TORCHIANI, Tullio
TORCHIANI, Tullio. – Nacque a Villanova Monteleone, in provincia di Sassari, il 29 agosto 1901, da Rodolfo, dapprima auditore presso il Tribunale di Sassari (1897) e quindi pretore del mandamento di Villanova Monteleone (1903), e da Agostina Canneto.
Si laureò in giurisprudenza presso l’Università di Sassari il 3 luglio 1923. Nel dicembre del 1924 fu assunto al Banco di Roma come impiegato, divenendone procuratore nel gennaio del 1928, vicedirettore di sede nel giugno del 1931 e, nel marzo del 1932, vicedirettore addetto alla direzione centrale con la funzione di capo della segreteria finanziaria, posizione che mantenne sino al 1° aprile 1934, quando venne assunto dall’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) con la carica di vicedirettore.
La serrata promozione sino ai ranghi dirigenziali del Banco di Roma durante la difficile crisi dei primi anni Trenta gli diede un’occasione di affermazione professionale quasi unica. In particolare, il lavoro svolto alla segreteria finanziaria proprio nei due anni cruciali dell’implosione delle banche miste, effetto della deflazione generata dalla permanenza dell’Italia nel gold exchange standard, gli permise di acquisire una buona esperienza nella gestione delle partecipazioni industriali e nella riorganizzazione delle imprese, anche se non sotto il profilo strettamente tecnico. L’acquisizione di competenze tecnico-finanziarie, relativamente scarse tra i dirigenti bancari dell’epoca, dovette favorirne la selezione tra i pochi, ma molto motivati manager dell’IRI creato da Alberto Beneduce per salvare e risanare banche e imprese. All’IRI Torchiani divenne responsabile di un vasto insieme di partecipazioni industriali che comprendeva i settori elettrico e telefonico, siderurgico, bancario e finanziario, immobiliare e agricolo, nonché quello della gomma sintetica. Tra il 1934 e il 1940 accumulò incarichi nei consigli di amministrazione – come vicepresidente, consigliere o sindaco – di più di venti società del gruppo IRI, tra le quali la Monte Amiata (vicepresidente), l’Ilva, la Società italiana acciaierie di Cornigliano (SIAC), la Finsider (membro del comitato esecutivo e del comitato di direzione), la Società torinese per l’esercizio telefonico (STET), la Società esercizi telefonici (SET), la Società meridionale di elettricità (SME, dal 1947), le Bonifiche sarde, la Maccarese e il Credito fondiario sardo.
Negli stessi anni dell’avvio della carriera al Banco di Roma si sposò con Laura Mauro, dalla cui unione nacquero tre figli: Silvio, nato a Milano nel 1927 e attivo come regista negli anni Cinquanta e Sessanta, Rodolfo e Paolo Emilio, nati a Roma, rispettivamente, nel 1932 e nel 1938. Torchiani fu insignito, prima del dicembre del 1944, delle onorificenze di commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia e di cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
L’adesione di Torchiani al fascismo fu probabilmente più convinta di quanto non sia noto di molti dirigenti dell’IRI, come si potrebbe desumere da un’intervista del 1940 rilasciata a un giornale austriaco, il Wiener Neueste Nachrichten, in occasione di un viaggio in Austria e Germania di dirigenti e tecnici del gruppo. Pur considerate le circostanze, un viaggio che aveva la finalità di enfatizzare l’importanza dell’IRI e promuoverne il ruolo nella formazione di tecnici e nello scambio di tecnologie con l’alleato tedesco, la sua presentazione delle finalità dell’ente creato da Beneduce appare ideologicamente sovraccarica. Nell’immediato dopoguerra rimase all’IRI e non appare toccato dai procedimenti di epurazione. Tuttavia, la riduzione del numero degli incarichi nelle società del gruppo (da ventitré nel 1936 a cinque nel 1952) è forse un segno che la sua carriera nei ranghi direttivi dell’ente dovette subire una specie di congelamento, mentre i rapporti con i colleghi degli anni Trenta, come quelli con il più giovane Enrico Cuccia, passato allora alla guida di Mediobanca, mantennero un tono di educata cordialità.
