UBALDINI DELLA CARDA, Bernardino
– Nacque verso il 1390, probabilmente ad Apecchio, in diocesi di Cagli (Pesaro e Urbino), primogenito di Ottaviano Ubaldini della Carda e di Bochina (o Rochina) da Varano, figlia di Venanzio, della dinastia dei signori di Camerino.
Suo padre, capitano di ventura, stabilì definitivamente la signoria degli Ubaldini della Carda su Apecchio e su altri piccoli centri fortificati (fra i quali il castello eponimo della Carda), ponendo fine a una secolare contesa territoriale con Città di Castello. Furono gli stretti rapporti da lui intrecciati con Guidantonio da Montefeltro ad avvantaggiare la carriera di Bernardino.
Ubaldini mosse i primi passi nelle Marche. Nel 1411 accorse a Camerino, chiamato dai da Varano per soccorrere la città dalle minacce dei Malatesta. Nel 1414 fu assoldato da Ancona, in lotta contro i Malatesta di Pesaro. L’anno seguente fu al soldo di Ludovico Migliorati, signore di Fermo, contro Pandolfo III Malatesta. Si aggregò in seguito alle truppe di Andrea Fortebracci (Braccio da Montone), partecipando nel luglio del 1416 a una battaglia presso Collestrada, nella quale fu fatto prigioniero Carlo Malatesta. Bernardino si unì poi all’esercito di Braccio, dirigendosi verso San Severino Marche, risparmiata dall’assedio, e nel Fermano, ove saccheggiò alcuni castelli.
Dopo la pacificazione della Marca seguita all’elezione di Martino V, Ubaldini si spostò in Lombardia. Dall’estate del 1417 fu al soldo di Pandolfo III Malatesta, signore di Brescia e di Bergamo, per arginare le offensive viscontee. Nel marzo del 1418 fu sconfitto ad Olginate, sulle rive dell’Adda, da Francesco Bussone, conte di Carmagnola. Fu presente alla capitolazione di Bergamo, il 24 luglio 1419, espugnata dalle truppe viscontee guidate da Carmagnola: riuscì a stento a salvarsi e perse molti dei suoi uomini.
In Lombardia lo aveva seguito Angelo Galli, poeta formatosi presso la corte dei Montefeltro a Urbino e iniziato da Ubaldini al mestiere delle armi. Nel 1417 Galli compose un gruppo di sonetti dedicati a Ginevra, donna amata da Ubaldini durante il soggiorno bergamasco.
Ubaldini si spostò quindi a Firenze, ove risiedette per qualche tempo e concluse affari: acquistò una colombaia nel contado fiorentino e un’altra nel territorio apecchiese, attraverso il procuratore Ludovico de’ Concioli da Montiano. Quando Braccio da Montone iniziò a conquistare l’Umbria, Ubaldini tornò alle armi per contrastarlo. Nel marzo del 1418 difese Cagli da un assalto delle truppe comandate da Niccolò Piccinino, che sosteneva i bracceschi, riportando una ferita al collo. Intanto, Braccio era riuscito a sottrarre Assisi al controllo di Guidantonio di Montefeltro. Ubaldini fu nominato comandante generale delle truppe feltresche e organizzò un esercito, nel quale partecipavano come capitani Angelo della Pergola, Conte da Carrara e Ludovico Michelotti. Assisi fu espugnata, ma il 17 ottobre 1419 Braccio con uno stratagemma riuscì a penetrare in città attraverso le fortificazioni e a riconquistarla dopo tre giorni di combattimento. Ubaldini fu costretto a ritirarsi con gravi perdite; numerosi furono anche i prigionieri, tra i quali i suoi fratelli Giovanni e Uguccione, condotti in catene a Perugia.
