FORMENTINI, Ubaldo
Nacque il 20 nov. 1880 a Licciana (ora Licciana Nardi), in provincia di Massa-Carrara, da Erminio e da Clelia Montali. Compiuti gli studi ginnasiali a Pontremoli, frequentò i licei "Lorenzo Costa" di La Spezia e "Pellegrino Rossi" di Massa. Nel novembre 1902 si laureò in giurisprudenza presso l'università di Pisa, presentando una dissertazione sulla tutela del patrimonio artistico nazionale. Espletò il praticantato legale a Genova, nello studio del penalista N. Priario.
Idealmente partecipe - forse già dal 1894, l'anno dei moti in Lunigiana - delle ragioni che spingevano i lavoratori a lottare per affrancarsi dallo sfruttamento, nel 1902 si iscrisse al Partito socialista italiano (PSI), alla sezione di La Spezia.
Iniziatosi a pubblicare l'8 ag. 1903 il settimanale dei socialisti spezzini Libera Parola, il F. ne divenne redattore. Più avanti ne assunse la direzione, che mantenne fino al novembre 1909.
Suoi articoli, ospitati dal foglio nel corso del 1904 e firmati con lo pseudonimo Aner, lo mostrano ostile a Giolitti e critico verso le frequenti compromissioni del gruppo parlamentare socialista con la maggioranza governativa; propugnatore in sintonia con G. Sorel e soprattutto con il conterraneo e amico A. De Ambris, dello sciopero generale che, nella mobilitazione e partecipazione delle masse lavoratrici, gli prefigurava l'attuabilità di una forma di democrazia assembleare; caustico, infine, sullo stato del diritto in Italia, dove - scriveva - se si imbastivano procedimenti giudiziari arbitrari, restava nondimeno la risorsa riparatrice dell'amnistia, concessa specie in occasione dei periodici lieti eventi della famiglia reale.
Nello stesso 1904 e nel 1905 il F. dispiegò presso il tribunale di Sarzana un'intensa attività forense, difendendo imputati di apologia di reato a mezzo stampa o a seguito della partecipazione a dimostrazioni antimilitaristiche o anticlericali. Successivamente assumerà la consulenza legale dei lavoratori dell'arsenale di La Spezia organizzati sindacalmente.
Delegato al congresso nazionale del PSI dell'ottobre 1906, tenutosi a Roma, votò l'ordine del giorno integralista presentato da O. Morgari e da E. Ferri. Il F. conosceva personalmente Ferri, avendo collaborato con lui nel 1903, nel corso della campagna giornalistica dell'Avanti! per l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta sulle forniture di corazze, prodotte dalla Terni, alle navi della regia marina. In occasione delle elezioni politiche del novembre 1904 ne sollecitò la candidatura nel collegio di La Spezia. Ma la bocciatura subita dalla relazione che aveva inviato al convegno dei socialisti liguri, svoltosi a Genova il 15 e il 16 ag. 1908, indusse il F. a iniziare a prendere politicamente le distanze dal Ferri.
Si era infatti convinto che a determinare il voto sul suo documento, nel quale aveva posto il problema della fondatezza di un partito che il sindacato surrogava ormai del tutto nel promuovere e guidare le lotte dei lavoratori, e nel quale aveva invocato realistiche svolte organizzative, fosse stato l'"empirismo grossolano" (in Libera Parola, 21 ag. 1908), frutto del positivismo di matrice ferriana, largamente diffuso nel PSI.
Ancora delegato della sezione socialista di La Spezia al congresso nazionale di Milano dell'ottobre 1910, il F. appoggiò l'ordine del giorno riformista di sinistra sottoscritto da E. Modigliani, G. Salvemini e Morgari.
Consigliere di minoranza eletto nel giugno 1906 nella lista dell'Unione dei partiti popolari (UPP), presentata dai socialisti, dai repubblicani e dai radicali, e rieletto nel febbraio 1908, con la tornata del 3 ott. 1909, nella quale l'UPP conquistò la maggioranza nel Consiglio comunale di La Spezia, il F. venne nominato assessore effettivo ed ebbe la delega al Commercio e alle Finanze.
