Tsai Ming-Liang (pinyin Cai Mingliang)
Regista e sceneggiatore cinematografico taiwanese, nato a Kuching (Malesia) il 27 ottobre 1957. È una delle figure di punta della seconda ondata del nuovo cinema di Taiwan, quella che ha esordito all'inizio degli anni Novanta. Nei suoi film dal rigore bressoniano (privi di musica, quasi senza sceneggiatura, con pochi movimenti di camera) si assiste al formarsi di una 'diretta' di immagini che narrano atti gratuiti, disperazioni e solitudini metropolitane. Quello che agli esordi poteva sembrare un cinema di corpi, si è poi rivelato un cinema di fantasmi, raccontando il vuoto delle istanze umane e dei sentimenti nella semplicità di opere che propongono immagini di purezza e rappresentazioni di un presente inteso come assenza e mancanza. Tra i molti riconoscimenti ricevuti, si segnalano: per Qingshaonian Nazha (1992; I ribelli del dio neon) il premio per il miglior film al Festival internazionale Cinema Giovani di Torino nel 1993; per Aiqing wansui (1994; Vive l'amour) il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia; per Heliu (1997; Il fiume) il Premio speciale della giuria al Festival di Berlino; per Dong (1998; The hole ‒ Il buco) il premio Fipresci al Festival di Cannes; per Bu san (2003, noto come Goodbye Dragon inn) il premio Fipresci alla Mostra del cinema di Venezia.
Nato da genitori di origine cinese, per studiare cinema si è trasferito nel 1977 a Taiwan, dove nel 1982 si è diplomato in arte drammatica. Tra il 1981 e il 1983 ha scritto quattro opere teatrali sull'isolamento urbano (tema poi ricorrente anche nel suo cinema), e tra il 1982 e il 1987 cinque sceneggiature. Tra il 1989 e il 1991 ha sceneggiato inoltre dieci film per la televisione, otto dei quali da lui diretti, come Hajiao tianya (1989, Alla fine del mondo) e Xiaohai (1991, Ragazzi), ruotanti attorno figure di giovani ribelli alla deriva nel deserto della metropoli. L'esordio nella regia cinematografica è avvenuto con Qingshaonian Nazha, una storia simile a quelle televisive, seguito da Aiqing wansui, in cui radicalizza la descrizione della separazione nella straziante immagine finale di abbandono (un lunghissimo primo piano di una donna sola che piange). Ha proseguito il suo discorso sull'incomunicabilità e sulla solitudine con Heliu e con Ni na yi bian ji dian? (2001; Che ora è laggiù?), che usa però il linguaggio della commedia e delle citazioni cinefile. Ha invece elevato un canto elegiaco per un cinema popolare ormai finito con Dong, omaggio a Grace Chang, la cantante dei musical di Hong Kong degli anni Cinquanta e Sessanta, e con Bu san, che punta direttamente l'obiettivo sulle immagini di un wuxia pian (film di cavalieri erranti) classico (Longmen kezhan, 1967, ingl. Dragon Gate Inn, di King Hu) proiettato in una sala cinematografica: le immagini del vecchio film predominano sui volti degli spettatori, sull'assenza di parole e sul vuoto enorme della sala.
J.-P. Rehm, O. Joyard, D. Rivière, Tsaï Ming-liang, Paris 2000.