Anche dopo questa battuta d’arresto, Ubaldini continuò a sostenere i conti di Montefeltro. Braccio, con il sostegno dei Gabrielli, mirava ora a impadronirsi di Gubbio. Bernardino, insieme a Ludovico Migliorati, riuscì a munire la città e a resistere agli assalti delle truppe braccesche, guidate da Piccinino, presso la porta di S. Francesco; si assicurò pure la difesa dei castelli del contado, sui quali concentrò la sua attività. Le minacce di Braccio furono respinte e la pace fu stipulata a Firenze il 14 marzo 1420, a vantaggio di Guidantonio e della Chiesa, con il beneplacito del papa. Bernardino fu inviato nel castello di Frontone, ove si erano rifugiati i Gabrielli, per vendicarsi: il castello fu consegnato ai Montefeltro e Ceccolo Gabrielli fu giustiziato a Gubbio.
Le ottime relazioni fra Guidantonio e Ubaldini furono foriere di un nuovo incarico: nel maggio del 1420 fu inviato a conquistare Bologna per la Chiesa, militando ora nell’esercito di Braccio da Montone. Il 25 agosto 1420 tornò a Urbino per sposare Aura di Montefeltro (1405 circa-1475), figlia naturale di Guidantonio; dal matrimonio nacque Ottaviano. Alla ripresa dell’attività militare, Ubaldini fu nuovamente capitano nelle truppe di Braccio da Montone, che ora si trovava invischiato nelle questioni successorie del Regno di Napoli. Insieme a Orso Orsini e a Iacopo Caldora collaborò attivamente alla difesa di Napoli, presidiando porta Marina. L’acquietarsi della lotta gli permise di lasciare la città: nel gennaio del 1422 si trovava a Gubbio, dimorando in un palazzo di sua proprietà, e nominava suo procuratore il notaio urbinate Dionigi di Ludovico Sforzalini. Qualche mese più tardi, nel luglio, partecipò all’assedio di Città di Castello, condotto da Braccio da Montone e terminato all’inizio di settembre. Nei fragili equilibri della questione napoletana, Braccio da Montone, nominato ora dalla regina Giovanna II gran conestabile del Regno, inviò Ubaldini, con Muzio Attendolo (Sforza) e Giacomo Caldora, a presidiare Napoli.
Qui nella capitale del Regno, Ubaldini si trovò invischiato nei maneggi della corte e finì per qualche tempo nel carcere del Castelnuovo insieme a Gianni Caracciolo, amante della regina e suo consigliere. Tornò però in seguito a occuparsi della difesa di Napoli, minacciata dalla flotta e dalle truppe viscontee comandate da Francesco Sforza. Nel gennaio del 1424, ottenuto un salvacondotto, abbandonò Napoli per raggiungere Braccio nella guerra dell’Aquila: non si hanno però notizie della sua partecipazione. In settembre si trovava nuovamente nel Montefeltro per assediare Casteldurante (Urbania) e spodestare i Brancaleoni, per conto di Guidantonio di Montefeltro.
Nel luglio del 1425 Ubaldini si pose al servizio di Firenze: la sua condotta prevedeva trecentocinquanta lance e duecentocinquanta fanti. Scese in Valtiberina per fronteggiare le truppe viscontee e si diresse ad Anghiari, centro fedele ai fiorentini. Qui insorsero dissapori con Ardizzone da Carrara, anche lui al soldo di Firenze, e vi furono risse fra le truppe: ne approfittarono gli avversari, che ebbero la meglio. L’esercito fiorentino riportò notevoli perdite e Ubaldini fu ferito e catturato, insieme a suo cugino Galizio. Bernardino fu condotto in carcere dapprima a Forlì, poi a Milano e infine nel castello dei Forni a Monza, ove erano detenuti i prigionieri politici dei Visconti. Nell’agosto del 1426 riuscì a evadere con uno stratagemma e riparò a Brescia, passata sotto il controllo di Venezia. Si inserì da questo momento nelle guerre di Lombardia e offrì il proprio appoggio all’esercito della lega stipulata fra Firenze e Venezia, guidato dal conte di Carmagnola. Partecipò alla battaglia di Sommo (Ca’ di Secco) presso Cremona (12 luglio 1427), nella quale figurò fra i capitani che esponevano un proprio stendardo: il suo recava una testa di cervo sormontata da alte corna. Fu poi alla battaglia di Maclodio (12 ottobre 1427), ove fu incaricato di sbarrare la strada ai nemici in fuga verso l’Adda, insieme a Niccolò Mauruzi da Tolentino. Nel novembre presenziò a Milano a uno dei trattati della guerra, quello fra Filippo Maria Visconti e Amedeo VIII di Savoia.
