TURBINA (dal lat. turbo, nel significato di vortice, movimento vorticoso)
Si dice genericamente turbina (fr. turbo-machine; ted. Kreiselmaschine) una macchina a fluido il cui organo mobile principale è una ruota a pale, di forma adatta per captare l'energia di una corrente fluida nel caso delle macchine motrici o per comunicare energia alla corrente nel caso delle macchine operatrici. Al passaggio di energia si accompagna sempre l'annullamento (o l'attenuazione) della componente del moto perpendicolare ai piani meridiani della ruota, se tale componente preesiste nel fluido, determinatavi da pale direttrici fisse; ovvero la generazione di un moto vorticoso della corrente, se prima di raggiungere la ruota le particelle fluide si muovono nei detti piani meridiani.
Il nome di turbina si dà di preferenza alle macchine motrici, di meno alle operatrici; esso venne impiegato per la prima volta verso il 1820 dall'ingegnere francese Cl. Bourdin, costruttore di alcuni motori idraulici di tal genere, autore di un importante studio ad essi relativo e maestro dell'ingegnere B. Fourneyron, cui si deve l'invenzione e la diffusione delle prime turbine idrauliche praticamente adatte alle applicazioni industriali.
Turbine a vapore.
Cenni storici. - Gerone il Vecchio (120 a. C.) riferisce che i sacerdoti egiziani usavano un dispositivo (eolipila) nel quale il vapore entrando in una sfera attraverso un asse cavo e uscendone attraverso due tubi ricurvi la poneva in rotazione: tale dispositivo si può considerare come il primo rudimentale esempio di turbina a reazione.
Giovanni Branca, italiano, nel 1629 propose di fare agire un getto di vapore contro una ruota a palette e di utilizzarne la rotazione: è questo il primo esempio di turbina ad azione.
Carl G.P. De Laval, svedese, nel 1883 riprendendo l'idea del Branca costruì la prima turbina a vapore ad azione costituita da un'unica ruota che girava alla velocità di 26.000 giri, superiore alla prima velocità critica dell'albero.
Charles Parsons, inglese, nel 1884 costruì la prima turbina a reazione di 10 cav. a 17.000 giri composta di due gruppi di quindici ruote di 74 mm. di diametro. Dopo quindici anni di difficoltà e di esperienze la turbina Parsons, perfezionata in modo da poter funzionare a numeri di giri più limitati, andò sempre più diflondendosi mentre la turbina ad azione dal primitivo tipo De Laval si trasformava nei successivi tipi (Zoelly, Rateau, Curtiss, ecc.) a salti di pressione e salti di velocità.
Turbine a reazione e turbine ad azione si contesero così lungamente il campo finché non si giunse alle turbine miste (AP ad azione e BP a reazione) che riuniscono i principali pregi dei due sistemi e sono perciò oggi generalmente usate per le più importanti applicazioni.
I rendimenti delle motrici termiche. - Le motrici termiche hanno per scopo la trasformazione di una certa quantità di calore in lavoro meccanico: il loro funzionamento si può sempre ridurre schematicamente ad una serie di trasformazioni compiute dal fluido motore il cui complesso costituisce il ciclo termodinamico teorico.
Inteso il ciclo come un procedimento per ottenere la trasformazione di calore in lavoro, il "rendimento termico teorico" del ciclo è misurato da ηt = (Q1 − Q2)/Q1 se, riferendoci al ciclo teorico, indichiamo con Q1 la quantità di calore data al fluido e Q2 la quantità di calore sottratta al fluido e quindi con (Q1 − Q2) la quantità di calore trasformata in lavoro.
Nella realizzazione pratica della macchina non è però in generale possibile l'esatta riproduzione del ciclo teorico essendo inevitabili circostanze e fenomeni secondarî che diminuiscono ulteriormente il rendimento. Si chiama "rendimento specifico" ηs (perché dipende dalla specie di macchina realizzata: da alcuni ηs è chiamato "coefficiente di bontà" o "rendimento indicato") quello che tiene conto di tali inevitabili circostanze e che è misurato dal rapporto tra il calore equivalente al lavoro Li effettivamente compiuto dal fluido nella motrice e il calore (Q1 − Q2) che nel ciclo realizzato era disponibile per la trasformazione in lavoro: si ha quindi ηs = ALi/(Q1 − Q2). Il lavoro compiuto dal fluido nella motrice si usa chiamare lavoro indicato Li perché nelle motrici a stantuffo si può misurare mediante apposito apparecchio detto indicatore (v.). Ovviamente il prodotto del rendimento termico per il rendimento specifico rappresenta il "rendimento termico reale" η′t = ηt • ηs.
Poiché però ciò che interessa in realtà non è il lavoro compiuto dal fluido nell'interno della macchina, ma invece soltanto quello disponibile sull'albero motore e perciò direttamente utilizzabile, si deve considerare anche il "rendimento meccanico" ηm, che tien conto di tutte le inevitabili perdite meccaniche (resistenze passive, attriti, fughe, ecc.) che i varî organi costituenti la macchina debbono vincere per muoversi. Indicando con Leff il lavoro effettivo compiuto dalla macchina, il rendimento meccanico è misurato da: ηm = Leff/Li.
Il rendimento totale di una motrice termica risulta perciò espresso dal prodotto: ηtot = ηt • ηs • ηm.
I cicli di funzionamento delle motrici a vapore. - Ciclo di Rankine. - Nel caso di una motrice a vapore saturo il ciclo al quale si può ridurre schematicamente il funzionamento della macchina prende il nome di ciclo del Rankine (o di Clausius; v. pp. fuori testo figg. 1 e 2). Un kg. d'acqua partendo dalle condizioni corrispondenti al punto 1 compie una serie di successive trasformazioni per ritornare alle condizioni iniziali realizzando in tal modo la trasformazione di una certa quantità di calore (area 1-2-3-4-5 del diagramma TS della fig. 2) in un'equivalente quantità di lavoro (area 1-2-3-4-5 del diagramma pv della fig.1).
Le successive operazioni compiute dal fluido sono: compressione 1-2 a temperatura e volume (praticamente) costanti compiuta dal kg. d'acqua nel passare dal condensatore alla caldaia per effetto della pompa d'estrazione e della pompa d'alimento, riscaldamento 2-3 a pressione e volume (praticamente) costanti compiuti in caldaia (o nell'economizzatore) per arrivare alla temperatura d'ebollizione, evaporazione 3-4 a pressione e temperatura costanti compiuta in caldaia per diventare vapore, espansione (adiabatica) 4-5 compiuta nella motrice (a stantuffo o a turbina), condensazione 5-i a pressione e temperatura costante compiuta nel condensatore per ritornare acqua nelle condizioni iniziali.
Per effettuare tale ciclo occorre dare al fluido durante la trasformazione 2-3 il calore q3 − q2 per riscaldare l'acqua da T2 a T3 e durante la trasformazione 3-4 il calore r4 x4 per evaporare l'acqua alla temperatura T3 = T4 fino al titolo finale x4 del vapore in caldaia: occorre poi sottrarre al fluido durante la trasformazione 5-i il calore r5 x5 per condensare alla temperatura T5 = T1 il kg. di vapore avente il titolo x5. Poiché la differenza fra il calore dato e quello sottratto al fluido è trasformata in lavoro, il rendimento termico teorico del ciclo di Rankine è misurato da:
Tale rendimento è minore di quello che si avrebbe con un ciclo di Carnot tra le medesime temperature estreme, perché, mentre nel ciclo di Carnot tutto il calore verrebbe dato al fluido alla temperatura massima (cioè durante la isoterma 3-4) e sarebbe quindi tutto utilizzabile per tutto il salto termico, nel ciclo di Rankine solo una parte del calore viene data al fluido alla temperatura massima (cioè durante l'evaporazione: isoterma 3-4) mentre la rimanente parte viene data a temperature variabili dalla minima alla massima (cioè durante il riscaldamento dell'acqua: trasfomazione 2-3) e quindi utilizzato per un minor salto termico.
Al crescere della pressione in caldaia e quindi della pressione massima del vapore nel ciclo il rendimento termico teorico ηt del ciclo di Rankine va sempre più aumentando: tale incremento è però tanto minore quanto maggiore è la pressione massima del vapore, perché corrispondentemente va sempre più diminuendo la parte di calore ceduta al fluido alla temperatura massima, fino a ridursi a zero quando si raggiunge la pressione critica del vapore. Corrispondentemente quindi all'aumento della pressione in caldaia diminuisce il rapporto tra il rendimento termico teorico ηt del ciclo di Rankine e quello che si avrebbe con un ciclo di Carnot tra le medesime temperature estreme.
Al crescere della pressione in caldaia il rendimento specifico va diminuendo, perché il punto 4 va salendo lungo la curva limite superiore (nel caso di vapore saturo secco e lungo le linee a titolo costante nel caso di vapore umido) e perciò il titolo del vapore nel punto 5 al termine dell'espansione adiabatica va diminuendo e risultano aumentate le perdite di calore nello svolgimento del ciclo reale.
Risulta quindi che in una macchina che segua il ciclo di Rankine, in conseguenza dei contrastanti effetti dell'aumento della pressione massima su ηt e su ηs, il rendimento totale al crescere della pressione massima del vapore dapprima aumenta poi diminuisce raggiungendo il massimo in corrispondenza di circa 130 kg./cmq.
Ciclo a vapore surriscaldato. - Il ciclo di funzionamento di una macchina a vapore surriscaldato (figg. 3 e 4) si discosta dal ciclo di Rankine per la presenza della trasformazione 4-5 a pressione costante che corrisponde al surriscaldamento del vapore e ad una cessione di calore cp (T5 − T4) se indichiamo con cp, il calore specifico del vapore surriscaldato alla pressione costante della caldaia.
Il rendimento termico teorico del ciclo è quindi misurato da:
Il rendimento termico teorico risulta un poco maggiore di quello che sarebbe con vapore saturo tra i medesimi limiti di pressione, in conseguenza del maggior salto termico per il quale viene utilizzato il calore di surriscaldamento.
Il rendimento specifico risulta invece notevolmente maggiore di quello che sarebbe con vapore saturo tra i medesimi limiti di pressione in conseguenza del maggior titolo del vapore alla fine dell'espansione (punto 6 anziché 6′ nella fig. 4) e delle conseguenti minori perdite nello svolgimento del ciclo reale.
Per effetto quindi dell'aumento di ηt e di ηs il rendimento totale di un ciclo con vapore surriscaldato risulta maggiore che con vapore saturo tra i medesimi limiti di pressione.
Ciclo a ricupero di calore. - Qualunque ciclo compreso fra due isoterme ha rendimento termico eguale a quello del ciclo di Carnot e quindi rendimento massimo se le due trasformazioni che lo completano anche senza essere adiabatiche sono isodiabatiche (tali cioè che si possano nel diagramma TS ottenere l'una dall'altra per semplice traslazione parallela all'asse S). Nel caso del vapore, effettuandosi la completa condensazione del vapore lungo l'isoterma inferiore, il passaggio da essa all'isotermia superiore avviene lungo la curva limite inferiore (2-3 in fig. 5) con somministrazione di calore A-1-3-B (calore di riscaldamento dell'acqua): per avere un ciclo a rendimento eguale a quello di Carnot occorrerebbe che il passaggio dall'isoterma superiore all'isoterma inferiore avvenisse lungo una curva 4-5 (fig. 5) parallela alla 2-3 e che il calore sottratto al fluido per compiere la trasformazione 4-5 venisse dato al fluido per compiere la trasformazione 2-3 in modo da limitare gli scambî di calore con l'esterno a quelli che avvengono durante le isoterme. Si ha così un ciclo a ricupero di calore abitualmente (ma impropriamente) detto a rigenerazione e il cui rendimento termico teorico è uguale a quello del ciclo di Carnot.
La realizzazione di un tale ciclo richiederebbe che in corrispondenza di ogni punto M della trasformazione 4-5 venisse sottratto al fluido una quantità di calore infinitesima dq (area dell'elemento tratteggiato) e tale quantità di calore venisse restituita al fluido stesso, in corrispondenza del punto M′ (avente eguale temperatura del punto M) della trasformazione 2-3. Nell'impossibilità pratica di una tale realizzazione si ricorre ad un procedimento col quale ci si può avvicinare egualmente al ciclo proposto: anziché lasciare costante il peso di fluido nei varî punti delle isodiabatiche e variarne la temperatura per effetto della quantità di calore dq (sottratta o restituita) si lascia, durante l'espansione, costante la temperatura e si varia il peso del fluido asportandone una certa quantità dm, alla quale corrisponda la sottrazione della quantità di calore dq che deve passare all'altra trasformazione isodiabatica.
Le due operazioni di sottrazione di fluido e corrispondente restituzione di calore dovrebbero essere continue ed infinitesime, ma in pratica non possono ovviamente effettuarsi che ad intervalli (es.??? 4) e con quantità finite di fluido. Si ha il ciclo con spillamenti di vapore dalla motrice, vapore che si manda ad appositi riscaldatori inseriti nella tubazione dell'acqua dal condensatore alla caldaia, ottenendosi così il riscaldamento dell'acqua dalla temperatura del condensatore a quella della caldaia a spese del vapore spillato dalla motrice; non potendosi perciò fare uso degli ordinarî economizzatori, si provvede all'utilizzazione del calore posseduto dai gas combusti uscenti dalla caldaia effettuando con essi il preriscaldamento dell'aria occorrente per la combustione.
Il rendimento termico teorico del ciclo a spillamento di vapore si avvicina così abbastanza al valore massimo corrispondente al ciclo di Carnot (raggiungendo persino 9/10 di esso). Il rendimento specifico risulta pure lievemente aumentato per il diminuito effetto del basso titolo del vapore alla fine dell'espansione in conseguenza del diminuito peso di vapore (fino al 30%) che va al condensatore. Il rendimento totale risulta perciò notevolmente aumentato in confronto all'ordinario ciclo di Rankine così da compensare (negl'impianti di sufficiente importanza) le complicazioni derivanti dagli spillamenti di vapore.
Ciclo a surriscaldamenti ripetuti. - Come innanzi detto quanto più alta è la pressione del vapore di caldaia tanto minore è il titolo del vapore alla fine dell'espansione e quindi, per la maggiore importanza delle perdite corrispondenti, più basso il rendimento specifico della macchina. Si può ovviare a tali inconvenienti con successivi surriscaldamenti del vapore durante l'espansione (fig. 6), con che l'ascissa del punto corrispondente alla fine dell'espansione (e quindi il titolo finale del vapore) risulta aumentato.
Si ha così il ciclo a surriscaldamenti ripetuti che è però conveniente soltanto per altissime pressioni (p. es., processo Benson nel quale la pressione in caldaia può raggiungere la misura critica p3 = 225 atm., t3 = 374°): il vantaggio in confronto al ciclo con un solo surriscaldamento non dipende tanto dal rendimento termico teorico (che può anche risultare minore che nel ciclo di Rankine) quanto dal rendimento specifico che per le circostanze favorevoli sopra indicate risulta aumentato.
La realizzazione pratica del ciclo non è esente da difficoltà e complicazioni, sia nel caso che i successivi surriscaldamenti vengano effettuati nella caldaia impiegando i prodotti della combustione come fluido surriscaldante, sia che vengano invece effettuati accanto alla turbina impiegando come fluido surriscaldante vapore vivo derivato dalla caldaia o adatto fluido intermediario (p. es., ossido di difenile cui a pari temperature corrispondono pressioni più basse del vapor d'acqua).
Ciclo a due fluidi. - Il ciclo di funzionamento (p. es., il ciclo di Rankine) si può dividere con un'isoterma intermedia in due parti che possono essere realizzate separatamente con due fluidi differenti: si ha così il ciclo a due fluidi.
Esso venne inizialmente (1840) usato per aumentare il rendimento specifico ed il rendimento organico: la parte ad alta pressione (AP) del ciclo era realizzata col vapor d'acqua, la parte a bassa pressione (BP) con un altro fluido (p. es., etere, anidride solforosa) che a pari temperatura presentava minor volume specifico e maggior pressione. Ne derivava, a pari salto termico, un minor vuoto al condensatore e, a pari volume di cilindro, una più completa espansione con conseguente aumento del rendimento organico e del rendimento specifico.
I cicli a due fluidi sono oggi impiegati, invece, per aumentare il rendimento termico teorico. Si è già osservato come aumentando la temperatura massima del ciclo vada diminuendo la quantità di calore ceduta in corrispondenza di tale temperatura e quindi per il sempre maggiore allontanamento dalle condizioni corrispondenti al ciclo di Carnot vada diminuendo l'aumento di rendimento termico teorico. Ricorrendo al ciclo a due fluidi e lasciando al vapor d'acqua la parte a BP si può svolgere la parte ad AP con un altro fluido (p. es., mercurio, ossido di difenile, bromuro d'alluminio) che abbia una temperatura critica più elevata dell'acqua e cui corrisponda perciò un minor rapporto del calore di riscaldamento del liquido al calore d'evaporazione. Importanti applicazioni fatte dall'Emmet per la G.E. C., utilizzando (fig. 7) per il mercurio il salto termico 474°-227° con un salto di pressione di appena 5 ÷ 0,05 atm. e per il vapor d'acqua il salto termico 360°-30° con un salto di pressione 19 ÷ o,05 atm., portarono a un rendimento totale dell'impianto estremamente favorevole oltrepassante il 40%.
L'efflusso del vapore nelle turbine a vapore. - Mentre le macchine a vapore a stantuffo trasformano direttamente l'energia potenziale del vapore in lavoro meccanico utilizzando lo spostamento di uno stantuffo per effetto della pressione del vapore, nelle macchine a vapore a turbina l'energia potenziale del vapore viene in tutto o in parte trasformata prima in energia cinetica e questa viene a sua volta trasformata in lavoro meccanico utilizzandosi lo spostamento di una corona di palette montate sull'asse motore e investite dal getto di vapore.
Schematicamente quindi una motrice a turbina si può ridurre (fig. 9) all'insieme di due organi: i condotti fissi, nei quali l'energia potenziale del vapore in tutto o in parte è trasformata in energia cinetica, e le palette mobili, sulle quali l'energia cinetica e la residua energia potenziale del vapore è trasformata in lavoro meccanico della motrice.
Generalmente, essendo il salto di pressione disponibile nel vapore (tra la caldaia ed il condensatore) molto maggiore di quello utilizzabile con buon rendimento in una macchina elementare costituita da una sola serie di condotti fissi e di palette mobili, le macchine a turbina sono costituite di una serie di siffatte turbine elementari, in ciascuna delle quali il vapore compie una parte della intera espansione 4-5 corrispondente al ciclo svolto dal vapore (fig. 8).