Il F. cercò subito di avviare una riforma delle finanze comunali che si basasse sul contenimento dell'imposta sui consumi e sull'aumento del gettito dell'imposta di famiglia, applicata in modo progressivo sul reddito accertato. La riforma doveva consentire anche una crescita assoluta delle entrate. In breve, tuttavia, il progetto ebbe nelle esigenze di bilancio un limite insormontabile e la copertura dei costi di urgenti lavori (acquedotto, impianti portuali, ospedale) fu affidata all'ulteriore aggravio dell'imposta sui consumi, che colpiva pesantemente gli strati meno abbienti della cittadinanza, una sostanziale porzione, cioè, della base elettorale del blocco.
Il F. si dimise da assessore nel marzo 1911, facendo per primo le spese delle tensioni che la mancata riforma aveva innescato nella maggioranza: nella quale, comunque, non venne meno la solidarietà di fondo. La fedeltà del F. e dei consiglieri socialisti al blocco fu anzi talmente robusta che ne nacque un conflitto con la direzione nazionale del partito.
Messa in mora la deliberazione del congresso di Reggio Emilia del luglio 1912, che sconfessava la partecipazione socialista a coalizioni con partiti della borghesia a favore della quale si era invece espresso il delegato della sezione, il gruppo consiliare, quando nell'autunno 1913 si svolsero le elezioni politiche, sostenne il radicale G. D'Oria, a scapito di A. Poggi, il candidato designato dal partito. Questo atto di indisciplina provocò un'inchiesta e lo scioglimento della sezione di La Spezia.
Nel gennaio 1914, mentre la pattuglia dei bloccardi dava vita a una sezione socialista autonoma, i seguaci della tendenza intransigente-rivoluzionaria rifondarono la sezione del PSI, diffidando gli autonomi a denominarsi socialisti. All'inizio di febbraio il F., stimando inopportuna la sua ulteriore presenza nel Consiglio comunale, rimise il mandato.
Dagli anni in cui sedette nell'assemblea municipale il F. si mostrò anche deciso assertore della creazione di una nuova provincia che avesse La Spezia come capoluogo.
Al convegno del maggio-giugno 1913 sul riassetto amministrativo della Lunigiana, egli presentò una documentata indagine sul patrimonio e sulle risorse finanziarie della nuova provincia, in vista di due obiettivi giudicati fondamentali per l'avvenire economico di La Spezia: il collegamento ferroviario diretto fra la città e Reggio Emilia, che avrebbe migliorato l'interscambio con il bacino padano, e la rottura a opera del porto commerciale spezzino del monopolio del traffico marittimo, detenuto dai vicini scali di Genova e di Livorno.
Dal gennaio 1912 era frattanto iniziata, con articoli di politica estera, la collaborazione del F. a L'Unità di Salvemini. L'inopportunità che l'Italia continuasse a far parte della Triplice Alleanza e l'esigenza della sua adesione all'Intesa costituivano il Leitmotiv degli articoli pubblicati nel corso del 1912 e tra gennaio e maggio del 1914.
Ai propositi che - scriveva il F. - avevano giustificato la nascita della Triplice Alleanza, tra cui quello di essere "suprema moderatrice della politica estera" (in L'Unità, 16 nov. 1912), si era sostituito uno "spirito aggressivo e imperialistico" (ibid., 20 luglio 1912), del quale la Germania, con il continuo rafforzamento del proprio apparato militare, rappresentava la personificazione più concreta. Diversamente, l'Inghilterra e la Francia mostravano di indirizzare la loro politica a fini di pace; inoltre, nelle rispettive colonie e zone d'influenza, compivano una missione di grande civiltà. Restando nella Triplice Alleanza, divenuta ormai manifesto strumento di guerra rivolto contro l'Intesa, l'Italia sarebbe stata inevitabilmente coinvolta nel disegno aggressivo perseguito dagli Imperi centrali. Che il paese scegliesse di non partecipare ad alleanze era un'ipotesi seccamente negata: la neutralità italiana non avrebbe giovato all'equilibrio tra gli opposti schieramenti di potenze né dissuaso chi intendesse scatenare un conflitto. Da ultimo, il F. interpretava in chiave antitriplicista anche la spedizione coloniale dell'Italia in Libia.
Nell'agosto 1914 l'inizio delle ostilità aveva acceso un certo interesse giornalistico per il romanzo La guerra d'Europa, stampato a Genova negli ultimi mesi del 1911, i cui autori erano M. Gabotto, pubblicista spezzino, morto suicida a soli 23 anni nel gennaio 1912, e il Formentini.
