tuono (trono; truono; 'ntrono)
Il termine, in D., oltre il suono prodotto dal corrispondente fenomeno atmosferico, ne designa l'effetto materiale, cioè lo squassare dell'aria provocato dalla violenta e rapida fuoriuscita di vapore secco dalle nubi che, incendiatosi, dà luogo alla folgore. In tal senso t. può anche implicare l'effetto detonante provocato dalla subitanea accensione della nube colpita dal fulmine.
Delle varie spiegazioni, D. sembra in gran parte accogliere quella autorevole e corrente di Aristotele (Meteor. II 9, 369a 10 ss.) secondo cui i " vapores " caldi e secchi esalanti dalla terra e mescolati ai vapori freddi e umidi, una volta ascesi alla zona fredda dell'aria (v.), rimangono in parte imprigionati nelle cavità dei vapori umidi delle nubi. Queste ultime, man mano che si raffreddano e condensano, comprimono nel loro " venter " il " vapor " o " spiritus " secco e sottile - di natura simile al fuoco - fino a provocarne la violenta fuoriuscita (" extrusio " o " expulsio "), con l'effetto concomitante della " percussio " sull'aria, del boato (il " tonitruum " propriamente detto) e dell'improvvisa " inflammatio " o " ignitio " del " vapor ". Tale " inflammatio " era in genere distinta in bagliore vermiglio (" coruscatio "), balenante saettare in aria (" fulgur ") e impetuosa caduta a terra (" fulmen ") con effetti differenziati (ma in molti casi " coruscatio " e " fulgur " sono assimilati, mentre si danno classificazioni minuziose dello stesso " fulmen ").
Una chiara parafrasi del testo aristotelico troviamo in Alberto Magno: " Si [vapor siccus]... ascendit comprehensus in vapore humido, tunc quando vapor humidus pervenit ad locum frigoris, et incipit comprimi, comprimitur etiam in ipso, quasi in ventre eius, vapor siccus calidus... In tali compressione vaporis sicci, in ventre nubis fit agitatio vehementer vaporis sicci; agitatio autem inducit actualem inflammationem in vapore calido et sicco, eo quod facillimae est inflammationis... haec autem inflammatio causa est fulguris ". A questo punto il testo passa a un'analisi dei vari suoni prodotti dal t., a seconda del tipo di rottura della nube: " Agitatus autem vapor in interioribus nubis, quadruplicem facit sonum. Si enim latera nubis tantum percutiat et non scindat, et sit inflammatus, tunc facit sonum flamen percutientis... Secundus sonus est scissionis magnae... et sonus est terribilis... Aliquando autem habet sonum maximum uno impetu venientem... et hoc fit quando cum impetu totus vapor vel maxima eius pars exilit subito erumpens; et rumpens nubem exilit in aerem, et percutit ipsum percussione bona fortissima. Et hic est modus tertius tonitrui. Quarto... est sonus quasi humidorum sive viridium lignorum crepitantium in igne; et hoc fit quando vapor siccus ex inflammatione quaerit locum maiorem: tunc enim nubem compressam humidam dissilire facit... " (Meteor. III III 4; delle molte trattazioni cfr. Isidoro Etym. XIII VIII-IX, Beda De Natura rerum 28, Rabano Mauro De Universo IX 18-19, Guglielmo di Conches Philosophia Mundi III 10, Adelardo di Bath Quaest. naturales 64-68, Vincenzo di Beauvais Spec. natur. IV 55-67, Tommaso di Cantimpré De Naturis rerum XVIII 1, Bartolomeo Anglico De Propriet. rerum XI 13, Ristoro d'Arezzo La compos. del mondo VII II 1, Brunetto Latini Trésor I VI 7-8, ps.-Aristotele De Mundo 4, 395a 10 ss.).
Il fenomeno del t. comprende e denota, dunque, una serrata sequenza di eventi meteorici, corrispondenti ad altrettante manifestazioni di uno stesso " spiritus " o " vapor " che esala dalla terra: " Nos autem dicimus esse eandem naturam, super terram quidem ventus, in terra autem terrae motum, in nubibus autem tonitruum. Omnia enim esse haec secundum substantiam idem, exhalationem siccam, quae fluens quidem aequaliter ventus est, sic autem facit terrae motus, in nubibus autem, cum transmutationem subiens excernitur, coeuntibus et concrescentibus ipsis in aquam, tonitrua et coruscationes " (Aristotele Meteor. II, 9, 370a 28-32).
Ciò spiega perché D., in alcuni casi, collochi il t. nel contesto di eccezionali accadimenti naturali, come segno e manifestazione di uno spirito cosmico di soverchiante energia. Carico delle connotazioni divinatorie e sacrali della tradizione classica (cfr. Plinio Nat. Hist. II 51-56; Seneca Nat. quaest. II XII-LIX; Cicerone Div. I-II passim) e biblica (cfr. Eccli. 40, 13; Iob 26,14; 38, 25; Is. 29,6; Exod. 9,23,28-29,33-34; ecc.) il t. assume in D. i caratteri di una manifestazione numinosa o, specificamente, di una teofania.
Per quanto attiene alle forme ‛ tuono '-‛ trono '-‛ truono ' è difficile stabilire se ad esse corrispondano connotazioni diverse. Una possibilità è che in ‛ tuono ' sia implicita l'idea di ‛ tuonare/suonare ' (" tonus "), e in ‛ trono '-‛ truono ' quella del dirompimento della nube ad opera dei vapori infiammati e folgoranti (" tonitrus ", " tonitruum "). In molti casi, infatti, è presente l'alternanza ‛ t./suono ', ‛ tuonare/suonare ' e simili (cfr. Isidoro Etym. XIII VIII 1 " Tonitruum dictum quod sonus eius terreat; nam tonus sonus ").
