CASSINA, Ubaldo
Nacque a Piacenza nel 1736. Entrato nel 1754 nel collegio Alberoni, si laureò in teologia e in utroque iure, e intraprese la carriera ecclesiastica. Favorevole al giansenismo, fu uno degli uomini di cultura cui il Tillot, nel periodo del suo governo a Parma (1765-1771), affidò quella università e la riforma degli indirizzi di studio, improntata a una forte autonomia nei confronti della Curia papale e ad un forte antigesuitismo.
Nell'università di Parma il C. ricopri la cattedra di filosofia morale fino alla cacciata del Tillot, che comportò anche il suo allontanamento; rimase comunque professore di filosofia morale nel liceo di Parma. Nel periodo del suo insegnamento universitario stabilì legami di amicizia con Gregorio Luigi Barnaba Chiaramonti, il futuro papa Pio VII, allora professore di teologia e filosofia nel monastero benedettino di S. Giovanni Evangelista; dopo l'ascesa al soglio pontificio avvenuta nel 1800, Pio VII lo insignirà del titolo di prelato domestico della S. Sede e del protonotariato apostolico.
Altro amico del C., ma di diverso orientamento teologico e politico, fu Gregorio Cerati; questi era priore del monastero benedettino, ma nel periodo del Tillot, cui era avverso, dovette lasciare Parma per Assisi; ritornato a Parma dopo la caduta del Tillot, divenne nel 1783 vescovo di Piacenza. Si adoperò allora, nonostante le divergenze, per risollevare le fortune del C., che era stato nominato nello stesso anno arciprete di Pomaro, e gli conferi l'ufficio di vicario generale. La Curia di Roma fece però annullare la nomina, ufficialmente per l'incompatibilità fra il vicariato e gli obblighi di una sede arcipretale distante alcuni chilometri da Piacenza; di fatto, per le posizioni dal C. assunte negli anni trascorsi.
Tutta la produzione filosofica del C. è racchiusa in poco più di un decennio, dal 1772 al 1783, durante gli anni, cioè, dell'insegnamento a Parma. Dopo, quando gli divenne difficile l'accesso alle novità librarie francesi, che erano tutto il suo alimento culturale, cessarono anche i suoi contributi. Rimase per quarant'anni arciprete a Pomaro (Piacenza), dove morì il .z marzo 1824.
Gli scritti di filosofia morale del C., nei quali è costante lo sforzo di collegare la fisica e la morale in una concezione unitaria dell'uomo, manifestano una forte incidenza della cultura francese nei suoi diversi aspetti. Il C. non è in senso stretto epigono di alcun autore in particolare, anche se gli influssi del Condillac e del Rousseau sono, pur nella loro diversità, quelli dominanti: egli tenta piuttosto una sintesi tra meccanicismo e vitalismo, volta a suggerire una direzione di governo delle facoltà e degli "affetti" dell'uomo.
Il suo più noto saggio (che fu anche tradotto in francese e, nel 1790, in tedesco dal Pockels), il Saggio analitico sulla compassione, dichiara la derivazione dei propri spunti dall'Emile di Rousseau e dall'Essai analytique sur les facultés de l'âme del Bonnet, e propone una teoria meccanica del sentimento della compassione, sollecitato dalla molla dell'amor di sé.
Secondo il C. sono da respingersi (cap. IV) tutte quelle teorie che riconducono alla comune matrice dell'istinto i movimenti profondi dell'animo umano; e queste teorie egli ritiene di individuare principalmente nello Smith, per l'uso che fa del concetto di "simpatia", e nello Hutcheson, per il concetto di "senso morale". Lamore di sé è invece per il C. l'unica sorgente di tutta la vita affettiva, e quindi anche dei moti di benevolenza e di altruismo. Si tratta per il C., in tutta la seconda parte del Saggio che è dedicata alle applicazioni della teoria nel campo della politica, di guidare e indirizzare il meccanismo di questo sentimento fondamentale verso la compassione, e di sviluppare gli influssi della compassione sulle pubbliche virtù.
Questa sorta di meccanica del sentimento morale e delle virtù civiche, che semplifica il sensismo condillachiano e restringe anche i margini della prospettiva rousseauiana del "contratto" col rimettere nelle mani del governante tutta la direzione psicofisica della comunità, fu commentata dal Giornale dei letterati con sottile ironia, e incorse nelle severe censure dell'Ansaldi, che accusò il C. di negare il libero arbitrio. Il C. protestò nelle sue Lettere (1779)la propria avversione al calvinismo, e oppose agli attacchi dell'Ansaldi la teoria secondo cui la libertà consiste nell'operare al fine del proprio bene pur credendo di operare per il bene altrui: "io sarò libero compassionando un infelice, benché cerchi di sollevare me stesso, mentre mi sembra di muovermi pel solo suo alleviamento" (p. 24).