La trasformazione dell'energia potenziale del vapore in energia cinetica può avvenire completamente nei condotti fissi che il vapore percorre prima di giungere sulle palette mobili oppure in parte nei condotti fissi ed in parte sulle palette mobili. Nel primo caso il vapore arriva sulle palette con la velocità corrispondente all'intero salto di pressione disponibile e si hanno le cosiddette turbine ad azione: nel secondo caso il vapore arriva sulle palette con la velocità corrispondente soltanto ad una parte dell'intero salto di pressione disponibile e si hanno le cosiddette turbine a reazione.
Tali denominazioni sono da considerare soltanto come convenzionali perché ambedue i tipi di turbina funzionano per reazione del getto di vapore: infatti anche nelle palette ad azione il vapore investendo la corona di palette senza urto esercita su di esse una spinta per effetto della reazione derivante dalla variazione della direzione del vapore in conseguenza della curvatura delle palette.
Le turbine ad azione e le turbine a reazione presentano, come sarà spiegato nei paragrafi seguenti, caratteristiche diverse.
Le prime in confronto alle seconde hanno il vantaggio di richiedere una minore velocità periferica a parità di salto termico utilizzato, di rendere possibile l'ammissione parziale (cioè limitata ad un arco di circonferenza) e di non dare luogo a fughe di vapore attraverso i giuochi circonferenziali delle palette mobili. Le seconde in confronto alle prime hanno il vantaggio di un maggior rendimento della palettatura e di maggiore compattezza e semplicità costruttiva.
Tali differenti caratteristiche giustificano la moderna tendenza di costruire turbine miste con l'alta pressione ad azione e la bassa pressione a reazione.
Avendo il vapore nella parte ad alta pressione un piccolo volume specifico, per non avere palette troppo corte (ciò che aumenterebbe percentualmente le perdite dovute agli attriti), occorre fare l'ammissione parziale ed è quindi necessario fare ad azione la parte ad alta pressione. D'altra parte, essendo conveniente avere le palette mobili a contatto con vapore a pressione e temperatura abbastanza ridotta (onde ridurre gli attriti del vapore - attriti dei dischi ed effetto ventilante - e conservare sufficiente resistenza al metallo delle palette), è necessario utilizzare un grande salto termico nella prima turbina elementare e facendola ad azione ciò è possibile con velocità periferica meno elevata e senza timore di fughe di vapore attraverso i giochi radiali delle palette mobili (giochi che per l'elevata temperatura del vapore conviene siano abbastanza grandi).
Nella parte a bassa pressione potendosi, per l'aumentato volume specifico del vapore, fare l'ammissione totale e non essendovi alcuna preoccupazione per la pressione e la temperatura del vapore (ciò che permette di frazionare convenientemente il salto termico disponibile), si può senza bisogno di maggiore velocità periferica impiegare la palettatura a reazione. Si ha così il vantaggio di un maggior rendimento senza che ci sia da preoccuparsi troppo delle fughe di vapore per la diminuita importanza percentuale di esse in conseguenza della minore altezza dei giuochi (per la minor temperatura del vapore) e del maggior valore dell'altezza delle palette e del volume specifico del vapore.
Velocità teorica di efflusso del vapore. - Il vapore prima di giungere ad investire le palette mobili trasforma in tutto o in parte in energia cinetica la propria energia potenziale mentre percorre i condotti fissi: essi possono essere costituiti da veri condotti che prendono il nome di ugelli o risultare formati dagli spazî compresi tra la parete cilindrica interna della carcassa della turbina, una corona di palette fissate a detta carcassa e la parte cilindrica del rotore della turbina; la figura 9 mostra una sezione di tali condotti fatta con una superficie cilindrica e sviluppata sul piano del foglio.
Indicando con λ0 e λ1 i valori del calore totale (per kg. di fluido) nello stato iniziale e nello stato finale, A l'equivalente meccanico del calore c0 e c1 la velocità teorica assoluta del fluido all'entrata e all'uscita del condotto fisso, si può scrivere (equazione di Saint-Venant e Wantzel):
In particolare se c0 = 0 risulta:
Per calcolare agevolmente c1 si ricorre al diagramma di Mollier che ha per ordinate le quantità di calore e per ascisse le entropie S: in tale diagramma (essendo un'espansione adiabatica rappresentata da una parallela all'asse delle ordinate) la differenza di ordinate di due punti aventi eguale ascissa rappresenta la quantità di calore λ0 − λ1 resa disponibile per effetto dell'espansione adiabatica e da introdursi nella (2) per il calcolo della corrispondente velocità assoluta c1 acquistata dal vapore.
Forma dei condotti fissi. - Indicando con Q la portata (in kg./sec.) del condotto, con Ω (in mq.) la sezione generica del condotto, c la velocità assoluta (in m./sec.) generica del vapore e v il suo corrispondente volume specifico (in mc./kg.), per l'equazione della continuità dev'essere:
Durante espansione del vapore da p0 (pressione a monte dell'ugello) a p1 (pressione a valle) dapprima c cresce più rapidamente di v e quindi Ω deve diminuire, ma poi, oltrepassata una certa pressione pl, (che si chiama pressione limite o critica), c cresce meno rapidamente di v e quindi Ω deve aumentare: ne risulta un profilo del condotto come in fig. 10 a.
Il valore di pl dipende da p0 e dalla trasformazione effettuata dal vapore attraversando l'ugello: supponendo tale trasformazione esprimibile con l'equazione pvk = cost. (come, per es., nel caso particolare di una espansione adiabatica) risulta
cioè, per es., per k = 1,135 ÷ 1,3, pl = 0,577 ÷ 0,546 p0.
Si debbono considerare due casi:
a) Se p1〈 pl il condotto ha la forma della fig. 10 a; nella sezione contratta Ωl si stabilisce la pressione pl cui corrisponde una velocità cl del vapore
ed una portata
(in cui χ = 1,99 ÷ 2,09 per vapore rispettivamente saturo secco o surriscaldato); al di là della sezione contratta la pressione diminuisce da pl a p1 e la velocità aumenta da cl a c1 (calcolabile con la 2), ma la portata del condotto resta quella corrispondente alla pressione contratta e perciò dipende soltanto da p0 (e non anche da p1).
b) Se p1> pl il condotto ha la forma della fig. 10 b; non esiste pressione limite né sezione contratta intermedia che vincoli la portata e la portata, definita dalla (3) e dalla (2), dipende da p0 e da p1.
Lavoro compiuto dal vapore. - Il vapore uscito dai condotti fissi con velocità c1 trasforma in lavoro meccanico parte della sua energia cinetica e, nel caso più generale, anche della sua energia potenziale percorrendo i condotti mobili: si tratta dei condotti formati dagli spazî compresi tra la parete cilindrica del rotore della turbina, la corona delle palette mobili su di essa applicate e la superficie cilindrica che collega l'estremità delle palette (oppure la superficie cilindrica interna della carcassa della turbina).
Il vapore entra (teoricamente) senza urti nei condotti mobili essendo dotato (fig. 11 nel caso di turbina assiale e fig. 12 nel caso di turbina radiale) di una velocità relativa w1 di entrata (risultante della velocità assoluta c1 del vapore e della velocità − u1 velocità periferica del condotto mobile cambiata di segno) parallela all'elemento di imbocco delle palette mobili: percorre i condotti mobili variando nel caso generale (in conseguenza di un'ulteriore espansione del vapore) il valore di tale velocità relativa (supposti per ora nulli gli attriti e le altre perdite di carico nei condotti mobili) e variandone in ogni caso (in conseguenza della curvatura delle palette) la direzione fino ad uscire dai eondotti mobili con velocità relativa w2 e con velocità assoluta c2 (risultante della velocità relativa w2 e della velocità u2 di trascinamento). Indichiamo con c1u e con c2u le componenti della c1 e della c2 nella direzione del moto dei condotti (assunte come positive quando concordano nel senso con la velocità periferica) e consideriamo l'eflusso di un kg. di vapore al secondo: per il principio delle quantità di moto la componente tangenziale della spinta (in kg.) esercitata dal vapore sulle palette è c1u/g all'entrata e − c2u/g, all'uscita, complessivamente quindi:
Essendo poi u1 e u2 le velocità periferiche all'entrata e all'uscita, il lavoro complessivo compiuto dal vapore nell'unità di tempo (potenza) in kgm./sec. è:
che, con semplici sostituzioni, si può scrivere sotto la forma:
Qualora si tratti di turbina assiale, essendo la velocità periferica uguale all'entrata e all'uscita dal condotto mobile cioè u1 = u2 = u, risulta:
Tale formula vale nel caso più generale delle cosiddette turbine a reazione, nelle quali, come già detto innanzi, il vapore trasforma la propria energia potenziale in energia cinetica sia nei condotti fissi, sia nei condotti mobili: attraversando i primi varia la propria velocità assoluta (supposta zero la velocità c0 di entrata nei condotti fissi) da c0 = 0 a c1 per effetto di una parziale espansione e quindi incrementa la sua energia cinetica di L1 = c12/2 g; attraversando i secondi varia la propria velocità relativa da w1 a w2 per effetto del completamento della sua espansione e quindi incrementa la sua energia cinetica di L2 = (w22 − w12)/2 g.
I due termini del secondo membro della (7) rappresentano le quote parti di L1 e di L2 che sono nei condotti mobili trasformate in lavoro meccanico (generalmente una parte di L1 e tutto L2). Il rapporto L2/(L1 + L2) si dice grado di reazione e quando i profili dei condotti fissi e dei condotti mobili sono eguali (come generalmente) questo rapporto risulta uguale a circa 0,5.
Qualora il grado di reazione risulti eguale a zero cioè L2 = 0, il vapore non incrementa la propria energia cinetica percorrendo i condotti mobili, tutta l'espansione essendosi completata nei condotti fissi: tale è il caso teorico, come già detto innanzi, delle cosidette turbine ad azione; essendo allora w1 = w2 la (7) diventa:
Il rendimento specifico delle turbine a vapore. - Come già detto, per rendimento specifico si deve intendere il rapporto tra la potenza sviluppata dal fluido nella macchina e la potenza La corrispondente all'espansione adiabatica utilizzabile nella turbina.
Per determinare la potenza effettivamente sviluppata dal fluido bisogna tener conto di tutte le cause di dissipazione di energia che il vapore incontra nella sua espansione sulle palette della turbina. Le circostanze che - trascurando fenomeni secondarî - debbono essere considerate sono le seguenti:
a) perdita corrispondente alla velocità assoluta con la quale il vapore esce dai condotti mobili;
b) perdita corrispondente alle resistenze che il vapore incontra lungo i condotti (fissi e mobili);
c) perdita corrispondente alle resistenze derivanti dalla graduale condensazione del vapore;
d) perdita corrispondente alle fughe di vapore;
e) parziale ricupero del calore corrispondente alle perdite elencate, dovuto al fatto che il calore corrispondente alle perdite che si verificano su ogni fila di palette viene in parte utilizzato nelle successive espansioni sulle successive file di palette.
Il rendimento specifico risulterà così espresso dal prodotto dei coefficienti percentuali corrispondenti alle elencate circostanze.
a) Perdita corrispondente alla velocità assoluta di scarico. - Consideriamo i due casi fondamentali delle turbine ad azione e delle turbine a reazione.
I. Turbine ad azione. - La potenza La in kgm./sec. corrispondente all'espansione adiabatica del fluido utilizzato nel sistema condotto fissocondotto mobile è (per ogni kg. di vapore al secondo):
una parte c22/2 g di essa è perduta perché il vapore abbandona le palette mobili con velocità assoluta c2 mentre la residua parte:
corrisponde al lavoro meccanico sulle palette (trascurando per ora ogni altra perdita). Riferendoci alla turbina assiale si può scrivere u1 = u2 = u e i triangoli delle velocità della figura 11 (se, come spesso si usa, β1 = β2; ad analoghe conclusioni del resto si arriverebbe anche se fosse β1 differente da β2) possono raggrupparsi come in fig. 13 risultando: c1a = c1 cos α; c2a = − (c1 cos α − 2 u) e quindi la (5) può scriversi:
Chiameremo rendimento della palettatura (trascurando per ora ogni altra perdita) il rapporto ηp = L/La: sostituendo i valori trovati risulta:
Tale rendimento è funzione parabolica della velocità periferica u; per U = 0 è ηp = 0, al crescere di u il rendimento ηp aumenta fino a raggiungere il suo valore massimo ηp = cos2α per il particolare valore, che indicheremo con (u), della velocità periferica (u) = (c1 cos α)/2 (ossia, essendo α generalmente molto piccolo, per (u) = ~ c1/2), e poi diminuisce ritornando ancora a zero per u = c1 cos α (ossia per u = ~ c1).
Il diagramma riportato a fianco riassume l'andamento di ηp funzione di u/c1: da esso appare che, se si volesse utilizzare in una sola turbina elementare tutto il salto termico disponibile, risultando una velocità c1 di efflusso del vapore molto grande (dell'ordine di grandezza anche di migliaia di metri al secondo) per avere un buon rendimento della palettatura, occorrerebbero velocità periferiche superiori a quelle massime (es. 300 ÷ 400 m./sec.) che le sollecitazioni derivanti dalla forza centrifuga consentono di raggiungere.
Due serie di provvedimenti si possono adottare per eliminare tale difficoltà:
1. frazionare il salto di pressione disponibile in un certo numero z di salti parziali, utilizzando ciascuno in distinte serie di condotti fissi e mobili in modo da costituire la turbina mediante un certo numero z di turbine elementari disposte in serie. Si ha così una "turbina a salti di pressione" (tipo Rateau, Zoelly).
Indicando con λ il salto termico totale disponibile e con λ′ il salto termico parziale utilizzato in ogni turbina elementare, sarà λ′ = λ/z cui corrisponderà una velocità assoluta di efflusso del vapore dal condotto fisso c′1 = c1/√z: la velocità periferica cui corrisponde il massimo rendimento della palettatura sarà perciò (u′) = (u)/√z cioè √z volte minore di quella che corrisponderebbe a una turbina unica utilizzante l'intero salto termico λ disponibile;
2. utilizzare la velocità assoluta c2, di scarico dal condotto mobile conducendo il vapore per mezzo di un secondo condotto fisso (avente la semplice funzione di deviatore) ad investire un secondo condotto mobile e così via z volte fino a ridurre ad essere abbastanza piccola l'ultima velocità assoluta di scarico, dalla quale deriva la perdita di rendimento della palettatura. Si ha così una "turbina a salti di velocità", (applicando insieme ambedue i provvedimenti a) e b) si ottengono le turbine a salti di pressione e di velocità (tipo Curtiss; fig. 19).
Facendo, p. es., uguale l'angolo d'entrata e l'angolo d'uscita in ogni paletta (mobile o fissa), i triangoli delle velocità sono rappresentati dalla fig. 14: da essi risulta che la velocità periferica (u′) di massimo rendimento (cioè quella per la quale la velocità assoluta di scarico dall'ultima paletta mobile sarebbe rappresentata da HA) è espressa da (u′) = c1 cos α/2 z; cioè z volte minore di quella che corrisponderebbe ad una turbina con una sola paletta mobile. Il sistema dei salti di velocità è quindi, a parità di numero z di salti, più efficace del sistema dei salti di pressione per ridurre la velocità periferica di maggiore rendimento. Si presentano però due inconvenienti: che aumentando z diminuisce sempre più il lavoro raccolto dalle ultime palette perché diminuiscono i corrispondenti valori di c1 e c2 (fig. 15) e diminuiscono quindi sempre più le differenze dei quadrati (c12 − c22) alle quali è proporzionale il lavoro compiuto dal vapore nella paletta e che aumentando z aumenta la lunghezza dei condotti percorsi dal vapore e quindi le resistenze passive (attriti, ecc.) di cui sarà detto in seguito.
II. Turbine a reazione. - La potenza in kgm./sec. corrispondente all'espansione adiabatica del fluido utilizzata nel sistema condotto fissocondotto mobile è (per ogni kg. di vapore al secondo):
una parte c22/2 g di esso è perduta perché il vapore abbandona le palette mobili con velocità assoluta c2, la residua parte L = (c1u u1 − c2u u2)/g è trasformata in lavoro meccanico sulle palette (trascurando per ora ogni altra perdita). Considerando una turbina assiale ed assumendo un grado di reazione o,5 e lo stesso profilo per le palette fisse e le palette mobili (cioè α2 = α; w2 = c1; w1 = c2), dai triangoli delle velocità (fig. 16) risulta c1 = c1 cos α; c2u = − (c1 cos α − u) e quindi sostituendo:
Dai medesimi triangoli si ha: w2 = c1; w12 = c12 + u2 − 2 u c1 cos α e quindi sostituendo nella espressione di Lu risulta:
Chiameremo rendimento della palettatura (trascurando per ora ogni altra perdita) il rapporto ηp = L/Lu: sostituendo i valori trovati risulta:
Tale rendimento è funzione parabolica della velocità periferica u: per u = 0 è ηp = 0, al crescere di u il rendimento ηp, aumenta fino al suo valore massimo (maggiore di quello trovato nella turbina ad azione) ηp = 2 − 2/[1 + cos2 α] per il particolare valore, che indicheremo con (u), della velocità periferica (u) = c1 cos a (ossia, essendo a generalmente molto piccolo, per (u) = ~ c1) e poi diminuisce ritornando a zero per u = 2 c1 cos α (ossia per u = ~ 2 c1).
Il diagramma già riportato per le turbine ad azione potrebbe esprimere anche per la turbina a reazione l'andamento di ηp in funzione di u se si variasse convenientemente la scala delle ordinate e si raddoppiasse la scala delle ascisse, essendo come innanzi dimostrato i valori della velocità periferica cui corrisponde ηp massimo ed ηp, zero doppî di quelli relativi alla turbina ad azione.
Ciò significa che, a parità di velocità assoluta c1 del vapore, la velocità periferica ottima (u) in una turbina elementare a reazione è doppia che in una turbina elementare ad azione; tale rapporto diventa invece 1,41 se confrontiamo le turbine a parità di salto termico λ, perché la velocità assoluta del vapore in una turbina ad azione è c1 = 91,53 √λ mentre in una turbina a reazione con grado di reazione o,5 è
cioè 1/√2 della precedente, e quindi la velocità periferica ottima di una turbina elementare a reazione è 2/√2 = √2 volte quella di una turbina elementare ad azione.
Da ciò deriva che ben maggiore sarebbe la difficoltà di realizzazione di una turbina elementare con buon rendimento del tipo a reazione in confronto al tipo ad azione ed è per questo che mentre si sono costruite (De Laval) e in casi speciali si costruiscono ancora turbine ad azione elementari (cioè formate di una sola serie di ugelli ed una corona di palette mobili) non si costruiscono invece mai turbine a reazione elementari (cioè costruite di una sola corona di palette fisse ed una sola corona di palette mobili).
