così clamorosamente portata sui palcoscenici italiani dal Gigli; sono significativi, a questo proposito, i suoi giudizi in difesa della moralità delle commedie del Gigli (Siena, Bibl. Comunale, E IX 8, cc. 74 v-75 r, del 1713), le feroci critiche contro i "bacchettoni", definiti "scellerati" (Talluri, U. B., p. 368), e contro gli Ordini religiosi, di cui auspicava la riduzione e la riforma (Siena, Bibl. Comunale, E IX 14, c. 93 r, del 1729), nonché la viva comprensione verso figure di eretici o di condannati dalla Chiesa, come l'Ochino, il Sozzini (Talluri, U. B., p. 367) e il Savonarola Trovasi, Savonaroliani, pp. 227-232); ma ancor meglio ne illuminano la figura intellettuale i cauti elogi tributati a Bayle e un solitario accenno a riforme di carattere assistenziale ed educativo a favore delle classi povere (Siena, Bibl. Comunale, E IX 14, c. 93 r).
L'incidente con il S. Uffizio indusse il B. a restringere il campo dei suoi interessi ad argomenti meno pericolosi di storia puramente locale e a riservare a sé e ai suoi amici - sempre più numerosi - il frutto dei suoi studi. Nascono così in questi anni i cinquantasei ponderosi volumi delle sue Miscellanee (Siena, Bibl. Comunale, C IV 1-28, C V 1-28), che contengono copie di cronache e di documenti, spogli di registri comunali, abbozzi di dissertazioni erudite, estratti di riviste e di opere letterarie italiane e straniere, sillogi epigrafiche, bibliografie e appunti di ogni genere. La sua produzione a stampa è, al contrario, limitatissima e puramente occasionale: annotazioni alla nuova edizione della Italia sacra di F. Ughelli per i vescovi di Siena e del suo territorio (F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, III, Venetiis 1717, prefaz. non num.; la Bibl. Comunale di Siena possiede un esemplare dell'opera con abbondanti note autografe del B.); commemorazioni di letterati senesi defunti; brevi disquisizioni letterarie (De Angelis, pp. 98-100). Ma nello stesso periodo il B. veniva sviluppando anche particolari temi di ricerca, spesso rimasti allo stadio di abbozzo o di informe ipotesi, ma a volte portati anche a compimento. Uno dei primi fu quello riguardante la genealogia di famiglie patrizie, tradizionale e screditato motivo della erudizione seicentesca, da lui riportato nell'ambito della sana filologia, con l'applicazione di un metodo più rigoroso e con studi specifici di onomastica (Siena, Bibl. Comunale, Origine de' nomi propri, C IV 20, cc. 206r-235v); nel 1719 era compiuta una sua Storia di casa Malavolti, che suscitò molta ammirazione (Ibid., E IX 15, c. 194r.; cfr. altri studi di carattere genealogico in C IV 4). A questo filone di ricerca si accompagnava l'altro dedicato alla storia e alla diplomatica locale, che originò una Dissertazione sopra l'abbazia di S. Galgano, compiuta nel 1716 e rimasta, naturalmente, inedita, molti spogli di archivi pubblici e privati (Ibid., C IV 7, C IV 17, C IV 22) e anche un progettato e mai realizzato codice diplomatico della città di Siena. I nuovi orientamenti propugnati in campo paleografico da S. Maffei non incontrarono mai l'approvazione del B., che anzi scrisse un equilibrato, ma sostanzialmente negativo Saggio d'alcune riflessioni intorno alla Diplomatica del sigr. marchese Maffei (Ibid., C IV 8, cc. 235r - 242v), nel quale la tesi maffeiana (S. Maffei, Istoria diplomatica..., Mantova 1727) della sostanziale unità e continuità della scrittura latina nel medioevo è sottoposta a serrata critica. Ma forse il più vivo e nuovo motivo della varia attività di studio del B., fra secondo e terzo decennio del secolo, fa quello della rivalutazione della pittura medievale italiana e della scuola senese di Duccio di Buoninsegna e di Simone Martini in particolare, nei suoi reciproci rapporti con quella fiorentina di Giotto e seguaci. Già nel maggio del 1716 il B. chiedeva al Muratori notizie su questo argomento (Siena, Bibl. Comunale, E IX 24, c. 214 v), ma certo gli stimoli più forti allo studio dell'arte senese egli deve averli ricevuti, più che dal Muratori, da quei raccoglitori d'arte stranieri, quali il barone Pli. von Stosch e l'inglese R. Rawlinson, con i quali fu in contatto, personale ed epistolare, per anni, oltre che, naturalmente, dallo studio diretto dei monumenti e dei documenti locali. Tutti elementi, questi, che lo convinsero di una tesi allora abbastanza nuova nel campo della storia dell'arte italiana, consistente nell'asserita priorità cronologica della scuola senese su quella fiorentina; per sostenere la quale egli pensava di comporre "un discorso sul rinnovamento della pittura, in cui non mi accorderò né col Maffei, né co' fiorentini..." (Previtali, p. 84); progetto di cui nei suoi manoscritti non rimasero che cenni sparsi e molto materiale preparatorio, fra cui vanno citati alcuni spogli di notizie (Siena, Bibl. Comunale, C IV 6) e un manipolo di osservazioni e critiche al Trattato della pittura di G. Mancini, allora inedito (Ibid., CIV 8, cc. 120r-123v). .