Quanto alle costanti tematiche va rilevato che D., di norma, mette in opera la sequenza del tipo: apparire della folgore (o di un segno omologo), scoppio del t., effetto di stupore o terrore (spesso accompagnato dal venir meno dei sensi e della memoria).
In ogni caso D., nel t., avverte fondamentalmente un atto deliberato della Provvidenza divina che converte i fenomeni naturali in segni rivelatori della propria volontà. Centrale è, al riguardo, l'occorrenza di VE I IV 6, dove - con pregnante riferimento all'origine divina del linguaggio - egli considera t., folgore, pioggia, neve e grandine (cioè le tipiche alterationes dell'aer), come espressioni del linguaggio naturale di Dio che ‛ manifesta ' il proprio messaggio attraverso le cause seconde (la natura inferior o mondo sublunare): cum ad tantas alterationes moveatur aer imperio naturae inferioris, quae ministra et factura Dei est, ut tonitrua personet, ignem fulgoret, aquam gemat, spargat nivem, grandines lancinet (cfr. per questo Agostino Gen. ad litt. III X 20).
Su questa base è possibile considerare il t.: come effetto della luce divina, se posto in diretta sequenza con una folgore di origine celeste; come espressione minacciosa o gaudiosa della " vox Domini " (cfr. Ps. 28, 3), se connesso alla sua qualità sonora; come manifestazione della presenza cosmica dello " spiritus Dei ", ove si verifichi in concorrenza con altri eventi meteorici, in particolare nelle cavità terrene e infernali.
Nella ‛ canzone montanina ' (Rime CXVI Amor, da che convien) D. sottopose la struttura del fenomeno fisico folgore-t. a una sollecitazione poetica tra le più severe e complesse. Folgore e t., infatti, costituiscono il nucleo generatore del componimento e l'occasione per una serie di sviluppi e variazioni tematiche. Questa centralità era, peraltro, chiaramente enunciata nell'Ep IV indirizzata, assieme alla canzone, a Moroello Malaspina: cum primum pedes iuxta Sarni fluenta... defigerem, subito heu! mulier, ceu fulgur descendens, apparuit, nescio quomodo... O quam in eius apparitione obstupui! Sed stupor subsequentis tonitrui terrore cessavit. Nam sicut diurnis coruscationibus illico succedunt tonitrua, sic inspecta flamma pulcritudinis huius Amor terribilis et imperiosus me tenuit... (§§ 2-3).
Non c'è dubbio che qui D. pone a tema della canzone la sequenza naturale coruscatio/fulgur-tonitruum (reduplicata in quella figurata, e omologa, di mulier/flamma pulcritudinis-Amor terribilis) indicandone nello stupor l'effetto dell'apparitio e nel terror quello dell' " ictus " o " percussio ". Se quella descritta ha tutti i caratteri di una " fulguratio " accompagnata dall'immediato succedersi di " fulminatio " e " tonitruum " (cfr. Seneca Nat. quaest. II XII 1 " Tria sunt quae accidunt, fulgurationes, fulmina, tonitrua, quae una facta serius audiuntur. Fulguratio ostendit ignem, fulminatio emittit. Illa, ut ita dicam, comminatio est et conatio sine ictu, ista iaculatio cum ictu "), il tono intenzionalmente oracolare (ad conspectum Magnificentiae vestrae praesentis oraculi seriem placuit destinare, Ep IV 1) ne eleva il significato a quello di un signum della volontà divina.
Nella canzone il t. compare una sola volta (Rime CXVI 57), ma nel pieno dell'azione poetica (4ª stanza) e con effetti che si ripercuotono lungo tutto il suo arco. Il culmine dell'evento è collocato nella 3ª e 4ª stanza, tutto giocato sulla contaminazione stilnovistica spiritelli d'amore emanati dagli occhi della donna-dardo di Cupido-folgore e tuono. Preluso dal tema della neve dissolta e assimilata dal sole (vv. 36-37; è il tema freddo-luce, caldo-umido delle petrose), lo spirito visivo della donna scocca uno sguardo (vv. 44-45) che come dardo d'Amore ferisce e annichila la mente di D. con effetto di fulmine (vv. 46-48). Il prodigio, i " mira fulminis... opera " dotati di " divina... ac subtilis potentia " (Seneca Nat. quaest. II XXXI 1) sono velati dall'ignoranza ed oblio della mente rapita e disfatta (vv. 49-51), cioè dallo stupor di fronte al numinoso (cfr. If III 133-136) e descritti solo dagli effetti: la " iaculatio " o " percussio " (ferita, disfece, percosso, vv. 52-53) e il " terror " (triemi tutto di paura, faccia scolorita, vv. 55-56). Questi signa stanno a testimoniare qual fu quel trono che mi giunse adosso (v. 57).