È quindi per le turbine a reazione indispensabile adottare una disposizione che consenta di ridurre la velocità periferica. E si provvede perciò sempre a frazionare il salto totale di pressione in un numero sufficientemente elevato di salti elementari (per il modo stesso di funzionamento della palettatura a reazione non sarebbe infatti possibile adottare il secondo provvedimento indicato per le turbine ad azione), realizzando così la turbina multipla a reazione (tipo Parsons; fig. 25).
b) Perdita corrispondente alle resistenze che il vapore incontra lungo i condotti (fissi e mobili), in conseguenza delle quali le effettive velocità del vapore sono minori di quelle innanzi considerate e perciò minore il lavoro meccanico compiuto dal vapore sulle palette mobili.
Esprimiamo l'effetto globale di tutte le resistenze che il vapore incontra nel suo percorso sulle palette fisse e mobili mediante coefficienti (che indicheremo rispettivamente con ϕ e con ψ) delle velocità teoriche del vapore; ovviamente i valori di tali coefficienti dipendono principalmente dallo stato fisico e dalla velocità del vapore, dalla forma e dall'estensione e dalla natura delle pareti, ecc.; essi sono stati determinati dai numerosi sperimentatori (Stodola, Zeuner, Rateau, Belluzzo, Rosenhain, Lewicki, ecc.) per le più svariate condizioni: mediamente si può ritenere che varino da 0,93 a 0,98 per i condotti diritti, da 0,75 a 0,83 per i condotti curvi.
Introducendo nei calcoli precedentemente svolti per la determinazione di ηp, le velocità effettive del vapore (mediante l'adozione dei coefficienti di riduzione ϕ e ψ delle velocità teoriche) otterremo l'effettivo rendimento della palettatura che tiene conto insieme della perdita allo scarico e delle perdite derivanti dalle resistenze che il vapore incontra sulle palettature. Distingueremo, come nei calcoli precedenti, i due casi:
I. Turbine ad azione. - Per realizzare la velocità assoluta di entrata c1 del vapore sulle palette mobili, in conseguenza delle resistenze di attrito negli ugelli occorre spendere l'energia che, per resistenze nulle, corrisponderebbe alla velocità c1/ϕ: ne consegue che la potenza che corrisponde all'espansione adiabatica utilizzata per ogni kg. di vapore per secondo, anziché essere espressa da Lα = c12/2 g, sarà espressa da Lα = c12/ϕ2 2 g. I triangoli delle velocità della fig. 11 si trasformano, per le resistenze nel condotto mobile, in quelli della fig. 17: da essi risulta: c1α = cos α; c2α = − (w2 cos β − u) = − (ψc1 cos α − ψu − u). Sostituendo nella (5) si ha l'espressione della potenza L corrispondente al lavoro meccanico sulle palette:
e quindi l'effettivo rendimento della palettatura:
Tale rendimento, come quello già espresso dalla (10), è funzione parabolica della velocità periferica u riducendosi a zero e raggiungendo il massimo per i medesimi valori delle ascisse indicati nel diagramma di ηp e con l'unica differenza che il suo valore massimo è ηp = 0,5 ϕ2 (1 + ψ) cos2 α, valore il quale coincide logicamente con quello già trovato qualora sia ϕ = ψ = 1.
II. Turbine a reazione. - Come già visto trattando della turbina senza attriti la potenza corrispondente al lavoro meccanico sulle palette per kg. di vapore per secondo è ancora espresso da:
se assumiamo la stessa fig. 16 a rappresentare i triangoli delle velocità. Però per realizzare le velocità c1 e w1 indicate in tali triangoli occorre, in conseguenza delle resistenze che il vapore incontra sulle palette, spendere l'energia che per resistenze nulle corrisponderebbe alle velocità c1/ϕ e w1/ψ: ne consegue la potenza corrispondente all'espansione adiabatica del vapore utilizzata, anziché essere espressa, come nel caso della turbina senza attriti, da Lα = L1 + L2 = c12/2 g + (w22 − w12)/2 g (che, per essere w2 = c1, si può scrivere Lα = [2 c12 − w12]/2 g), sarà espressa invece da:
che, per essere w12 = c12 + u2 − 2 uc1 cos α, si può scrivere:
L'effettivo rendimento della palettatura, inteso come il rapporto tra L ed Lα, diventa quindi:
Tale rendimento, come quello già espresso dalla (11), è funzione parabolica della velocità periferica u, riducendosi a zero e raggiungendo il massimo per i medesimi valori delle ascisse indicati per la turbina senza attriti e con l'unica differenza che il suo valore massimo è espresso da ηp = 2 cos2 α/[(2/ϕ2) − (1/ψ2) + (cos2 α/ψ2)], valore il quale coincide logicamente con quello già trovato qualora sia ϕ = ψ = 1.
Il rendimento della palettatura dipende dunque principalmente dal rapporto u/c1 sia per le turbine ad azione, sia per le turbine a reazione: tale rapporto delle velocità per un elemento di turbina con z salti di pressione in cui la caduta di calore sia λ/z è proporzionale al rapporto
che riferito all'intera turbina, essendo la velocità periferica generalmente diversa da ruota a ruota, assume la forma (Σu2/λ)0,5. Si può quindi giustamente considerare il rapporto Σu2/λ (rapporto non privo di dimensioni) come di particolare interesse nei riguardi del rendimento della palettatura e quindi della bontà della turbina: esso si usa chiamare coefficiente di Parsons o coefficiente (o cifra) di qualità. Il rendimento della palettatura (e quindi, grosso modo, il rendimento totale della turbina) è per quanto sopra detto rappresentato per lo più da una curva ad andamento parabolico in funzione del coefficiente di Parsons.
c) Perdita derivante dalla graduale condensazione del vapore. - Col procedere dell'espansione quando la curva corrispondente del diagramma entropico (fig. 2), scendendo al disotto della curva limite superiore, entra nel campo del vapore saturo l'umidità percentuale 1 − x (x titolo del vapore) va sempre più aumentando. Notoriamente il valore di 1 − x è tanto maggiore quanto maggiore è la pressione massima del ciclo, quanto minore è il surriscaldamento, quanto migliore è il rendimento della turbina.
La presenza delle goccioline d'acqua corrispondenti al valore di 1 − x influisce sulla potenza effettivamente raccolta dalla turbina per l'azione frenante che esse esercitano in relazione al loro numero, al loro diametro, alla velocità di efflusso del vapore, alla velocità periferica della ruota, alla forma dei condotti, ecc. Si può presumere che le goccioline abbiano la velocità del vapore nell'istante in cui si formano per effetto della condensazione derivante dall'espansione, ma poi esse si troveranno ad avere una legge del moto sempre più differente da quella del vapore non riuscendo il vapore a trascinarle alla sua medesima velocità.
È possibile, con adatte ipotesi semplificative, calcolare la potenza ricavabile da un kg. di vapore al secondo corrispondente ad un titolo x, in relazione a varî valori del rapporto u/c1 e dell'angolo α e rispettivamente per una palettatura ad azione ed a reazione (grado di reazione 0,5). Il rapporto Z tra tale potenza e quella espressa dalla (5) per il titolo x = 1, in seguito agli studî dello Zerkowitz, risulta dal diagramma qui riportato:
Esso esprime la diminuzione percentuale di potenza per il salto termico al quale corrisponde il titolo x e permette di determinare il valore Z relativo all'intero salto utilizzato dalla turbina.
Tale valore Z che potremo chiamare "fattore di umidità" rappresenta appunto un fattore del rendimento della turbina derivante dalla percentuale di umidità presente nel vapore nelle successive espansioni. Oltre che influire sfavorevolmente sul rendimento della turbina, le goccioline d'acqua trascinate dal vapore determinano importanti corrosioni delle palette, con la conseguenza di alterare il profilo delle palette stesse, introducendo un'ulteriore gravissima causa di diminuzione del rendimento. Si cerca di attenuare tali inconvenienti facendo uso di palette col bordo di entrata indurito ed eseguendo (B.B.C.) opportuni drenaggi nelle palettature a bassa pressione.
d) Perdita corrispondente alle fughe di vapore. - Tra le parti fisse e mobili costituenti la turbina sono inevitabili fughe di vapore perché le tenute sono abitualmente fatte mediante labirinti. I labirinti sono costituiti da una serie di coppie di anelli, fissi rispettivamente al rotore ed allo statore della turbina e disposti in modo da realizzare tra ogni coppia un giuoco assiale o radiale tanto piccolo da produrre una laminazione del vapore sufficiente a contenere l'afflusso del vapore entro limiti tollerabili: hanno il vantaggio in confronto ad altri sistemi di tenuta (a carboni, idraulici, ecc.) di non avere parti a strisciamento.
Le tenute a labirinto si distinguono in: a) labirinti di estremità, sistemati alle due estremità AP e BP della turbina dove l'albero esce dalla cassa dello statore. La tenuta della parte ad AP deve essere proporzionata per il salto tra la pressione dopo la prima espansione e la pressione atmo sferica, lasciando effluire all'esterno il vapore che attraversa il labirinto. La tenuta dalla parte a BP deve essere proporzionata invece per il salto tra una pressione p′ (maggiore della pressione atmosferica) e la pressione del condensatore, ciò perché, allo scopo di evitare che l'aria esterna possa penetrare nel condensatore, si manda vapore alla pressione p′ in un punto intermedio del labirinto in modo da farne effluire una parte verso l'interno (condensatore) ed una parte verso l'esterno (atmosfera). b) labirinti intermedî, situati nelle turbine a reazione sugli stantuffi equilibratori e nelle turbine ad azione sui diaframmi che limitano i varî salti di pressione: essi vanno proporzionati per il salto di pressione corrispondente; c) oltre ai labirinti propriamente detti si debbono considerare nelle turbine a reazione altri labirinti più o meno rudimentali che sono costituiti dagli spazî anulari esistenti tra le palettature mobili e le superficie interne della cassa dello statore e tra le palette e le superficie esterne del rotore: attraverso a tali spazî anulari, per effetto della differenza tra le pressioni esistenti (trattandosi di turbine a reazione) a monte e a valle delle palette mobili, sfugge una certa quantità di vapore che si cerca di ridurre, riducendo il giuoco radiale tra le palette mobili e lo statore per quanto è consentito dalle dilatazioni termiche del materiale: in alcuni casi (Parsons, Ljungström) per diminuire tali fughe di vapore si impiegano dei veri elementi di labirinto.
Il vapore che sfugge dai labirinti non passa attraverso le palette mobili del salto di pressione corrispondente e non trasforma perciò in lavoro utile la parte che ad esso compete delle calorie corrispondenti a tale salto: è vero che nel caso di labirinti intermedî il contenuto termico del vapore che effluisce dal labirinto è in generale differente da quello che effluisce dalle palette mobili relative allo stesso salto e perciò una parte di tale calore può essere utilizzato nei salti successivi, ma di ciò sarà tenuto conto separatamente nel fattore di recupero di cui al prossimo comma. Possiamo quindi per ora trascurare tale circostanza e ritenere perdute per il peso di vapore che sfugge attraverso i labirinti sia d'estremità sia intermedî le calorie corrispondenti ai salti di pressione tra i quali i labirinti sono inseriti. Il calcolo di tale peso di vapore si può effettuare facilmente tenendo conto che attraverso le sezioni contratte del labirinto il vapore compie una trasformazione a calore costante: si ha perciò:
indicando con P il peso in kg./sec. di vapore che attraversa il labirinto, F l'area in mq. delle zone anulari di passaggio del vapore supposte identiche, p0 e p1 la pressione del vapore in kg./mq. a monte ed a valle del labirinto, z il numero degli strozzamenti, α un coefficiente eguale a circa 4000 per labirinti assiali ed a circa 2000 per labirinti radiali.
Esprimendo il peso di vapore che sfugge per ogni labirinto come una percentuale s del peso totale di fluido che attraversa la turbina in corrispondenza del salto di calore λ tra il quale il labirinto è inserito, la sommatoria Σςλ estesa a tutti i labirinti della turbina rappresenta il calore perduto per ogni kg. di vapore in conseguenza delle fughe di vapore: il rapporto V tra tale sommatoria ed il numero Λ delle calorie per kg. di vapore che corrispondono all'intero salto utilizzato nella turbina rappresenta perciò un fattore del rendimento della turbina che potremo chiamare "fattore volumetrico" e che tiene conto dell'effetto delle fughe di vapore sul rendimento specifico della turbina.
e) Parziale ricupero del calore corrispondente alle perdite precedenti. - Nello studio delle varie perdite sopra considerate non abbiamo, per semplicità, tenuto conto che in conseguenza di esse (energia cinetica residua che si trasforma, per effetto degli attriti, in calore, resistenze varie al cui lavoro corrisponde una produzione di calore, ecc.) aumenta il contenuto termico del vapore e per quella parte di vapore che viene utilizzato nei successivi salti della turbina si ha quindi una parziale restituzione del calore che nelle precedenti analisi abbiamo considerato come perduto. Ne segue che invece di realizzare un'espansione adiabatica del vapore (retta 4-5 della fig. 18), lungo la turbina si ha una trasformazione con adduzione di calore (linea 4-E′) in conseguenza di questa restituzione di calore corrispondente al lavoro delle resistenze. Per tale restituzione infatti il vapore, mantenendo costante la sua pressione, aumenta la propria temperatura o il proprio titolo a seconda che si tratti di vapore surriscaldato (es., punti A, B del diagramma TS della fig. 18) o di vapore umido (es., punti CDE); le aree (come A′Aaa′) del diagramma TS e le differenze di ordinate dei punti (come A ed A′) del diagramma λ S rappresentano appunto le quantità di calore ricuperate (dalle varie cause di perdite incontrate dal vapore durante l'espansione 4 A) ed utilizzabili nelle successive espansioni col rendimento termico che ad esse compete. Ne risulta che, della quantità complessiva di calore corrispondente all'area a 4 A′ B′ C′ D′ E′ e′ (diagramma T S) ricuperato dalle successive cause di perdite incontrate dal vapore, una parte 5 4 A′ B′ C′ D′ E′ è utilizzata nelle successive espansioni e soltanto la residua parte A 5 E′ e′ è inevitabilmente perduta al condensatore.
Il rendimento della turbina risulta perciò migliorato per rispetto a quello che sarebbe senza tale restituzione di calore, cioè rispetto a quello che deriverebbe dalla semplice considerazione delle perdite sopraelencate ed è necessario quindi introdurre nel computo dell'effettivo rendimento specifico della turbina un fattore maggiore dell'unità che tenga conto di tale restituzione e che perciò si chiama "fattore di ricupero".
Esso, si può calcolare in base al diagramma λS della fig. 18. Da tale diagramma risulta che l'effettiva caduta di calore disponibile nella turbina anziché essere misurata da Λα = 4-5 (come nel caso di espansione adiabatica) è rappresentata dalla sommatoria Σλα = 4 A + A′ B + B′ C + C′ D + D′ E il cui valore è maggiore di Λα; il rapporto ρ = Σλα/Λα esprime perciò il rapporto tra l'effettiva caduta di calore disponibile nella turbina e quella che corrisponderebbe all'espansione adiabatica. Indichiamo con Λ e λ le quantità di calore effettivamente trasformate in lavoro nell'intera turbina ed in un singolo elemento di essa e con H ed η i corrispondenti rendimenti intesi come rapporto tra il calore trasformato in lavoro e il calore corrispondente all'espansione adiabatica cioè H =. Λ/Λα; η = λ/λα. Sostituendo nell'espressione di ρ possiamo scrivere ρ = Σ (λ/η)/(Λ/H) da cui, supponendo η eguale per tutti salti, ρ = H/η cioè H = ρη.
Ciò significa che il rapporto ρ tra l'effettiva caduta di calore e quella adiabatica rappresenta il fattore per il quale bisogna moltiplicare il rendimento della turbina per tener conto della considerata restituzione di calore: esso rappresenta quindi il fattore di ricupero che ci interessava di determinare e varia mediamente, secondo gli studî del Frank, da 1,1 ÷ 1,2.
f) Rendimento specifico. - Il rendimento specifico della turbina, in base alle considerazioni innanzi svolte, e trascurando cause secondarie di dissipazione di potenza, risulta dunque misurato dal prodotto del rendimento della palettatura (calcolato tenendo conto anche degli attriti sulle palette) per il fattore di umidità per il fattore volumetrico per il fattore di recupero ossia ηs = η′p•Z•V•ς.
Il rendimento meccanico delle turbine a vapore. - Come già detto, per rendimento meccanico deve intendersi il rapporto tra la potenza Le effettivamente disponibile sull'asse della macchina e la potenza L sviluppata dal fluido nella macchina. La differenza tra L ed Le rappresenta la potenza perduta per vincere le resistenze passive che si oppongono al movimento dei varî ogani della macchina.
Nelle turbine a vapore le più importanti resistenze passive sono:
a) resistenze esercitate dal vapore sui dischi del rotore: la rotazione di un disco di una turbina determina il trascinamento di una parte del vapore che lo circonda, dando luogo in esso a correnti spiraliformi ad andamento centrifugo nella zona a contatto col disco e centripeto nella zona a contatto con i diaframmi. L'azione di frenamento che ne deriva al disco dipende dalla possibilità di trascinare in movimento masse più o meno importanti di fluido (volume della camera nella quale ruota il disco), dal peso specifico γ del vapore, dal diametro D e dalla velocità periferica u massima del disco. La potenza (in cav.) dissipata per vincere tali resistenze si può scrivere P1 ≅ k1 γD2 u3 essendo k1 = 1,2 × 10- 6, γ espresso in kg./mc., D in m., u in m./sec. A rigore tale potenza non è del tutto perduta perché, trasformandosi in calore, aumenta il contenuto termico qel vapore che viene utilizzato nei salti di pressione successivi: come già detto trattando del rendimento specifico possiamo trascurare tale restituzione ritenendo di averne già tenuto conto nel fattore di ricupero di cui abbiamo dianzi trattato.
b) resistenze esercitate dal vapore sulle palette mobili quando esse non sono percorse dal vapore (caso delle turbine ad azione ad ammissione parziale, cioè non estesa per tutta la circonferenza della palettatura). Il vapore esercita un'azione frenante molto intensa che si chiama effetto ventilante e che si può diminuire incapsulando fra due ripari la parte inattiva delle ruote parzializzate. In tal caso indicando con l la lunghezza media delle palette in cm. e riferendosi ai simboli ed alle unità di misura della formula precedente, la potenza (in cav.) dissipata per effetto ventilante si può assumere P2 ≅ ik2 γDu3 l in cui i rappresenta il numero delle corone di pale e k2 è eguale a o,8 × 10-6 ÷ 1,2 × 10-6 a seconda si tratti di palette trascinate in rotazione con la convessità o con la concavità in avanti. Anche per tale potenza vale quanto si è detto sopra circa il fattore di ricupero.
c) resistenze di attrito nei cuscinetti. Si debbono considerare i cuscinetti portanti e i cuscinetti di spinta: i primi debbono sostenere il peso del rotore, i secondi la spinta esercitata dalla pressione del vapore sul rotore stesso. È facile, tenendo conto delle particolari forme costruttive e condizioni di funzionamento, calcolare caso per caso (v. supporto) la potenza P3 dissipata per vincere le resistenze di attrito.
d) resistenze corrispondenti ai meccanismi ausiliarî (pompa per l'olio di lubrificazione, eventuale pompa per l'acqua di raffreddamemo dei cuscinetti, apparato di regolazione, ecc.): applicando i consueti metodi di calcolo della costruzione delle macchine sarà possibile volta per volta valutare la potenza P4 spesa per muovere tali meccanismi ausiliarî.
e) rendimento meccanico: determinati, come innanzi detto, i valori della potenza L compiuta dal fluido e della potenza ΣP = P1 + P2 + P3 + P4 dissipata per vincere le resistenze passive che si oppongono al movimento dei varî organi della macchina, si può calcolare il rendimento meccanico con la formula: ηm = 1 − (ΣP/L).