Alla fine di ottobre 1915, cinque mesi dopo l'entrata in guerra dell'Italia a fianco dell'Intesa, il F. venne nominato sottotenente di artiglieria nella milizia territoriale e destinato a Roma.
Con il marzo 1919 il F. riprese a scrivere per L'Unità, sostenendovi, nell'imminenza delle prime votazioni politiche del dopoguerra, l'adozione del sistema elettorale proporzionale, dal quale si aspettava l'insediamento di un'assemblea parlamentare che rappresentasse effettivamente, in modo non mediato da condizionamenti istituzionali, la volontà popolare, specie di quelle masse su cui era gravato il peso più rilevante dello sforzo bellico. L'esito delle consultazioni del 16 novembre non corrispose propriamente ai suoi auspici (egli stesso, candidato nella lista del Partito del lavoro, guidata da G. Canepa, non riuscì eletto); tuttavia non mutò opinione sulle nuove regole, dichiarandosi certo che meglio del sistema uninominale esse garantissero il "principio di libertà individuale" dei cittadini, salvaguardando così "tutti gli altri istituti del governo democratico" (L'Unità, 15 apr. 1920). Sostenitore non meno convinto della proporzionale sarà alle elezioni del maggio 1921.
Costituitasi nell'aprile 1919, a conclusione del convegno di Firenze dei salveminiani, la Lega democratica per il rinnovamento della politica nazionale, il F. ne fu membro del consiglio centrale. La sua proposta di trasformare in partito la lega non ebbe però consensi decisivi. Al convegno di Firenze aveva partecipato anche P. Gobetti, dal quale gli venne l'invito a scrivere per Energie nove. Il F. vi pubblicò nel giugno 1919 l'articolo Lo Stato e il socialismo, in cui rappresentava il PSI e i sindacati e le cooperative di matrice socialista al culmine di un processo di burocratizzazione, impegnati a tutelare e accrescere la legittimazione politica e i benefici economici ottenuti dallo Stato, a collaborare con lo Stato. Se da ciò - aggiungeva - fosse scaturita una rivoluzione, sarebbe stata una "rivoluzione dall'alto" che, negando l'autodeterminazione dei lavoratori come classe, avrebbe riconfermato la loro condizione subalterna.
Le pagine della Rivoluzione liberale, la seconda rivista fondata da Gobetti, ospitarono invece, nel 1922-23, altri scritti nei quali il F. poneva in relazione il comportamento dei soggetti attivi nelle vicende politiche e sociali dei primi anni del dopoguerra con la tendenza al mutamento di fatto delle norme del diritto pubblico. Contributi sul medesimo argomento comparvero anche, tra gennaio e maggio del 1921, in articoli del quotidiano di Genova L'Azione, e principalmente, nel marzo e nel maggio 1922, sulla Rivista di Milano.
Il F. avanzava qui la tesi che nell'agire dei partiti, e soprattutto delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori, come nel ruolo assunto dalla burocrazia statale, fosse ravvisabile l'iniziale manifestarsi di una sovranità che differiva da quella sancita dalle istituzioni statutarie e che ne provocava la crisi. Le difficoltà palesate dalla Camera dei deputati nell'adempiere pienamente il proprio mandato nella XXV e nella XXVI legislatura rappresentavano a parere del F. la conseguenza più diretta di questa crisi. Segnato dal protezionismo, sintesi fra progetto socialista di statizzazione e filosofia del capitalismo parassitario, e dalla presenza di élites operaie (la Confederazione generale del lavoro), il cui unico obiettivo, dopo aver portato alla sconfitta nel settembre 1920 il movimento dell'occupazione delle fabbriche, era la conquista dei "privilegi dei gruppi capitalistici" (Rivoluzione liberale, 25 genn. 1923), lo scenario nel quale si muovevano i nuovi soggetti sovrani non esaltava il F., che però non taceva di ritenerlo inevitabile e per un periodo non breve immodificabile.
A proposito degli sviluppi del movimento fascista, il F. in un primo momento avanzò l'ipotesi che esso, imitando la strategia dei socialisti italiani, si sarebbe orientato verso il compromesso, verso la collaborazione con lo Stato, cercando di anticipare i disegni degli avversari. Ma di seguito espresse la convinzione che in Italia si stava imponendo un sistema di potere che negava ogni libertà individuale, e si chiese pure se non fosse concreta la possibilità di una diffusione del fenomeno fascista oltre i confini del paese.