Che qui trono significhi nient'altro che " fulmine " è opinione cara alla maggioranza dei commentatori, ma tutta da provare se confrontata col limpido dettato dell'Ep IV e con le dottrine del tempo. Tale identificazione si traduce in un irrimediabile impoverimento della funzione strutturale e del valore connotativo del termine. Il medievale, nel t., avvertiva non soltanto il ‛ boato ' ma - con estensione del campo percettivo - anche la sua genesi naturale, cioè la ‛ lotta ' fuoco-acqua, caldo-umido, culminante nella " ignitio " o " inflammatio " del " vapor " secco e caldo " coacervatus " nella nube, e nella conseguente " eruptio " (cfr. Cecco d'Ascoli L'Acerba I VIII 547-549 " Il tuono altro non è che fiamma spinta / entro li corpi de le nubi frede, / u' l'una qualità da l'altra è vinta ", ediz. Crespi, Ascoli Piceno 1927; Seneca Nat. quaest. II XII, e cfr. Arist. Meteor. II 9, 369a 30-35). T. e fulmine sono, infatti, espressione di una ‛ guerra ' tra vapor acqueo " ch'è moltiplicato d'attorno a questo igneo... combatte con esso e costrignelo insieme per forza, sì che questo non può patire in quello luogo " e il vapor igneo che " rompe lo vapore acqueo dal lato più debole, e corre entro per esso; e infiammandosi e facendo foco e fuggendo, va facendo romore entro per lo vapor acqueo, come lo ferro infiammato che va facendo romore entro per l'acqua, ed allora udimo quello romore, lo qual noi chiamamo tuono, e vedemo la fiamma, la quale noi chiamiamo baleno " (Ristoro d'Arezzo Composiz. del mondo, ediz. Narducci, p. 122; da notare che in If XXIV 145-150 lo scoppiare del fulmine e del t. è visto come culmine della tempesta e della lotta antagonistica tra i vapori ignei e ‛ secchi ' - dimagra, v. 143, vapor di Val di Magra, v. 145 - seguaci di Marte, e i vapori umidi dei nuvoli e della nebbia da cui sono involuti, v. anche VAPORE e le guerre de' vapori di Rime CXI 6-8).
Solo attraverso questa tensione tra forze elementari che, polarizzate attorno alle qualità del caldo e del freddo, della fiamma che ‛ disserra ' e del gelo che ‛ serra ', sono infine liberate e risolte nel t., avvertiamo la portata del termine e delle intenzioni di D. nell'usarlo: la fiamma, o coruscatio o fulgur, sorta dal dolce riso della donna, è penetrata, come " fiamma spinta / entro li corpi de le nubi frede " (Cecco d'Asc., cit.), nello spirto di D. colpendolo e atterrandolo con una tonante deflagrazione (che se con dolce riso è stato mosso [il t.], / lunga fiata poi rimane [la faccia] oscura, / perché lo spirto non si rassicura, Rime CXVI 58-60 e 53). Con il t. l'Amor terribilis et imperiosus si è impossessato di D. lasciandolo attonito (" talia eduntur tonitrua, cum conglobata nubes dissolvitur et... spiritus emittit. Hic proprie fragor dicitur subitus et vehemens. Quo edito concidunt homines et exanimantur; quidam vero vivi stupent et in totum sibi excidunt, quos vocamus attonitos, quorum mentem sonus ille caelestis loco pepulit ", Seneca Nat. quaest. II XXVII 3).
Di qui comprendiamo la funzione di protasi della 2a stanza. Rinchiusa nella camera dell'immaginazione, l'anima di D. " invasata " (folle) e " satura " (ben piena) di gran disio per la donna, ma presaga della forza dissolvitrice del foco ond'ella incende (vv. 19-25), ci appare come " conglobata nubes " entro cui vortica, ormai incontenibile, l'" inclusus aer " dell'angoscia amorosa (tempesta in me si gira, v. 27), che si vonverte in muggiti (lamenti) e pioggia (lagrime): L'angoscia, che non cape dentro, spira / fuor de la bocca sì ch'ella s'intende, / e anche a li occhi lor merito rende (vv. 28-30; " Cum spiritum intra se clausere nubes, in concavis partibus earum volutatus aer similem agit mugitibus sonum, raucum et aequalem et continuum, utique ubi etiam umida regio est et exitum claudit; ideo eiusmodi tonitrua venturi praenuntia imbris sunt ", Seneca Nat. quaest. II XXIV 2; da notare la vicinanza di questa terzina con quelle di Pg XXX 97-99 e Pd XXIII 40-45, ov'è descritto, con intenzione rovesciata, il foco di nube che disserra la mente: v. oltre). Ma tutto ciò era già anticipato nella 1a stanza, col tema del " cupio dissolvi " (Tu vo' ch'io muoia, e io ne son contento, v. 7), della costrizione d'angoscia non più contenibile (convien pur ch'io mi doglia, v. 1), della necessità di ‛ sciogliere ' in suono e pianto la ‛ nube ' di dolore (perché la gente m'oda, pianger come voglia, duol che si snoda, vv. 1, 4 e 5) che, sotto la " iaculatio " d'amore (colto, tormento, vv. 10 e 11), può disserrarsi in effetti smaganti (ché, se intendesse ciò che dentro ascolto [il " murmur " interiore], / pietà faria men bello il suo bel volto, vv. 14-15). Tema, questo del disserrare, echeggiato con formula opposta nel congedo (fuor di sé mi serra, se dentro v'entri, una catena il serra, e cfr. ancora le opposizioni agonistiche pietate/guerra, crudeltate/libertate, vv. 78-84) mentre, in dittico con la nube della 2ª stanza, nella 5ª era esaltato l'effetto del folgore d'amore (fiero lume, sfolgorando fa via a la morte, colpo di tuo strale, vv. 65-66, 72) in contrasto con la donna armata e catafratta (schermo, armato cor, vv. 73, 75). Ma questa donna bella e ria (v. 20), affascinante e guerriera (La nimica figura, che rimane / vittoriosa e fera / e signoreggia la vertù che vole, / vaga di se medesma andar mi fane / colà dov'ella è vera, vv. 31-35) è singolarmente vicina all'Atena-Pallade-Minerva della tradizione classica, che maneggia e vibra la folgore di Giove (cfr. Servio Comm. in Verg. Aen. I 42-53, XI 259; Lattanzio Ad Stat. Theb. I 258) e, soprattutto, alla sua riformulazione cristiana della Sapienza " virgo armata " che " nullo vitio stultitiae corrumpitur " e che riflette il candore e la luce di Dio (cfr. la " Virgo armata, decens, rerum sapientia, Pallas " di Marziano Capella De Nuptiis VI § 567, e ancora I §§ 6 e 39, IX § 310, e Remigio d'Auxerre Comm. In Mart. Capellam, ediz. C. E. Lutz, I, pp. 75 e 110, II pp. 118-125, 174).