La Potenza effettiva delle turbine a vapore. - La potenza effettiva N (in cav.) sviluppata da una turbina è espressa da N • 75 = ηLα Q indicando con η il rendimento totale della turbina
con Lα la potenza in kgm./sec. per ogni kg. di vapore al sec. corrispondente all'espansione adiabatica utilizzata nella turbina e con Q il peso di vapore (in kg. /sec.) che attraversa la turbina.
Tale peso Q si può, trascurando le perdite volumetriche, esprimere in funzione degli elementi geometrici e meccanici delle palettature, scrivendo Q = γiπdhc1 sen α, se indichiamo con γ il peso specifico del vapore (in kg./mc.), d il diametro (in m.) della palettatura, h l'altezza (in m.) delle palette, c1 la velocità assoluta d'ingresso del vapore (in m./sec.), i un coefficiente minore dell'unità il quale tiene conto dello spessore delle palette (i sen α ≅ 0,33). Sostituendo tale valore di Q nell'espressione di N ed esprimendo c1 in funzione della velocità periferica u (c1 = au) ed l in funzione di d (l = βd ove β ??? 0,2 ÷ 0,25) si può scrivere:
se indichiamo con k un adatto coefficiente.
Risulta che:
a) la potenza N che si può ricavare da una turbina per un dato valore di u è proporzionale a γ/n2 ed è quindi minore per le turbine di BP (γ piccolo) che per quelle di AP le quali, per ciò, possono a parità di velocità periferica e di potenza, avere un numero di giri più elevato;
b) la potenza N cresce con u3 e conviene perciò adottare velocità periferiche u le più grandi possibili per quanto è consentito dalle sollecitazioni derivanti dalla forza centrifuga (per ridurre tali sollecitazioni e quindi aumentare u si fanno le palette a sezione decrescente dalla radice alla punta);
c) la potenza N è proporzionale a Q e quindi al prodotto γπdh. Nella parte a BP essendo γ piccolo, al crescere di N risulta presto insufficiente la sezione πdh non potendosi, allo scopo di evitare eccessive sollecitazioni dovute alla forza centrifuga, aumentare oltre certi limiti d ed h; è necessario perciò ricorrere ad espedienti sdoppiando la parte BP in due turbine in parallelo (es., la turbina Tosi della fig. 20) o disponendo in parallelo (anziché in serie) le ultime file di palette della parte BP (sistema Baumann, es. turbine della Metropolitan Wickers, fig. 26).
Varî tipi di turbine. - Le turbine a vapore si possono classificare secondo differenti criterî: per esempio:
a) secondo il modo di agire del vapore sulle palette mobili. Si distinguono perciò, come già detto, le turbine ad azione e le turbine a reazione, per quanto ormai anche le cosiddette turbine ad azione funzionino con un certo grado di reazione (0, 10 ÷ 0, 15) onde realizzare un lieve aumento di rendimento;
b) secondo il percorso del vapore nella turbina. Si distinguono: i . turbine assiali, nelle quali il vapore percorre la turbina con andamento prevalentemente assiale; esse rappresentano la quasi totalità delle turbine esistenti; 2. turbine tangenziali, nelle quali il vapore ha un andamento analogo a quello dell'acqua nelle turbine Pelton (es. turbina Stumpf, turbina Terry); 3. turbine radiali, nelle quali il vapore ha un percorso radiale centrifugo (es. turbina Ljungström a reazione, la quale è composta di due giranti rotanti in senso opposto [fig. 24] e presenta la caratteristica di una grande compattezza e leggerezza) oppure un percorso radiale prima centripeto e poi centrifugo (es. turbina Siemens, con l'AP ad azione e la BP a reazione; fig. 27);
c) secondo l'impiego della turbina. Si distinguono: le turbine fisse e le turbine marine (es. turbina Belluzzo; figg. 21 e 22).
Quando si cominciarono ad applicare le turbine a vapore alla propulsione delle navi si incontrarono alcune difficoltà fondamentali derivanti dalla natura della macchina e dalle esigenze della propulsione.
1. Non essendo possibile in una turbina invertire il senso della rotazione fu necessario, per realizzare la marcia indietro della nave, sistemare un'apposita turbina di marcia indietro alla quale (per evitare eccessivi ingombri e peso) si richiese soltanto metà della potenza della marcia avanti e si riuscì perciò ad allogarla (v. fig. 22) entro il condotto di adduzione del vapore al condensatore riducendo così al minimo gli attriti e l'effetto ventilante durante la marcia avanti.
2. Non essendo possibile conservare favorevoli condizioni di funzionamento della turbina al diminuire del numero di giri in relazione alla diminuzione della velocità della nave fu necessario disporre apposite turbine (o elementi di turbina, fig. 21) da inserire nel percorso del vapore per realizzare le velocità di crociera e perciò chiamate turbine di crociera: con tale inserzione si venne a frazionare più minutamente durante il funzionamento a carico ridotto la caduta di calore disponibile, riducendo così le velocità del vapore per quanto possibile nello stesso rapporto nel quale (per la diminuita velocità della nave) risultava diminuita la velocità angolare della turbina.
3. Non essendo possibile tollerare eccessive velocità angolari nelle eliche di propulsione per non incorrere nel fenomeno della cavitazione e nella conseguente perdita di rendimento si cercò dapprima di ridurre la velocità angolare delle turbine direttamente accoppiate all'elica col risultato di avere turbine ingombranti pesanti e di cattivo rendimento. Il problema poté essere razionalmente risolto soltanto quando, per i perfezionamenti costruttivi apportati ai riduttori ad ingranaggi, fu possibile mercé il loro impiego rendere indipendenti il numero di giri dell'elica e quello della turbina assegnando rispettivamente all'elica e alla turbina le velocità angolari più convenienti. Sono stati infatti tali perfezionamenti che hanno permesso di costruire riduttori ad ingranaggi per potenze elevatissime (di parecchie decine di migliaia di cavalli) con rapporti di riduzione fino a 1/64 e rendimenti fino al 0,99 la cui adozione ha consentito alle turbine a vapore marine di raggiungere la leggerezza, la compattezza e l'elevato rendimento delle turbine per impianti fissi con le quali - a parte la palettatura di marcia indietro e di crociera di cui innanzi detto - esse si vanno sempre più identificando.
d) Secondo l'impiego del vapore. Si deve considerare una sottospecie di turbine, che è andata negli ultimi anni aumentando sempre più la sua diffusione; quella delle turbine industriali così chiamandosi le turbine nelle quali evolve vapore che in tutto o in parte viene poi utilizzato per scopi industriali (riscaldamento, ecc.). Tali turbine possono suddividersi in:
1. Turbine a contropressione o a ricupero totale: essendo p1 − p2 il salto di pressione disponibile per il vapore, tutto il vapore prodotto dalle caldaie alla pressione p1 va alla turbina e ne esce ad una pressione p′1 > p2 per essere utilizzato industrialmente da p′1 a p2. Si possono considerare come turbine a contropressione quelle impiegate per utilizzare il maggiore salto di pressione che è risultato dal rimodernamento di antichi impianti di produzione di vapore per la sostituzione delle caldaie esistenti con altre a pressione più elevata.
2. Turbine a prelevamento di vapore o a ricupero parziale: tutto il vapore prodotto dalle caldaie alla pressione p1 va alla turbina e ne esce in parte alla pressione p2, in parte alla pressione p′1 > p2 per essere industrialmente utilizzato da p′1 a p2. Tale sistema di prelevamento industriale non deve confondersi col sistema, già accennato innanzi, di spillamento di vapore dalla turbina per preriscaldare l'acqua di alimento onde realizzare un ciclo a ricupero di calore.
3. Turbine a bassa pressione: tutto il vapore prodotto dalle caldaie alla pressione p1 è utilizzato industrialmente fino alla pressione p′1 > p2 e passa quindi tutto alla turbina che utilizza il salto p′1 − p2. A volte, quando lo scarico del vapore industriale a pressione p′1 è intermittente, occorre inserire a monte della turbina un accumulatore Rateau allo scopo di regolarizzare l'erogazione del vapore alla turbina. Per quanto alimentata così da un accumulatore, una siffatta turbina non ha nulla in comune con le cosiddette turbine ad accumulatore che hanno lo scopo di coprire le punte del carico delle centrali termoelettriche: tali turbine se fossero alimentate soltanto da ordinarie caldaie (ad erogazione costante) non potrebbero avere a disposizione le quantità di vapore occorrenti per coprire le punte e sono perciò alimentate anche da appositi accumulatori del tipo Ruths i quali hanno appunto la caratteristica di rendere possibili erogazioni istantanee di vapore variabili entro limiti molto ampî.
A. Stodola, Dampf u. Gasturbinen, Berlino 1920; G. Rabbeno, Critica di macchine termiche, Livorno 1921; G. Belluzzo, Turbine a vapore, Milano 1923; P. Brunelli, Le macchine a vapore, Torino 1934; M. Medici, Le macchine termiche, Padova 1935; Zerkowitz, Stodola Festschrift, Berlino 1929.
Turbine idrauliche.
1. Origine ed evoluzione della turbina. - La trasformazione dell'energia idraulica dei corsi d'acqua in energia meccanica mediante macchine motrici ha raggiunto nelle moderne turbine un tale grado di perfezione che difficilmente potrà essere superato. Veri progressi si ebbero però solo nell'ultimo secolo, mentre l'uso delle prime ruote idrauliche si perde nella notte dei tempi. Per queste, v. ruota: Ruote idrauliche.
La turbina propriamente detta, ossia la turbina a reazione, ha un'origine più recente, e ciò per il suo concetto meno elementare e la maggior difficoltà costruttiva. Si deve a J. A. von Segner di Gottinga, nel 1750, la costruzione d'una ruota idraulica funzionante non per gravità o per urto, come nelle ruote allora in uso, ma per reazione, secondo il principio scoperto da Erone (120 a. C.) per il vapore, e tuttora applicato nel noto arganello idraulico. La ruota di Segner (fig. 28) può essere rappresentata da un recipiente cilindrico verticale girevole, mantenuto pieno d'acqua da apposito canale, e munito in basso di due o più bracci, da cui l'acqua in pressione esce tangenzialmente in senso opposto al movimento di rotazione impresso.
Questa ruota, di cattivo rendimento, fu oggetto di uno studio teorico da parte di Eulero, che in quest'occasione (1754) enunciò la sua classica teoria delle turbine, riferendosi alla disposizione schematica della fig. 30. In essa la particolarità, ossia il perfezionamento, sta nell'alimentazione della ruota mediante una serie di canali inclinati, costituenti in germe il distributore.
La teoria e la proposta di Eulero rimasero però negli archivî delle accademie, e in pratica la ruota a reazione mantenne ancora il suo difetto fondamentale dovuto all'assenza del distributore. Ancora verso il 1840 compaiono le ruote a reazione di Cadiat e di Whitelaw (fig. 29), il cui perfezionamento costruttivo consiste nello scaricare la parte girante del peso della colonna d'acqua.
L'idea del distributore si ripresenta nel 1824 per opera del francese Cl. Bourdin che per primo denominò turbina la sua macchina, il cui rendimento però non poteva ancora competere con quello delle buone ruote idrauliche. Finalmente nel 1829 si ha un reale progresso nella costruzione pratica delle macchine idrauliche con la prima turbina di B. Fourneyron (fig. 31) costituita da una ruota a pale, centrifuga, alimentata internamente da un distributore fisso, munito di otturatore a cannocchiale; il rendimento raggiunse l'80%.
In concorrenza alla Fourneyron sorse verso il 1840 la turbina assiale Henschel-Jonval (fig. 32), caratterizzata dal tubo aspirante, che facilitava l'installazione permettendo di utilizzare meglio la caduta anche con livello di scarico variabile. Questa turbina, funzionante immersa, aveva però il difetto del cattivo rendimento a portata parziale, cioè con parte delle bocche del distributore chiuse. Ad esso pose rimedio Ph. H. de Girard (1851) con la sua turbina a libera deviazione, nella quale la ruota gira nell'aria, e l'acqua all'uscita dal distributore possiede l'energia cinetica corrispondente a tutta la caduta; caratteristica della ruota sono la forma scampanata allo scarico e le aperture di ventilazione (fig. 33).
In America lo sviluppo della turbina ebbe tutt'altro indirizzo, basato sul tipo centripeto, cioè alimentato esternamente con scarico centrale. Il primo esempio si ha nella turbina Howd (1838), perfezionato costruttivamente in seguito da J.B. Francis (1849), che nelle sue classiche esperienze verificò un rendimento dell'80%. Queste ruote (fig. 37) avevano ingresso e scarico completamente radiali, e l'idea di sviluppare la pala per ottenere nella pala stessa la deviazione in senso assiale (v. fig. pag. 514) si deve a Swain (1869), che può considerarsi il padre delle moderne turbine centripete miste, le quali vanno tuttavia sotto il nome di Francis.
La necessità di aumentare la portata delle ruote condusse ad aumentare ed esagerare sempre più questo sviluppo delle pale allo scarico e ne derivarono le ruote a cucchiaio, così dette americane (fig. 53). Sebbene questo processo fosse del tutto empirico, si ebbero fra i tanti scadenti dei tipi ottimi (fig. 34), che conosciuti e costruiti in Italia e in Europa (1890), segnarono la fine delle ruote e delle vecchie turbine Jonval e Girard.
In Germania invece trovò maggiore sviluppo, su basi teoriche, la turbina Francis mista, e un notevole progresso per la regolazione fu l'applicazione del distributore a pale girevoli (fig. 43), proposto da K. Fink fino dal 1859, ma non entrato in pratica che molto più tardi (1873), causa il contrasto delle teorie allora vigenti, che si preoccupavano di mantener fisso l'angolo d'entrata nella ruota.
Il sistema empirico americano si mostrò presto insufficiente quando si trattò di costruire turbine di grande potenza per gl'impianti idroelettrici e l'America dovette allora ricorrere all'Europa. In Italia furono progettate e costruite (1899) le prime turbine di 3000 cav. per le cascate del Niagara, tipo Francis in camera forzata (fig 75).
Le ruote americane con pale sviluppate a cucchiaio, intensamente studiate in Europa, raggiunsero presto il loro limite di capacità, poiché un ulteriore aumento di portata non era più ottenibile che a scapito del rendimento. Per diminuire le perdite di attrito si cominciò allora a tagliare il profilo delle pale all'ingresso, fino a giungere al tipo Dubs (1914) in cui la pala ha un profilo a forma di falce (fig. 54 e a pag. 514), constatando che il grande interstizio tra ruota e distributore non era affatto dannoso; le diminuite perdite permisero nello stesso tempo di aumentare la velocità periferica.
Però un ulteriore passo era ancora possibile su questa via, diminuendo il numero e la lunghezza delle pale, ed eliminando tutte le altre superficie d'attrito non indispensabili. Ne risultò la ruota ad elica per opera del Kaplan (1916), in cui, essendo soppressa la corona esterna, le pale sono fissate al solo mozzo, e sono così corte in senso periferico da non ricoprirsi più (fig. 55). Le pale si ridussero anche a 4 o 3, e la velocità raggiungibile risultò più che raddoppiata.
Queste ruote veloci hanno però l'inconveniente di perdere rapidamente di rendimento per una portata diversa dalla normale, e di non essere quindi adatte per un funzionamento pratico. Al Kaplan fu facile eliminare questo difetto nell'elica facendo le pale della ruota registrabili (figg. 57 e 58), come quelle del distributore, in modo da ottenere un rendimento quasi costante per qualsiasi portata.
La turbina Kaplan, adatta per le grandi portate, prese subito un grande sviluppo in dimensione e potenza, e già nel 1926 era in esercizio in Svezia una turbina di m. 5,80 di diametro, della potenza di 14.000 cav. con un rendimento del 93%.
Mentre da un lato si tendeva ad aumentare la velocità della ruota funzionante con bassa caduta, dall'altro si cercava di estendere l'applicazione della Francis a cadute sempre più alte, racchiudendola in una camera forzata collegata alla tubazione. Le prime camere furono semplicemente cilindriche (fig. 34); l'opportunità di ridurre l'ingombro e il peso, con l'aumentare della potenza della turbina, condusse presto allo studio di una forma più razionale che tenesse conto del movimento dell'acqua nella camera stessa (fig. 75), e un vero progresso si ebbe con l'introduzione (1886) del tipo a spirale (figg 64-66-77).
Con l'aumento della caduta si andò però incontro a un'altra grave difficoltà, dovuta alla forte spinta assiale a cui la ruota era soggetta, malamente reggibile con gli ordinarî cuscinetti di spinta, data la grande velocità. Il problema fu brillantemente risolto nel 1902 con l'equilibratura idraulica automatica (Riva), consistente nel lasciare libera la ruota di spostarsi assialmente con piccolissimo gioco fra le tenute piane di due camere simmetriche di equilibramento (fig. 66 b). Questo sistema permise di superare senza preoccupazioni cadute di 200 m. con una ruota semplice, senza alcun supporto di spinta.
Attualmente la maggiore caduta utilizzata da una turbina Francis è di 300-382 metri nell'impianto di Zappello (9000 cav., 1380 giri/min., ns = 78).
Anche la potenza è andata aumentando, e si hanno in Italia unità di 50.000 cav. (Galleto, H = 190 m.) e in Russia di 84.000 cav. (Dnepr, H =. 37,5 m.).
