DE MARINIS (De Marino), Ubertino
Non si hanno notizie sulle sue origini. R soltanto una supposizione che egli abbia fatto parte della omonima famiglia baronale siciliana e abbia avuto rapporti di parentela col miles messinese Filippo De Marino, il quale è ricordato tra i feudatari del re di Sicilia Martino I. Fu cittadino palermitano e celebre giurista. Dottore utriusque iuris, fu giudice della Magna Curia siciliana e consigliere del re Martino I il Giovane.
Di lui e della sua attività giudicante abbiamo le prime notizie da un documento del 20 marzo 1403 e da un altro dell'anno successivo. Il 15 marzo 1404 il re gli affidò l'incarico di dirimere insieme col vescovo di Malta Mauro Cali una controversia sorta tra due preti catanesi per il possesso della chiesa di S. Maria La Grande. È da ritenere che il D., come il Cali, si trovasse allora a Catania, dove risiedeva la corte. L'11 settembre dello stesso anno il re Martino gli affidò un'importante ed eccezionale funzione che avrebbe dovuto svolgere insieme col luogotenente del maestro giustiziere, Tommaso Crispo, e col maestro notaio della Magna Curia, Fortugno de Carioso: l'intero esercizio della giustizia penale nel Vai di Mazara, con ampia facoltà di procedere "per inquisiciones et torturas et omnern aliam aptiorem viam, quibus valeat veritas uberius reperiri" (Arch. di Stato di Palermo, Canc. 42, f. 131v). Tuttavia sia il D. sia il Crispo si stavano in quel momento preparando a lasciare temporaneamente la Sicilia, per accompagnare lo stesso Martino il Giovane in Catalogna. Il 17 settembre il sovrano infatti disponeva che fossero versate loro per le spese del viaggio 40 onze ciascuno. Non sappiamo se il D. sia poi effettivamente partito con il re. Il 30 luglio 1405, ad ogni modo, quando il sovrano era ancora assente dall'isola, il D. si trovava a Catania, presso la corte della vicaria del Regno, la regina Bianca, la quale gli affidò un nuovo e delicato incarico: quello di decidere sulla controversia pendente nella Magna Curia dei maestri razionali tra la città di Catania e il priore per la Sicilia dell'Ordine di s. Giovanni gerosolimitano, Roberto de Diana, il quale pretendeva di avere diritto all'esenzione dal pagamento delle gabelle.
Poiché i Catanesi avevano contestato la competenza giurisdizionale della Curia dei razionali, le due parti di comune accordo avevano chiesto alla regina di affidare a tre giuristi, il D. e altri due dottori, la pronuncia sulla competenza dei maestri razionali e, in caso positivo, anche la decisione sul merito, in sostituzione. degli stessi.
Il 7 ottobre il re gli concesse l'estrazione dai porti del Vai di Mazara di cento tratte di frumento. Il 1ºmarzo 1406 il sovrano rinnovò al D., al luogotenente del maestro giustiziere e a un giudice della Magna Curia, Nicola Muleti, i poteri speciali per l'amministrazione della giustizia in Vai di Mazara, estendendo la loro giurisdizione anche alla materia civile.
In quella regione si erano infatti levate lamentele per la violazione di privilegi di cui godevano alcune città e terre, privilegi che vietavano alla Magna Curia di amministrare la giustizia in quelle località per il tramite di suoi funzionari senza che fosse presente il re o, almeno, il gran giustiziere. Tuttavia Martino I aveva ritenuto che dovesse prevalere l'interesse generale all'applicazione della giustizia; aveva pertanto sospeso i relativi privilegi, tanto più che la situazione nel Val di Mazara, soprattutto a Palermo e a Trapani, si era aggravata durante la sua assenza dal Regno a causa della negligenza di alcuni funzionari. Difatti, il D. e i suoi due colleghi furono delegati con pieni poteri all'amministrazione in loco della giustizia civile e di quella criminale nei confronti di tutti i sudditi e vassalli del sovrano e qualunque pubblico ufficiale, ma facendo esclusione per i castellani e i secreti per quanto atteneva all'esercizio delle loro funzioni e alla materia delle gabelle. Tale delega era già stata data dal re al D. e ai di lui colleghi il 14 febbraio, e non limitatamente al Val di Mazara, ma per tutto il Regno, in applicazione di una nuova disposizione generale la quale, al fine di evitare ai sudditi eccessive spese di viaggio e assicurare rapidità alla celebrazione della giustizia, ordinava che tutte le popolazioni dello Stato fossero visitate una volta l'anno dai giudici della Magna Curia.