In tal senso è significativa la variante che D. sembra apportare alla spiegazione naturalistica del t. - in questo luogo e in altri che esamineremo - ponendo all'origine di esso, con funzione privilegiata, la folgore che discende dalle regioni celesti e cade sulla nube, dirompendola come ferro rovente immerso in acqua (l'ipotesi è contemplata da Aristot. Meteor. II 9, 369b 14-25, Seneca Nat. quaest. II XII 3, XIV 1 e XVII, Plinio Nat. hist. II XLIII 112 ss., e cfr. Alb. Magno Meteor. III III 2). A tale folgore, infatti, si annetteva un significato profetico e teofanico (" posse in has [nubes] et ignes superne stellarum decidere, quales sereno saepe cernimus, quorum ictu concuti aera verum est, quando ut tela vibrata stridunt, cum vero in nube perveniunt, vaporem dissonum gigni, ut candente ferro in aquam demerso... si in nube luctetur flatus aut vapor, tonitrua edi, si erumpat ardens, fulmina... Illa vero fatidica [fulmina] ex alto statisque de causis et ex suis venire sideribus ", Plinio loc. cit., e anche II XXXVIII 102 ss., XLV 116, LIII 128).
Analogo movimento troviamo in Cv III Amor che ne la mente 66, dove la Filosofia-Sapienza, ricolma di salute (v. 31) e virtù divina (v. 37), ne riflette la luce celeste sulla mente dell'uomo: Sua bieltà piove fiammelle di foco, / animate d'un spirito gentile / ch'è creatore d'ogni pensier bono; / e rompon come trono / li 'nnati vizii che fanno altrui vile. Ancora una volta dalla donna discendono fiammelle di foco che, come folgori alimentate dal " ventus ignitus " dello spirito (ma qui è presente anche la nozione storica degli ignicula o semina virtutum come particelle del logos-fuoco universale: v. SEME) irrompono nella umana natura abbattendo con effetto di t. i vizi della sua mala complessione. Anche qui il significato di trono è nel senso sopra ricordato, ove si badi che le fiammelle di foca piovono, per D., sugli ‛ umori ' mal temperati e che, nel caso della complessione collerica (Cv III VIII 17), ne consegue " magna pronitas ad iram, propter caliditatem et siccitatem humorum facile inflammabilium " (Tommaso Comm. Eth. VII lect. VI; Remigio d'Auxerre [cit., p. 118] parla della Pallade cristiana come " sapientia terribilis... stultis et vulgaribus, unde et arma dicitur habere, id est virtutes, ad expugnanda vitia et stultitiam ").
Notevole, in concorrenza col t., il ricorrere (v. 57) degli occhi e del dolce riso della donna, da cui muovono cose che prefigurano i piacer di Paradiso (v. 56) e che soverchiano l'intelletto come raggio di sole un frale viso (v. 59-60). É il motivo del ‛ riso-coruscatio ', che " ostendit ignem " e anticipa il t., elevato a significati allegorici dallo stesso commento dantesco: E che è ridere se non una corruscazione de la dilettazione de l'anima, cioè uno lume apparente di fuori secondo sta dentro? (III VIII 11). D. qui accoglie la trasposizione della coruscatio naturale (ps. Aristotele De Mundo 4, 395a 22 ss. " ignitus ventus et splendens coruscatio dicitur; quae cecidit ante tonitru posterius facta... Quod enim coruscat, ignitum, violenter usque ad terram currens fulmen dicitur ") nel suo valore allegorico-amoroso di " rima micans " o " velocitas amoris " (Servio Comm. in Verg. Aen. VIII 392) e, mistico, di " illustratio cordium ", " fulgur sapientiae ", " splendor miraculi " (cfr. Girolamo In Ierem. 2, 10-12, Prospero d'Aq. In Psalm. 143, 5-7, Agostino In Psalm. 96, 8 " forma humana nubes erat, splendor miraculi coruscatio erat ", e Bernardo Silvestre Comm. super sex lib. Eneid., ediz. Reidel, p. 12). E, appunto, miracolosa cosa capace di rinnovare natura in chi la mira è, per D., ciò che si manifesta nell'aspetto e nel riso della Filosofia-Sapienza (Cv III VIII 20, e 4-18, XIV 2-7, XV 2-6, 11-13).
La medesima, stretta connessione riso-t. torna in Pd XXI 12 allorché, per l'ascesa graduale verso il sole divino, il riso di Beatrice, che lo riflette, è divenuto di tanta potenza che se non si temperasse, tanto splende / che 'l tuo [di D.] mortal podere, al suo fulgore, / sarebbe fronda che trono scoscende. Anche qui, a dispetto dell'appiattimento t. = fulmine operato dai commentatori, il termine mantiene i suoi connotati e, in particolare, quello del potere squassante dell'aer scosso dal vapor igneo del t. e capace - tra l'altro - di " scindere lignum " (Alb. Magno, in Meteor. III III 20, nel rispondere al quesito " quid est illud quod in ictu descendit ", afferma che " aliquando est vapor cum aere ictus, et aliquando solus... nulla violentia potest esse tam fortis sicut violentia vaporis et aeris: et ideo scindit cum tonitru aer, ut dicit Aristoteles ").