La parabola professionale di Torchiani riprese però decisamente quota dal 1954, quando, a giugno, fu nominato consigliere e direttore generale della Bastogi (la Società italiana per le strade ferrate meridionali), la grande finanziaria e società di reinvestimenti che Beneduce aveva presieduto dall’ottobre del 1926 sino alla scomparsa nel 1944. Con la presidenza Beneduce, dopo il 1935, la Bastogi si configurò come una società pubblico-privata, in cui la quota azionaria dell’IRI era bilanciata dalle quote di capitale detenute dai maggiori gruppi industriali e finanziari italiani come FIAT, Pirelli, Edison, SADE, Banca unione, Assicurazioni generali e RAS. La scomparsa del direttore generale Carlo Alberto Miranda (1953), che aveva orientato la Bastogi sempre più verso un ruolo di holding di maggioranza con interessi diretti nella gestione di imprese, offrì a Torchiani l’opportunità di acquisire una posizione di rilievo nel capitalismo italiano, nonostante si andasse stemperando il carattere misto, pubblico e privato, della società. L’arrivo di Torchiani, infatti, seguì l’ingresso, nel 1953, della Italcementi dei Pesenti nel capitale della finanziaria, con l’acquisizione della quota di maggioranza relativa (12,14%) e il conseguente ridimensionamento della quota dell’IRI (10,32%) sul totale delle azioni conferite al sindacato di blocco. Torchiani assunse gradualmente l’effettiva direzione della Bastogi e, con l’ingresso nel capitale di Mediobanca, nel 1955, la società iniziò a partecipare ai sindacati di collocamento promossi e diretti dallo stesso istituto di credito, di cui peraltro assunse una quota azionaria. Negli anni successivi la Bastogi di Torchiani conobbe una fase di recupero di redditività, riequilibrio patrimoniale e rafforzamento della propria presenza nel comparto elettrico, malgrado una parziale diversificazione settoriale (De Angeli Frua e Alitalia). A conferma della rilevanza della posizione, nel 1960 figurò nei consigli di amministrazione di ventitré grandi imprese, tra partecipazioni statali e settore privato, quindi nuovamente inserito nel cuore dei meccanismi di controllo dei grandi gruppi privati e pubblici del Paese. Di molte società assunse la direzione come amministratore delegato (nel 1960, oltre che della Bastogi, di Alitalia, Compagnia generale di costruzioni - Cogeco, Compagnia meridionale del gas, Condotte d’acqua).
La nazionalizzazione dell’industria elettrica decisa nel 1962 colse la Bastogi di fatto impreparata. Nonostante l’acquisizione di impianti e reti da parte dello Stato fosse da diversi anni un’opzione di politica economica ampiamente prevedibile, Torchiani non aveva definito strategie alternative di impiego dei capitali della società al di fuori del settore elettrico in cui massicciamente si era investito. La diversificazione settoriale delineata negli anni Cinquanta non era stata perseguita con sufficiente vigore e continuità, l’estensione delle funzioni aziendali verso l’area della consulenza finanziaria alle imprese controllate era stata frenata dalla tendenza a concentrare la Bastogi nella partecipazione ai sindacati di blocco e controllo a tutela della stabilità azionaria dei grandi gruppi, essenzialmente a sostegno di tre gruppi industriali: la Montecatini, la Edison e l’Italcementi. La progressiva polarizzazione dei pacchetti azionari di maggioranza relativa della Bastogi nelle mani di due gruppi – la Montedison e l’Italcementi – e l’uscita dell’IRI dal capitale mutarono in profondità la natura della società quale strumento di compensazione tra partecipazioni statali e imprese private per come era stato definito da Beneduce negli anni Trenta, con una conseguente perdita di rilevanza, particolarmente acuta dalla nazionalizzazione dell’industria elettrica in poi.