Gli articoli del 1919-22 diedero materia al volume Collaborazionismo, che l'autore avrebbe preferito titolare La crisi della sovranità, edito da Gobetti a fine settembre 1922.
Va rilevata la premurosa considerazione che il Gobetti ebbe per il F.: in occasione dell'uscita di Collaborazionismo, egli volle definirsi "in qualche senso" suo allievo (Rivoluzione liberale, 28 sett. 1922), sottolineando la ricchezza del suo pensiero, che gli derivava dall'approfondita conoscenza degli scritti di G.W.F. Hegel, G. Sorel, B. Croce, V. Pareto. Sulla Rivista di Milano del giugno 1923 lo pose, insieme ad A. Monti, G. Ansaldo e se stesso, a fondamento del progetto di Rivoluzione liberale. Ancora nel giugno '23 il Gobetti metteva a parte Ansaldo del tentativo di far assegnare, presso l'università Bocconi, una docenza al F., il quale, a causa dei suoi più recenti articoli, aveva forse subito minacce di licenziamento dall'impiego di vicesegretario generale del Comune di La Spezia, che occupava, dopo aver vinto il relativo concorso, dal dicembre 1914.
A fine dicembre 1924, all'invito di Gobetti a tornare a scrivere su Rivoluzione liberale, il F. rispondeva prendendo tempo, avanzando riserve sull'argomento che gli era stato proposto (i sistemi elettorali in Italia). Con il novembre 1925 la rivista cessava le pubblicazioni, senza che la sua firma vi fosse ricomparsa.
Intanto, morto l'8 luglio 1923 U. Mazzini, direttore della Biblioteca civica, dell'Archivio storico comunale e del Museo di La Spezia, la giunta municipale aveva ritenuto che, per le affinità culturali e la lunga consuetudine con lo scomparso, il F. fosse il più idoneo a succedergli, e il 17 luglio aveva deliberato in tal senso, conferendo l'incarico che il F. conservò per quasi trentacinque anni. I nuovi compiti non tardarono a imprimere un deciso mutamento all'indirizzo delle sue ricerche, solo parzialmente anticipato da alcuni saggi pubblicati non molto tempo prima.
Copiosi furono gli scritti sulla storia antica e medioevale della Liguria centro-orientale e della Lunigiana. Fra questi, uno fu dedicato all'analisi degli elementi di continuità e di diversificazione che il pagus romano e, poi, l'ordinamento territoriale plebano e la curtis feudale presentavano con l'istituto consuetudinario del conciliabulum. In altri, soccorso dalla ricognizione topografica e toponomastica e dall'esame delle fonti epigrafiche e letterarie, affacciava conclusioni probanti sui confini degli insediamenti di comunità arcaiche e sul tracciato delle vie di comunicazione fra siti protostorici, e ne documentava la persistenza funzionale in epoca romana e oltre. Alcuni studi illustrano le impronte rimaste ad attestare, nell'architettura militare o nella scultura, il succedersi delle presenze dei Bizantini, dei Longobardi e dei Franchi, altri le imprese di casati gentilizi (Malaspina, Fieschi). A un lavoro sulle origini di Genova, nel quale sosteneva che la fondazione più antica era di tipo sinecistico, seguiranno, per la collettanea Storia di Genova, i densi capitoli sul periodo del Basso Impero e dell'Alto Medioevo e sulle testimonianze dell'arte romanica esistenti nella città (alcune opere dei lapicidi magistri Antelami, a metà del XII secolo). D'archeologia scriverà a proposito degli scavi di Luni - la colonia dedotta dai Romani alla foce del fiume Magra nel 177 a.C. - giunta con il commercio dei marmi apuani ad accumulare, in epoca imperiale, grandi ricchezze, come provavano i cospicui reperti venuti alla luce. Da segnalare pure le descrizioni dei ritrovamenti nel territorio del portus Lunae (il golfo di La Spezia), i quali chiarivano che, già prima dell'inizio dell'era volgare, il luogo dove, nel tardo Medioevo, sarebbe sorta La Spezia vantava un'assidua frequentazione, e che le numerose insenature del golfo accoglievano sicuri e attrezzati ancoraggi e scali, colture rustiche, ville marittime. Ulteriore risultato delle ricerche del F. sarà la consistente collaborazione all'Enciclopedia Italiana.