Infatti, nell'esemplificazione, D. ebbe indubbiamente presente quanto affermato da Aristotele in An. II 12, 424a 17 ss., e cioè che, nell'uomo, l'eccesso di sensazione distrugge gli organi di senso (come nel caso di ‛ armonie ' o ‛ toni ' dissolti da percussioni troppo violente) mentre nelle ‛ piante ', e negli altri corpi privi di organi percettivi, ciò che è ricevuto non è neppure la forma sensibile del colore, dell'odore, del suono ecc., ma solo l'effetto materiale, e mediato, di essa. E concludeva (424b 11-12): " Neque enim lumen et tenebra, neque sonus, neque odor quicquam facit in corpora; sed ea in quibus sunt, ut aer qui est cum tonitru, scindit lignum " (e Tommaso glossava: " Lignum enim patitur non a sono, per se loquendo, sed ab aere moto ", Comm. de An. II lect. XXIV). L'intenzione di D. è dunque chiara: a rimarcare la sproporzione tra riso-fulgore di Beatrice e mortal podere di D. (" Oportet enim in organis sentiendi, ad hoc quod sentiatur, esse ‛ quandam rationem ', idest proportionem... Si ergo motus sensibilis fuerit fortior quam organum natum sit pati, solvitur proportio, et corrumpitur sensus ", Tommaso loc. cit.), quest'ultimo è degradato a semplice fronda, capace non già di percepire la forma sensibile dello splendore (folgore) e del suono (t.), ma solo di subirne lo schianto materiale provocato dall'aria scossa dal t. (" plantae non sentiunt... quia non est in eis illa proportio, quae requiritur ad sentiendum... Sed accidit ei [il senso della pianta] pati cum materia, scilicet secundum materialem transmutationem ", Tommaso loc. cit.). L'accenno studiatissimo dei vv. 4-6 all'incenerimento di Semele (v.) non fa che arricchire, attraverso la moralisatio e l'inveramento della favola pagana (Giove-Giunone-Semele, Dio-Beatrice-D.), la qualità significante del fulgore e del trono ai fini delle implicazioni erotico-mistiche dell'episodio. Ma se qui, nel cielo degli spiriti contemplanti, la folgore dell'amore divino e il t. del canto celeste non erompono al cospetto dei sensi umani (vv. 62-63), ciò avviene perché su tutto si estende il potere temperante del freddo Saturno che mescola il suo gelo al caldo impetuoso del Leone ardente (v. 14; sulla qualità delle folgori provenienti da Saturno, Giove e Marte parla Plinio Nat. hist. II XVIII 82, e cfr. VI 29, 32 ss.; il motivo caldo-gelo è ancora ai vv. 113-117).
Come sviluppo di questo " preludio tematico " (Mattalia), il t. echeggia, sempre nello stesso canto, nell'accenno di Pier Damiano alle altezze e ai silenzi del suo eremo: Tra ' due liti d'Italia surgon sassi / ... tanto che ' troni assai suonan più bassi... (Pd XXI 108). Il riferimento meteorico al t. (qui nel valore già esaminato) serve a denotare la regione dei ‛ conflitti ' naturali, cioè la " zona media " dell' " aer " che " frigida est vehementer, et obscura... et ideo tempestuosa, et generantur ibi tempestates " (Alb. Magno Sent. II VI 5 ad 3, e cfr. Aristotele Meteor. I 3, 340b 32 ss.; v. anche ARIA), ma anche dei conflitti umani (il t. percepito come clangore di guerra: cfr. Plinio Nat. hist. II LVIII 148), mentre - per contrasto - allude alla " zona superior " che " luminosa est, et tranquilla, et subtilis aeris " (Alb. Magno, loc. cit.), e, figuratamente, all'elevazione dell'estasi, in totale servitù a Dio (latria, v. 111).
Un'ultima volta il t./suono esplode in chiusa di canto, allorché - giunta al culmine l'invettiva del santo eremita - le anime discendono come fiammelle (vv. 136-137) ed erompono in un grido di sì alto suono, tale da sovrastare, realmente in questo caso, la ‛ capacità percettiva ' di D. (né io lo 'ntesi) con forza pari a un t. (sì mi vinse il tuono, v. 142). A questo t., segno di vendetta divina (Pd XXII 14), seguirà oppressione e stupore (vv. 1-3).
Ancora in Pd XXIII, la sequenza riso/folgore-t. sorregge il succedersi delle figurazioni poetiche, e in connessione con la simbologia solare. Nel suo accendersi, all'avvento del trionfo solare di Cristo, il riso - " coruscatio " di Beatrice svela infatti (vv. 22-39) la sua reale funzione epifanica di ‛ specchio ' o ‛ segno ' di una luce e di un ordine soprannaturale (vv. 46-48, 70-72, e cfr. XVIII 21). Per questa via folgore e t. si divaricano: mentre infatti il ‛ folgorare ' del riso viene sollevato alle regioni celesti e ricondotto al suo principio, il Sol oriens, risolvendosi nei suoi raggi (cfr. vv. 46-48 con 70-72 e 79-84; cfr. Matt. 24, 27 " Sicut enim fulgur exit ab Oriente, et paret usque in Occidentem: ita erit et adventus Filii hominis "), al t. rimane la funzione di denotarne gli effetti discendenti sulla " caligo " che avvolge, nelle regioni inferiori, la mente dell'uomo.
