TROTTI, Giovanni Battista detto il Malosso
– Nacque a Cremona probabilmente nel 1555, anno desunto dalla firma presente su un dipinto in cui il pittore si dice venticinquenne nel 1580 (Zaist, 1774, p. 31), mentre in un documento del 1577 viene detto ventunenne (Vanzetto, 1985, p. 238). In seguito alla morte del padre Pietro Giovanni venne affidato allo zio Pietro Maria Trotti, da cui si emancipò nel 1578 (Miller, 1985, p. 478), mentre nulla si sa della madre.
Residente nella vicinìa Gonzaga a Cremona, si formò presso la bottega di Bernardino Campi (Reggio Emilia, 1520-1591), con il quale strinse un rapporto tanto forte da prenderne in sposa l’amata nipote Laura Locatelli, figlia di Guido, nel 1575. Nello stesso anno comparve per la prima volta nell’elenco dei pittori cremonesi appartenenti all’Universitas Pictorum e ricevette in eredità la bottega del maestro con tutti gli oggetti d’arte contenuti, sancendo così la sua indipendenza artistica. Tra il 1576 e il 1591 il pittore e la moglie Laura ebbero otto figli, tutti battezzati nella chiesa di S. Imerio a Cremona: Alcibiade (1576), Irene Partenia (1578), Eustorgio (1579), Scolastica (1581), Clemente (1583), Properzia Dorotea (1584), Apollonio (1589) ed Euclide (1591; Miller, 1985, p. 478).
La formazione artistica del Malosso non si limitò all’apprendistato presso il suo insegnante, ma si completò con l’osservazione delle opere di Camillo Boccaccino, Giovanni Antonio de Sacchis, detto il Pordenone, dei fratelli Campi – Antonio in particolare per lo sperimentalismo luministico – e soprattutto di Bernardino Gatti, attivo a Parma tra il 1560 e il 1572 e quindi in grado di trasmettergli la lezione correggesca. Non possediamo opere giovanili dell’artista, ma in un manoscritto di Desiderio Arisi, con aggiunte successive, si ricorda un autoritratto con Bernardino Campi di cui non v’è più traccia (Cremona, Biblioteca statale, ms. AA.216: D. Arisi, Accademia dei pittori cremonesi..., XVII-XVIII secolo, p. 133), mentre alcuni documenti d’archivio testimoniano alcuni piccoli lavori eseguiti per la cattedrale di Cremona tra il 1578 e il 1580 (Miller, 1985, p. 478). A questi anni si data la Madonna col Bambino e i ss. Francesco e Girolamo dipinta per la chiesa di S. Angelo, oggi in collezione privata, ancora fortemente legata ai modelli del suo mentore. Datata 1580 è invece l’Annunciazione della chiesa di S. Francesco a Casalmaggiore, chiaramente ispirata alle opere di Gatti per le tinte tenui e la dinamicità della composizione. Dall’Ottanta, inoltre, l’artista lavorò assiduamente anche fuori di Cremona, in particolare per la famiglia bresciana dei Gambara, eseguendo prima una perduta pala d’altare per la parrocchiale di Vescovato e poi la perduta decorazione ad affresco del palazzo di Verolanuova, che conosciamo soltanto attraverso le lettere inviate dall’artista a Giulia Maggi Gambara, nelle quali la informa anche di un viaggio compiuto nel 1581 a Genova (Boselli, 1971, p. 21). Della stessa committenza sono giunte fino a noi tre tele per la parrocchiale di Pralboino (1584), la Madonna con Bambino e santi di Verolanuova (1588) e il Perdono di Assisi a Manerbio (1598).
