Amor, tu vedi ben che questa donna
. Questa canzone-doppia sestina (Rime CII) è citata nel De vulgari Eloquentia (II XIII 12) come esempio di poesia in cui D. si era lasciato andare nell'abuso della frequente risonanza della medesima rima, e dell'inutile doppio senso nelle parole-rima, cioè di quella aequivocatio, quae semper sententiae quicquam derogare videtur. Nel medesimo passo D. attenua il giudizio negativo su Amor, tu vedi ben, adducendo come giustificazione l'intento di cimentarsi in qualche novità d'arte non mai tentata da altri, della qual cosa egli si era già vantato nel congedo della stessa canzone, dove si dice appunto della novità... / che non fu mai pensata in alcun tempo (vv. 65-66). In realtà D., che aveva già imitato Arnaldo Daniello per la composizione della sestina Al poco giorno (v.), inventando il metro della doppia sestina, volle rendere straordinariamente più complicato l'artificio nell'uso delle parole-rima riducendole a cinque nella stanza (regolare con fronte e sirima) di 12 versi endecasillabi, dove una parola-rima (a turno in ognuna delle cinque stanze) è ripetuta sei volte, due per due volte e in rima baciata, le altre due una sola volta. Le cinque parole-rima (donna, tempo, luce, freddo, petra) sono disposte nella prima stanza secondo quest'ordine: ABA, ACA; ADD, AEE. Dalla seconda stanza in poi l'ordine delle parole-rima segue le regole della retrogradatio cruciata: EAE, EBE..., EDD; DED, ecc. Alla quinta stanza segue il congedo di sei versi nei quali le cinque parole-rima sono così distribuite: AED, DCB.
Fra i codici di più antica tradizione manoscritta che contengono la doppia sestina Amor, tu vedi ben, ricordiamo: il codice Martelli, il Chigiano L VIII 305, il Magliabechiano VI 143, il Veronese 445, i due autografi del Boccaccio (Chigiano L V 176, Toledano 104, 6), dove è all'ottavo posto, preceduta da Al poco giorno e seguita da Io son venuto, nella serie di 15 canzoni, che comincia con Così nel mio parlar. Fu stampata in appendice all'edizione veneziana di Pietro Cremonese della Commedia (1491) insieme con le altre 14 canzoni della tradizione Boccaccio, che qui corrono dal n. 3 al n. 17. Nell'edizione Giuntina del 1527 è nel Libro III della sezione dantesca, al nono posto nella serie di nove " canzoni amorose e morali ", che comincia con Così nel mio parlar. Nell'edizione del 1921 il Barbi la collocò col n. CII al terzo posto, dopo Io son venuto e Al poco giorno, nel Libro VI che contiene soltanto le " Rime per la donna pietra ", e con Così nel mio parlar che è al quarto e ultimo posto. Per un breve accenno alle questioni riguardanti il numero, l'ordine, la cronologia (con ogni probabilità, prima dell'esilio, intorno al 1296-98), la donna (reale, immaginaria, allegorica) delle rime petrose, si veda quanto si è detto per la sestina Al poco giorno.
La distribuzione delle cinque parole-rima nelle cinque stanze e nel congedo ubbidisce soprattutto alle straordinarie ed eccezionali esigenze di arte o meglio di artificio, ma accoglie anche le intenzioni di D. di dare a essa un significato coerente con i sentimenti che vuole esprimere. La parola-rima ripetuta sei volte nella prima stanza è donna, accompagnata, con ripetizione di due volte ciascuna, dalle due parole-rima che più le si confanno (freddo e petra), mentre le altre due (tempo e luce), che rappresentano elementi esterni alla personalità della donna, ricorrono una sola volta. E petra e freddo sono le parole-rima dominanti, rispettivamente, nella seconda e terza stanza, quasi a continuare il martellamento sull'insensibilità e sulla freddezza della donna. Nelle ultime due stanze dove predominano, rispettivamente, le parole-rima luce e tempo, la tensione esasperata del poeta si allenta alquanto, e possono affiorare perciò motivi di esaltazione di questo suo amore e della straordinaria bellezza della donna, dalla quale, con l'aiuto di Amore, spera pietà. Ma, a parte la novità dell'artificio e del suo valore come mezzo espressivo di stato d'animo, nella doppia sestina è possibile seguire agevolmente la trama del discorso tutto rivolto ad Amore.