In tal senso s'innesta l'immagine - vero e proprio calco della " inflammatio " prodotta dal fulmine sui " vapores " della nube - dell'azione dirompente del foco di Cristo che penetra nello spirito (mente) di D. costringendolo, come nube, a dilatarsi e ‛ disserrarsi ' erompendo ‛ fuori di sé ' (vv. 40-45). Se qui l'evento equivale allo scoppio del trono della ‛ canzone montanina ' (Rime CXVI 28-30, 44 ss., v. sopra; anche in questo caso seguono oblio e ignoranza del poeta: Pd XXIII 49-54 ss.), tutto il contesto richiama chiaramente la terminologia mistica della " dilatatio " e dello " excessus mentis " e, ancora, del " calidum " " acutum " e " superfervidum " che dissolve, una volta a contatto delle realtà divine, la " caligo " o " nubes " che avvolge la " mens " (cfr. Riccardo di S. Vittore De Judiciaria potestate cc. IX-X, Benjamin maior V 2-3, Ugo di S. Vittore Expos. in Hier. Coelestem VI 7).
Più oltre, luce folgorante e caligine di nube tornano, ma in formula variata, a indicare la verità ormai svelata: Come a raggio di sol, che puro mei / per fratta nube, già prato di fiori / vider, coverti d'ombra, li occhi miei (Pd XXIII 79-81; cfr. l'analoga figurazione presente in Apuleio De Mundo 15 " Quando illa perfracta nubecula patefecerit caelum ignescunt penetrabiles spiritus, emicatque lux clara; hoc dicitur coruscare. Et ordine quidem tonare prius oportet, postea coruscare "; v. anche Cv II XV 5).
Infine, nell'apoteosi della viva stella di Maria (Pd XXIII 88 ss.) e in concomitanza col discendere dal cielo di una facella (v. 94), il t. si manifesta come suono che erompe dal ventre di una nube e, anche qui, come termine di confronto a più basso registro (con l'effetto diafonico suona/tona), per esaltare il sublime sonar della lira angelica (Qualunque melodia più dolce suona / qua giù e più a sé l'anima tira, / parrebbe nube che squarciata tona, vv. 97-99). Da notare che questo ‛ fuoco ' canoro si volge attorno al " venter " in cui fu serrato e da cui promanò in forma umana lo ‛ spiro ' o " vapor " divino, cioè Cristo (Io sono amore angelico, che giro / l'alta letizia che spira del ventre / che fu albergo del nostro disiro..., vv. 103-105) e che l'immagine si amplia per comprendere il real manto di tutti i volumi, cioè la ‛ sfera ' del Primo Mobile nel cui seno, riscaldato e ravvivato dall'alito di Dio, si volge il mondo (vv. 112-114; cfr. ancora l'immagine del v. 123 l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma).
In Pd XXXI, a rimarcare la distanza che ormai intercorre tra il poeta e Beatrice, D. afferma che tale distanza eccede quella, già grande, che separa la " zona media " dell'aria, ove si produce il t. (v. sopra), dal punto più basso della sfera dell'acqua (nelle profondità marine): Da quella regïon che più sù tona / occhio mortale alcun tanto non dista, / qualunque in mare più giù s'abbandona (vv. 73-75). Anche qui, la scelta della region che più sù tona (cioè dove si formano le nubi) non sembra casuale. Se confrontata con l'immagine di Beatrice, seduta in trono e circonfusa di una corona di etterni rai (vv. 67-72), questa ‛ regione dell'aria ', oltre che riecheggiare il motivo folgore-nube-t. stabilmente associato al ridere di Beatrice, riporta alla figurazione della Sapienza vapore e luce di Dio, che afferma di sé: " Ego in altissimis habitavi, et thronus meus in columna nubis " (Eccli. 24,7).
I valori sonori e acustici del t. trovano, nel Purgatorio, una particolare accentuazione. È il caso di Pg XXIX 152, dove il t. emesso dal carro di Cristo (E quando il carro a me fu a rimpetto, / un tuon s'udì) per le condizioni assolute del suo manifestarsi, svincolate anche per ragioni di struttura (cfr. XXI 49-50) da ogni contesto meteorico, è posto chiaramente come simbolo del risuonare della " vox Dei " che intima l'arresto agli astanti interdetti (vv. 152-154). Da rilevare che questo t. prelude al graduale svelarsi di Beatrice in Pg XXX e XXXI. Ella comparirà in una nuvola di fiori, vestita di fiamma viva e cerchiata de le fronde di Minerva (XXX 28, 33 e 68), con atteggiamenti di donna proterva (v. 70) e nemica (XXXI 87). È un singolare rinnovarsi delle condizioni della canzone ‛ montanina ': all'apparire di lei segue, infatti, il ferimento d'amore e lo stupore di D. (stupor, tremando, affranto, XXX 36; occulta virtù che da lei mosse, v. 38; d'antico amor sentì la gran potenza, v. 39; percosse, v. 40; trafitto, v. 41; tremi, v. 47; segni de l'antica fiamma, v. 48), la perdita della conoscenza (v. 37), il gelo-angoscia-pianto (vv. 97-99, XXXI 7-9, 13-21) e il venir meno (caddi vinto, v. 89).