Nel frattempo (forse nel 1715: Siena, Bibl. Comunale, E IX 24, c. 178r) s'erano guastati i rapporti del B. col Gigli, il quale pare avesse corso il rischio di comprometterlo negli ambienti ecclesiastici romani ("In riguardo mio io so ch'ei m'à posto in sospetto con un cardinale, che io sia del partito de' Francesi...": lettera al Marmi del 29 sett. 1721: Ibid., E IX 18, c. 92 v) e che aveva il torto di trattare con eccessiva disinvoltura quel metodo critico che il B. voleva fosse rigorosamente rispettato (cfr. le critiche dei B. ad alcune opere del Gigli in Favilli, pp. 181-190, 197-201). Ma furono soprattutto la polemica linguistica, condotta con inaudita asprezza e aperta malafede dal Gigli contro l'Accademia della Crusca, e l'assurdità della tesi da costui sostenuta di un'assoluta prevalenza del dialetto senese su ogni altro parlare italiano, a dividere il B. dall'amico. Va comunque riconosciuto che, proprio per le sollecitazioni che gli vennero dal Gigli, il B. si diede a studiare con particolare attenzione i problemi letterari e linguistici dei primi secoli del volgare, così come si dovette al contrasto che l'oppose in questo campo all'antico collega di studi, se l'erudito senese arrivò a formulare una sua equilibrata soluzione dell'annoso problema della lingua letteraria italiana, che egli vedeva scaturire da un'armoniosa e meditata fusione dei particolari linguaggi adoperati fra il 1300 ed il 1350 dagli scrittori di "mezzana gente" di tutti i maggiori centri toscani (Opuscoli diversi, p. 67). Nacque da questa polemica un Dialogo sopra la volgar lingua, edito dopo la morte dell'autore da Ildefonso di San Luigi (ibid., pp. 49-83), mentre l'atteggiamento del B. nei riguardi del Gigli veniva precisato, dopo la morte di costui, in un Breve giudizio, nel quale al letterato senese il B. attribuiva la seguente "proporzione del carattere": "ingegno come otto, scienza come cinque e prudenza come due" (Siena, Bibl. Comunale, C IV 24, c. 221r).
Ma gli interessi letterari dei B., anche se orientati prevalentemente sui problemi linguistici, non si limitarono ad essi e lo portarono ad occuparsi attivamente del Tasso (del quale difese l'Aminta: Aminta difeso con le osservazioni di un Accademico fiorentino, Venezia 1730, ma criticò invece la Gerusalemme liberata: Osservazioni critiche sul primo canto..., due copie mss. Siena, Bibl. Comunale, C IV 8, cc. 253 r-304 v), di Dante, che giudicava del tutto impoetico (Ibid., C IV 12: Squarcio di discorso sopra la Divina Commedia, cc. 241r - 242v e C IV 23, cc. 56r-84r, 292r-314v), nonché del teatro moderno italiano e francese (Ibid., estratti da commedie di Molière: C. IV 9, cc. 252r-257r), che era allora in Siena, per merito soprattutto del Gigli e di I. A. Nelli, in grande favore.
Una terza, e più feconda, fase di attività, fu al B. aperta nel 1721 dalla collaborazione diretta con il Muratori, il quale gli chiese in quell'anno di inviargliitesti e il commento delle più antiche cronache senesi per i suoi Rerum Italicarum Scriptores. In questa occasione il B., troppo ossequioso della tradizionale autorità del Cittadini (di cui pure conosceva gli arbitri: cfr. Lisini, p. XIX), cadde in grave errore, considerando originale del Trecento una tarda contraffazione, compilata con tutta probabilità dal Cittadini stesso; il B. la presentò al Muratori come Chronicon Senense di Andrea Dei e di Angelo di Tura e la fece inserire, con una continuazione costituita dagli Annales Senenses di Neri di Donato, nel XV volume dei Rerum Italicarum Scriptores (Mediolani 1729, coll. 1-294). In una ampia prefazione (ibid., pp. 5-9) il B. spiegò i criteri da lui seguiti nell'edizione e in un ricco commentario illustrò accuratamente molti punti della storia politica ed amministrativa del Comune senese. Al Muratori egli poi fornì anche altri anonimi Annales Senenses, che, privi di commento, furono inseriti nel XIX volume dei Rerum (Mediolani 1731, coll. 285-428), nonché una pregevole edizione degli statuti di Pistoia, pubblicata però soltanto dopo la sua morte (Statuta civitatis Pistoriensis, in Antiquitates italicae medii aevi, IV, Mediolani 1741, coll. 527-568).
