uberizzato
p. pass. e agg. Conquistato dal modello di Uber; privo di ogni forma di intermediazione.
• Hanno paura di non avere futuro, i tassisti milanesi. E con loro i colleghi di Roma ‒ unica altra città uberizzata in Italia ‒ e di molte altre metropoli mondiali dove l’orco Uber è sbarcato. Alcune di queste paure sono comprensibili, anche se non sono giustificabili i petardi, il lancio di uova, le minacce e le intimidazioni di questi giorni. (Ivan Berni, Repubblica, 21 maggio 2014, Milano, p. I) • Un ibrido tra i lavoratori in affitto, i lavoratori autonomi e gli agenti di commercio pagati in base ai clienti che procacciano o alle polizze che riescono a fare acquistare. Più che alla sharing economy il lavoro «uberizzato» fa venire in mente una versione tecnologica del mercato delle braccia che ancora esiste nelle campagne del sud e non solo. Certo, l’enorme differenza è che non c’è un singolo insindacabile compratore, ma una miriade di potenziali compratori tra cui scegliere secondo la propria convenienza e bisogno. Anche se poi c’è sempre un «padrone» invisibile, ma potente, che in base alle proprie insindacabili decisioni, pardon algoritmi, decide se tenerti o no sulla propria piazza virtuale e trae consistenti profitti dal tuo lavoro. (Chiara Saraceno, Repubblica, 23 novembre 2015, p. 28, Economia) • [tit.] Il lupo non è solitario, ma di massa e «uberizzato» (Corriere della sera, 18 luglio 2016, p. 17, Primo piano).
- Derivato dal v. tr. uberizzare con l’aggiunta del suffisso -ato.