Il saggio latino De morali disciplina humanae societatis, del 1783, appare tutto dominato dalla preoccupazione di prendere le distanze dal Rousseau, cui il C. è peraltro debitore di tutti i suoi principali spunti di indagine psicologica; non si può escludere che in questo atteggiamento influisca la situazione politica di Parma. e del C. in quella università. Il bersaglio polemico è la teoria del contratto sociale. alla quale il C. contrappone, in termini più marcati che nel del '72, la convinzione che l'equilibrio politico e civile si regga sulla benevolenza dei governanti verso i sudditi.
L'accostamento tra Rousseau e Hobbes appare in questo scritto molto forzato, e al lettore attento non può d'altro canto sfuggire il fatto che la polemica contro le teorie di uno stato ferino dell'umanità è condotta ignorando le discussioni italiane sul medesimo tema. L'egemonia francese tiene il C. lontano da un confronto col Vico.
L'ultimo degli scritti pubblicati dal C., le Congetture sui sogni (1783), contiene un'ampia ed erudita disamina di teorie antiche e moderne sull'origine e l'interpretazione del fenomeno. Il C., ancora largamente debitore al Condillac, al Bonnet, e anche al La Mettrie, prende posizione contro la teoria meccanicistica per cui i sogni sarebbero eccitati da una legge elastica di "battiture e ribattiture", e le idee "ribattute" nella veglia riemergerebbero nel sogno; e sostiene l'altra teoria, essa pure meccanicistica, dei sogno come serie di idee suscitate da vibrazioni delle fibre del cervello, che si richiamano vicendevolmente per associazione. Anche qui l'intento principale del C. è di natura etico-politica: "le idee che più ci occupano nella veglia saranno quelle appunto che più spesso ci si risveglieranno dormendo" (p. 19); dunque sarà possibile, attraverso la conoscenza dei sogni, conoscere qual è il carattere morale della persona, giacché esso si fonda sull'"abitudine, e vuol dire dalla ripetizione delle idee" (p. 28). E questa conoscenza, sarà utile per orientare il miglioramento dei costumi e delle abitudini, private e pubbliche.
Opere: Saggio analitico sulla compassione, Parma 1772 (recens. in Novelle letter. di Firenze, n.s., III [1772], col. 469; e in Giorn. de' letter., VIII [1772], pp. 116-153) e con annotazioni di G. B. Gualengo, Piacenza 1780; Essai analytique sur la compassion traduit de l'italien par Madame S.S.S., Venezia 1781, Orazione in lode di s. Vincenzo de' Paoli, Genova 1777; De morali disciplina humanae societatis libri duo, Parma 1778 (recensito in Giornale de' letterati, XXXV [1779], pp. 73-91); Lettere, Pesaro 1779; Congetture sui sogni, Parma 1783.
Fonti e Bibl.: Memorie enciclopediche dell'anno MDCCLXXXI compilate dalla Soc. letteraria diretta dal dott. G. Ristori, Bologna 1782, n. 9, p. 9; L. Mensi, Diz. biogr. piacentino, Piacenza 1899, pp. 113-114; J. Affò-A. Pezzana, Mem. degli scrittori e letterati Parmigiani, VII, Parma 1833, pp. 263, 400, 434, 490; M. Gioia, Ideologia, Milano 1822-1823, II, 2, cap. IX, 2; L. Galli, U. C., in Il Facchino (Parma), III (1841), 18, pp. 137-139; G. Bianchi, La vita e i tempi di monsignor G. Cerati vescovo di Piacenza, Piacenza 1893, pp. 63-71, 225-283 passim; U. Benassi, G. du Tillot, in Archivio stor. per le prov. Parmensi, XXV (1925), p. 32; G. Capone Braga, La filosofia francese e ital. nel Settecento, II, Padova 1942, pp. 105-113; F. Catalano, Illuministi e giacobini del '700 italiano, Milano-Varese 1959, ad Indicem; S. Rota Ghibaudi, La fortuna di Rousseau in Italia, Torino 1961, pp. 84 s.; E. Garin, Storia della filosofia ital., III, Torino 1966, p. 983.