TENTORI, Tullio
– Nacque l’11 aprile 1920 a Napoli da Ida Merola, figlia di un insegnante partenopeo di lingua francese, e da Egidio Tentori, nato e residente a Roma, direttore della Biblioteca del ministero dell’Industria e del Commercio.
Suo nonno paterno, Tullio, preside del liceo classico Torquato Tasso di Roma, fu autore di pubblicazioni sulla riforma della scuola e la cultura latina.
Nel 1938, conseguita a Roma la maturità classica, si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia dell’università capitolina, presso la quale seguì i corsi di Natalino Sapegno, Giovanni Gentile, Giuseppe Tucci, ed entrò in contatto con Raffaele Pettazzoni, fondatore italiano della storia delle religioni di indirizzo laico, con il quale avviò una lunga attività didattica e di ricerca.
L’intensa frequentazione negli anni universitari del Museo nazionale preistorico ed etnografico Luigi Pigorini e del Museo missionario etnologico lateranense, permise a Tentori di consolidare gli interessi sulle popolazioni native nordamericane, le quali costituiranno il tema del suo esordio editoriale (Miti e leggende sulla creazione dei primitivi nordamericani, Roma 1941, con D. Satolli) e della sua tesi di laurea diretta da Pettazzoni sulla religione dei nativi della California.
Dopo l’arruolamento nella scuola ufficiali di Arezzo, e il successivo esonero per motivi di salute mentre prestava servizio in Abruzzo, allacciò relazioni sia con studiosi laici – come Alberto Carlo Blanc e Sergio Sergi – sia con esponenti del mondo cattolico. Fu lungo questa direttrice che venne chiamato a redigere alcune voci dell’Enciclopedia cattolica italiana, dando precocemente prova di una postura intellettuale estremamente sensibile al dialogo, tratto costitutivo del suo carattere gentile e della sua apertura pluridisciplinare.
Con la parentesi bellica ormai alle spalle, si aprì per Tentori una fase decisiva di stabilizzazione professionale e familiare.
Nel 1946 approdò in qualità di ‘avventizio’ al Museo nazionale preistorico ed etnografico (entrando in contatto con Renato Boccassino), dando vita a ricerche che lo condussero verso la pubblicazione del suo primo saggio: Usi e credenze relative ai gemelli presso i primitivi della California (in Studi e materiali di Storia delle religioni, 1943-1946, vol. 19-20, pp. 133-141), preludio alla libera docenza in americanistica. Profondo conoscitore della lingua inglese, gli fu affidata la traduzione del volume di Bronisław Malinowski Sesso e repressione tra i selvaggi, edito nella collana Einaudi diretta da Ernesto de Martino e Cesare Pavese.
Sposatosi con Silvana Zanetti il 12 maggio 1947, matrimonio dal quale nacque Alberto Maria, nel 1950 ebbe accesso ai ruoli direttivi dell’Amministrazione delle antichità e belle arti del ministero della Pubblica Istruzione, assumendo la direzione della sezione di americanistica del Museo Pigorini, e dal 1956 – sin dall’apertura – del Museo nazionale di tradizioni popolari, di cui curò con Paolo Toschi l’allestimento.