Dalla metà degli anni Ottanta Trotti diventò uno dei pittori più richiesti a Cremona, ricca città dello Stato di Milano governata dalla monarchia spagnola, in cui il potere era rimasto però nelle mani delle grandi famiglie locali; ed è proprio tra queste casate che Trotti trovò i suoi più illustri committenti, solo in rari casi effigiati dal pittore (Vanzetto, 1985, pp. 241, 247; Guazzoni, 2006, p. 385). Tra le opere dei primi anni Ottanta, in cui il naturalismo dei paesaggi rivela un forte interesse per la pittura nordeuropea, ricordiamo la S. Maria Egiziaca, la Natività e l’Adorazione del Nome di Dio con i ss. Francesco e Bonaventura nella chiesa di S. Pietro al Po, la Sacra Famiglia di Carate Brianza, e le tele dipinte nel 1585 per la collegiata di Monticelli d’Ongina (S. Lucia, S. Girolamo, le Ss. Cecilia e Caterina d’Alessandria), opere che per alcune discordanze stilistiche interne rivelano per la prima volta una vera e propria attività di bottega (Poltronieri, 2016-17, pp. 59-65). Porta la data 1585 anche il Cristo nell’orto della Pinacoteca Malsapina di Pavia, una fortunata composizione ripresa dai seguaci di Trotti per decenni, a partire dal ciclo di tele con episodi della vita di Cristo dipinte nei primi anni del Seicento per il tempietto del Cristo Risorto a Cremona.
A testimonianza del successo raggiunto da Trotti in quegli anni sono le parole dell’amico Alessandro Lamo, che nel suo Discorso – dato alle stampe proprio da Trotti nel 1584, con tanto di dedica al duca Vespasiano Gonzaga – definì l’artista «degnissimo d’immortale corona di gloria» (p. 90).
Fu sul finire degli anni Ottanta che il Malosso elaborò una composizione ricorrente per le sue pale d’altare, costituite da uno schema piramidale al cui vertice troviamo sempre la Vergine con il Bambino e nel registro inferiore due o tre santi (un esempio è la pala di Romanengo, datata 1586): una soluzione semplice e immediata per agevolare la comprensione e la diffusione dei precetti emanati dalla Controriforma, di cui egli si fece intermediario artistico. Nello stesso periodo Giovanni Battista iniziò ad accostarsi ai grandi pittori emiliani e del centro Italia, in particolare i Carracci e Federico Barocci, dai quali trasse un maggiore realismo e la forte caratterizzazione dei personaggi, nonché la costruzione della scena attraverso linee diagonali, come testimoniano il Battesimo di Cristo in S. Croce a Soresina e la Madonna con Bambino e santi nella chiesa parrocchiale sempre a Soresina.
Nonostante le nuove ispirazioni, il Malosso non lasciò mai i modelli cremonesi, che ritroviamo ad esempio nella pala con S. Antonio di Padova incontra Ezzelino da Romano in S. Francesco a Lodi, ispirata allo stesso soggetto dipinto da Antonio Campi nel duomo di Cremona. Negli anni Novanta eseguì numerose opere per la sua città natale, tra le quali la Madonna con Bambino e santi in S. Pietro al Po e la Cremona guerriera per il palazzo del Comune, commissionata dal Consiglio generale della città; portò a termine gli affreschi iniziati da Orazio Samacchini nella chiesa di S. Abbondio, dove nel 1601 dipinse anche la Deposizione oggi conservata in S. Agostino; eseguì la decorazione ad affresco della cappella del Rosario nella perduta basilica di S. Domenico, per cui realizzò anche otto pale d’altare, di cui ci rimangono Cristo Crocifisso tra s. Pietro martire e s. Elena in collezione privata (Tanzi, 2012, pp. 26-33, n. 2); la Visione di s. Tommaso d’Aquino in S. Maria in Castello di Viadana; la Circoncisione a Parigi, nella chiesa Saint-Nicolas-des-Champes; e la Decollazione di s. Giovanni Battista, il Martirio di s. Pietro da Verona, il Miracolo di s. Giacinto e la Madonna in gloria con i ss. Domenico, Giovanni Battista e Imerio nel Museo civico di Cremona.
