STOCCARDA, Tumulo di Hirschlanden
Nel tardo autunno del 1962 e nella primavera del 1963 fu scavato a cura dell'Ufficio per la tutela del patrimonio artistico di Stoccarda (Stuttgart) un tumulo, situato a 2,2 km a O-S-O da Hirschlanden (Kreis Leonberg, Württenberg), una località a N-O di S., perché minacciato da una nuova sistemazione catastale della zona. La scoperta si rivelò notevolissima per l'arte del periodo di Hallstatt nella Germania meridionale.
Il tumulo era circondato da un recinto circolare, di pietre, di 15 m di diametro, la cui metà occidentale era già stata seriamente danneggiata dalle arature. La parte integra ad oriente presentava una serie di pietre infisse perpendicolarmente nel terreno ad una distanza di circa un metro una dall'altra, i cui spazî intermedî erano riempiti con muri a secco. Nella prima giornata di scavo, ai margini settentrionali del tumulo, ai piedi del recinto di pietre, venne alla luce una statua maschile di pietra. Questa, che doveva originariamente trovarsi in cima al tumulo, si era spezzata nel suo punto più debole, l'attacco dei piedi, ed era rotolata in basso subendo una ulteriore frattura all'altezza del ginocchio. Non fu possibile rinvenire i piedi, probabilmente fissi ad una lastra. La figura che da integra doveva misurare m 1,70, è alta allo stato attuale m 1,50. È di arenaria grigiastra, una roccia a grana grossa del Triassico, che proviene da una località ad occidente di S. Le pietre del recinto sono invece di un calcare conchiglifero che si trova nei pressi del luogo del rinvenimento. La statua raffigura un uomo ignudo, itifallico, con un copricapo di forma conica, un grosso cerchio chiuso attorno al collo ed una cintura da cui pende un pugnale. Le spalle formano un angolo, gli esili omeri incorniciano la parte superiore del corpo e risaltano plasticamente ai lati della figura. Gli avambracci aderiscono al corpo, piegati in modo che il gomito sinistro poggi sul pollice teso della mano destra. Sul davanti la parte superiore del corpo è piatta e di un singolare primitivismo rispetto al dorso ed alle gambe, eseguite con notevole vigoria plastica. La strettezza della vita accentua maggiormente la sporgenza delle anche e la robustezza delle gambe dai polpacci muscolosi. Le nervature degli stinchi formano uno spigolo acuto; sul dorso sono plasticamente messe in risalto le scapole triangolari. La sporgenza semicircolare sul collo, sotto il copricapo, presenta una rientranza a forma di angolo acuto, là dove probabilmente attaccava una specie di lingua del copricapo stesso e che serviva a proteggere la nuca.
Guardando il volto di sommaria esecuzione, con il naso piatto, la sottile fessura della bocca e le cavità degli occhi assai ravvicinate, si ha l'impressione che sia schiacciato verso il basso e che si tratti di una maschera.
Quanto al copricapo a forma di cono, è sicuramente un elmo di bronzo, del tipo più volte rinvenuto nelle regioni alpine meridionali e sud-orientali (per esempio Oppeano) o del tipo raffigurato sulle situle (v. situla). Il collare è invece certamente quel cerchio d'oro (già considerato un diadema) che compare frequentemente nelle ricche tombe dell'ultima fase di Hallstatt ("tombe principesche"). Il tipo della cintura, una fascia con bordure, è testimoniata in una delle tombe secondarie (n. 11) del tumulo: consta di due sottili anelli sovrapposti e di forma rotondeggiante, l'uno, di ferro, l'altro di bronzo. Il pugnale appeso alla cintura, con l'impugnatura a ferro di cavallo e la ghiera del fodero semicircolare, è del tipo usuale nell'ultimo periodo di Hallstatt (v.).
La rozza parte frontale del torso contrasta nettamente con il dorso e con le gambe della statua, di forme arcaiche e vigorosamente plastiche, inconcepibili senza postulare influenze della coeva scultura monumentale greca, influenze peraltro pienamente giustificate nel VI sec. a. C dalla presenza di colonie greche lungo le coste mediterranee. Grazie agli intensi scambi commerciali le regioni alpine settentrionali raccolgono gli echi della plastica greca che giungono non solo da Marsilia attraverso la valle del Rodano, ma anche dall'Italia settentrionale e dall'arco alpino sud-orientale attraverso i valichi montani. Anche la maschera e l'elmo indicano il medesimo àmbito: l'autore della nostra statua ha tratto di qui le sue cognizioni ed avrà forse appreso la tecnica della lavorazione della pietra addirittura in una bottega di queste regioni. Le parti della statua eseguite in stile barbarico si rifanno all'antica tradizione indigena, cui sono già noti l'usanza di collocare le stele sui tumuli e le raffigurazioni falliche antropomorfe. La nostra statua appartiene dunque a un gruppo di sculture monumentali all'incirca coeve quali Nesazio, Capestrano (v.), ecc.
Il tumulo ricopriva 16 tombe. Attorno alla tomba centrale (to. 1) sono disposte in un primo cerchio più interno le tombe 2-7, ed in un secondo cerchio più esterno le tombe 8-11, tutte con il lato lungo rivolto alla tomba principale. All'interno del tumulo, ad un livello superiore, si trova, nuovamente al centro, un'altra grande tomba (to. 13) che ricopre in parte quella sottostante. La disposizione delle tombe ad anello attorno ad una tomba centrale è insolita nell'ambito alpino nord-occidentale della Civiltà di Hallstatt; di solito le tombe secondarie sono disposte nel tumulo senza relazione alcuna con la tomba principale. Nelle tombe sono stati rinvenuti scheletri in semplici casse di legno in parte ricoperte da pietre. Le suppellettili delle tombe, fibule, anelli, pendenti, borchie di cintura, perle di vetro, d'ambra e gaietto, si collocano lungo un arco che va dall'inizio (H D 1) alle ultime fasi (H D 3) del tardo periodo di Hallstatt. La statua rappresenta un guerriero, con riferimento ad una delle due tombe la cui maggiore importanza è sottolineata dalla disposizione ad anello delle restanti tombe. Più precisamente la tomba del guerriero sarà la n. 13 poiché è l'unica la cui cronologia si accordi con quella del collare del personaggio quando questo venga identificato con il cerchio d'oro.
Bibl.: H. Zürn, Eine hallstattzeitliche Stele von Hirschlanden, in Germania, XLII, 1964, p. 27 ss.