Tornato al servizio di Firenze, nell’estate del 1428 ripristinò l’autorità della Repubblica su Marradi e altri castelli dell’area, occupati dai Manfredi; acquistò anche, per mano di Angelo Galli, il podere ‘della Colombara’, nel suburbio fiorentino. Nell’autunno del 1429 represse una ribellione a Volterra e si unì in Versilia alle truppe fiorentine comandate da Niccolò Fortebracci della Stella per contrastare Paolo Guinigi, signore di Lucca. Tuttavia, l’anno successivo insorsero contrasti fra Ubaldini e Fortebracci nel presidio del territorio lucchese e le posizioni fiorentine si indebolirono al punto che i Dieci di Balìa decisero di chiamare Guidantonio di Montefeltro come nuovo comandante generale. Nella battaglia del Serchio (2 dicembre 1430) l’esercito lucchese, sostenuto da Genova e guidato da Piccinino, sconfisse le truppe fiorentine: Ubaldini non poté far altro che mettere in salvo la vita del suocero e condurlo incolume con sé a Pisa.
L’anno 1431 fu per Ubaldini particolarmente intenso. Ricevette nuovi incarichi dalla Repubblica di Firenze. Nel gennaio del 1431 fu in Val d’Elsa, con il commissario Bartolomeo Ridolfi, per contrastare i viscontei comandati da Alberico da Barbiano: qui catturò e inviò in catene a Firenze il condottiero Niccolò Gambacorta da Pisa. Qualche mese più tardi fu ad Arezzo come governatore militare. In agosto si recò a Città di Castello per negoziare con le autorità cittadine le pretese di Niccolò della Stella sulla città tifernate. Intanto i Manfredi cercavano nuovamente di impadronirsi di Marradi, accampando come pretesa il mancato rispetto dei patti per il rilascio di Ludovico Manfredi, rinchiuso dai fiorentini nel carcere delle Stinche. Ubaldini perorò la causa della liberazione di questi e di Nicolò da Pisa, ma ricevette un diniego dai magistrati fiorentini. Ne seguì la rottura dei rapporti con la Repubblica, consumatasi anche per dissidi economici; i fiorentini, sdegnati dal voltafaccia, accusarono Bernardino di estorsioni e gli requisirono la proprietà della Colombaia.
Ubaldini tornò a occuparsi della questione di Città di Castello. Nel luglio del 1431, per conto di Guidantonio di Montefeltro, si pose a capo di un vasto esercito e a Selci indusse Niccolò della Stella a ritirarsi senza combattere. Entrò trionfalmente a Città di Castello e la consegnò nelle mani del luogotenente feltresco; ricevette come compenso le rendite derivanti dal castello di Celle. In occasione dell’impresa tifernate Angelo Galli, al suo seguito, compose una canzone in onore della Vergine Maria.
Ubaldini entrò quindi nell’orbita viscontea: a Milano, nell’aprile del 1432 ricevette da Filippo Maria Visconti l’incarico di scortare a Roma l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, stornando le minacce della lega siglata fra la Chiesa, Firenze e Venezia. Giunto a Siena, ricevette il titolo di gonfaloniere generale di Toscana per il duca di Milano ed ebbe il comando delle milizie della città di Siena. Occupò il castello di Marciano della Chiana e destabilizzò poi i territori fiorentini in Valdelsa e nella media valle dell’Arno. Gli scontri degenerarono in una battaglia campale, la battaglia di San Romano, combattuta nei pressi di Montopoli in Val d’Arno (Pisa) il 2 giugno 1432. Qui le truppe senesi, guidate da Ubaldini, furono sconfitte e messe in fuga dalle milizie fiorentine agli ordini di Michelotto da Cotignola.
