Tutti li miei penser parlan d'Amore
li miei penser parlan d'Amore Sonetto della Vita Nuova (XIII 8-9), su schema abba abba; cde edc, presente nella tradizione ‛ organica ' del libro e delle sue rime e nella Giuntina del 1527. Segna l'inizio del momento che viene definito comunemente cavalcantiano o dell'amore doloroso (capp. XIII-XVI), dopo la crisi conseguita al negato saluto di Beatrice (cap. X) e il colloquio decisivo con Amore, che porta alla liquidazione delle donne-schermo e alla ricerca di una nuova intimità di sentimento e d'ispirazione (cap. XII).
Come nei sonetti dei capp. XIV, XV, XVI (Con l'altre donne, Ciò che m'incontra, Spesse fiate), D. si propone qui di narrare il proprio stato (XVII 1), non rivolgendosi, però, come fa negli altri, a Beatrice, ma cercando di chiarire a sé stesso il proprio animo; e per questo suo carattere di lucida riflessione il sonetto viene a costituire la proposizione tematica della materia dolorosa e, per così dire, una dichiarazione di poetica in tal senso. Ai vv. 9-10 Ond'io non so da qual matera prenda; / e vorrei dire, e non so ch'io mi dica, fa infatti riscontro, alla fine della breve silloge, l'affermazione: Poi che dissi questi tre sonetti... narratori di tutto quasi lo mio stato... credendomi tacere e non dire più... a me convenne ripigliare matera nuova e più nobile che la passata (XVII 1). Matera nuova saranno la lode e l'amore disinteressato che trova in sé stesso il proprio appagamento: quella presente è la crisi morale e, in primo luogo, gnoseologica, che D. chiama amorosa erranza (v. 11).
Tema centrale del sonetto è, appunto, la varietate (V. 2) o diversitade (XIII 10: e converrà pensare all'etimo latino, che allude a varietà discorde, a disarmonia) dei pensieri del poeta, incapaci di rivolgersi ad altro che non sia amore, ma incerti fra accettazione e repulsa della sua signoria e, soprattutto, impotenti a concepirne la vera essenza. Unica soluzione al tormentoso smarrimento è cherer pietate a Beatrice, tremando di paura che è nel core (vv. 7-8): ma si tratta pur sempre di una soluzione evasiva, che non comporta un vero superamento del dilemma sul piano etico e conoscitivo. Di qui il disdegnoso modo di parlare, paradossale e antifrastico, della chiusa (convenemi chiamar la mia nemica, / madonna la Pietà, che mi difenda), consapevole della sostanziale precarietà di un tale conforto.
Per lo stile, il sonetto è stato giustamente definito ‛ di transizione ' fra la cosiddetta scuola toscana e le nuove proposte cavalcantiane. Di ascendenza ‛ cortese ' sono il tòpos del v. 1 (lo Scherillo e il Melodia indicano numerosi precedenti provenzali), il dibattito-contrasto sulla natura di amore, anche se svolto, qui, con un gusto psicologistico e una sommessa vena patetica e non con la tonalità atipica delle tenzoni, e vocaboli come erranza e accordanza. Cavalcantiani appaiono, invece, certi stilemi (tremando di paura, folle), ma soprattutto la tendenza alla personificazione e drammatizzazione delle facoltà spirituali e del loro dialogo. Ma sono motivi appena accennati. La frequenza della coordinazione lineare e della paratassi priva di intimo dinamismo, le partizioni ordinate e lo svolgimento quasi sillogistico del tema, la compiaciuta chiusa epigrammatica assecondano il movimento pacatamente riflessivo, ideologicamente esiguo e privo d'insorgenze sentimentali della lirica, che rimane presentimento piuttosto che espressione della nuova maniera.
Bibl. - Oltre ai commenti alla Vita Nuova; a Barbi-Maggini, Rime 60-62; a Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 71-72 e 77-79, cfr. A. Marigo, Mistica e scienza nella Vita Nuova di D., Padova 1914, 55-56; M. Corti, La fisionomia stilistica di Guido Cavalcanti, in " Rendic. Accad. Lincei " s. 8, V (1950) 530-551; D. De Robertis, Il libro della Vita nuova, Firenze 1961 (1970²), cap. IV; B. Nardi, D. e Guido Cavalcanti, in " Giorn. stor. " CXXXIX (1962) 481-512 (ora in Saggi e note di critica dantesca, Milano-Napoli 1966, 109-219); G. Contini, Cavalcanti in D., in Le rime di Guido Cavalcanti, a c. di G. Contini, Verona 1966, 85-107 (ora in Varianti e altra linguistica, Torino 1970, 433-445); F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1968², 68-70.