Ubertino da Casale
Scrittore francescano. Nato verso il 1259 a Casale Monferrato, nella diocesi di Vercelli, all'età di quattordici anni venne affidato ai frati minori del convento della sua città, ove ebbe una prima formazione culturale e spirituale, fin quando non venne mandato prima a Firenze poi in Umbria (1289-1298) ove subì l'influenza di Angela da Foligno e, durante una breve visita al romitorio di Greccio, conobbe Giovanni da Parma, già ministro generale dell'ordine, ritiratosi colà in silenzioso raccoglimento dopo le sue dimissioni.
Inviato a Firenze, a Santa Croce incontrò, e ne subì il fascino, Pier Pettinaio (v.) e Pietro di Giovanni Olivi (v.) col quale entrò in rapporti assai stretti e di cui fu fervido ammiratore e seguace. Dopo la partenza dell'Olivi da Firenze rimase ancora un paio di anni a Santa Croce, donde si recò a Parigi, restandovi nove anni.
A questo momento della sua vita U. aveva ormai aderito non solo all'ideale francescano più rigoroso, ma anche a tutta la concezione della storia della Chiesa, quale venne proprio alla fine del Duecento prospettata da Pietro di Giovanni Olivi nella sua Lectura super Apocalipsim. Per la difesa dei confratelli colpiti dalle misure di Bonifacio VIII, dopo l'abdicazione di Celestino V e per la vivacità battagliera della sua predicazione U. venne inviato, di fatto, a un confino, più o meno velato, sulla Verna. Qui compose e terminò (1305) la sua opera più famosa, l'Arbor vitae crucifixae Jesu, che ebbe successivamente una vasta eco nella spiritualità francescana dei secoli successivi influendo sia sui movimenti ereticali dei fraticelli, sia sull'Osservanza e poi sui cappuccini.
Quest'opera sviluppa il tema, destinato a larga fortuna, della conformità di Francesco a Cristo, riprendendo spunti dal Lignum vitae di s. Bonaventura e utilizzando i precedenti lavori di mistici e teologi francescani, fra i quali appunto la Lectura super Apocalipsim dell'Olivi, che costituisce la struttura portante del V libro dell'Arbor, ove si prospetta, fra l'altro, la condanna della Chiesa carnale e si indicano come anticristi mistici Bonifacio VIII e Benedetto XI, mentre s'invoca un nuovo papa che riordinerà e darà nuova vita alla Chiesa. L'Arbor vitae fu, con molta probabilità, noto a D., come sembra indicare qualche contatto testuale, non però indiscutibile.
Quando cominciò l'aperto contrasto fra gli spirituali e la più gran parte dell'ordine, la cosiddetta comunità, U. fu il più vivace, accanito e anche brillante difensore degli spirituali da un lato, e dall'altro dell'ortodossia di colui che egli considerava esempio di vita e di virtù francescana, Pietro di Giovanni Olivi. Scrisse perciò una serie di opuscoli e brevi trattati che ebbero grande rilievo presso il papa Clemente V e al concilio di Vienne (1311), riuscendo a ottenere un riconoscimento, sia pure officioso, del valore del modo di vita degli spirituali con la concessione di una certa autonomia all'interno dell'ordine, mentre l'Olivi veniva condannato solo a proposito di questioni teologiche, in sostanza marginali.
Dopo il concilio, perdurando il contrasto fra i minori, U. visse ad Avignone, giovandosi dell'appoggio dei cardinali favorevoli agli spirituali quali Pietro e Giacomo Colonna e Napoleone Giordano Orsini.
Eletto papa Giovanni XXII, di nuovo U. intervenne nel contrasto fra spirituali e comunità con un accanimento tale, da rendere consigliabile il suo passaggio all'ordine benedettino. Sarebbe dovuto entrare il 1º ottobre 1317 nell'abbazia di San Pietro di Gembloux dove, in realtà, non mise piede.
Anche se nel 1322 a proposito della discussione sulla povertà di Cristo e degli Apostoli espresse un punto di vista moderato, fu però, qualche anno dopo, accusato di eresia e costretto a fuggire (1325). Si perdono, allora, le sue tracce, tanto che ignoriamo luogo e anno della sua morte.
U. viene ricordato da D. alla fine del canto XII del Paradiso, là dove s. Bonaventura, che durante l'elogio di s. Domenico non ha ancora detto il suo nome, pronuncia severe parole di condanna contro la decadenza dell'ordine minoritico: precisa poi che ci sono ancora veri francescani, ma che questi non sono certo né Matteo d'Acquasparta né U. da Casale (là onde vegnon tali a la scrittura, / ch'uno la fugge e altro la coarta, Pd XII 124-125). I commentatori antichi e la più gran parte dei moderni spiega questi versi come una condanna sia di Matteo d'Acquasparta che fugge (cioè elude) la scrittura, la regola minoritica, introducendo la rilassatezza nell'ordine, sia di U. che invece coarta, interpreta in senso ristretto, la regola stessa, come pretendevano gli spirituali.
Si avrebbe allora la condanna e della comunità e degli spirituali da parte di D., che sarebbe favorevole a quanti, ormai pochi, si mantenevano fedeli alla linea di Bonaventura.
Quest'interpretazione che pone D. in una posizione autonoma rispetto ai due gruppi francescani in contrasto, può essere ulteriormente precisata (cfr. francescanesimo; povertà; Olivi, Pietro di Giovanni; spirituali), se consideriamo che U., proprio nell'Arbor vitae, si era fatto esponente delle opinioni più estremiste e radicali fra gli spirituali stessi. È, allora, questo estremismo e radicalismo (tipico del resto del gruppo italiano) che D. condanna in nome della più pura e severa tradizione francescana, che non è quella certo della comunità, ma di quanti, come l'Olivi, continuavano le direttive di s. Bonaventura. È il lassismo come il radicalismo ribelle, che il poeta condanna.
Per obbligo di compiutezza ricordiamo un'altra interpretazione dei due versi relativi a Matteo e a U., che risale a Cristoforo Landino. Secondo quest'interpretazione, Matteo coarterebbe la regola, mentre U. la fuggirebbe perché nel 1317 aveva appunto lasciato l'ordine dei minori: questa ipotesi, che non manca di suggestione, purtroppo non spiega come e perché Matteo avrebbe potuto coartare la regola; e ci sembra, perciò, insostenibile.
Bibl. - Per U. resta fondamentale la monografia di F. Callaey, L'idéalisme franciscain spirituel au XIV siècle: Ubertin de Casale, Lovanio 1911; è meno utile un'opera che sembrerebbe più aderente ai rapporti fra U. e D., J. C. Huck, Ubertin von Casale und dessen Ideenkreis. Ein Beitrag zum Zeitalter Dantes, Friburgo in Brisgovia 1903, ove interessano il problema le pp. 70-107, in realtà piuttosto deludenti.
Si veda poi, in proposito, R. Manselli, Pietro di Giovanni Olivi ed U. da Casale, in " Studi Medievali " s. 3, VI (1965) 94-121; ID., D. e l' " Ecclesia Spiritualis ", in D. e Roma, Firenze 1965, 115-135.