TROTTI
– I primi riferimenti alla famiglia risalgono forse al 1153, e sicuramente al tardo XII secolo. Nel giuramento prestato dagli alessandrini al marchese di Monferrato in occasione della pacificazione del 1199 compare infatti un Pietro Trotti e dal 1210, per oltre un ventennio, ricorrono frequenti citazioni del giudice Rainaldo Trotti, destinato a una prestigiosa carriera anche fuori dall’Alessandrino (Cartario alessandrino..., a cura di F. Gasparolo, I, 1928, p. 256, II, 1929, pp. 159 s.).
La storiografia recente ha risolto un paio di questioni preliminari relative alla casata. In primo luogo, sono stati esclusi legami tra i Trotti dell’Alessandrino e di Milano e i Trotti di Ferrara (Guglielmotti, 1999, p. 36). In secondo luogo, sono state soggette a verifica le attestazioni più risalenti della famiglia nella documentazione relativa al contado di Alessandria dipendenti dagli Annali tardoseicenteschi di Girolamo Ghilini, condizionati da un approccio municipale e celebrativo (Gli annali di Alessandria, a cura di A. Bossola, 1902). Assai dubbi risultano, infatti, due atti del 1005 e del 1007, l’uno edito nel Cartario alessandrino e l’altro conservato alla Trivulziana di Milano, in cui sono citati esponenti dei Trotti (Guglielmotti, 1999, p. 34); genuino è invece un atto del 1153 concernente un appezzamento «Petri Trotti» sito «in loco Gamundi» (Cartario alessandrino..., cit., I, 1928, pp. 71 s.). Su Gamondio (oggi Castellazzo Bormida, il più importante tra i villaggi che contribuirono alla fondazione di Alessandria nel 1168, cfr. Pistarino, 1970, pp. 27 s.) i Trotti nel tardo Trecento esercitarono diritti signorili che hanno appunto indotto a retrodatarne la presenza agli inizi dell’XI secolo o a enfatizzarne la preminenza politico-sociale. Lascia peraltro perplessi l’assenza di riferimenti espliciti ai Trotti in un precedente atto del 1146 che riporta i patti giurati tra i gamondiesi – a molti dei quali tuttavia non è attribuito un cognome – e Genova (I Libri Iurium..., 1992, pp. 152-157; Guglielmotti, 1999, p. 34).
Rainaldo Trotti fu rappresentante di Alessandria presso papa Onorio III al fine di ottenere la remissione della scomunica che nel 1217 aveva colpito gli abitanti per il sostegno all’imperatore Ottone IV, nonché giudice delegato dalla Cancelleria imperiale nelle controversie che opposero Voghera e Bagnolo nel 1222. Il suo inserimento nella politica dell’area è d’altronde confermato dalla citazione, già nel 1218, nei patti tra i marchesi del Bosco e Alessandria e, tra il 1223 e il 1225, negli accordi tra Asti e Alba, vera e propria chiave di volta nelle relazioni territoriali dell’area subalpina meridionale. Compare ripetutamente come ambasciatore di Alessandria negli accordi politici locali e sovraregionali di Vercelli che scandiscono gli anni Venti del secolo e a Vercelli coronò la sua carriera nel 1228 con l’ufficio di podestà. Allo stesso periodo risale anche l’attestazione di altri esponenti della famiglia Trotti operanti nel quadro politico alessandrino: si tratta di Alberto e Ruffino, citati come consiliarii del Comune nel 1218 (Documenti genovesi..., a cura di A. Ferretto, 1909; Carte inedite..., a cura di F. Guasco di Bisio - F. Gabotto - A. Pesce, 1923, pp. 276-278; Il libro dei “pacta” et conventiones..., a cura di G.C. Faccio, 1926; Cartario alessandrino, cit., II, 1929, pp. 253-255, 292 ss.).
Va peraltro rilevato che la storiografia tradizionale, non estranea a intenti celebrativi, ha colmato le soluzioni di continuità nella storia dei Trotti, manipolando documenti o accettandoli in modo acritico: è il caso del presunto podestà di Milano Federico Trotti – errata lettura per un ‘De la Crota’ bergamasco – o del supposto vescovo di Firenze Ardenghino Trotti – citato da Konrad Eubel senza l’attestazione cognominale Trotti, ma ascritto al casato alessandrino sulla base della copia semplice del XVIII secolo di un atto del 1279 (Memorie..., 1855, p. 565; Eubel, 1913; Guglielmotti, 1999, p. 41).