Nel quadro delle attività istituzionali nel campo dell’antropologia museografica e dell’arte, maturò l’idea di recarsi negli Stati Uniti. Partito quale vincitore nel 1949 di una borsa di studio della Viking Fund per analizzare i maggiori musei antropologici americani, fece ritorno accollandosi una non facile missione scientifica destinata a incidere profondamente tanto sulla sua carriera quanto sull’assetto complessivo delle discipline antropologiche italiane: quella di introdurre in Italia l’antropologia culturale statunitense. Su questo fronte l’impegno di Tentori, che oltreoceano ebbe modo di conoscere figure di primo piano come Margaret Mead, Alfred Kroeber, Clyde Kluckhohn, si concentrò almeno su quattro linee d’intervento, tutte dirette a superare gli ostacoli posti dall’idealismo crociano e a far interagire l’antropologia con le altre scienze sociali, dandone una forte impronta applicativa, vale a dire di disciplina indirizzata allo studio dei problemi della società contemporanea. La prima linea d’intervento comprende la diffusione dei saperi antropologici nelle scuole di servizio sociale. La seconda riguarda la stesura di approfonditi saggi critici sulle teorie, sui metodi e sulle applicazioni dell’antropologia culturale statunitense. La terza verte sulla ricerca e sulla definizione di una tradizione italiana di studio, con il chiaro intento di mostrare la presenza di una radice nazionale cui la nascente disciplina potesse essere ricondotta. La quarta infine è incentrata sul sostegno offerto a ricerche empiriche che vedranno Tentori interagire con studiosi stranieri impegnati nell’antropologia del Mediterraneo e del Sud Italia. Da qui la partecipazione, con Friedrich G. Friedmann, a una ricerca-intervento pluridisciplinare voluta da Adriano Olivetti sul risanamento dei Sassi di Matera, ripresa in un lavoro della Cambridge University Press (Il sistema di vita della comunità materana. Riassunto di un’inchiesta etnologica, Roma 1956; Social classes and family in a southern Italian town: Matera, in Mediterranean family structures, a cura di J.G. Peristiany, Cambridge 1976, pp. 273-285).
Di ritorno da un secondo viaggio (1954-55) negli Stati Uniti, Tentori si rese protagonista della costituzione di un gruppo di lavoro cui si deve nel 1958 la stesura dell’Antropologia culturale nel quadro delle scienze dell’uomo. Appunti per un memorandum (in L’integrazione delle scienze sociali. Città e campagna. Atti del primo Congresso nazionale di scienze sociali, Bologna 1958, pp. 235-253), mentre nel 1960 diede alle stampe il manuale Antropologia culturale, il primo apparso in Italia.
In questo lavoro si mostrò interessato ad affrontare il problema della relazione tra cultura e personalità e a chiarire i concetti fondamentali di una disciplina sempre più distinta dagli studi di etnologia e di storia delle tradizioni popolari, con cui ebbe una relazione a tratti apertamente conflittuale (Callari Galli, 2017).
Alla luce di tali importanti iniziative, in un contesto talvolta ostile, ebbe avvio il processo di istituzionalizzazione accademica dell’antropologia culturale.
Nel 1960, infatti, quando fu bandito il primo concorso per la libera docenza, alcuni commissari non mancarono di evidenziare il proprio disappunto nei confronti di un insegnamento definito apertamente «equivoco», perché ritenuto troppo subalterno rispetto a tendenze lontane dalle scuole nazionali (Alliegro, 2011). A vincere il concorso fu Tentori, il quale, noncurante delle riserve mostrate dai colleghi etnologi e demologi, assunse l’incarico in università pubbliche (a Roma e a Trento) e cattoliche (dal 1962 al 1965 presso l’Università internazionale di studi sociali Pro Deo di Roma).
Dopo questo primo passo, in un clima che percepiva ancora con sospetto quanto si discostava troppo dalla cultura marxista, nel 1971 si espletò il primo concorso per una cattedra di ruolo di antropologia culturale. Con Carlo Tullio-Altan e Guido Sertorio, Tentori entrò nella terna dei vincenti. Da qui ebbe avvio una lunga carriera didattica prima a Trento (1972-74), poi a Napoli (1974-75), infine a Roma presso l’Università La Sapienza (sino al 28 maggio 1990). E fu proprio quest’ultima università a conferirgli nel 1997 il titolo di professore emerito, per aver rinnovato in Italia i confini di studio delle discipline dell’uomo ed essere andato oltre l’analisi della cultura popolare e contadina (Dei, 2018). Si deve infatti a Tentori, e ad altri pochi studiosi come Tullio Seppilli, lo svolgimento di ricerche su problematiche innovative affrontate in un’ottica pluridisciplinare. Di particolare significatività, i lavori pionieristici nel campo dell’antropologia urbana, economica, della famiglia, di genere, della letteratura, della religione, della condizione giovanile, dei caratteri nazionali, alcuni dei quali poi ripresi e rielaborati dai suoi numerosi allievi, tra cui Matilde Callari Galli, Gualtiero Harrison, Gioia Di Cristofaro Longo, Lucilla Rami Ceci, Vincenzo Padiglione, Massimo Canevacci.