L'8 nov. 1406 il D. fu inviato a Messina, incaricato con altri di una missione presso i magistrati di quella città. Il 13 genn. 1407 gli venne affidato dal re l'incarico di risolvere, insieme con i vescovi di Malta e di Patti e col giurista Giacomo Denti, una controversia in materia di redditi ecclesiastici che contrapponeva il priore del monastero basiliano dei Ss. Pietro e Paolo d'Itala, fra' Adriano de Maiuri, al commendatario di quel cenobio, il cardinale napoletano Landolfo Maramaldo. La causa, che era già stata esaminàta nella curia dell'archimandrita, pendeva allora in appello presso la curia arcivescovile di Messina, benché papa Bonifacio IX avesse in via temporanea sottoposto il monastero direttamente alla Sede apostolica. Al solo D. fu affidata inoltre l'inchiesta contro i conti Antonio Ventimiglia e Antonio Moncada, e contro il priore gerosolimitano Roberto de Diana, accusati di ribellione. Altre cause ed altre vertenze, ma prive di rilevanza politica, vennero rimesse all'arbitrato del D. in questi anni.
Il 12 ag. 1408 fu nominato vicecancelliere di Martino il Giovane non quale re di Sicilia, ma quale primogenito del re d'Aragona e suo governatore generale nei regni di Aragona, Valenza, Maiorca, Sardegna e Corsica, e nelle contee di Barcellona, Rossiglione e Serdagna. Con tali nuove funzioni lasciò la Sicilia per la Sardegna, al seguito del sovrano, e giunse a Cagliari il 5 ottobre. Martino 1 aveva anche deciso che il D. doveva ricoprire una dignità ecclesiastica, ed aveva in proposito già ripetutamente avanzato richiesta, sia a voce, sia per iscritto, probabilmente al papa di obbedienza avignonese Benedetto XIII. La richiesta fu rinnovata il 10 nov. 1408 tramite il governatore di Aragona Egidio Ruiz de Lihori, che a questo scopo venne inviato al pontefice. Il 10 gennaio il re scrisse anche alla regina Bianca, vicaria in Sicilia, raccomandandole di destinare al D. il primo episcopato o la prima dignità che fosse rimasta vacante nel Regno; tale richiesta fu ripetuta, il 3 maggio 1409. Il D. fu accanto a Martino il Giovane nei giorni che precedettero la prematura morte del sovrano: il 20 luglio 1409 come vicecancelliere firmò per il re, che ne era fisicamente impedito, gli ultimi documenti scritti sotto quel sovrano, tra i quali la richiesta urgente di invio del medico personale. Tornato in Sicilia, venne creato arcivescovo di Palermo.
La regina Bianca, in cambio di una somma di denaro, aveva designato a quella sede il provinciale dei frati minori, Giovanni da Termini. Il 2 maggio 1411, tuttavia, annullò le disposizioni relative, che aveva già inviate al capitolo e ai vicari della Chiesa palermitana e, riconoscendo le pretese del D. sull'arcidiocesi, invitò lo stesso capitolo ad eleggere come arcivescovo l'antico vicecancelliere. Il D. venne effettivamente innalzato alla cattedra palermitana - appare come vescovo eletto già l'11 giugno sembra abbia poi ottenuto la consacrazione episcopale da Giovanni XXIII, il papa di obbedienza pisana. L'elezione venne accompagnata da un accordo del D. con fra' Giovanni da Termini per la restituzione dei 950 fiorini, che da quest'ultimo erano stati inutilmente pagati alla regina per ottenere l'arcivescovato. Tale restituzione, che sarebbe dovuta avvenire sui redditi della Chiesa palermitana per opera di procuratori nominati dalle due parti, non si era ancora verificata nell'ottobre del 1413.
