Vedi TURRIS LIBYSONIS dell'anno: 1966 - 1997
TURRIS LIBYSONIS
Città della Sardegna, oggi Porto Torres, su quel tratto della costa settentrionale, protetto ad O dall'isola dell'Asinara e dove sfocia il Rio Turritano.
È ricordata nell'opera geografica di Claudio Tolomeo, in Plinio il Giovane, negl'Itineraria romani ed è segnata nella Tabula Peutingeriana. I nomi di Turris e Πυργος per indicare città non sono rari nel mondo antico; l'aggettivo Libysonis, richiamante alla Libia, fa pensare, ovviamente, ad un'origine punica della città. Ma, eccettuato qualche cippo trovato nell'agro turritano, nessun altro dato archeologico si conosce che colleghi la nostra città al mondo di Cartagine. Però, essendosi appena oggi iniziati scavi regolari, questo problema resta aperto.
Durante il dominio romano T. L. condivise con Carales (Cagliari) il rango di preminente città dell'isola, centro dei commerci con la Gallia Narbonense e fra Roma e la Spagna; dal suo porto (la ripa turritana menzionata in un'epigrafe) salpavano le navi cariche di grano diretto ad Ostia, dove nel "Piazzale delle Corporazioni", un'iscrizione attesta la presenza di un'agenzia di Naviculari Turritani. T. L. è la sola comunità sarda esplicitamente menzionata come colonia civium Romanorum, fondata (si crede) sotto la dittatura di Giulio Cesare o con la pace augustea. Dalla presenza di alcune iscrizioni sembra desumersi che la città era iscritta nella tribù Collina.
La città, favorita anche sotto la dinastia dei primi Flavi, fu florida per quasi tutta la durata dell'Impero come si deduce dalla ricchezza dei corredi tombali.
Nel V sec. i Vandali l'assalirono dal mare; verso il Mille la città fu completamente abbandonata.
T. L. doveva essere la città più omogenea dal punto di vista edilizio, per l'aspetto prevalentemente romano. Le terme dette Palazzo di Re Barbaro, formano un grandioso edificio, per la maggior parte ancora sepolto, che assorbì fabbriche preesistenti, occupando l'area di una intera insula fra due decumani e due cardines (presso l'attuale scalo ferroviario). L'impianto originario fu concepito alla fine del I sec. a. C. Le prime aggiunte furono costruite in opera listata, le successive con muratura irregolare a calce. Al di sopra delle sale era un serbatoio d'acqua, che alimentava le caldaie sottostanti. Il caldario era coperto con vòlte a crociera sostenute da poderosi pilastri angolari. Le suspensurae, invece che con i consueti pilastrini di mattoni, erano realizzate con blocchi calcarei. Presso il ponte romano era un altro impianto termale, distrutto in gran parte dalla strada. Ne sussiste una piscina fredda accessibile da un ambiente sorretto da suspensurae in cotto. Un terzo stabilimento termale, più ad E, quasi completamente distrutto dalla costruzione della ferrovia del 1927, è databile al III sec. d. C.
Il Ponte Romano, ancora esistente, ha 7 archi ed è lungo m 135, con le arcate di raggio decrescente. Costruito in blocchi regolari di calcare locale presenta, sopra al cervello degli archi, una cornice modanata, in parte conservata nella facciata nord-orientale. È stato confrontato con quello di Augusto a Rimini terminato da Tiberio nel 22 d. C., ma è probabile che il monumento, quale oggi ci appare, non sia opera unitaria.
L'acquedotto attingeva a una sorgente sita nella valletta dell'Eba Ciara presso Sassari a 20 miglia romane da Turris. Ne avanzano ruderi in varî punti.
Il porto coincideva col bacino interno di quello attuale. Altri monumenti, fra cui un portico colonnato, un colombario, ecc. Da altri testi epigrafici risulta che esistevano un tempio della Dea Fortuna, una basilica (s'intende pagana o giudiziaria) con tribunale, ma di questi edifici niente finora abbiamo. Numerose sculture in marmo, statue e sarcofagi, oggi nel Museo Nazionale di Sassari.
Bibl.: E. Pain, Storia della Sardegna e della Corsica, ecc., Roma 1923, I, p. 381 ss.; V. Mossa, Rilievi e pensieri sul patrimonio monumentale di P. Torres, in Studi Sardi, XIV-XV, 1955-57; G. Pesce, Sarcofagi romani di Sardegna, Roma 1957, p. 106 (bibl. n. 59); G. Maetzke, Architettura romana in Sardegna, in Boll. del Centro per la St. dell'archit., n. 17, 1961 (con bibl. precedente).