Informazioni certe e sistematiche relative alla famiglia sono invece ricollegabili alle vicende di Alessandria nel pieno e tardo Duecento, segnate dal succedersi di tentativi di governo personale – di Manfredi Lancia, all’epoca di Federico II (1238-57), quindi dei Monferrato (1260-62) e di Oberto Pelavicino (1262-66) – che determinarono provvisori assestamenti nella ricorrente situazione di conflittualità tra le aristocrazie consolari e il Popolo (Luongo, 2011, pp. 226-236); e proprio all’interno degli organismi popolari – attestati dal 1227 e operanti al fianco o in supplenza delle istituzioni comunali – emergono dagli anni Settanta i Trotti. Durante il dominio di Guglielmo di Monferrato, fu Antonio Trotti che, in veste di podestà, concesse nel 1260 la podesteria della città a Bastardino di Monferrato, zio naturale del marchese (Monumenta Aquensia, a cura di G.B. Moriondo, 1789).
Rilevante nella successiva definizione dei rapporti con i Monferrato fu l’azione di un altro Trotti, Pietro, che nel 1278, in qualità di rettore del Popolo, compare come ambasciatore incaricato di trattare la pace con Guglielmo e con la fazione estrinseca dei Lanzavecchia: nel corso della sostanziale egemonia monferrina che seguì, Pietro ottenne un riconoscimento importante, dal momento che il marchese garantì a lui e ai suoi discendenti lo stipendio di rettore popolare (Luongo, 2011, p. 244). Il suo ruolo politico fu di lunga durata: Pietro Trotti nel 1293 fu tra gli incaricati di emendare gli statuti cittadini, nello stesso anno approvò (secondo Ghilini, sempre un po’ sospetto) con i rappresentanti del Popolo e il podestà Talione Villa la costruzione di mulini sul Tanaro, mentre nel 1295 e nel 1297 avrebbe ricoperto l’incarico di podestà di Piacenza (G. Ghilini, Gli Annali di Alessandria, cit., pp. 51-53).
L’azione politica dei Trotti tra il XIII e gli inizi del XIV secolo va dunque inquadrata entro la persistente contrapposizione tra fazioni che divise le città padane: lo chiarisce il cronista astigiano Guglielmo Ventura quando afferma che «Alexandrini fuerunt quasi primi Lombardi, qui partes fecerunt [...] et a mei [Guilielmi Venturae] memoria Alexandrini per vices septem una pars alteram expulit» (Guilielmi Venturae Memoriale..., a cura di C. Combetti, 1848, col. 727).
In seguito i guelfissimi Trotti furono legati al fronte angioino, ed espressero professionalità politico-amministrative importanti. Robertone Trotti fu attivo come capitano del Popolo ad Asti nel 1309 (nella fase cioè di predominio guelfo che precedette i momenti cruciali della pacificazione tentata da Enrico VII). In tale veste partecipò (come rappresentante del Popolo, visto che vigeva la suddivisione paritetica degli uffici tra Popolo e fazione guelfa, nella circostanza rappresentata da un membro dell’hospicium dei Solaro) a un importante momento di chiarificazione sia delle relazioni regionali sia dei rapporti interni: fu infatti uno dei due consoli che ricevettero plenam bayliam per trattare un’alleanza tra Asti e gli Acaia. Come capitano del Popolo di Asti, Robertone ebbe anche modo di intervenire negli scontri tra le partes della città d’origine: nel febbraio del 1309 con la cavalleria guelfa astigiana contribuì alla cacciata dei Lanzavecchia ghibellini da Alessandria e nel maggio del 1309 venne preso prigioniero durante ulteriori scontri tra estrinseci alessandrini e intrinseci astigiani nei pressi di Quattordio (Guilielmi Venturae Memoriale..., cit., coll. 727, 768-770). Destituito da Enrico VII, il cui progetto di pacificazione si basava sulla rimozione dei magistrati attivi negli anni di più intensa conflittualità, Robertone Trotti risulta stabilmente inserito nel fronte angioino, come indica la carica di vicario regio nella città e nel distretto di Tortona attestata nel 1313-14 (Il Chartarium Dertonense..., a cura di E. Gabotto, 1909, pp. 329-332).