Il poeta invoca la testimonianza dello stesso Amore sull'inefficacia della sua vertù che suole operare su ogni altra bella donna, ma non sulla donna da lui amata, la quale, appena si è accorta di essere amata, si mostra crudele, avversa e fredda come pietra (I). Mentre la donna, incurante della potenza di Amore, esercita il suo volere di ribelle alle sue leggi non ricambiando l'amore, e anzi mostrandosi crudele e fredda verso chi l'ama, il poeta, che ha fatto il suo dovere di fedele servitore d'Amore essendosi innamorato di una bella donna, è costretto a subire le conseguenze dolorose della ferita che Amore gli ha inferto, e della quale non vede il modo di guarire (II). Non ad altro che alla morte può portare l'effetto della freddezza della donna sul sangue, che gli si agghiaccia nel corpo, e del pensiero amoroso che corrode la sua vita provocando gli occhi a lacrimare (III). Come in questa donna sono concentrate tutte le bellezze possibili, così ogni possibile freddezza è concentrata nel suo cuore. E dire che al poeta appare così bella quando la mira, che la sua immagine gli risplende negli occhi con tale intensità che la vede in ogni cosa a cui volge lo sguardo. Potesse almeno ella diventare più pietosa verso di lui, che non desidera vivere a lungo se non per servire lei! (IV). Il pensiero espresso nella stanza precedente, della possibilità che la donna amata diventi più pietosa, intenerisce il poeta, che si rivolge umilmente ad Amore perché abbia pietà di lui e renda amorosa la donna, poiché è arrivato ormai agli estremi della sua resistenza, alla fine della quale c'è la morte (V). Nel congedo il poeta dichiara la sua baldanza per essere innamorato di tal donna, che gli dà l'ardimento di comporre una poesia con arte così nuova, che non fu mai pensata in alcun tempo (v. 66).
Non si può dire che altrettanta novità ci sia nel contenuto. La doppia sestina è imperniata tutta, come la canzone Amor, che movi, su un discorso rivolto ad Amore, ed è come se il discorso venisse ripreso in seguito alla delusione per il mancato aiuto al poeta da parte di Amore. Si tenga presente la stanza IV di Amor, che movi, dove il poeta invoca pietà da Amore perché l'ardore che lo infiamma per la bellezza della donna gli procura nel core... troppa gravezza (v. 53). Faccia, dunque, che la donna s'intenerisca, e non permetta che il suo devoto si avvii alla morte perché ella, per la sua acerba giovinezza, non è in grado di capire di essere tanto amata. La quinta stanza di Amor, tu vedi ben procede analogamente: prima con la conclusiva invocazione ad Amore esaltato come Vertù promotrice di ogni bene; segue la richiesta ad Amore di aver pietà di lui (increscati di me, c'ho sì mal tempo, v. 51) e di intenerire il cuore della donna ché ben n'è tempo (v. 52), perché, se dovesse continuare in tale stato, certamente ne morirebbe. La differenza fra l'una e l'altra stanza delle due canzoni è che il poeta nella nuova situazione di Amor, tu vedi ben non attribuisce più l'insensibilità della donna alla sua acerba giovinezza, ma, come risulta dalle stanze che precedono la finale invocazione ad Amore, da una determinata volontà della donna di non amare (come, invece, avrebbe il dovere di fare per la sua bellezza) e di mostrarsi fredda e crudele. Da un'altra canzone (Io sento sì d'Amor, Rime XCI), molto vicina ad Amor, che movi, D. ha derivato qualche particolare: In lei s'accoglie d'ogni bieltà luce (v. 37) richiama i vv. 41-42 di Io sento sì d'Amor (per vertù del piacimento / che nel bel viso d'ogni bel s'accoglie); Da li occhi suoi mi ven la dolce luce (v. 43) richiama Entrano i raggi di questi occhi belli / ne' miei innamorati (vv. 17-18); chiamo di notte e di luce, / solo per lei servire (vv. 46-47) richiama poi tanto l'amo / che sol per lei servir mi tegno caro (vv. 26-27). Le affinità e i riscontri che abbiamo indicato sono un dato di fatto, ma le conseguenze che se ne possono trarre rimarranno sempre opinabili: alla possibilità che in Amor, tu vedi ben D. abbia continuato l'esperienza amorosa per la medesima donna cantata in Amor, che movi e Io sento sì d'Amor, si potrebbe contrapporre l'altra possibilità che D., impegnato nella doppia sestina in un oltranzoso, com'è stato detto, artificio tecnico, non è andato tanto per il sottile nel valersi di contenuti già sperimentati in poesie precedenti, e li abbia accolti adattandoli superficialmente a una situazione diversa.
Bibl. - A. Jeanroy, La ‛ sestina doppia ' de D. et les origines de la sestine, in " Romania " XLII (1913) 481-489; Contini, Rime 160 ss.; D.A., Rime, a c. di D. Mattalia, Torino 1943, 134 ss.; H.S. Vere-Hodge, The Odes of D., Oxford 1963, 250 ss.; S. Battaglia, Le rime petrose e la sestina, Napoli 1964, 88 ss.; E. Fenzi, Le Rime per la donna Pietra, in Miscellanea di studi danteschi, Genova 1966, 229 ss.; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 268 Ss.; Barbi-Pernicone, Rime 561 ss. - Per altre indicazioni bibliografiche, si veda la sestina Al poco giorno.