A compimento di un intenso percorso di studi a favore dell’affermazione dell’antropologia culturale sempre più intesa come disciplina interessata alle dinamiche del mutamento delle società occidentali, nel 1987 promosse il Convegno nazionale Antropologia culturale delle società complesse. Inoltre, con il chiaro intento di superare alcune divisioni che contrapponevano gli studiosi italiani di scienze demoetnoantropologiche (Palumbo, 2018), si adoperò per la fondazione nel 1990 dell’Associazione italiana studi etnoantropologici (AISEA, di cui ricoprì la carica di presidente), successivamente confluita, con l’Associazione nazionale universitaria antropologi culturali (ANUAC), nella Società italiana di antropologia culturale (SIAC).
Morì il 10 gennaio 2003, dopo aver ricevuto il 19 aprile 2002 presso il Quirinale la medaglia d’oro per la cultura.
Nel 2004, vera e propria sintesi del suo percorso umano e di studio, apparve il volume autobiografico Il pensiero è come il vento. Storia di un antropologo, con l’indicazione dell’intera produzione scientifica che conta circa trecento titoli, alcuni altamente specialistici apparsi anche all’estero, altri divulgativi editi da riviste rivolte a un pubblico più vasto. Nel volume si trovano peraltro riferimenti al rilevante impegno storiografico (Per una storia del bisogno antropologico, Roma 1983) e sociale, quest’ultimo concretizzatosi nella lotta alla xenofobia, nella partecipazione alla formulazione della seconda dichiarazione dell’UNESCO contro i pregiudizi razziali e nella stesura di uno dei volumi cui restò maggiormente legato, Il rischio della certezza: pregiudizio, potere, cultura (Roma 1987).
Opere. Oltre a quelle citate nel testo, tra le opere principali si vedano L’etnologia come scienza applicata, in Rivista di antropologia, XXXVII (1949), pp. 177-188; L’etnologia negli Stati Uniti, ibid., XLII (1955), pp. 133-176; La pittura precolombiana, Milano 1961; Scritti americanistici, Roma 1968; Scritti antropologici, I-V, Roma 1970-1976; Borgo, quartiere, città. Indagine socio-antropologica sul quartiere di San Carlo nel centro storico di Bologna, Milano 1972 (con P. Guidicini); Antropologia economica, a cura di T. Tentori, Milano 1974; Antropologia delle società complesse, Roma 1990.
Fonti e Bibl.: M.I. Macioti, In memoriam T. T., in La critica sociologica, 2002, 143-144, pp. 156-159; A. Nesti, T. T. e l’antropologia culturale in Italia, in Religioni e società, 2002, vol. 18, n. 43, pp. 133-152; intervista Lattanzi/Padiglione e T. T., in Antropologia museale, I (2002), 2, pp. 6-15; F. Ferrarotti, In ricordo di T. T., in La critica sociologica, 2003, n. 145, pp. 95-100; E.V. Alliegro, Antropologia italiana. Storia e storiografia (1869-1975), Firenze 2011; M. Callari Galli, Racconto antropologico, in La ricerca folklorica, 2017, n. 72, pp. 101-105; F. Dei, Cultura popolare in Italia. Da Gramsci all’Unesco, Bologna 2018; D. Palumbo, Lo strabismo della dea. Antropologia, accademia e società in Italia, Palermo 2018; L. Mariotti, Biografia di T. T., s.d., in http://www.idea.mat.beniculturali.it/museo-civilta-mnatp/la-storia/ item/127-biografia-di-tullio-tentori (29 marzo 2019).