Nelle successive generazioni trecentesche, i Trotti abbinarono alle tradizionali competenze giuridiche e politiche un sistematico radicamento patrimoniale nel contado prossimo ad Alessandria.
Nel 1305 Ghitone Trotti fu podestà di Bosco; nel 1314 il figlio di Robertone, Franceschino, acquistò beni fondiari in Gamondio, confinanti con possessi di altri membri del parentado, a riprova della consolidata presenza della famiglia nel luogo; nel 1329, Picoto Trotti compare come teste in un documento riguardante Gamondio; e ancora, nel 1342, il giureconsulto Blasio Trotti intervenne come arbitro in una controversia che opponeva Alessandria e i marchesi d’Incisa e che si concluse con l’attribuzione del castello di Oviglio al Comune (G.A. Bottazzi, Carte inedite..., 1833; Codex qui liber crucis..., a cura di F. Gasparolo, 1889).
Alla fine del secolo l’inserimento dei Trotti nell’area risultava consolidato, come indica il Liber confinium relativo al distretto alessandrino redatto nel 1393 su iniziativa dei Visconti, che registra la presenza della famiglia nei territori di Gamondio, Casal Cermelli, Frugarolo e Bosco (Guglielmotti, 1999, p. 37). Un ulteriore impulso al riassetto dell’area sotto l’egida dei Trotti derivò dalla concessione – effettuata dal pontefice Bonifacio IX nel 1393 a favore di Andreino Trotti per compensarne i servigi militari – di beni ecclesiastici situati tra Gamondio e Bosco dell’ingente valore di 20.000 fiorini (Esch, 1969).
Si trattava di beni già appartenenti ai cistercensi del monastero di S. Andrea di Sestri a Campagna e in S. Leonardo a Gamondio, che Trotti fortificò su autorizzazione rilasciata lo stesso anno da Gian Galeazzo Visconti; e di altri spettanti al monastero di S. Maria di Tiglieto a Bosco, al monastero benedettino di S. Benigno di Genova a Bosco e, infine, alle chiese di S. Pantaleone a Bosco e della SS. Trinità e di S. Raineri a Gamondio. Oggetto di successive rivendicazioni da parte degli enti religiosi ed ecclesiastici cui erano stati sottratti a favore dei Trotti, tali beni furono definitivamente confermati nella disponibilità della famiglia da una bolla di papa Pio II del 1462 (Cosola, 1991).
La stabilizzazione patrimoniale e territoriale delle strategie familiari si accompagnò a una crescente gravitazione entro il fronte visconteo, cui si potrebbe collegare l’incarico di monetiere dell’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti assegnato nel 1350 a Lorenzino Trotti, inviato a Bologna dopo l’acquisto visconteo dai Pepoli per procedere alla coniazione del bolognino d’oro (Santoro, 1976). Saldamente legato ai Visconti fu il già citato Andreino Trotti, uomo d’armi che sembra abbia investito i proventi della sua attività militare nel consolidamento della presenza nel contado e in particolare nella zona di Gamondio sulla quale tradizionalmente gravitava la famiglia.
Considerato dai contemporanei tra i principali condottieri al servizio dei Visconti, al pari di Facino Cane e Iacopo Dal Verme – come indica la testimonianza di un ambasciatore senese a Milano –, nei tardi anni Settanta, Andreino, grazie a un provvedimento di immunità e di esenzione fiscale emanato da Gian Galeazzo, orientò in senso dinastico la gestione del patrimonio familiare (Franceschini, 1956, p. 903). All’iniziativa di Andreino si collega anche una peculiare testimonianza della progettualità dei Trotti nel delineare una propria prestigiosa presenza nel contado alessandrino: si tratta del noto ciclo arturiano che adornava fino ai primi anni Settanta del XX secolo – quando fu staccato per ragioni di tutela – la torre duecentesca, sopraelevata da Andreino nel 1393, della cascina La torre di Frugarolo. Databili ad anni vicini agli interventi edilizi sulla torre attribuiti all’esponente della famiglia Trotti, gli affreschi restituiscono scene ricavate dal Lancelot en prose raffiguranti le avventure dell’eroe dal suo rapimento fino alla liberazione di Ginevra (Guglielmotti, 1999; Meneghetti, 2015).