In America lo sviluppo della turbina Francis non presenta nulla di notevole se non la grandiosità degl'impianti con unità di 50.000, 70.000 e 110.000 cav. Il più grande impianto idroelettrico del mondo sarà quello progettato sul fiume Columbia con 18 gruppi di 150.000 cav. Tutte queste turbine sono ad asse verticale. In America la turbina ad elica si è mantenuta fino agli ultimi anni a pale fisse (fig. 55), essendo meno sentita negl'impianti con numerose unità la necessità di una buona regolazione. Caratteristica in questi impianti ad asse verticale è lo scarico con diffusore del tipo idrocono (figg. 64, 65), mentre in Europa è usato esclusivamente il tipo a gomito (fig. 70) anche negl'impianti ad asse verticale, che negli ultimi anni anche qui hanno la preferenza, dopo la dimostrata sicurezza dei supporti di sospensione a segmenti oscillanti tipo Michell.
A fianco della turbina a reazione (Francis ed elica), adatta per le piccole e medie cadute, si sviluppò la turbina a libera deviazione per le alte cadute, funzionante per forza viva alla pressione atmosferica. A questa categoria (turbine ad azione) appartiene la Girard, già accennata come variante della turbina a reazione. Per le alte cadute la ruota centrifuga (fig. 33) era alimentata internamente da una o più bocche (tipo Schwamkrug). Verso il 1840 aveva avuto un certo successo la ruota Zuppinger con alimentazione tangenziale esterna e scarico interno; un perfezionamento di questa può considerarsi la ruota tangenziale a cucchiai (fig. 36) con ampio scarico interno e laterale, e regolazione a lingua, usata fin verso il 1900.
Già dal 1892 F. Releaux aveva con poco successo richiamato l'attenzione dei tecnici europei sulla ruota Pelton (1880) già molto diffusa in California, che in fondo non differiva dalla ruota a cucchiai europea che per il maggior risalto della costola centrale, funzionante da effettivo spigolo d'entrata (fig. 35), ne risultava così lo scarico essenzialmente laterale e la possibilità di ridurre il numero delle pale. Migliore accoglienza incontrò la pala Doble (1900) pure americana, che differisce dalla Pelton originale, a cassetta, per essere completamente arrotondata a forma di doppio cucchiaio,e per avere lo spigolo centrale d'ingresso isolato dal bordo esterno di scarico (fig. 60). Altro importante perfezionamento introdotto dal Doble fu la regolazione a spina (figg. 67, 68), mediante la quale il getto si mantiene cilindrico e compatto a qualsiasi grado di apertura.
La semplicità del distributore a spina, meno soggetto a logoramento, si presta alle più alte cadute; però un altro problema dovette ancora essere risolto, cioè l'eliminazione del pericoloso aumento di pressione, o colpo d'ariete, che si manifesta in una lunga tubazione per effetto di una brusca chiusura del distributore. Nella Pelton americana questo scopo fu raggiunto mediante il getto mobile, col quale la regolazione avveniva, in un primo tempo per opera del regolatore di velocità allontanando rapidamente il getto dalla ruota, poi a mano, chiudendo lentamente la spina. In Europa invece ebbe la preferenza il deviatore del getto, frapposto fra la spina e la ruota (figg. 67, 68) e data dal 1907 il primo deviatore automatico (Riva), in cui la chiusura lenta della spina è resa automatica con l'intervento di un freno ad olio. Con varianti di particolari questo sistema si è rapidamente diffuso e ha reso la turbina Pelton perfetta anche dal lato della regolabilità.
Anche la potenza delle turbine Pelton è andata rapidamente aumentando, ed esistono in Italia unità di 46.000 cav. (Mese, H = 740 m.) e di 70.000 cav. (Serra, H = 680 m.) in Brasile. Nel senso delle alte cadute non esistono limiti per le Pelton, e non sono rari gl'impianti utilizzanti salti di oltre 1000 m. (in Italia, Venaus, fig. 67, m. 1098; Aviasco, m. 1025; S. Bernardo, m. 1014). Già nel 1913 si aveva un impianto (Fully) funzionante con 1650 m. (velocità del getto 175 m./sec.) e recenti sono gl'impianti della Dixence (Svizzera) con 1750 m. e di Sauda (Norvegia) con 2300 m.
Lo sviluppo della turbina moderna non può essere considerato senza quello del regolatore di velocità, che ha lo scopo, chiudendo o aprendo il distributore, di proporzionare il lavoro motore della turbina a quello assorbito dalla macchina operatrice ad essa collegata, mantenendo costante, entro certi limiti, la velocità di rotazione. Nelle ruote idrauliche la regolazione avveniva mediante la semplice manovra di paratoie. Nelle vecchie turbine si trattava invece di organi otturatori con meccanismi di comando a rotismi o a vite, richiedenti una lunga manovra a mano.
Quando con lo sviluppo delle industrie si cominciò a sentire la necessità di una velocità più regolare, comparvero i primi regolatori meccanici ad azione indiretta (1880), in cui un pendolo centrifugo per effetto della variazione di velocità provocava l'apertura o la chiusura del distributore, agendo su un meccanismo d'inversione del moto a cinghia o a frizione (fig. 61). Il loro funzionamento non poté però diventare soddisfacente che con l'adozione di distributori di rapida manovra e con l'introduzione nel regolatore di dispositivi di asservimento e compensazione (v. n. 9) per impedire oscillazioni pendolari di velocità. L'applicazione di volani alla turbina facilitò la soluzione.
Con l'inizio delle centrali idroelettriche (1890) aumentò rapidamente la potenza richiesta alle turbine, imponendosi nello stesso tempo la necessità di una più perfetta regolazione automatica. Il regolatore meccanico era evidentemente troppo debole e non abbastanza sensibile, per cui si ricorse al regolatore con servomotore idraulico. Quando la caduta era sufficientemente alta (almeno 20 m.), la stessa pressione idraulica della condotta servì per azionare il servomotore (fig. 75); altrimenti si creò artificialmente mediante una pompa, e all'acqua si sostituì l'olio.
Nel primo caso il regolatore era soggetto a corrosioni e a facili ostruzioni, nel secondo era ingombrante e costoso, non conveniente per piccole turbine. Sorse allora l'idea di riunire in un solo complesso il regolatore propriamente detto col suo servomotore e la pompa, da eseguire in un certo numero di tipi normali; si deve alla ditta Riva (1901) il primo regolatore automatico autonomo (fig. 62), dal quale derivarono i numerosi altri tipi ora di uso generale. Per le turbine di grande mole, specialmente quelle ad asse verticale (figg. 64, 65), la separazione dei diversi elementi risulta invece più razionale.
2. Teoria elementare delle turbine. - Azione e reazione. - Passando in rassegna i diversi tipi di turbine si è accennato alle due categorie: a) turbine a reazione, alle quali appartengono la Francis e la Kaplan; b) turbine a libera deviazione o ad azione, con la Girard e la Pelton.
Vogliamo ora chiarire i due concetti fondamentali di reazione e di azione, e come si possa ricavare un lavoro mediante i due sistemi col massimo rendimento.
Si abbia un serbatoio d'acqua (fig. 38), che supponiamo mantenuto a livello costante, munito su una parete di un bocca dalla quale esce un getto orizzontale con la velocità teorica
essendo H la profondità del centro della bocca sotto detto livello. Nel serbatoio l'acqua, affluendo alla bocca, forma una corrente accelerata convergente provocando sulla parete, in cui è praticata la bocca, una depressione dinamica crescente verso la bocca stessa. Supponiamo detta parete staccata, e mantenuta in posto da forze esterne tali da equilibrare la pressione idrostatica a bocca chiusa. A bocca aperta ne risulterà quindi uno squilibrio, dovuto all'eliminata pressione sulla luce della bocca, in cui si è formata la velocità c, oltre alla graduale depressione accennata sulla parete intorno alla bocca stessa, per cui la parete sarà sollecitata da quelle stesse forze esterne a spostarsi verso l'interno. A dette forze possiamo sostituire la trazione esercitata dalla parete opposta alla bocca, opportunamente collegata, che supponiamo soggetta in ogni caso alla totale pressione idrostatica. Durante il deflusso tutto il sistema, ossia il serbatoio, sarà sollecitato in senso contrario a quello del getto da una forza R, che è la così detta reazione del getto. Il getto agisce quindi sulla parete della bocca sottraendo una pressione.
Questa forza, comunque originata, si può calcolare teoricamente riferendola alla massa M di acqua fluente nell'unità di tempo attraverso alla bocca. Uscendo la sua velocità passa da zero a c, quindi nel tempo t la massa M•t subisce l'accelerazione c/t, a cui corrisponde una forza (forza = massa x accelerazione):
essendo Q il volume corrispondente al sec., ossia la portata, γ il peso specifico, g l'accelerazione dovuta alla gravità. A questa forza P′, agente nel senso del getto, farà equilibrio una reazione R (di qui il nome di reazione a detta forza) d'uguale intensità e di senso contrario, agente (non è detto come) sulle pareti del recipiente dal quale ha origine il getto, per cui:
prendendo per positivo il senso della R, contrario a quello del getto. Generalizzando si può quindi enunciare il principio: La forza esercitata sulle pareti dall'acqua in movimento è uguale al prodotto della massa nell'unità di tempo per l'incremento negativo di velocità nella direzione della forza stessa.
Il getto uscente incontri una parete (fig. 38) ad esso normale, abbastanza estesa per deviarlo simmetricamente di 90°, e consideriamo per semplicità solo il movimento che avviene in un piano orizzontale. Per effetto della curvatura della vena deviata si genera sulla parete una pressione variabile, che da un massimo al centro sull'asse va annullandosi ai bordi. La spinta risultante P subìta dalla parete colpita dal getto costituisce la cosiddetta azione del getto, che nel suo complesso si può calcolare con la legge accennata, tenendo conto che la deviazione di 90° del getto corrisponde all'annullamento della velocità c nella direzione del getto stesso, per cui:
3. Trasmissione di energia per azione. - Pala Pelton. - Se la parete deviante si sposta sotto l'azione della spinta nella direzione del getto con la velocità uniforme u, essa sarà raggiunta dal getto con la velocità relativa w1 = c1 − u. Notiamo che, con la parete in movimento, la deviazione assoluta del getto (fig. 39 a) non è più 90° ma α2, corrispondente alla risultante c2 della velocità relativa di scarico w2 ~ w1 con la u di traslazione. La velocità del getto, nella direzione del getto stesso e della forza, è quindi passata da c1 a u = c2 cos a2, cioè ha subito il rallentamento c1 - u, per cui la forza d'azione risulta:
L'essere la velocità u costante indica che la resistenza opposta al movimento della parete, o pala, è uguale alla forza P esercitata dal getto, ossia il getto deviato dalla pala in movimento eseguisce un lavoro meccanico utile nell'unità di tempo:
misurabile in kgm./sec.
Montando una serie di queste pale su una ruota (ruota a palette) sarà possibile avere una cessione continua di energia dal getto alla ruota stessa, che rappresenta il tipo più semplice e primitivo di motore idraulico. Per eseguire il lavoro Lu è andata spesa tutta l'energia cinetica del getto Li = M • 12/2, di cui parte si ritrova abbandonata allo scarico ancora sotto forma cinetica con la velocità c2; si chiama rendimento idraulico della trasmissione di energia il rapporto ε fra l'energia meccanica utilizzata Lu e l'energia idraulica disponibile Li, ossia:
Il lavoro Li è costante mentre Lu, e con esso ε, variano secondo la velocità assunta dalla ruota. Si ha Lu = 0 a ruota ferma (u = 0) e alla velocità di fuga (u = c1, P = 0), con un massimo per la velocità intermedia corrispondente alla derivata d (c1 u − u2)/d u = c1 − 2 u = 0, ossia per u = c1/2.
Il massimo rendimento ottenibile è quindi:
cioè nelle migliori condizioni metà dell'energia del getto va perduta.
Osserviamo che questa perdita è inerente al sistema e indipendentc dall'attrito poiché, anche per w2 = w1 = c1 − u = c1/2, si ha:
ossia l'energia perduta è tutta sotto forma di energia di scarico. Chiamando ε′ il rendimento teorico, che si riferisce a un fluido ideale esente da attrito, abbiamo max ε = max ε′ = 1/2.
Il perfezionamento della pala Pelton sta appunto nell'evitare la perdita di scarico, per cui ε′ passa da 1/2 a 1. Questa pala (fig. 35), fissata radialmente alla periferia di una ruota, è essenzialmente costituita dall'accoppiamento di due superficie cilindriche concave (fig. 39 b) tali da deviare il getto relativo di circa 180°, invece che 90°.
Come nel caso precedente il getto arriva sulla pala con la velocità relativa w1 = c1 − u, e si scarica con la velocità w2 diretta in senso opposto, cioè in senso contrario a quello di rotazione. Per w2 = w1, e u = c1/2, supposta la deviazione di 180°, risulta c2 = 0, cioè tutta l'energia cinetica del getto si è trasformata in lavoro utile; infatti si è avuto l'annullamento completo della c1, al quale corrisponde una forza d'azione P = M•c1 e un lavoro utile:
da cui:
Nel diagramma (fig. 46) in funzione di u il valore costante Li, è rappresentato da un' orizzontale, i valori di Lu e ε′ per la pala piana da parabole (max ε′ = 0,50), e per la pala Pelton da analoghe parabole di altezza doppia (max ε′ = 1). L'intervallo fra le parabole Lu e l'orizzontale Li rappresenta la perdita di scarico, che nella Pelton si annulla per u/c1 = 0,5.
Riferendoci alle velocità relative, per w1 = w2 il rallentamento è dato da w1 − (− w2) = 2 w1 = 2 (c1 − u) = c1 come sopra; si deduce però che per w2 〈 w1 anche la spinta P = M (w1 + w2) sarà minore, come pure sarà c2 > 0, e in conseguenza il rendimento idraulico ε 〈 (ε′ = 1). Di qui l'opportunità di evitare per quanto possibile sia le perdite di deviazione, mediante la costola centrale, sia quelle d'attrito mediante l'accurata lavorazione della superficie.
In pratica si ha un piccolo angolo effettivo β2 d'uscita della vena, che dà luogo a una piccola velocità assoluta risultante c2, necessaria per l'allontanamento dell'acqua di scarico dalla ruota. Occorre pure tener presente che il getto deviato tende appiattirsi sulla pala, per cui alla superficie cilindrica della Pelton originale è preferibile quella ellissoidale tipo Doble (fig. 60) che mantiene la vena più raccolta e meglio distribuita allo scarico.
La retrecina, alimentata assialmente, appartiene pure alla categoria delle ruote ad azione, e anche nella sua costruzione primordiale racchiude già il principio delle moderne turbine, cioè la tendenza alla riduzione della perdita di scarico. Infatti, essendo la pala (fig. 40 a) curvata in senso contrario al movimento, si verificano le condizioni della Pelton, in cui per w2 = u risulta c2 = 0 e ε′ = 1. La Pelton ha però il vantaggio di una minore perdita di attrito, corrispondente a una minor velocità relativa (w1 ~ w2 = 0,5 c1), mentre nella retrecina per β1 = 90° si ha w1 = c1/ √2 = 0,7 c1. Le condizioni migliorano per β1 > 90° e α1 〈 45°, cioè con pale concave, come nella Girard (fig. 40 b).
4. Trasmissione di energia per reazione. - Turbina di Eulero. - Consideriamo ora il caso che anche il serbatoio (fig. 38) sia mobile, e che per effetto della forza di reazione si sposti con la velocità uniforme u in direzione opposta del getto, eseguendo un lavoro. Per ridurci a un caso pratico, immaginiamo una serie di bocche di efflusso orizzontale applicate al fondo di una camera cilindrica (fig. 41), girevole intorno al suo asse verticale, e alimentata superiormente in modo continuo; si ha così una specie di ruota a reazione assiale.
Dobbiamo ammettere nella camera una velocità assiale d'arrivo c1, che però può essere relativamente piccola; entrando nel serbatoio rotante l'acqua acquista una velocità relativa wi inclinata, con una componente wu1 = u in senso contrario alla rotazione, ossia nel senso del getto, per cui nel percorso fino alla bocca si avrà l'accelerazione da w1 ~ u a w2 a spese del battente H. Trascurando il piccolo valore della c1, ossia supponendo w1 = wu1, la spinta motrice si può considerare come dovuta esclusivamente a questa accelerazione, cioè a un funzionamento a semplice reazione.
La velocità assoluta di scarico è ora c2 = w2 − u; ponendo u = w2 si otterrebbe di annullare la c2, ma in questo caso diventa anche:
A fermo, per w1 = u = 0, si avrebbe invece la massima spinta max R = M•w2, ma ancora Lu = 0.
Si avrà il massimo lavoro utile, come nel caso della pala, per u = w2/2, ossia (fig. 46):
L'energia idraulica disponibile è rappresentata dal battente H (riferito all'unità di peso), che va assorbito nell'accelerare la velocità relativa da w1 a w2, oltre che dall'energia cinetica c12/2 g d'arrivo, ossia:
e per u = w2/2 diventa:
da cui:
Il rendimento teorico in questo caso particolare è quindi ancora basso e la perdita è appunto dovuta allo scarico; infatti, essendo:
risulta:
Ora però Li, non è più costante, ma dipende esso pure da u, in quanto che il battente H si forma solo se richiesto dall'accelerazione della velocità relativa. Così per u = 0 si ha: max Li = M • w22/2, e per u = w2 sarebbe: Li = M (w22 − u2)/2 = 0.
In questo secondo caso risulta Li = 0 = Lu, ossia ε′ = 1, dal che si deduce che ε′ aumenta con la u; ma, come appare dal diagramma (fig. 46), ai massimi rendimenti corrispondono le minime potenze sviluppate, avendosi max ε′ = 1 precisamente per Lu = 0.
Questa considerazione è sufficiente per dimostrare il difetto della ruota a semplice reazione, nella quale l'esistenza di una perdita di scarico è condizione indispensabile per l'ottenimento di un lavoro utile. La ruota di Segner funzionava appunto con questo principio, e il difetto da eliminare era quello della perdita di scarico.
Eulero vi giunse indirettamente, partendo dal concetto di perfezionare l'alimentazione della camera di reazione in movimento in modo da evitare l'ingresso obliquo (urto), ossia ottenere la velocità relativa w1 in direzione assiale come a fermo. A questo scopo la velocità assoluta d'entrata c1, risultante della relativa w1 assiale e della periferica u, deve essere inclinata, per cui Eulero, separando la camera anulare fissa di alimentazione da quella mobile, applicò alla prima dei canali curvi inclinati nel senso della rotazione (fig. 30), dando origine al distributore delle moderne turbine a reazione.