Proprio all’Ordine dei domenicani è necessario fare riferimento per comprendere la grande fama acquisita in quegli anni dall’artista: amico dell’inquisitore fra Pietro Visconti, per cui nel 1593 realizzò l’Adorazione dei pastori conservata nel convento domenicano di Arma di Taggia, Giovanni Battista venne inserito nelle liste «stilate il 23 ottobre 1593 e il 15 luglio 1594 contenenti i nomi dei patentati e dei famigliari del Sant’Uffizio, ossia coloro che erano stati autorizzati a portare con sé qualsiasi tipo di arma, anche gli archibugi a ruota, proibiti in tutto il milanesado: nella seconda lista il pittore è addirittura indicato come iscritto alla potentissima confraternita dei crocesignati, che aveva sede proprio nel convento cremonese» (Ferrari, 2016-17, pp. 37 s.).
Al 1593 datiamo anche l’Ascensione di Casalpusterlengo, la Crocifissione nel Carmine di Pavia e il Perdono di Assisi di Bertonico, mentre di poco successive sono l’Annunciazione e la Resurrezione nella cattedrale di Cremona e l’Immacolata Concezione oggi in S. Maria della Steccata a Parma, realizzata nel 1594 per la chiesa piacentina di S. Agostino insieme agli affreschi andati perduti. Nel 1595 Trotti venne chiamato a Regona di Pizzighettone dal funzionario del governo spagnolo don Diego Salazar per decorare una cappella da lui fondata, della quale oggi rimane solo l’Adorazione dei pastori della Banca di Piacenza, scomparto centrale di un trittico. Tra il 1593 e il 1594 la Fabbrica della cattedrale di Cremona inviò il Malosso a Milano «per il progetto di capitelli destinati all’altare di S. Benedetto» (Lucchini, 1894, p. 140). A Milano si conservano l’Adorazione dei pastori al Castello Sforzesco (Cavalieri, 2010, pp. 33 s., 104, tav. XXII), la Cena in casa del Fariseo in S. Marco, la Deposizione nella chiesa dei Ss. Nazaro e Celso alla Barona e quella nel Museo diocesano.
Seppur non sia documentato, Trotti deve aver intrapreso più o meno in questo periodo anche un viaggio a Roma e nell’Italia centrale, le cui conseguenze sono ravvisabili soprattutto nella cospicua produzione grafica. Sappiamo per certo, invece, che nel 1597 fece un viaggio a Venezia (Boselli, 1971, pp. 23 s.), luogo in cui poté osservare grandi maestri come Tiziano e Veronese, dell’influenza dei quali troviamo traccia già nel S. Antonio Abate tentato del 1590 (Poltronieri, 2016-17, pp. 127-134). Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento la bottega del Malosso lavorò a due grandi decorazioni ad affresco contemporaneamente, nella cappella del SS. Sacramento nel duomo di Salò e nella cappella dell’Immacolata Concezione in S. Francesco a Piacenza, testimonianze del grande successo raggiunto in quel periodo dall’artista e della sua capacità organizzativa imprenditoriale (Poltronieri, 2019, pp. 77 s.).
Piacenza diventò una seconda patria per il pittore, dal momento in cui vi ebbe residenza tra il 1599 e il 1600 (Fiori, 1991, p. 69) e vi dipinse molte opere ancora oggi visibili: l’Immacolata concezione in S. Francesco, l’Apparizione della Vergine a s. Giacinto in S. Giovanni in Canale, la Madonna con Bambino e santi, La Beata Vergine e Cristo intercedenti nel Museo civico e il Matrimonio mistico di s. Caterina nella chiesa dei Cappuccini. Agli stessi anni risalgono il Congedo di Cristo da Maria e la Discesa di Cristo al Limbo per il convento dei domenicani a Lodi e la perduta Deposizione per la chiesa cremonese di S. Maria della Passione (Poltronieri, 2009-10, pp. 200 s., e 2019, pp. 220 s.), opere in cui i colori si fanno più intensi, l’atmosfera più teatrale e la luce più cupa. Al contrario, nella Madonna e santi in S. Pietro al Po, firmata e datata 1604, l’artista si riavvicinò alla delicatezza delle fisionomie correggesche e alle tinte tenui della prima attività.