Durante l'estate del 1926 l'Opinione, foglio filofascista di La Spezia, attaccò il F. per aver definito "oscuro", nel corso di una conferenza, il periodo storico che l'Italia stava attraversando. Avesse o no sostanza l'accusa, circa due anni e mezzo dopo, nel gennaio 1929, il medesimo giornale ne riferì con risalto le attestazioni di stima per il capo del governo e di consenso per la politica del regime. Con il novembre 1930 la sua stessa firma cominciò a comparire sulle pagine dell'Opinione. Da parte loro, nel maggio 1925, le autorità di Pubblica Sicurezza lo avevano depennato dallo schedario dei sovversivi, dove era stato inserito nel marzo 1907, come socialista antimilitarista.
Conseguita nel febbraio 1929 la libera docenza, dall'anno accademico 1931-32 il F. tenne corsi di storia dell'arte medioevale e moderna, nonché di storia medioevale e moderna, anche come docente incaricato, presso l'università di Genova. Fu presidente della Commissione conservatrice dei monumenti, degli scavi e degli oggetti di antichità e arte della provincia di La Spezia, della sezione lunense dell'Istituto internazionale di studi liguri, dell'Accademia lunigianese di scienze, e fece parte della Deputazione di storia patria per le province modenesi e parmensi e dell'Istituto nazionale di studi etruschi e italici. Diresse il Giornale storico della Lunigiana.
Il F. morì a La Spezia il 9 febbr. 1958.
La bibliografia curata dal figlio Romolo per il Giornale storico della Lunigiana, n.s., X (1959), 3-4, pp. 129-140, comprende la maggior parte dei titoli degli scritti del F. pubblicati tra il 1905 e il 1960 (cinque sono postumi).
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 2118, fasc. 102486; Archivio di Stato di Pisa, Università 1875-1937, busta 79, fasc. 6565; Archivio di Stato di La Spezia, Prefettura (Gab.) 1944, b. 168, f. IV; Torino, Archivio Centro studi P. Gobetti: cinque lettere e una cartolina indirizzate tra il febbraio 1922 e il dicembre 1924 dal F. al Gobetti. IX congresso nazionale del Partito soc. ital. Resoc. stenografico, Roma 1907, p. 367; U. Mazzini, Bibliogr. della stampa periodica spezzina, La Spezia 1908, p. 31; P. Gobetti, F., in La Rivoluzione liberale, 28 sett. 1922; [O. Danese], F., s. Francesco e i periodi oscuri, in L'Opinione, 23 ag. 1926; [O. Danese], U. F. nell'anno VII, ibid., 28 genn. 1929; N. Lamboglia, U. F. storico della Lunigiana, in La Spezia. Riv. del Comune, XXXVII (1959), 1, pp. 108-114; M. Giuliani, Ricordo di U. F., ibid., pp. 115-120; Lettere di P. Gobetti a G. Ansaldo 1919-1926, a cura di G. Marcenaro, in Mezzosecolo, III (1978-79), pp. 58, 60, 67, 73, 75, 82, 85; G. Salvemini, Carteggio 1912-1914, 1914-1920, 1921-1926, a cura di E. Tagliacozzo, Roma-Bari 1984-1985, ad Indices; P. Gobetti - A. Gobetti, Nella tua breve esistenza. Lettere 1918-1926, a cura di A. Alessandrone Perona, Torino 1991, ad Indicem. Si veda inoltre: M. Farina, Vita politica e amministrativa alla Spezia avanti la prima guerra mondiale, in Il Movimento operaio e socialista in Liguria, VII (1961), 1, pp. 8 s., 16, 34; G. Salvemini, Come siamo andati in Libia, a cura di A. Torre, Milano 1963, ad Indicem; A. Bianchi, Storia del movimento operaio di la Spezia e Lunigiana, Roma 1975, ad Indicem; Id., Lotte sociali e dittatura in Lunigiana storica e Versilia, Firenze 1981, ad Indicem; M.A. Frabotta, Gobetti. L'editore giovane, Bologna 1988, pp. 54-57, 66, 82, 86 ss., 200; A. Landi, I socialisti in Lunigiana e la nuova provincia della Spezia, in Movimento socialista in Lunigiana tra la fine dell'Ottocento e il Novecento, a cura di O. Pugliese - C. Rapetti - G. Ricci, [Pontremoli] 1990, pp. 376 ss., 382, 386, 390; E. Grendi, Storia di una storia locale. L'esperienza ligure 1792-1992, Venezia 1996, ad Indicem.