Nell'agosto del 1411 la regina Bianca comunicò al D. la deposizione e sostituzione per ribellione dell'arcidiacono palermitano Andrea de Argento. Il 25 ott. 1412 la vicaria dette mandato ai giudici della Magna Curia di consultarsi col D. a proposito delle delicate questioni politiche e giuridiche riguardanti l'avvenire del Regno di Sicilia poste dall'elezione, compiuta nel giugno dall'assemblea di delegati valenzani e aragonesi riuniti a Caspe (Saragozza), di Ferdinando di Castiglia a re d'Aragona. Allora il D., pur essendo arcivescovo, continuava a svolgere attività giudicante, al di fuori dell'esercizio della giurisdizione episcopale, come dimostra il fatto che gli fu affidata una causa nel novembre dello stesso anno 1412. Il 27 marzo 1413 gli fu confermato da Bianca il possesso di un feudo, in territorio di Castrogiovanni, appartenente alla Chiesa di Palermo. Nel mese di aprile il governo della Sicilia passo nelle mani dei vicegerenti inviati nell'isola dal nuovo re Ferdinando I: essi nominarono un procuratore per l'amministrazione dei beni della diocesi di Palermo, sottraendola al De Marinis. In seguito al Parlamento di Catania del settembre del 1413, il D. fu incaricato di recarsi nella penisola iberica insieme coi vescovo di Patti e con Giovanni Moricada, per presentare a Ferdinando I le istanze siciliane e principalmente la richiesta di avere come sovrano uno dei suoi figli, assicurando in tal modo alla Sicilia l'indipendenza dai regni iberici immediatamente sottoposti all'autorità della Corona aragonese.
L'ambasceria giunse a Saragozza nell'aprile del 1414. Discusse con Ferdinando anche la questione religiosa, giacché in Sicilia, dopo il concilio di Pisa, trovavano seguito tutte e tre le obbedienze pontificie. Ferdinando impose, sul piano politico, l'allineamento del Regno siciliano a quelli iberici e, sul piano ecclesiastico, l'obbedienza a Benedetto XIII. Il 20 giugno il D. fu nominato da questo papa arcivescovo di Palermo.
Ancora assente dalla sua sede ai primi di agosto del 1414, il D. vi si trovava già il 7 ottobre, quando Benedetto XIII gli delegò il conferimento di alcuni benefici ecclesiastici riservati. Il 2 genn. 1416 lo stesso pontefice gli delegò la concessione della dispensa matrimoniale per consanguineità in favore di Giovanni Del Carretto signore di Racalmuto e della nobile palermitana Maria de Pellegrino. Come' oratore del re Ferdinando I il D. partecipò al concilio di Costanza e prestò obbedienza a Martino V, il papa eletto l'11 nov. 107 dal sacro consesso dopo la rinunzia di Gregorio XII e le deposizioni di Giovanni XXIII e di Benedetto XIII. Il D. fu confermato arcivescovo di Palermo. Il 24 maggio 1420 fu assolto dal papa per il ritardo con cui aveva adempiuto all'obbligo biennale della visita ad limina.
Sappiamo che nel giugno del 1424 un prestito di 20 onze da lui fatto al secreto di Palermo servì per una ambasceria a Tunisi del re Alfonso il Magnanimo. Nel novembre 1427 si astenne, come metropolitano, dal giudizio in una causa d'appello, perché interessava la Chiesa palermitana. Nel 1430 compì opere di abbellimento nella sua cattedrale. Tra il 1430 e il 1432, sotto il governo del viceré Giovanni Ventimiglia, pare divenisse cancelliere del Regno. Il 12 maggio 1433 avrebbe pronunciato un giudizio in materia feudale contro Antonio Spatafora per Sclafani.
Con testamento redatto il 21 dic. 1433 nominò suoi eredi i nipoti, figli della sorella Ventura e di Ubertino Imperatore. Morì a Palermo nel 1434, non prima probabilmente del mese di aprile, quando in un documento di Eugenio IV si fa riferimento a lui come ancora vivente. Fu sepolto nella cripta della cattedrale.