Assai dibattuta è inoltre l'interpretazione del primo tuono udito da D. in Pg IX 139, all'apertura della porta del Purgatorio (Io mi rivolsi attento al primo tuono, / e ‛ Te Deum laudamus ' mi parea / udire in voce mista al dolce suono), per la difficoltà d'identificarlo col dolce suono la cui provenienza, a meno di una congettura arbitraria, non può comunque essere diversa (cfr. per questo i vv. 130, 135-136 e X 4). Posti come sono in un contesto ricco di valori uditivi, t.-suono saranno da intendersi in senso diacronico, con probabile effetto di risonanza attenuata. Nel primo tuono D. compendiò la percezione delle prime sonorità, fonde e stridenti, emesse dai cardini metallici (di metallo son sonanti e forti, v. 135) e dalla porta acra ad aprirsi (cfr. anche il rugghiò del v. 136, il tutto da leggere all'interno del racconto lucaneo di Phars. III 153 ss. " Protinus abducto patuerunt templa Metello. / Tunc rupes Tarpeia sonat magnoque reclusas / testatur stridore fores ", e anche di Virgilio Aen. VI 573-574) per risolverle poi, in scansione temporale, nell'armonico " concentus " risultante dal timbro delle voci umane e delle canne d'organo (vv. 142-145; v. anche ORGANO).
Questo effetto incrociato di diaphonia-synphonia ben corrisponde, in chiave simbolica, al graduale venir meno della resistenza della porta di fronte a un atto di metánoia che, attraverso la legittima violenza a Dio (Pd XX 94-99), segna il passaggio dalla disarmonia e il disordine del peccato all'armonia del retto volere. L'accezione di t., infatti, è qui al limite tra quella del " tonus " musicale (" Tonus a tonando vocatur, est autem tonare potenter sonare... " Giov. Cotton Musica VIII) e quella del fenomeno atmosferico che connota violenza. Notevole, al riguardo, il ricorrere di termini quali diserri, digroppa, serrata, s'alteri (Pg IX 125, 126, 128 e 129, tutti posti in rima e usati altra volta in connessione col deflagrare della nube) e, inoltre, il balenare di luci che precede l'apertura della porta (vv. 83-84) e il ‛ rompere ' del sonno di D. per effetto del terribil... folgor sceso dal cielo (vv. 28-35; puntuale il verificarsi dello stupore ai vv. 40-42).
In Pg XIV 134 e 138, con prevalente funzione comminatoria (da cui lo stupore dei vv. 140-141) gli esempi d'invidia - diversamente da quelli di carità (XIII 25-27 ss.) - sono rappresentati secondo il succedersi del balenare della folgore e dello scoppiare del t.: folgore parve quando l'aere fende, / voce che giunse di contra dicendo: / ‛ Anciderammi qualunque m'apprende '; / e fuggì come tuon che si dilegua, / se sùbito la nuvola scoscende. / Come da lei l'udir nostro ebbe triegua, / ed ecco l'altra con sì gran fracasso, / che somigliò tonar che tosto segua... Mentre alla folgore è affidata, per sinestesia, l'improvvisa e balenante percezione del suono, il t. ne qualifica l'intensità e la durata. Il " flatus vocis " che investe (giunse di contra) i pellegrini è materializzato nel " ventus " agitato " in ventre nubis " e che, nel caso in cui (se) scoscende di colpo la nuvola (" scindere nubem " era locuzione tecnica) fuoriesce in una volta con un boato intenso e breve (è uno dei sette casi contemplati, ad es., da Alb. Magno in Meteor. III III 4 e corrisponde al " sonum maximum uno impetu venientem " che si produce " quando cum impetu totus vapor vel maxima eius pars exilit subito erumpens: et rumpens nubem, exibit in aerem, et percutit ipsum percussione bona fortissima ").
Analogo è l'immediato succedersi (tosto segua) del secondo t. del v. 138, dove il balenare della folgore è surrogato, con effetto iterativo, da ed ecco, mentre la perifrasi dotta dei vv. 131-132 è semplicemente ridotta alla sua sgradevole risultante sonora: gran fracasso (cfr. il " fragor... subitus et vehemens " di Seneca Nat. quaest. II XXVII 3 e If IX 65).
Le occorrenze di t. nell'Inferno sono, viceversa, inserite in contesti meteorologici di grande rilievo. È il caso del risuonare del t. in If IV 2, a conclusione del passaggio dell'Acheronte.
Tutta l'azione, iniziata in III 130, è in termini di meteorologia medievale, il manifestarsi progressivo e impetuoso di una stessa " exhalatio " o " ventus ", dapprima sottoterra come " terrae motus " (vv. 130-131) poi, fuoriuscito, come vento e, ancora, incendiatosi, come " coruscatio " vermiglia (vv. 134-135), dove il che attiene, in stretta funzione relativa, al vento, in quanto " exhalatio " calda e secca (il vento divampa in " coruscatio " vermiglia proprio per la presenza dell'umido della terra lagrimosa: " [coruscatio] glutinosa subrubiconda... est sicut igniti carbones lucidi ex vapore denso bene commixto, et glutinosam habet humiditatem; et hoc est vapor vehementis adustionis... et erumpit cum rumore magni soni ", Alb. Magno Meteor. III III 18). Dopo l'abbagliante fulgore, ma prima che la sequenza meteorica si concluda, interviene - a cesura - lo stupore e il mancamento di D. (III 135-136) e la chiusa del canto. Nella pausa successiva, in condizioni di profondo silenzio e oblio, avviene il passaggio dell'Acheronte.