La collocazione entro l’articolato sistema politico regionale coordinato da Milano divenne un tratto caratterizzante delle vicende dei Trotti, che rivestirono uffici di rilievo sul piano diplomatico, burocratico e militare. Nel 1431 Pietro Trotti è attestato nei ranghi della diplomazia viscontea; Bongiovanni, tra gli anni Trenta e Quaranta, proseguì la tradizione militare come capitano e vicemaresciallo di nomina ducale: impegnato in operazioni belliche in Toscana entro la metà degli anni Trenta, è successivamente citato come commissario a Parma e intorno alla metà del secolo guidò l’esercito di Milano contro gli Orléans; fino al 1464, inoltre, Marco Trotti risulta attivo nell’ufficio di cancelliere ducale. Emergono dunque legami stabilizzati, come conferma la cittadinanza milanese conseguita a fine secolo da Matteo Trotti, speditore generale al servizio di Gian Galeazzo Maria Sforza.
Agli Sforza era legato anche Antonio Trotti (v. la voce Antonio Trotti Bentivoglio, in questo Dizionario) che, inviato da Galeazzo Maria in qualità di capitano di Giustizia a Bologna, stabilì stretti rapporti con il signore della città Giovanni Bentivoglio, rapporti cui si deve l’unione, nel 1468, dell’arma dei Trotti con quella del casato bolognese.
Non venne meno, peraltro, la preminenza patrimoniale nel contado alessandrino, ribadita dalla conferma – concessa a Bongiovanni nel 1450 da Francesco Sforza – dell’esenzione e dell’immunità risalenti agli anni dell’avo Andreino (Carte alessandrine..., a cura di F. Gasparolo, 1903; Guglielmotti, 1999, pp. 38-43).
Radicamento nel territorio e ricorrente collocazione nelle gerarchie funzionariali milanesi – viscontee prima e sforzesche in seguito – accompagnarono dunque le vicende dei Trotti tra tardo Medioevo e prima età moderna, segno di un durevole inserimento nelle relazioni politiche locali e regionali e della consolidata competenza nel gestirne le complesse e mutevoli dinamiche, secondo un orientamento che scandì il percorso della famiglia a partire dall’età comunale matura.
Fonti e Bibl.: Monumenta Aquensia, I, a cura di G.B. Moriondo, Torino 1789, col. 225; G.A. Bottazzi, Carte inedite dell’Archivio capitolare e della chiesa cattedrale di Tortona, Tortona 1833, p. 124; Guilielmi Venturae Memoriale de gestis civium Astensium..., a cura di C. Combetti, in Historiae patriae monumenta, V, Scriptores, 3, Torino 1848, coll. 701-816; Codex qui liber Crucis nuncupatur a tabulario alexandrino, a cura di F. Gasparolo, Roma 1889, pp. 142 s.; G. Ghilini, Gli Annali di Alessandria, a cura di A. Bossola, Alessandria 1902, pp. 51-53; Carte alessandrine dell’Archivio di Stato di Milano, a cura F. Gasparolo, Alessandria 1903, pp. 5, 8, 11 s., 88; Il Chartarium Dertonense ed altri documenti del comune di Tortona (934-1346), a cura di E. Gabotto, Pinerolo 1909, pp. 329-332; Documenti genovesi di Novi e Valle Scrivia (946-1230), a cura di A. Ferretto, Pinerolo 1909, p. 237-243; Carte inedite e sparse del monastero di Tiglieto (1127-1341), a cura di F. Guasco di Bisio - F. Gabotto - A. Pesce, in Cartari minori, III, Torino 1923, pp. 215-426; Il libro dei “pacta et conventiones” del comune di Vercelli, a cura di G.C. Faccio, Novara 1926, pp. 8 ss.; Cartario alessandrino fino al 1300, a cura di F. Gasparolo, I, Torino 1928, p. 256, II, Alessandria 1929, pp. 159 s., 253-255, 292 ss.; I Libri Iurium della Repubblica di Genova, I, 1, a cura di A. Rovere, Genova 1992, pp. 152-157.
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