Godette fama ed autorità come giurista, fama ed autorità per cui fu noto anche alle successive generazioni di giuristi siciliani, che di lui ricordano una Interpretatio ad capitulum "Volentes" regis Frederici, un'Allegatio supraintellectum capituli "Si aliquem" regis Iacobi e un Consilium contrabaronem Castriveterani (nessuna di queste opere ci è pervenuta). Il giurista Guglielmo de Perno si disse suo discepolo.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, A. A., Arm. III, n. 1253, ff. 182v-183r; Ibid., Reg. Vat. 328, ff. 310r-311r, 358r; Bibl. apost. Vat., Vat. lat. 7110, f. 173r; Barcellona, Archivo de la Corona de Aragón, Canc. 2324, f. 105r; Arch. di Stato di Palermo, Canc.7, ff. 95v, 131r; Canc. 40, f. 88v; Canc.41, f. 170r; Canc. 42, ff. 131v, 133r; Canc.43, ff. 188bis r-189bis r, 190rv; Canc.44-45, ff. 72v, 381v-382v; Canc.46, ff. 234v, 254r, 261v, 286v; Canc.48, f. 273r; Canc.55, f. 446v; Canc.59, f. 45v; Canc. 68, f. 121r; Proton. 3, ff. 126v, 278r, 279rv, 320rv; Proton. 15, ff. 168rv; Proton. 16, ff. 121v-122r; Proton. 17, ff. 113r, 148r, 178r, 242v; Proton. 22, ff. 58rv, 87r; Ibid., Not. Paolo Rubeo, ff. 18v-19r; F. Milanensi, Aureae decisiones Regiae Curiae Regni Siciliae, Venetiis 1596, cc. 42, 68; P. De Gregorio, De concessione feudi tractatus, Panormi 1598, cc.58, 80, 160; M. Muta, Capitulorum Regni Siciliae potentissimi regis Iacobi expositionum, I, Panormi 1605, pp. 269 s., 440; G. Cumia, In Regni Siciliae capitulum "Si aliquem" de successione feudalium repetitio, Panormi 1609, p. 381; G. Zurita, Los cinco libros primeros de la segunda parte de los Añales de la Corona de Aragón, III, Zaragoza 1610, ff. 102v, 127; M. Muta, Capitulorum Regni Siciliae regaliumque constitutionum divorum regum Federici et Petri dilucidationum, II, Panormi 1612, p. 110; F. Baronio e Manfredi, De maiestate Panormitana libri quatuor, III, Panormi 1630, p. 138; P. Ansalonio, Sua de familia opportuna relatio, Venetiis 1669, pp. 94 s.; P. A. Tornamira e Gotto, Risposte ad otto domande fatte sopra l'idea congietturale della vita di s. Rosalia, Palermo 1670, pp. 36 s.; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, II, Panormi 1714, pp. 271 s.; R. Pirri, Sicilia sacra, a cura di A. Mongitore, I, Panormi 1733, coll. 170 s.; D. Orlando, Bibl. di antica giurisprudenza siciliana, Palermo 1851, pp.67 ss.; B. Candida Gonzaga, Mem. delle famiglie nobili..., III, Napoli 1875, p. 14; G. B. Caruso, Storia di Sicilia, a cura di G. Di Marzo, III, Palermo 1876, pp. 280 s.; L. Genuardi, Canonisti siciliani del sec. XV, in Studiin onore di F. Scaduto, Firenze 1936, p. 5dell'estratto; A. Caldarella, L'impresa di Martino I re di Sicilia in Sardegna (1408-1409), Palermo 1954, pp. 10, 12, 82; G. Pistorio, Riflessi dello scisma d'Occidente in Sicilia, Catania 1969, pp. 102 s., 120;F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo, I, Dal Regno al Viceregno in Sicilia, Palermo 1953, p. 313; A. Romano, Giuristi siciliani dell'età aragonese, Milano 1979, pp. 37 s., 60, 120, 150 ss., 159, 170;S. Fodale, L'arcivescovo Giovanni da Procida, in La Fardelliana, I (1982), p. 31; A. Romano, "Legum doctores" e cultura giuridica nella Sicilia aragonese, Milano 1984, pp. 49 s., 72 s., 105, 124, 153, 165, 173, 286; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi, I, Monasteri 1913, p. 388.