Sebbene la Bastogi disponesse di quote azionarie rilevanti sia nella Montecatini sia nella Edison, Torchiani non fu in grado di esercitare un ruolo significativo nell’operazione di fusione tra le due società che dette vita alla Montedison (1966). La declinante redditività e la perdita di consistenza patrimoniale suscitarono reazioni negative da parte dell’ampia platea dei piccoli e medi azionisti della Bastogi, detentori di un titolo sino allora particolarmente ricercato sia da investitori sia da piccoli risparmiatori. Nonostante le gravi mancanze nella gestione della società nel 1967 divenne anche presidente della Bastogi. Le prime critiche al suo operato vennero mosse da Cesare Merzagora, entrato in consiglio in rappresentanza delle Assicurazioni generali, il quale, il 23 ottobre 1968 gli rimproverò una condotta sostanzialmente passiva in un momento di mutamenti negli equilibri tra pubblico e privato, anche nella struttura proprietaria della società, prodotti dalla scalata dell’ENI di Eugenio Cefis alla Montedison allora in corso (secondo Merzagora le grandi finanziarie come la Bastogi non dovevano limitarsi a «covare le uova di marmo» rappresentate dalle proprie partecipazioni). Nell’aprile del 1969 Merzagora redasse un lungo memorandum in cui criticava l’immobilismo di Torchiani in tema di strategie, la grave sottocapitalizzazione, il «piede regionale» (le partecipazioni in società sarde), la subordinazione della società ai maggiori azionisti di riferimento, in particolare alla Montedison. Se a Torchiani si potevano riconoscere «scrupolo amministrativo» e «opera appassionata», l’assenza di strategie proprie depauperava tuttavia la Bastogi redditualmente e funzionalmente, costringendola in un «giardinetto» costituito dalla mera «coltivazione» dei pacchetti azionari a fini di sindacato (Sesto San Giovanni, Fondazione ISEC, Archivio storico Bastogi, cart. 147, f. 89). La lunga replica di Torchiani, con una relazione di ventiquattro pagine, non poteva però convincere Merzagora e gli osservatori più critici (ibid.). Dei progetti di fusione della Bastogi con la SADE e l’Italpi, definiti da Cuccia e discussi con Merzagora e il governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, Torchiani non fu nemmeno informato (Roma, Archivio privato della famiglia, Carte Cesare Merzagora, b. 46, f. 360, telegramma di Merzagora a Cuccia, 2 maggio 1970).
Nell’attesa di riuscire a creare una «grande finanziaria privatistica» (ibid., nota di Mediobanca), pur sempre dotata di un notevole portafoglio di partecipazioni azionarie strategiche, tra il 1970 e il 1971 la Bastogi fu al centro di un tentativo di scalata da parte di Michele Sindona. La scalata incontrò la ferma opposizione di Cuccia, che fu infine in grado di vanificare il tentativo di Sindona nel settembre del 1971, convincendo Gianni Agnelli e Carli a non cedere i decisivi pacchetti della FIAT e del fondo pensioni della Banca d’Italia. Il progetto di Cuccia, sventato Sindona, non disponeva tuttavia più delle condizioni necessarie per una sua realizzazione. La Bastogi aveva, palesemente, perduto carattere e funzioni che aveva avuto sino alla nazionalizzazione dell’industria elettrica.
Torchiani lasciò la presidenza e gli incarichi nella società, passata sotto il controllo della Italcementi-Italmobiliare, nel 1978, per divenirne presidente onorario.
Morì a Roma l’11 marzo 1993.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio storico IRI, Serie nera, Affari generali e organi deliberanti, b. AG/85, f. 15, Scheda personale “Torchiani Tullio”, 27 dicembre 1944 (non è invece reperibile il curriculum vitae in b. AG/151, f. 2834); Serie nera, Pratiche degli Uffici, Ispettorato, b. ISP/38, f. 15, dattiloscritto “Tecnici italiani a Vienna. Viaggio annuale in Germania - I compiti dell’IRI (intervista con il comm. dott. Tullio Torchiani)”; Milano, Archivio storico Mediobanca Vincenzo Maranghi, Corrispondenza tra Enrico Cuccia e Tullio Torchiani; Sesto San Giovanni, Fondazione ISEC, Archivio storico Bastogi, Verbali del consiglio di amministrazione, 1954-1972; Roma, Carte Cesare Merzagora, bb. 45, 46 e 56; Assonime, Notizie statistiche. Società italiane per azioni, Roma 1936, 1952, 1960, 1972.
E. Scalfari - G. Turani, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, Milano 1974, passim; G. Piluso, Un centauro metà pubblico e metà privato. La Bastogi da Alberto Beneduce a Mediobanca (1926-1969), in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, XXVI (1991), pp. 347-392; Id., La gallina dalle uova di marmo: la Bastogi e le finanziarie italiane negli anni Sessanta, in Cesare Merzagora. Il presidente scomodo, a cura di N. De Ianni - P. Varvaro, Napoli 2004, pp. 281-308; D. Felisini, Biografie di un gruppo dirigente, in Storia dell’IRI, II, Il “miracolo economico” e il ruolo dell’IRI. 1949-1972, a cura di F. Amatori, Roma-Bari 2012, pp. 151-257.