La fattiva collaborazione col Muratori indusse il B. a riprendere con più ampia visuale alcuni suoi antichi terni di ricerca e ad intraprenderne di nuovi, cosicché gli anni fra il 1720 e la morte possono essere considerati i suoi più fecondi di opere. In questo periodo egli scrisse una Dissertazione sulle armi gentilizie, rimasta inedita, e trattò in diversi saggi il problema, allora di viva attualità nell'ambiente erudito toscano, delle origini etrusche ed italiche, che egli, attraverso la storia dell'alfabeto e della lingua, collegava, in una prospettiva unitaria, a quello dell'origine della lingua italiana. Una problematica tradizionale, dunque, affrontata però con visione assai ampia, come appare evidente dalla curiosa e suggestiva dissertazione sulla lettera K pubblicata nel 1726 (Alcune osservazioni intorno all'origine del K appresso degl'Italiani, in Giornale de' Letterati, suppl. III, Venezia 1726, pp. 217-248); in essa il B. sosteneva che il latino sarebbe nato nel VII sec. a. C. da una mistione di etrusco (ritenuto di origine fenicia) e di greco, dovuta all'invasione di genti greche nel Lazio, e che la lettera K, di derivazione etrusca, scomparsa dall'uso latino nell'età augustea, sarebbe stata riportata in Italia nel Medioevo dai popoli germanici; una serie di ipotesi di cui la critica moderna avrebbe dimostrato l'inconsistenza, ma che allora incontrarono l'approvazione di molti studiosi e che il B. ribadì nei suoi saggi di storia della lingua italìana, che vennero raccolti e pubblicati da Ildefonso di San Luigi (Opuscoli diversi, pp. 84-97, 98-116).
Proprio mentre la sua fama si andava sempre più diffondendo in Italia come quella di un erudito di grande levatura (tale, fra gli altri, lo giudicava il Muratori) e progetti di nuove e più ampie opere gli affollavano la mente, il B. venne a morte il 23 febbr. 1733, all'età di sessantacinque anni.
Dieci anni prima, in una lettera al Redi, il B. affermava di voler scrivere "un ragionamento della libertà delle città d'Italia..." (Siena, Bibl. Comunale, E IX 5, c. 52 v), di cui qualche elemento passò nel commentario agli statuti di Pistoia già ricordato. Questo della storia comunale italiana poteva riuscire in lui, erede della tradizione municipalistica toscana, il filone di ricerca più fecondo e nuovo; ma come al B. mancò il coraggio di sostenere fino in fondo quella battaglia anticurialista in cui pure s'era di slancio inserito, così gli mancò la costanza intellettuale per sottrarsi alla dispersione tipica della vecchia tradizione culturale toscana e per sfruttare in alcuni grandi temi storiografici - che pure aveva intravisto - quella indubbia preparazione tecnica che avrebbe potuto fare di lui, invece del dilettante curioso, uno dei più forti eruditi del suo secolo.
Fonti e Bibl.: Il voluminoso carteggio e i cinquantasei volumi di Miscellanee manoscritte del B. sono conservati nella Bibl. Comunale di Siena, E IX 1-25 e C IV 1-28, C V 1-28. Per le opere a stampa non citate nel testo della voce, cfr. L. De Angelis, Biografia degli scrittori sanesi, I, Siena 1824, pp. 98-100. L'unica raccolta di sue opere a stampa è quella curata da Ildefonso di San Luigi, Opuscoli diversi di U. B... sopra la lingua toscana.... Firenze 1771. Per il carteggio con il Muratori, cfr. Epistolario di L. A. Muratori, a c. di M. Campori, V-XIII, Modena 1901-1922, passim (cfr. Indici). La più ampia biografia di lui è in Opuscoli diversi, pp. 3-47. Cfr. inoltre B. de Montfaucon, Diarium Italicum, Parisiis 1702, p. 351; L. Grottanelli, Un collaboratore di L. A. Muratori, Siena 1904; T. Favilli, Girolamo Gigli senese nella vita e nelle opere, Rocca San Casciano 1907, pp. 16, 17, 135-137, 138 s., 140 s., 168-70, 181-90, 197-201; F. Nicolini, Una visita di Giovan Niccola Bandiera a Giambattista Vico, in Bull. senese di storia patria, XXIII (1916), pp. 251-265; A. Lisini, Prefazione a Cronache senesi, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XV, 6, Bologna 1931, pp. XIII-XXII;P. Provasi, Lettere a U. B. di R. Rawlinson e d'altri raccoglitori d'opere d'arte stranieri, in Bull. senese di storia patria, XLII (1935), pp. 28-47; Id., Savonaroliani del Settecento, in Arch. stor. ital., XCVI, 2 (1938), pp. 227-232; B. Talluri, Giovanni Niccola Bandiera e il "Dictionnaire" di Pierre Bayle, in Studi senesi, LXXXII (1960), pp. 493-499; E. W. Cochrane, Tradition and Enlightenment in the Tuscan Academies. 1690-1800, Roma 1961, pp. 2, 42, 157; B. Talluri, U. B. e il S. Uffizio, in Il Ponte, 17 (1961), I, pp. 366-371; Id., Il conteso territorio di Comacchio e l'intervento del S. Uffizio contro U. B. erudito senese, in Studi senesi, LXXXIII (1961), pp. 146- 172; G. Previtali, La fortuna dei primitivi dal Vasari ai neoclassici, Torino 1964, pp. 84-86.