Considerando ora il moto relativo nella camera in rotazione (fig. 42 a) vediamo che l'acqua subisce, nella direzione orizzontale del getto, l'accelerazione totale da 0 a w2, esercitando la spinta:
ed eseguendo il lavoro:
Poiché la spinta è resa indipendente dalla u, nulla ora vieta di scegliere come velocità periferica la u = w2, per la quale c2 = w2 − u = 0 e la perdita di scarico M • c22/2 si annulla; sarà: Lu = M • w22, mentre senza distributore si aveva: R = 0 e Lu = 0.
Il salto disponibile H risulta così diviso in due parti, che si utilizzano sotto due forme; la parte superiore Hd, corrispondente al distributore fisso, si trasforma nell'energia cinetica del getto di alimentazione:
e dovrà quindi agire per azione (fig. 40); la parte inferiore Hr, corrispondente alla camera di reazione ossia alla ruota, si utilizza direttamente come pressione. L'energia idraulica disponibile per la ruota è quindi:
La velocità di scarico w2 del canale in moto è invece dovuta al battente Hr e alla velocità iniziale d'ingresso w1, cioè:
andando l'altezza Hr utilizzata ad accelerare la velocità relativa da w1 a w2. Essendo c12 = w12 + u2, e supposto w2 = u, risulta:
cioè ε′ = Lu/Li = 1, non tenendo conto delle perdite d'attrito.
È facile verificare che Lu, massimo per u = w2, si annulla per u = 0 e u = 2 w2, mentre Li resta costante, per cui la curva della ε′ in funzione di u nella turbina di Eulero è ancora una parabola analoga a quella della Pelton (fig. 46), compresa tra i due limiti u = 0 e u = 2 w2.
Nella disposizione di Eulero, la ruota, la cui parte attiva è costituita dal gomito curvo di scarico, ha quindi un doppio funzionamento: ad azione deviando la w1 di circa 90° mediante la curvatura del gomito (rallentamento della velocità assoluta da c1 a c′2 = u − w1), a reazione accelerando la velocità relativa da w1 a w2 mediante la conicità del gomito stesso (ulteriore rallentamento subito dalla velocità assoluta da c′2 a c2 = c′2 − (w2 − w1) = u − w2 = 0). È evidente l'opportunità di sostituire ai canali isolati del distributore e della ruota dei sistemi di pale (fig. 42 b) formanti fra di loro una serie di canali di alimentazione e di reazione, come avviene in pratica, e di diminuire l'altezza della ruota.
Se l'altezza Hr è trascurabile, e all'ingresso della ruota esiste la pressione atmosferica, si ha il caso limite, in cui la reazione è nulla, cioè si passa al funzionamento ad azione (turbina Girard). Per avere ancora reazione nella ruota occorre che al suo ingresso esista una certa pressione; a questo scopo basta ingrandire i canali del distributore in modo da avere c12/2 g 〈 Hd, per cui si avrà disponibile nella ruota la differenza Hd − c12/2 g, oltre alla piccola altezza Hr, per il funzionamento a reazione, ossia:
e:
è il grado di reazione, che per c12/2 g = Hd diventa Hr/H. La ruota dovrà però fare tenuta sui fianchi col distributore per evitare fughe d'acqua, che costituiscono una particolare causa di perdita di rendimento nelle turbine a reazione.
In base alle accennate considerazioni le turbine a reazione si chiamano in tedesco: Überdruckturbinen e quelle ad azione: Freistrahlturbinen.
5. Equazione fondamentale della teoria delle turbine. - Con l'applicazione del distributore anche la turbina a reazione diventa teoricamente esente dalla perdita di scarico, per cui ε′ = 1. Eulero dedusse dalla sua trattazione (1754) un'equazione generale che ancora oggi è fondamentale per tutte le turbine, comprese quelle ad azione; essa può essere così espressa:
in cui (fig. 43) u1 e u2 sono le velocità periferiche d'ingresso e di uscita, che possono essere diverse se la ruota è conica o radiale, cu1 e cu2 le componenti della velocità assoluta d'entrata e d'uscita nella direzione di u, Q è la portata effettiva che attraversa la ruota, escluse le fughe.
Introducendo il coefficiente di rendimento idraulico ε, che tiene conto anche delle perdite d'attrito e vortici ρH prima dello scarico, si ha:
da cui risulta:
che è l'equazione fondamentale della teoria delle turbine, riferita all'unità di peso d'acqua attraversante la ruota nell'unità di tempo.
Nella ruota normale (figg. 42 b, 43), formata da una serie di pale, la w2 per scaricarsi deve necessariamente formare un angolo β2 con la u2, per cui la c2 non può annullarsi; d'altra parte, avvicinando le pale della ruota al distributore, l'angolo β1 d'ingresso può essere anche diverso da 90°. Il miglior rendimento si otterrà con la minima c2; questa condizione è molto prossima a cu2 = 0, per cui l'equazione fondamentale si riduce a:
Il rendimento idraulico ε ammissibile in una moderna turbina, dedotto dal rendimento effettivo η, misurabile sperimentalmente, con l'aggiunta di una percentuale per tener conto delle perdite meccaniche e delle fughe, può variare da 0,85 a 0,93, dalle piccole alle grandi costruzioni.
La pressione H − c12/2 g esistente all'ingrmso della ruota dipende dalla velocità c1 nel distributore. Se
questa pressione si annulla e la ruota funziona per sola deviazione della velocità relativa, che si mantiene costante: w1 ~ w2. A parità di portata e di giri, ossia per le stesse velocità meridiana cm1, i e periferica u (fig. 43), all'aumento della c1 csrrispsnde un aumento dell'angolo d'ingresso β1 che può anche essere > 90°. Si può stabilire in generale che col diminuire della reazione le pale s'incurvano (fig. 44); infatti la ruota Girard aveva pale concave (fig. 40 b) e nella Pelton si ha la massima curvatura con β1 ~ 180°.
D'altra parte dall'equazione g • εH = u1 • cu1 risulta che, a parità di H, a un aumento di c1, ossia di cu1, deve corrispondere una diminuzione di u1, da cui si deduce che col diminuire della reazione diminuisce anche la velocità periferica, cioè le turbine ad azione sono più lente di quelle a reazione. Nella Pelton si ha come minimo
mentre nelle turbine a forte reazione si può avere anche
La velocità di scarico c2 nelle turbine a reazione è di solito raccolta nel tubo aspirante conico che, funzionando da diffusore, la ricupera in parte. Invece in quelle ad azione, scaricandosi liberamente, va tutta perduta, perciò deve essere minima anche la componente meridiana cm2, ossia l'angolo β2. Caratteristica è la ruota Girard (fig. 33) scampanata allo scopo di assicurare una sufficiente sezione di scarico con un piccolo β2.
Le ruote delle turbine a reazione possono essere assiali, coniche o radiali, centrifughe o centripete, e a tutte si applica la stessa equazione fondamentale. Di tutte queste varietà sussiste ormai solo la Francis, centripeta, con l'elica sua derivata, il cui vantaggio è da attribuire al distributore esterno a pale girevoli, e al facile raccordo interno col tubo aspirante diffusore (figg. 64, 66, 70, 71).
Se nel diffusore la velocità di scarico viene rallentata da c2 a c4, sarà c42/2 g la perdita di scarico; conglobando nella ρH anche le perdite del diffusore, considerato cDme parte integrante della turbina, l'equazione fondamentale diventa:
Essa può essere messa anche sotto una seconda forma che tiene conto di tutte le velocità nel distributore, nella ruota e nel diffusore:
6. Turbine a reazione. - a) Tubo aspirante e diffusore. - Il tubo aspirante ha lo scopo di collegare direttamente la turbina al canale di scarico per mezzo di una colonna d'acqua che, agendo per aspirazione sotto la ruota, sommi il suo effetto a quello della pressione superiore. Così viene utilizzato completamente il dislivello disponibile e la turbina stessa può essere installata a una certa altezza sul pelo di scarico. Il tubo aspirante si applica nelle turbine a reazione in continuazione regolare dello scarico della ruota (figg. 64, 66, 69, 70, 71), e la massima depressione si ha allo sbocco dei canali della ruota.
Il tubo aspirante conico serve nello stesso tempo da diffusore rallentando la velocità c2 di scarico della ruota. All'altezza statica della colonna aspirante Ha (fig. 72) si aggiunge così quella dinamica (c22 − c42)/2 g corrispondente al rallentamento della velocità, il che equivale a un aumento della caduta utile, ossia del rendimento dell'impianto. Questa possibilità di ricuperare parte dell'energia di scarico della ruota permette di utilizzare turbine con forte velocità di scarico, cioè più piccole e più economiche.
Perché il funzionamento sia regolare occorre però che allo scarico della turbina non si formi il vuoto, che produrrebbe il distacco della corrente dalle pale (cavitazione) e conseguenti vibrazioni e corrosioni. Perciò deve essere:
in cui l'altezza barometrica, riferita all'altezza h in metri sul livello del mare e tenuto conto della tensione del vapore, è con sufficiente approssimazione:
Altre cause locali, dovute al tipo di ruota, contribuiscono a limitare la Ha ammissibile; e poiché indirettamente anche l'altezza del ricupero è in relazione al tipo di turbina, di tutte queste cause si può tener conto in un unico coefficiente di depressione dinamica σ (Thoma) riferito alla caduta H, ponendo per condizione:
Come minimo valore di σ si può ritenere in costruzioni bene eseguite:
essendo ns la velocità caratteristica del tipo di turbina (v. n. 6-d). Si vede da questa relazione come la cavitazione limiti per ogni tipo di turbina la massima caduta utilizzabile dovendo, nella migliore ipotesi, per Ha = 0, essere:
In casi eccezionali la contropressione allo scarico rende possibile una maggior caduta.
Quando l'altezza verticale del tubo aspirante non è sufficiente per ottenere il voluto ampliamento della sezione di scarico, si ricorre al tipo a gomito di profilo speciale a sacco, spesso munito di una parete divisoria di guida (fig. 70). Contrariamente al comune preconcetto, ha la massima importanza la curvatura interna, che deve essere ampia per quanto possibile (fig. 71), mentre all'esterno può mancare affatto, come nel gomito Kaplan ad angolo retto.
Il funzionamento di questi diffusori conici e a gomito è buono se la corrente è assiale, mentre è difettoso con una corrente elicoidale. Nelle turbine (a pale fisse) funzionanti con portata diversa dalla normale è invece inevitabile allo scarico una componente tangenziale cu2 positiva o negativa. Gli idroconi americani (figg. 64, 65) hanno appunto lo scopo di ricuperare anche questa componente, scaricando l'acqua radialmente su un grande diametro. Il cono interno prolungato fino alla ruota (Moody) serve a eliminare la zona centrale della corrente vorticosa, instabile e dannosa al regolare funzionamento.
b) Distributore a pale mobili. - Il distributore ha il doppio scopo di dare alla velocità assoluta d'ingresso una componente tangenziale cu1 e di regolare la portata mediante l'apertura delle pale. A questo scopo esse sono girevoli intorno a un perno intermedio (fig. 66) e comandate simultaneamente.
Avendo la ruota pale fisse, la velocità relativa d'uscita w2 varierà in proporzione della portata, per cui il triangolo delle velocità d'uscita (fig. 45) si deforma mantenendo costante l'angolo β2 delle w2. Si deduce, applicando l'equazione fondamentale, che anche il triangolo d'entrata deve deformarsi, ma in modo più complesso variando tanto α1 come β1, per cui il distributore a pale girevoli trova un'applicazione razionale.
Dapprima tutto il meccanismo di comando era immerso nell'acqua (regolazione interna, figg. 72, 75), ma questo sistema si può dire ormai abbandonato anche per le piccole turbine. I casi d'indurimento o corrosioni, dovuti all'acqua sporca o sabbiosa, resero necessario portare detti meccanismi all'esterno (regolazione esterna); la pala è in un sol pezzo col suo perno, che passa all'esterno attraverso un premistoppa e porta la leva, collegata all'anello o alla catena di comando (figg. 66, 69). Tutto il meccanismo è così accessibile e lubrificabile; le pale sono alla loro volta profilate e imperniate in modo da riuscire idraulicamente equilibrate per la maggior parte della loro corsa, per cui il lavoro richiesto dalla regolazione viene molto ridotto (v. n. 9).
In presenza della camera a spirale il compito delle pale mobili del distributore si riduce essenzialmente a quello di regolare la portata; esse possono con notevole semplificazione costruttiva essere sostituite da un'unica direttrice all'ingresso della spirale stessa, come nella turbina a vortice sistema Reiffenstein (fig. 59), funzionante tanto con ruota ad azione come con ruota Francis o Kaplan.
c) Disposizioni d'impianto. - Le cadute utilizzabili dalle turbine Francis possono variare da meno di 1 m. a oltre 300 m., di cui una parte, al massimo 5 ÷ 6 m., sotto forma d'aspirazione (v. n. 6-a). Per le basse cadute, cioè fino a 10 ÷ 15 m., la turbina viene semplicemente collocata in una camera libera di muratura (fig. 72) facilmente accessibile, nella quale sbocca il canale adduttore e dalla quale si distacca il tubo aspirante verticale metallico, oppure a gomito in cemento; l'asse è di solito orizzontale.
Per le maggiori portate si accoppiano due ruote scaricanti nello stesso tubo aspirante (fig. 71) e qualche volta due o tre gruppi di turbine doppie funzionano sullo stesso albero. La turbina multipla, in luogo di una semplice equivalente, ha il vantaggio del minor ingombro e della maggiore velocità di rotazione.
Per grandissime portate prevale ora la disposizione della turbina semplice ad asse verticale, che è diventata economicamente e idraulicamente preferibile con l'introduzione delle ruote veloci, e il perfezionamento dei diffusori aspiranti e dei supporti di sospensione. La camera d'arrivo, ancora in cemento, è chiusa e formata a spirale (fig. 70) onde consentire una maggior velocità dell'acqua e diminuire l'ingombro.
Per maggiori cadute si ricorre alla camera forzata metallica, collegata al canale d'arrivo mediante una tubazione. Dapprima, in base al puro concetto di resistenza, le camere forzate vennero costruite cilindriche o sferiche in modo da contenere la turbina senza sensibili modifiche (fig. 34). Per cadute superiori ai 30 m. si dovette però, per economia di costo, pensare a limitare la camera al puro necessario, trasformandola in un condotto abbracciante il solo distributore. Essa conservò per un certo tempo la forma più semplice simmetrica (fig. 75), poi, con l'accrescersi della potenza e della portata, l'uso di una sempre maggiore velocità nel suo interno (fino a 10 m./sec.) richiese una forma più razionale, in cui l'acqua avesse una direzione definita, con sezioni di passaggio decrescenti; si ebbe così la forma a spirale (figg. 64, 66, 69), che si usa ormai per tutte le cadute, fino oltre 300 m., eseguita di ghisa, di lamiera o d'acciaio fuso.
La turbina doppia può anche avere le due ruote addossate, ossia una ruota unica con doppio scarico laterale, quindi un solo distributore e una sola spirale, con due gomiti di scarico laterali (fig. 69).
Anche per le alte cadute e grandi potenze si va diffondendo, sull'esempio americano, l'uso delle turbine semplici ad asse verticale e la spirale è di solito annegata nel cemento (figg. 64, 65). Questa disposizione ha il vantaggio di un facile raccordo con la tubazione d'arrivo e di un più efficace diffusore, mentre la minore altezza d'aspirazione evita il pericolo di cavitazione, pur essendo il generatore elettrico, direttamente accoppiato, al sicuro da ogni inondazione.
I dati che definiscono un impianto di turbina sono:
1. il salto motore H (m.), che per le turbine in camera libera è dato direttamente dal dislivello disponibile; per le turbine alimentate da una condotta forzata il salto si misura all'imbocco della turbina, escludendo le perdite della condotta;
2. la portata Q (mc./sec.), ossia il volume d'acqua assorbito dalla turbina con una determinata caduta utile H.
La potenza idraulica Ni disponibile è quindi Ni = 1000 • QH/75 in cav., ritenendo per l'acqua il peso specifico γ = 1000 kg./mc.;
3. la potenza effettiva N (cav.) sviluppata dalla turbina, misurabile sull'albero al di là del suo supporto;
4. il rendimento effettivo della turbina: η = N/Ni, comprendendo anche le perdite meccaniche e le fughe della turbina, che si possono valutare l'1 ÷ 2%. Si deduce quindi il rendimento idraulico:
d) Legge di similitudine. - Velocità caratteristica. - L'equazione fondamentale nella seconda forma (v. n. 5) stabilisce una relazione tra la caduta teorica εH e i quadrati delle diverse velocità considerate nella turbina. Variando la caduta H, anche le velocità dell'acqua (relative e assolute) variano in proporzione di √H; se allora si fanno variare nella stessa proporzione anche le velocità periferiche della ruota, i triangoli si mantengono simili. Alla loro volta le perdite idrauliche ρH si possono ritenere proporzionali al quadrato delle velocità, cioè direttamente ad H, per cui il coefficiente ρ si mantiene costante, e con esso il rendimento ε. In altre parole, funzionando la turbina con una diversa caduta, le relazioni interne e il rendimento non variano se anche il numero di giri è variato in proporzione di √H. Se ne deduce che anche la portata Q varia in proporzione di √H e per conseguenza la potenza Qγ • εH in relazione ad H √H.
In base a queste relazioni si possono esprimere i dati di funzionamento di una turbina indipendentemente dalla caduta H per mezzo dei valori unitarî:
riferiti a 1 m. di caduta.
Se invece, a parità di caduta, varia la grandezza della turbina, mantenendosi geometricamente simile, le relazioni interne (entro certi limiti anche il rendimento, v. n. 6-e) si mantengono invariate se anche le velocità periferiche si mantengono costanti, ossia se il numero di giri varia in ragione inversa del diametro della ruota D, preso come dimensione di confronto fra le due grandezze. Poiché anche le velocità dell'acqua sono invariate, la portata e la potenza nel caso della Francis risulteranno proporzionali a D2. I valori unitarî precedenti si possono quindi rendere indipendenti anche dal diametro, trasformati nei seguenti valori specifici:
riferiti ad H = 1 m. e D = 1 m., che individuano il tipo di turbina, indipendentemente dalla grandezza.
Dalle precedenti si può dedurre l'espressione del numero di giri di una turbina che sviluppa la potenza N = 1 cav. sotto la caduta H = 1 m.:
che si chiama numero di giri caratteristico o velocità caratteristica della turbina, poiché non solo esprime la velocità riferita alla potenza unitaria, ma caratterizza costruttivamente anche il tipo della turbina (in ted.: Systemzahl).