A Firenze l’evento fu celebrato nel trittico su tavola commissionato, verso il 1438, da Leonardo Bartolini Salimbeni a Paolo Uccello. Un pannello (oggi conservato alla National Gallery di Londra) raffigura al centro di un’affollata scena il disarcionamento di Ubaldini, ritratto in una rovinosa caduta da cavallo. L’immagine si può inscrivere in quel clima di denigrazione che coinvolse Ubaldini dopo la rottura dei rapporti con la Repubblica.
Tornato al servizio dei Visconti ricevette in feudo dal duca Filippo Maria il castello di Vespolate, nel Novarese. Fra il 1432 e il 1433 combatté le truppe della Chiesa nel Riminese e nel Forlivese; l’anno seguente si trovava nell’alto Lazio, ove assunse l’incarico di comandante generale nella Tuscia. Nell’estate del 1434 era in Romagna, presso Imola, per compiere operazioni di difesa, ma a causa di una malattia dovette sospendere ogni attività.
La stima acquistata presso la corte viscontea gli valse, nel luglio del 1435, un prestigioso incarico: mediare un compromesso fra Piccinino e Francesco Sforza, ma il risultato sortì un nulla di fatto.
Rientrato in Lombardia, scortò in settembre il re Alfonso V d’Aragona, catturato dai genovesi alla battaglia di Ponza, nel viaggio compiuto da Savona a Milano; ottenne, nello stesso anno, la cittadinanza eugubina.
Colpito da una grave malattia nella fortezza di Stellata, presso Bondeno (Ferrara), si fece condurre a Ferrara, ove morì il 29 maggio 1437. Dopo la sua morte scrisse per lui un epitaffio l’umanista Porcellio Pandoni.
Scompariva con Bernardino un esponente della folta schiera di capitani di ventura dell’Appennino. Egli fu capace di porsi al servizio delle diverse potenze italiane senza essere mai travolto dalla portata dei conflitti. La duratura alleanza degli Ubaldini della Carda con i conti di Montefeltro garantì a Bernardino quella sicurezza che gli consentì di consolidare la signoria territoriale su Apecchio e sui vicini castelli di montagna e di ricoprire anche un ruolo nelle città umbre (Gubbio e Città di Castello) sotto l’influenza feltresca. Il servizio militare reso a Filippo Maria Visconti, molto apprezzato presso la corte milanese, gli avrebbe forse potuto aprire nuove prospettive, se la morte non fosse sopraggiunta soltanto cinque anni dopo l’inizio del rapporto.
Secondo una tradizione, avallata dagli umanisti e dai cronisti quattrocenteschi, Federico da Montefeltro, il futuro duca di Urbino, nato il 7 giugno 1422, sarebbe figlio di Ubaldini e di Aura. Guidantonio non aveva avuto eredi dal matrimonio con Rengarda Malatesta, celebrato nel 1397, e avrebbe accolto come proprio il neonato generato da sua figlia e dal suo fido capitano, diffondendo la notizia di averlo concepito con una nobildonna dalla segreta identità. La diceria della paternità di Ubaldini fu alimentata in un primo tempo dai Malatesta, umiliati per la sterilità di Rengarda e per il giubilo di Guidantonio alla nascita dell’erede fuori dal matrimonio: le cronache malatestiane affermano apertamente che Federico fu «figliolo de Berardino de la Carda» (Cronache malatestiane..., a cura di A.F. Massera, 1922, p. 99). La versione della paternità di Ubaldini non fu negata neppure nella corte feltresca da Pierantonio Paltroni, segretario e biografo ufficiale di Federico. Guerriero da Gubbio ribalta la questione, affermando che Federico fu figlio di Ubaldini, poi adottato da Guidantonio e fatto crescere con tale cura da far credere a molti che fosse suo figlio naturale (p. 101). La tradizione fu in seguito corroborata dal rapporto di familiarità intessuto da adulti fra Federico da Montefeltro e Ottaviano Ubaldini della Carda, intenso come tra fratelli germani.
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