Solo in apertura del IV canto, il processo culmina naturalmente nello scoppio del t. che ‛ rompe ' come nube il sonno che offusca la mente di D.: Ruppemi l'alto sonno ne la testa / un greve truono, sì ch'io mi riscossi / come persona ch'è per forza desta (vv. 1-3). L'unità strutturale del fenomeno naturale scelto da D. e rigorosamente seguito, garantisce del saldo legame che intercorre tra il t. del v. 2 e gli eventi che lo precedono, e impedisce d'identificarlo col secondo t. descritto al v. 9 (la questione, dibattutissima, è ora ridiscussa con fondate conclusioni da F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 446-455, e in " Studi d. " XLIII [1965] 43-53).
Né vale l'obiezione, un po' fiscale, del tempo che dovrebbe intercorrere tra il baleno di If III 134 e il t. di IV 2. Se per tutti i trattatisti medievali era un luogo comune rilevare il verificarsi simultaneo ma la percezione successiva di folgore e t., va soprattutto notato che l'evento a cui D. soccombe ha i segni, evidenti, del numinoso il cui manifestarsi implica una rottura della durata percettiva (sistematicamente accompagnata, in D., dal venir meno di ragione e memoria) e un conseguente trapasso nell'atemporale, e che - a dare il senso della sospensione della percezione e del tempo strutturato - D. usa volutamente la pausa, vuota e liberamente fruibile, tra i due canti. Del resto, proprio questo trapasso eleva l'episodio dal piano del naturale a quello di una teofania apocalittica (cfr. Apoc. 4,5; 6,1, 8,5; 10,3 ss.; 11,19; 14,2; 16,18; 19,6, e Ioann. 3,8; 12,19). In tal modo " coruscatio " e " tonitruum " divengono espressioni reciproche e inscindibili di onnipotenza sovraumana, mentre la " exhalatio " o " spiritus " che le anima si traducono nei valori allegorici dello " pneuma " divino che, sospeso sopra la valle d'abisso dolorosa (If IV 8), si rende visibile e udibile (cfr. il commento a Ps. 76,20 " Vox tonitrui tui in rota; apparuerunt coruscationes tuae orbi terrarum " di Agostino [Enarrat. in Psalm. LXXVI 20]: " Nubes illae in rota circumierunt tonando et coruscando, abyssum commoverunt, praeceptis tonuerunt, miraculis coruscaverunt ", e Rabano Mauro De Universo IX 19 " Fulgura autem sive coruscationes mystice divinos in Scripturis exprimunt terrores, qui in miraculo coruscantibus fiunt, vel comminationes quae scriptae sunt in lege divina... Coruscationes divina praecepta dicunt veritatis lumine radiantia, quae tenebras hominum per totum mundum salutari illuminatione fugaverunt... ").
Di qui l'impossibilità d'identificare i due t. di If IV 2 e 9, il primo inscritto in un'esperienza che travalica i sensi e la ragione, il secondo (Vero è che 'n su la proda mi trovai / de la valle d'abisso dolorosa / che 'ntrono accoglie d'infiniti guai, If IV 9) intenzionalmente ricondotto entro la sfera della percezione motivata. E il forte stacco dichiarativo Vero è che ha appunto la funzione d'invertire il trapasso (questa volta dal prodigioso al naturale) rideterminando gli eventi sul piano del verisimile e del tempo strutturato, entro cui lo 'ntrono dei dannati - coacervato nelle cavità non disserrabili dell'abisso - costituisce un " responsorium " all'improvvisa e dirompente intimazione divina, nel senso di una prolungata (infiniti) e drammatica (guai) presa d'atto (e forse di ciò è una traccia nella variante truono-'ntrono su di cui v. Petrocchi, ad l., e cfr. INTRONO).
In If XXXI, in un contesto ambientale singolarmente appropriato che richiama da vicino la caligine di nube (nebbia, vapor che l'aere stipa, aura grossa e scura, vv. 34-37), D. ode sonare un alto corno, / tanto ch'avrebbe ogne tuon fatto fioco (v. 13). Si tratta del corno di Nembrot, nel cui suono ‛ erompono ' (cfr. disfoga, v. 71) come t. i fumi dell'ira e di altra passion, e nel cui degradato linguaggio è punito l'ideatore della torre di Babele.
A questa espressione vocale ridotta a muggito di t. (l'ira mal repressa per la vendetta divina) risponde al v. 45, come minaccia incombente, il ‛ tuonare ' di Giove (torreggiavan di mezza la persona / li orribili giganti, cui minaccia / Giove dal cielo ancora quando tuona). Qui la giustapposizione Nembrot-giganti (v.) attrae l'atto di ribellione al dio pagano sotto la giurisdizione del dio biblico, mentre il ‛ tonare ' si configura come l'eco prolungata e legittimata entro il tempo cristiano, di un evento - la " fulminatio " divina di Giove - prodottosi nel tempo mitologico (per Giove tonante e i suoi significati cfr. Alb. Magno Meteor. III III 1, 19 e 22). Da notare, infine, che mentre Nembrot è associato al t., Fialte lo è al terremoto (vv. 106-108), e che il tema, latente in tutto il canto, della nube che incombe sul gigante-torre è chiaramente visualizzato nel paragone dei vv. 136-138.
Ancora, in Rime dubbie XI, il viso di madonna, spaura, soverchia e vince (paura, soverchia mia natura, mia vertù ruina, vv. 3, 6 e 8) il poeta, combattendolo mortalmente (vv. 9-10) con piogge di troni (v. 11), dove t. indica, insieme, l'erompere del vapor igneo e il fuoco (fulmine) che saetta entro di esso.