Riferendo la nsN alla portata di 100 l./sec. che, nell'ipotesi di un rendimento convenzionale η = 0,75, corrisponde appunto alla potenza di i cav., si ha sotto altra forma:
notando che:
Come la ns, influisca sul profilo della Francis si vede dalla figura sotto riportata, in cui sono rappresentati diversi tipi di ruote per ordine crescente della ns, con lo stesso diametro massimo d'ingresso D, al quale si intendono riferiti i coefficienti Q11 e n11. Si nota il graduale aumento del diametro del tubo di scarico, dell'altezza del distributore e dell'interstizio fra esso e la ruota, in modo che l'elica compare come una diretta trasformazione della Francis (la maggior ampiezza del profilo dell'elica è dovuta al diminuito numero delle pale, da 12 a 4).
Appare inoltre come le ruote più lente siano più robuste, abbiano pale più semplici e siano equilibrabili assialmente per cui meglio si prestano per le alte cadute, mentre le più veloci devono essere riservate alle basse cadute.
Il coefficiente ns riassume quindi il concetto della forma e dell'applicabilità della turbina e permette di calcolare direttamente, per dati H, Q o N, il numero di giri ottenibile:
La pratica ha ormai fissato entro certi limiti i rapporti più convenienti per i valori specifici Q11 e n11 che entrano a formare la ns e il diagramma della fig. 47 ne dà un esempio: il costruttore se ne serve per calcolare il diametro D.
In base al valore ns, le turbine a reazione si distinguono:
e) Rendimenti della turbina Francis. - Prove su modelli. - I massimi rendimenti ottenibili (per ns = 80 ÷ 700) in funzionamento normale, per grandi diametri e nelle migliori condizioni, possono superare il 90%, e sono indipendenti dalla ns. Per portate (aperture) e giri diversi dai normali il rendimento scende per il variare dell'angolo d'entrata β1 e per l'aumento e l'obliquità della c2 di scarico (fig. 45), e le curve di rendimento sono molto influenzate dalla ns. Nel funzionamento a giri costanti (n11 di massimo rendimento) le qualità della turbina sono messe in evidenza dalla curva di rendimento in funzione del grado di portata Q/Qmax; risulta dal confronto delle curve (fig. 48) che, a portata parziale, η scende tanto più rapidamente quanto maggiore è la ns. Fa eccezione la turbina Kaplan con pale della ruota regolabili, la cui curva è molto piatta e supera quella delle stesse Francis lente, estendendosi anche per una portata di sovraccarico molto superiore alla massima normale.
Ferma restando l'apertura della turbina, il rendimento scende con andamento parabolico per velocità n superiori o inferiori (fig. 49). La massima velocità che la ruota può raggiungere a tutta apertura senza carico (velocità di fuga) può variare da 1,6 volte la velocità normale per le ruote lente, a 2,5 per le più veloci, supposta la caduta costante. Della velocità di fuga si deve tener conto per il calcolo della massima forza centrifuga cui possono essere soggette le parti rotanti collegate alla turbina (volano, alternatore).
Un quadro completo della variazione di η per il contemporaneo variare di Q e di n è dato dal diagramma a conchiglia a tre dimensioni (fig. 49) avente per ascisse i giri n, per ordinate le portate Q e per altezze i rendimenti η, individuati da linee di livello e determinati sperimentalmente. Le linee inclinate che tagliano il diagramma a conchiglia corrispondono a diverse aperture del distributore.
Data l'incertezza nel calcolo delle turbine, in specie per le Francis veloci, si ricorre per i tipi di serie, o per impianti di particolare importanza, a esperienze su modelli in apposite stazioni di prova, i cui risultati sono raccolti nel detto diagramma a conchiglia. Queste esperienze devono anche tener conto dell'altezza d'aspirazione, e speciali disposizioni d'osservazione stroboscopica permettono di constatare il formarsi della cavitazione.
Applicando la legge di similitudine (v. n. 6, d) si può in una prima approssimazione supporre che i risultati ottenuti sul modello siano direttamente applicabili a qualsiasi diametro di turbina geometricamente simile, mantenendo costante il rendimento. In realtà l'influenza delle perdite meccaniche e idrauliche d'attrito va diminuendo con l'aumentare delle dimensioni della turbina (aumento del numero di Reynolds), cioè aumentando il diametro il rendimento migliora. Nel campo del massimo rendimento, vale la formula di Moody:
in cui Dm, ηm e Hm si riferiscono al modello: D, η e H alla turbina eseguita. Ad esempio: per D/Dm = H/Hm = 5, a ηm = 0,80 del modello corrisponderebbe η = 0,88 nell'esecuzione.
7. La turbina ad elica (Kaplan) e la cavitazione. - La turbina ad elica si può considerare come l'ultima evoluzione della Francis, della quale ha conservato invariato il distributore centripeto; nell'aumentato interstizio avviene la deviazione della corrente dalla direzione radiale del distributore a quella assiale della ruota, conservando la richiesta componente tangenziale. La particolarità della ruota ad elica è il piccolo numero di pale (3-4) o più precisamente la mancanza di ricoprimento fra di esse (fig. 55), per cui non si forma un canale misurabile. La vecchia teoria di Eulero, sempre valida nel suo fondamento, ma riferita a velocità medie calcolabili attraverso a sezioni di canale effettivo, non ha più alcun appiglio. Neppure gli angoli β1 e β2, ricavabili dai triangoli delle velocità, sono utilizzabili, poiché la corrente nel campo delle pale è molto disuniforme, e la deviazione β1 − β2 effettiva della corrente è minore di quella corrispondente alla curvatura delle pale, tanto più quanto maggiore è la loro distanza; cioè le pale ottengono la voluta deviazione della corrente sopperendo con l'esagerazione dell'angolo alla mancanza di guida.
Interviene allora in aiuto la teoria aerodinamica, che studia la deviazione del fluido in movimento sulle ali isolate, alle quali appunto si possono paragonare le pale delle eliche, tanto più appiattite quanto più sono veloci. Servono a questo scopo le esperienze aerodinamiche, che misurano le spinte esercitate dalla corrente uniforme sui profili alari in funzione della velocità della corrente e dell'angolo d'incidenza.
Dalle esperienze si ricava pure il diagramma delle pressioni sul profilo, deducendo che la spinta subita dall'ala risulta dalla somma di due aree una positiva dovuta alla pressione sulla faccia inferiore e una negativa, molto più grande, dovuta alla depressione sul dorso. La depressione è molto disuniforme e si concentra in una determinata zona dipendente dalla curvatura del profilo e dall'angolo d'incidenza della corrente.
Sulle pale dell'elica questa depressione può essere così forte da avvicinarsi al vuoto assoluto, raggiungendo la tensione di saturazione del vapore alla temperatura ordinaria (10 ÷ 20 cm. in colonna d'acqua); si ha allora il fenomeno della cavitazione, caratterizzato dallo sviluppo di vapore sotto forma di bolle, che provocano il graduale distacco della corrente dalla parete. Queste bolle, trascinate dalla corrente in una zona di maggior pressione, si contraggono bruscamente e l'inerzia dell'acqua, che segue la contrazione, viene a concentrare tutta la sua pressione in singoli punti, pressione enorme valutabile a centinaia di atmosfere, che si esercita sulla parete per le bolle scorrenti su di essa. Il materiale, soggetto a questo martellamento puntiforme continuo dovuto alla condensazione del vapore, si disgrega, e nascono le caratteristiche corrosioni puntiformi e spugnose (fig. 56), tanto più facili e rapide quanto meno il materiale è resistente e uniforme.
Esperienze dimostrano che anche il vetro e l'agata sono intaccati; la ghisa presenta la massima facilità alla corrosione, mentre si comportano bene gli acciai al cromo, introdotti negli ultimi tempi.
La presenza della cavitazione è segnalata anche dalla perdita di potenza della turbina e dalla diminuzione di rendimento.
Il pericolo della cavitazione è particolarmente grave nella turbina ad elica che, oltre ad avere una forte velocità relativa lungo le pale, funziona con una forte aspirazione dinamica. Infatti la grande portata specifica Q11 richiede una forte velocità di scarico c2 che per Q11 = 2200 può raggiungere il valore
con una corrispondente energia c22/2 g = 0,56 H, necessariamente da ricuperare nel diffusore.
Ne consegue che la turbina ad elica non è compatibile senza un ottimo diffusore, che d'altra parte aumenta il pericolo di cavitazione. Per questo motivo l'altezza d'aspirazione statica deve essere ridotta al minimo, cioè la ruota deve essere installata poco sopra il livello di scarico, mentre anche la caduta utilizzabile ha un limite sui 30 m. Il pericolo di cavitazione con le maggiori cadute si combatte eliminando l'aspirazione statica, anche immergendo la ruota sotto il pelo di scarico, diminuendo la portata specifica Q11, e aumentando lo sviluppo delle pale; si è così passato dal rapporto l/t = 0,40 delle prime Kaplan a l/t = 1,35 (pale ricoperte) e da 3 o 4 pale a 7 (impianto Shannon, H = 32 m.). Su questa via a ritroso la ruota ad elica, creata per le massime ns, ha invaso il campo delle Francis, scendendo fino alla ns = 400.
Grave difetto della ruota ad elica a pale fisse, comune alle ruote Francis veloci, è quello di avere una curva di rendimento molto ripida (fig. 48). Ne risulta un diagramma a conchiglia molto schiacciato e inclinato (fig. 50), che dimostra il funzionamento cattivo a portata variabile, sebbene un po' migliorato a giri variabili, ossia a caduta variabile supponendo i giri costanti. Questo difetto è eliminato con la regolazione Kaplan delle pale della ruota (fig. 57). Mediante la simultanea regolazione delle pale del distributore e della ruota (variazione degli angoli α1 e β2) è possibile evitare la forte variazione degli angoli β1 d'entrata e α2 di scarico a portata variabile, vale a dire mantenere per ogni portata lo scarico circa assiale, e ridurre al minimo l'urto all'ingresso della ruota. Il rendimento si mantiene perciò alto per tutto il campo della regolazione (fig. 48).
Facendo funzionare la ruota Kaplan a pale fisse per diversi gradi di apertura, si otterrebbero altrettanti diagrammi a conchiglia simili, ma spostati verticalmente nel senso delle portate. Regolando quindi contemporaneamente ruota e distributore si può trovare per ogni portata l'apertura della ruota più conveniente, sfruttando per detta apertura l'adattabilità della ruota a giri variabili. Per il funzionamento a doppia regolazione si ricava quindi un diagramma a conchiglia (fig. 50) risultante dall'inviluppo dei diversi diagrammi elementari per ruota a pale fisse, in cui le curve di livello dei rendimenti, dilatate nel senso delle portate, acquistano forma tondeggiante. Il campo di buon rendimento della turbina è quindi esteso in tutte le direzioni.
L'attacco delle pale Kaplan al mozzo per mezzo di perni girevoli deve resistere al momento flettente dovuto alla spinta sulla pala, nonché alla forza centrifuga. Il comando, da eseguire con la ruota in moto, avviene attraverso l'albero cavo per mezzo di un tirante e mediante leve e bielle contenute nel mozzo (fig. 58). Per le grandi potenze si ricorre a un servomotore a pressione di olio, collocato nel mozzo stesso o sull'albero (fig. 70) a poca distanza, azionato dal regolatore.
Distributore della turbina e ruota sono di solito comandati contemporaneamente dallo stesso regolatore di velocità, e le corse sono tra di loro combinate in modo da ottenere per ogni apertura il miglior rendimento.
La turbina Kaplan ha avuto un grandioso sviluppo e notevoli sono i seguenti impianti:
8. La turbina Pelton. - Lo schema della turbina Pelton è semplicemente rappresentato da un getto di sezione circolare che colpisce tangenzialmente una ruota a pale; il diametro di tangenza si assume come diametro D della ruota. Caratteristica di questa pala è la forma a doppio cucchiaio (fig. 60) che permette di ridurre al minimo la perdita di scarico.
Il getto è ottenuto mediante un bocchello circolare munito di una spina centrale (figg. 67 a, 68) scorrevole assialmente per regolare la sezione d'uscita. La spina è profilata in modo da formare in qualsiasi posizione una bocca anulare convergente, che dà luogo a un getto cilindrico e compatto.
La ruota è formata da un disco a cui le pale sono fissate di solito per mezzo di bulloni calibrati (fig. 60 b), che devono resistere alla spinta del getto (massima all'avviamento) e alla forza centrifuga; questo attacco presenta per le maggiori cadute e per i piccoli diametri di ruota, difficoltà che si evitano con la ruota fusa in un sol pezzo. Le pale sono accuratamente levigate all'interno per diminuire la perdita per attrito.
Il deviatore, inserito fra il bocchello e la ruota, può essere costituito da un semplice tegolo (fig. 67 a) che abbassandosi schiaccia e devia in basso il getto allargato a ventaglio, oppure da una specie di coltello curvo (fig. 68) che penetra nel getto dal disotto deviandolo tutto o in parte; questo secondo sistema ha il vantaggio di richiedere una minor distanza fra spina e ruota.
Rispetto alla turbina Francis, la Pelton è molto più lenta per il grande diametro della ruota rispetto a quello del getto, e per la minore velocità periferica. Tanto più desiderabile è per la Pelton una maggiore velocità, e il suo sviluppo più recente mira appunto all'aumento della caratteristica ns.
Fissa restando la velocità periferica
ossia la velocità specifica
risulta aumentabile la sola portata Q11, vale a dire il diametro d del getto e il numero z di getti sulla stessa ruota. Per un dato diametro D di ruota, l'aumento di d, ossia della grandezza e del peso della pala, porta a diversi inconvenienti: in primo luogo accresce la difficoltà dell'attacco al disco, per cui con pale riportate non si oltrepassa il rapporto d/D = 1/10. Se questa difficoltà è superabile fondendo la ruota in un pezzo (fig. 60 a), si rende però così meno facile la lavorazione interna delle pale, tanto più data la piccolezza del passo.
In funzionamento, con un grande rapporto d/D, la pala rotante è raggiunta dal getto obliquamente, sia al primo ingresso, dando luogo a zone di cavitazione e di corrosione, sia all'uscita dal getto, con perdita d'acqua; d'altra parte anche la necessità di restringere la pala è un'altra causa di perdita, per cui la curva di rendimento alla massima portata si abbassa. Esiste perciò un limite:
che non è praticamente possibile superare, al quale corrisponde un
che naturalmente è riservato alle minori cadute, inferiori a 200 m.
Le migliori condizioni di rendimento si hamo per d/D = 1/10 ÷ 1/20, ossia per ns = 22 ÷ 11.
Su una stessa ruota si possono applicare anche 4 o 5 getti, se ad asse verticale, e per ragioni costruttive solo 2 se ad asse orizzontale (fig. 68), nel iìual caso si possono anche montare 2 o 3 ruote sullo stesso albero. Le caratteristiche precedenti, riferite a un solo getto, possono quindi in una turbina essere moltiplicate rispettivamente per √5 o √6, con un max. nsz = 70 ÷ 80, raggiungibile nelle grandi turbine.
Con le più alte cadute il rapporto d/D scende, e si è arrivati (impianto di Fully, H = 1650 m.) a d/D = 1/85 con una ns = 2,6.
Si vede così come la ns caratterizzi la Pelton per il tipo di ruota, il numero dei getti, la caduta utilizzabile, e anche la curva di rendimento, e come si abbia perfetto collegamento fn questo tipo e le Francis, il cui limite inferiore è circa ns = 70. Nella zona comune si dà la preferenza alla Francis per la maggior velocità e il minor costo, arrivando fino alla caduta H = 300 m., o alla Pelton per la maggiore resistenza al logoramento nel caso di acque sabbiose, e il maggior rendimento nel funzionamento parzializzato (fig. 48). In generale il rendimento nelle Pelton è più sensibile che nelle Francis alla variazione dei giri, e il massimo ottenibile è alquanto inferiore a quello delle migliori Francis.
Regolazione delle turbine.
9. Regolatore automatico. - La turbina deve azionare nella maggior parte dei casi un generatore elettrico, che richiede una velocità di rotazione praticamente costante, pur variando la potenza più o meno bruscamente e fra i più ampî limiti. A questo scopo è indispensabile il regolatore automatico che deve spostare il distributore (la spina nella Pelton) variando la portata in modo da ristabilire nel più breve tempo l'equilibrio fra potenza motrice e potenza assorbita. Il regolatore interviene appena una variazione di velocità accusa l'avvenuto squilibrio; esso è perciò munito di un organo tachimetrico, costituito di solito da un pendolo centrifugo, alla cui sensibilità è affidato il regolare funzionamento.
La regolazione del distributore richiede un grande sforzo, ossia un grande lavoro (sforzo × corsa), variabile da 10 a 50.000 kgm. dalle piccole alle grandi turbine, che il pendolo eseguisce indirettamente per mezzo di un servomotore idraulico, funzionante ad olio messo in pressione (fino a 20 atm.) da una pompa; l'azione del pendolo si limita quindi al comando di un piccolo cassetto di distribuzione. Per ottenere una regolazione stabile, evitando eccessi di regolazione e oscillazioni pendolari, occorre che l'azione del pendolo tenda ad interrompersi appena iniziato il movimento del servomotore; a questo scopo serve il dispositivo di asservimento (fig. 62) costituito da un secondo comando del cassetto proveniente dal servomotore, agente sullo stesso bilanciere in modo tale che in regime (cassetto in posizione media) ad ogni posizione del collare del pendolo corrisponde una posizione definita del servomotore, ossia una certa potenza della turbina.
Ne consegue, passando dal pieno carico a vuoto, una differenza di velocità della turbina, corrispondente alla staticità del pendolo; si chiama grado d'irregolarità il rapporto:
(assumendo come velocità normale quella a pieno carico n1), che può essere del 4 ÷ 5%, da non confondere col grado d'insensibilità del pendolo, che nelle moderne costruzioni si mantiene inferiore a 0,2%.
Questa irregolarità può essere corretta in un secondo tempo a mano per mezzo del volantino variagiri, che sposta l'attacco del bilanciere sul gambo di asservimento. La correzione si ottiene anche automaticamente mediante un dispositivo di compensazione della staticità comandato dal servomotore con l'intermediario di una molla e di un freno a olio. L'irregolarità può essere annullata (regolazione isodroma), oppure ridotta a un minimo (δ = 2%) quale è necessario per il funzionamento in parallelo degli alternatori; resta sempre il variagiri per la messa in parallelo e per lo spostamento del carico.
In caso di deficienza di portata si può fissare la massima apertura eseguibile dal regolatore mediante il limitatore d'apertura, che è un arresto registrabile a mano per escludere l'azione del pendolo in senso di apertura oltre una certa corsa del servomotore. Per portate molto variabili si può rendere automatico lo spostamento del limitatore collegandolo con un galleggiante nella camera d'arrivo della turbina (regolatore di livello).
L'olio in pressione per il servomotore proviene da una pompa, di solito a ingranaggi, che nei grandi regolatori alimenta un serbatoio a camera d'aria. Nei regolatori normali invece la pompa mantiene sempre in circolazione a pressione ridotta il massimo volume d'olio occorrente per la regolazione (regolatore a portata costante) e il distributore a cassetto è di tipo speciale a deflusso continuo bilaterale. Solo con lo spostamento del cassetto fuori mezzaria l'olio viene portato alla piena pressione e inviato a un lato del servomotore. Il cassetto stesso, che può assumere grandi dimensioni, è munito di servomotore proprio e il pendolo comanda una leggiera asticella distributrice di pochi millimetri di diametro.
Nei comuni regolatori (regolatori autonomi), il pendolo con i relativi meccanismi di distribuzione, il servomotore e la pompa col serbatoio dell'olio sono riuniti in un unico aggregato; pendolo e pompa sono azionati a mezzo cinghia, e dalla cassa esce l'albero di regolazione, collegato al servomotore mediante una leva.
Nei tipi più recenti altri dispositivi di automoderazione e di sicurezza si sono aggiunti allo schema originale, e il tutto è chiuso nella cassa, insieme con l'organo tachimetrico (fig. 63). In alcuni casi (centrali automatiche) il regolatore è predisposto anche per l'avviamento automatico mediante un semplice comando elettrico a distanza.
Dovendo la regolazione essere per quanto possibile rapida, il tempo di chiusura si mantiene sui 4 secondi (scendendo a 1,5 con l'aiuto del serbatoio a camera d'aria); a questo tempo deve quindi essere proporzionata la portata della pompa, la cui potenza rappresenta la potenza del regolatore.
Il lavoro di regolazione (in kgm.) è rappresentato nel regolatore dal prodotto del massimo sforzo agente su una faccia dello stantuffo del servomotore per la sua corsa.
I0. Scarto di velocità e volano. - Il funzionamento del regolatore si verifica mediante il diagramma della variazione del numero di giri in funzione del tempo. I casi che più interessano sono lo stacco brusco di tutto il carico o di parte di esso, che si possono analizzare come segue.
Nello stacco brusco di tutto il carico la potenza si riduce da N a N0 = potenza assorbita dal gruppo a vuoto; la velocità aumenta immediatamente e il regolatore chiude nel tempo T (fig. 51 a), mentre nel frattempo la turbina compie un lavoro misurato dall'area limitata dalla curva decrescente della potenza Nm. Questo lavoro, dedotto quello richiesto dalle resistenze passive (curva Nr), va impiegato ad accrescere l'energia cinetica delle masse rotanti (volano, alternatore), e i giri aumentando raggiungeranno un massimo n2 = n1 + ζn1 per Nm = Nr; toccato il quale, e avvenuta la chiusura totale del distributore, cominciano a diminuire per effetto delle resistenze passive, portandosi lentamente al valore normale a vuoto n0, quando il lavoro disponibile Ld accumulato dalle masse rotanti sia tutto assorbito.
In pratica il momento d'inerzia delle masse rotanti si riferisce al momento dinamico GD2, essendo G il peso delle masse, D/2 il loro raggio giratorio. Data la potenza N (cav.) disponibile all'inizio della chiusura e la velocità n1 (giri/min.) della turbina, si calcola il GD2 (kg. × mq.) occorrente con un dato tempo T (sec.) perché, per uno stacco totale del carico, lo scarto di velocità
non superi un certo valore (0,12 ÷ 0,20), mediante la relazione:
in cui il coefficiente
risulta dalla tabella:
Il GD2 disponibile nelle parti rotanti della turbina e dell'alternatore è di solito insufficiente per il tempo normale di chiusura del regolatore (T = 3 ÷ 4 sec.) e occorre aggiungere un volano che supplisca al GD2 mancante, separato o incorporato nel generatore elettrico. La riduzione del tempo T per evitare questo maggior costo non è sempre tollerata dalle condizioni d'impianto della turbina (lunga tubazione d'arrivo o lungo tubo aspirante; v. n. 11).
Nel caso di distacco totale del carico, il nuovo regime si raggiunge aperiodicamente; nel distacco parziale di carico (da N a Np > 0) invece si verificano necessariamente delle oscillazioni di velocità, che si vanno man mano smorzando. Il processo si spiega nel seguente modo:
Si ha una prima fase analoga al caso precedente, in cui la potenza in eccesso Nm − Nr accelera le masse rotanti mentre il regolatore chiude (fig. 51 b). Raggiunto l'equilibrio Nm = Nr, la velocità tocca il massimo n2 per cui il regolatore continua a chiudere; le masse devono allora cedere il lavoro Ld, accumulato in precedenza, perdendo in velocità. La velocità si riporta al valore di regime, ma ora l'apertura del distributore corrisponde a una potenza minore della Np, per cui la velocità continua a scendere sotto alla normale e il regolatore apre, mentre le masse, perdendo di velocità, continuano a cedere energia. Quando per l'aumentata potenza le linee Nm e Nr tornano a tagliarsi, la velocità ha raggiunto il minimo n3 e comincia a crescere, mentre il regolatore continua ad aprire e le masse accelerando assorbono lavoro per riportarsi alla velocità di regime.
Il processo continuerebbe così periodicamente, e sono i dispositivi di compensazione del regolatore che producono il rapido smorzamento delle oscillazioni.
Nel caso di attacco brusco del carico la curva della velocità ha un andamento analogo, invertito di segno.
11. Sovrapressione nella condotta dovuta alla regolazione. - Se in una tubazione forzata la corrente viene rallentata manovrando un organo otturatore (distributore della turbina), si genera a monte di esso un aumento di pressione che prende il nome di colpo d'ariete e l'energia cinetica dell'acqua, bruscamente rallentata, s'immagazzina nell'acqua stessa come lavoro di compressione e nelle pareti elastiche della condotta come lavoro di deformazione. L'onda di pressione, che ha origine nel luogo di chiusura, si propaga lungo la tubazione con una velocità a (teoria di Allievi) dipendente dall'elasticità del materiale e dallo spessore della tubazione in relazione al suo diametro (per tubi di acciaio calcolati per cadute H = 50 ÷ 700 m. risulta: a = 700 ÷ 1300 m./s.). Raggiunta la camera di carico l'onda si riflette cambiando di segno, e dopo un tempo 2 L/a (durata della fase, essendo L la lunghezza della tubazione) arriva all'otturatore come onda di depressione. Nel frattempo la sovrapressione a monte dell'otturatore, che è andata aumentando proporzionalmente al grado di chiusura, ha raggiunto un massimo che, nel caso della chiusura completa e per T ≤ 2 L/a (chiusura brusca), è espresso da:
essendo v la velocità dell'acqua nella tubazione all'inizio della manovra, e T il tempo di chiusura. Questo massimo, indipendente dalla velocità di chiusura, si propaga nella tubazione fino alla distanza l = L − aT/2 (punto d'incontro dell'onda discendente).
Se invece è T > 2L/a (chiusura normale) il fenomeno si complica per il sopraggiungere dell'onda di depressione durante il completamento della chiusura. In questo caso si può considerare come più sfavorevole la chiusura totale a partire da un'apertura parziale, tale da richiedere un tempo t = 2 L/a 〈 T, ricadendo nel caso precedente riferito a una velocità iniziale dell'acqua nella tubazione v′ = v • t/T (supposta la variazione lineare); si avrebbe quindi:
Questa espressione (formula Allievi-Michaud), valida per T ≥ 2 L/a, serve per la maggioranza dei casi, poiché si cercherà sempre, per la sicurezza della tubazione, di attenuare il colpo per quanto possibile allungando il tempo T.
In pratica, il massimo aumento di pressione in esercizio
ammesso nelle camere delle turbine (provate in officina a una pressione 1,5 H) non supera il 30%; solo per le basse cadute si arriva al 50%.
Il diagramma della fig. 52, calcolato per χ = 0,30, indica a colpo d'occhio quali relazioni fra T, L, H e v soddisfano a questa condizione normale, essendo i tempi T rappresentati dal fascio di rette uscenti dall'origine degli assi, per diversi valori della velocità v = 0,5 ÷ 4,0 m./s., in funzione di L/H come ascisse.
Stabilito così il tempo T minimo di regolazione compatibile con le condizioni della tubazione (velocità v, rapporto L/H e sovrapressione χ), si può passare al calcolo del GD2 mediante il coefficente γ corrispondente allo scarto di velocità ζ ammesso.
Il colpo d'ariete può anche essere negativo, cioè costituito da una brusca diminuzione di pressione, che si ha dietro all'otturatore per effetto dell'inerzia della colonna a valle; questo è il caso del tubo aspirante nelle turbine. Se la depressione all'inizio del tubo aspirante è così forte, tenuto conto dell'aspirazione già ivi esistente in condizioni di regime, da avvicinarsi al vuoto assoluto, la colonna aspirante si stacca ed entra in oscillazione; al ritorno l'urto può essere così violento da diventare pericoloso. Questo inconveniente, tanto più facile a verificarsi nelle Kaplan, si evita mediante opportune valvole d'aria, automatiche o comandate.
Analogamente, quando l'otturatore si apre più o meno bruscamente, si genera a monte una pressione negativa, calcolabile con la stessa formula del colpo positivo, e dopo il tempo 2 L/a arriverà l'onda riflessa di pressione. Se T 〈 2 L/a, la massima depressione si propaga nella tubazione fino alla distanza l = L − a T/2 (incontro dell'onda di pressione discendente). Quando una tubazione a forte pendenza è preceduta da un tratto pianeggiante, al quale può estendersi la zona di massima depressione, questo tratto a parete sottile viene a trovarsi in pericolo di schiacciamento; il tubo piezometrico collocato vicino al punto di cambio di pendenza elimina il pericolo.
12. Disposizioni per attenuare le sovrapressioni. - In pratica la velocità nelle tubazioni varia da 3 a 5 m./s., il rapporto L/H di solito da 2 a 3, eccezionalmente scende a 1,2 o sale oltre 5. Dai valori ricavabili dal diagramma (fig. 52) si vede come sia difficile conciliare un tempo T 〈 4 sec. con una velocità v > 3 m./s., quali sono richiesti da ragioni economiche, se non ricorrendo a speciali dispositivi per evitare eccessivi aumenti di pressione, quali sono la valvola di scarico sincrono per le turbine Francis e il deviatore del getto per le Pelton, oppure il tubo piezometrico, inserito nella tubazione vicino alla turbina.
La valvola sincrona, collocata a monte della turbina, ha lo scopo di mantenere costante la portata nella condotta durante la manovra di chiusura della turbina, scaricandone la parte in eccesso; è perciò collegata direttamente al distributore della turbina, e si apre mentre questo si chiude. Per risparmiare acqua ed evitare logoramenti, si fa in modo che la valvola si richiuda automaticamente, e abbastanza lentamente da non dar luogo a una sovrapressione sensibile (per χ = 0,10, T = 15 ÷ 40 sec.). La valvola (figg. 66, 73) è sempre munita di servomotore idraulico, per cui lo sforzo del regolatore si limita a quello richiesto dal cassetto distributore, comandato nel solo senso di apertura con l'intermediario di un freno a olio a semplice effetto, che permette la richiusura automatica in un tempo prestabilito.
L'efficacia dello scarico sincrono a comando indiretto è affidata specialmente alla sua prontezza, che deve corrispondere alla rapidità della regolazione, anche nelle chiusure parziali. Vi sono due principali tipi di valvole: a) quelle aprentisi verso l'alto (fig. 66), nelle quali può essere un difetto l'astaticità, per cui richiedono il massimo sforzo all'inizio dell'apertura, con pericolo di ritardi attraverso alla distribuzione e al freno; b) quelle aprentisi verso lo scarico (fig. 73), che presentano all'inizio dell'apertura la minima resistenza, ma devono essere mantenute chiuse dal servomotore in pressione, funzionante da equilibratore.
Il deviatore del getto per le Pelton (figg. 67 a, 68) è un meccanismo molto più semplice ed è il vero organo di regolazione in chiusura. È comandato direttamente dal regolatore e può deviare completamente il getto in circa i sec. senza influire sulla portata, che viene in un secondo tempo regolata dalla spina messa in libertà dal funzionamento del deviatore. La spina chiude automaticamente con la voluta lentezza, controllata dal freno ad olio, e chiudendosi rialza (o riabbassa) il deviatore, che si trova infine completamente escluso quando la portata del getto ha raggiunto il valore corrispondente al carico residuo della turbina.
Per la prontezza della regolazione è importante che il tegolo deviatore in posizione di escluso segua sempre la variazione di diametro del getto sfiorandolo per essere pronto ad agire senza perdita di tempo. In apertura il regolatore comanda la sola spina.
Questi dispositivi, valvola sincrona e deviatore, intervengono solo nella manovra di chiusura, e non impediscono le dannose variazioni di pressione in apertura, che vengono attenuate aumentando nel regolatore il tempo di apertura rispetto a quello di chiusura; il che è ammissibile anche per la regolazione, poiché gli aumenti di carico in esercizio sono sempre graduali. Il calcolo del GD2 in questi casi si deve fare in base all'aumento di carico, per il quale sono tuttavia concessi maggiori scarti di velocità che non per i distacchi.
Il tubo o pozzo piezometrico, inserito in una lunga condotta, ha lo scopo di accorciare la lunghezza L che concorre alla generazione del colpo d'ariete. Per basse cadute e grandi portate, quando lo scarico sincrono riuscirebbe troppo costoso, il tubo piezometrico può essere collocato presso la turbina, oppure la camera stessa della turbina a pelo libero, nella quale sbocca la condotta, può servire a questo scopo.
Nelle alte cadute (fig. 74) la condotta comprende spesso un lungo tratto di collegamento quasi orizzontale in galleria forzata, oltre alla tubazione propriamente detta nella quale è concentrato il salto; anche in questo caso la vasca di carico della tubazione, a pelo libero, funziona da pozzo piezometrico e riduce la lunghezza L a quella della tubazione (più l'altezza del pozzo), escludendo per il colpo d'ariete l'influenza della galleria forzata.
Oltre a questo compito verso la tubazione a valle, il pozzo piezometrico ne ha un altro verso la condotta forzata a monte. In seguito al chiudersi parziale o totale della turbina, l'acqua di detta condotta deve essere rallentata e la sua energia cinetica resa disponibile si trasforma in energia di posizione, dando luogo a un aumento di livello nel pozzo, che crea un carico antagonista; avvenuto il rallentamento, il livello si riabbassa ed entra in oscillazione. Per l'apertura della turbina avviene il fenomeno inverso: il livello si abbassa creando un carico acceleratore, seguito ancora da oscillazioni, che si smorzeranno più o meno rapidamente per effetto degli attriti.
Queste oscillazioni sono tanto più limitate quanto maggiore è la sezione del pozzo, che prende perciò anche il nome di vasca di oscillazione; a questo scopo esso può essere cilindrico, o munito di espansioni, o anche di sfioratore. Nel caso del pozzo cilindrico, la massima variazione di livello per il brusco passaggio dal riposo alla totale portata, o viceversa, si può esprimere:
in cui v è la massima velocità in galleria, L e s la lunghezza e la sezione della galleria, S la sezione del pozzo (in m./sec., m. e mq.). L'attrito della galleria favorisce la h0 come depressione, mentre l'attenua come sopraelevazione.
A questa prima variazione di livello segue una serie di oscillazioni che hanno per effetto di far variare periodicamente anche il salto motore della turbina. In conseguenza il regolatore, nell'intento di mantenere costante la potenza, sarà condotto ad aprire e richiamare una maggior portata con l'abbassarsi del livello, e viceversa, rinforzando così dette oscillazioni, che possono diventare permanenti o amplificate, intollerabili specialmente in un impianto a bassa caduta. Condizione perché lo smorzamento, dovuto all'attrito della galleria, sia efficace; è che sia:
(formula di Thoma), ossia riferendosi alla precedente:
in cui hr è la resistenza della galleria a piena portata.
Si può risparmiare nel volume della vasca mediante disposizioni speciali atte a smorzare artificialmente dette oscillazioni. Così nel pozzo differenziale (Johnson) il tubo piezometrico si prolunga nell'interno della vasca, con la quale comunica per mezzo di aperture praticate alla base. Una chiamata di portata da parte della turbina provoca nel tubo un rapido abbassamento di livello, ossia un forte carico acceleratore nella galleria, mentre nella vasca l'acqua si abbassa lentamente, fornendo temporaneamente la portata necessaria senza entrare in oscillazione.
13. Valvole d'intercettazione. - In tema di tubazioni per le turbine si devono ancora ricordare come organi indispensabili le valvole d'intercettazione, che non servono per la regolazione, ma solo per isolare la turbina, e possono diventare organi di sicurezza in caso di guasti accidentali al regolatore. Possono servire a questo scopo le comuni valvole a farfalla (fig. 64) e a saracinesca (figg. 33, 66 b), quasi sempre munite di servomotore idraulico.
Tipica per gl'impianti idroelettrici è la valvola a fuso (Johnson, fig. 65), che, contrariamente alle precedenti, ha il pregio di funzionare regolarmente a qualsiasi grado di apertura e di potersi chiudere senza inconvenienti anche a turbina tutta aperta.
Altro tipo di valvola, recente e già molto diffusa, è la valvola rotativa (fig. 76), costituita da un tronco di tubo cilindrico, girevole in una camera sferica, che in apertura viene a mettersi in continuazione esatta della tubazione, e girato di 90° viene a chiudere mediante un fondo la tubazione stessa. Dispositivi speciali di vario genere servono per lo spostamento della sede onde ottenere la chiusura ermetica. Essa ha il vantaggio di presentare la minima resistenza al passaggio dell'acqua e di essere più economica.
Bibl.: M. Lo Presti, Le turbine idrauliche, Milano 1922; N. Ratti, Le più recenti costruzioni di turbine idrauliche per basse cadute, ivi 1925; G. Büchi, Le turbine idrauliche ad elica, in L'Energia elettrica, 1929; G. De Marchi, Idraulica, Milano 1930; G. Ucelli, La costruzione del macchinario idraulico in Italia, ivi 1930; R. Thomann, Die Wasserturbinen, Stoccarda 1931; L. Allievi, Il colpo d'ariete e la regolazione delle turbine, in L'Elettrotecnica, 1932; M. Dornig, Macchine termiche ed idrauliche, Milano 1932; G. Ippolito, Turbine idrauliche, Napoli 1934; A. Ludin, Wasserkraftanlagen, Berlino 1934; M. Medici, Le macchine idrauliche, Torino 1934.