Fu in quest’anno che Giovanni Battista si trasferì a Parma presso la corte di Ranuccio Farnese, per cui decorò sia il teatro sia la cosiddetta sala del Malosso nel palazzo del Giardino. La sua attività in quest’ultima sede si protrasse fino al 1606, dove terminò l’opera iniziata da Agostino Carracci, al quale dobbiamo, secondo Carlo Cesare Malvasia (1678), l’appellativo di Malosso, poiché «soleva dire Agostino aver egli dato in un mal osso da rodere» (p. 481). L’informazione venne smentita nel 1881 da Amadio Ronchini (pp. 5 s.), al quale dobbiamo la notizia del conferimento a Trotti nel 1609 del titolo di Sacri Lateranensis Palatii comes, miles et eques auratus (pp. 10 s.), come testimoniato anche nella firma apposta sul S. Diego d’Alcalà risana un cieco di Brusuglio del 1610, e come doveva apparire anche nell’iscrizione ormai illeggibile sulla Comunione degli Apostoli di Casalmaggiore, commissionata nel 1612.
Nel luglio del 1618 alcuni problemi di salute costrinsero Trotti a tornare a Cremona, ma il periodo di riposo fu breve a causa delle sollecitazioni del duca di Parma a riprendere i lavori per l’arrivo a Piacenza del granduca di Toscana Cosimo II, poiché Giovanni Battista fu anche architetto, progettista di apparati effimeri, fontane e arredi sacri. Negli anni parmensi il Malosso ebbe un figlio illegittimo, Aristide, che lo seguì nell’arte pittorica ma del quale non possediamo nessuna traccia fuorché una menzione nei documenti ufficiali: Trotti dispose infatti le sue ultime volontà in un codicillo datato 9 giugno 1619 (Cadoppi - Dallasta, 2012, p. 97) e solo due giorni dopo, l’11 giugno, morì a Parma, dove venne sepolto nell’oratorio della SS. Trinità. Grazie all’inventario dei beni presenti nella casa dell’artista al momento della morte (pp. 97-102) sappiamo che l’ultima tela eseguita fu La prova del Fuoco, ancora da consegnare al convento dei cappuccini di Fontevivo e oggi conservata nelle collezioni civiche di Verona (Guzzo, 2018, pp. 272 s.; Ferrari, 2016-17, p. 137, nota 30; Fontana, 2019).
Fonti e Bibl.: Cremona, Biblioteca statale, ms. AA.216: D. Arisi, Accademia de’ pittori cremonesi, con alcuni scultori ed architetti pure cremonesi, XVII-XVIII secolo, pp. 133-136.
A. Lamo, Discorso [...] intorno alla scoltura et pittura, dove ragiona della vita, et opere in molti luoghi et a diversi prencipi et personaggi fatte dall’eccellentissimo e nobile m. Bernardino Campo pittore cremonese, Draconi, Cremona 1584, p. 90; C.C. Malvasia, Felsina pittrice, I, Bologna 1678, pp. 344, 481; G.B. Zaist, Notizie istoriche de’ pittori, scultori, ed architetti cremonesi, II, Cremona 1774, p. 31; A. Ronchini, Il Cav. Malosso in Parma, Modena 1881; L. Lucchini, Il duomo di Cremona. Annali della sua fabbrica e documenti inediti, II, Mantova 1894, p. 140; C. Ceruti, Vita e opere di G. B. T. detto il Malosso, Parma 1902; C. Boselli, Nuove fonti per la storia dell’arte: l’archivio dei conti Gambara presso la civica Biblioteca Queriniana di Brescia, Venezia 1971, pp. 20-24; M. Di Giampaolo, Per il Malosso disegnatore, in Arte illustrata, VII (1974), pp. 18-35; G. Bora, Disegni, (catal.), a cura di M. Gregori, Cremona 1985, pp. 267-316; R. Miller, Regesto dei documenti. XIII. G.B. T., ibid., pp. 478-481; M. Tanzi, Qualche aggiunta al Malosso e alla sua cerchia, in Prospettiva, 1985, n. 40, pp. 81- 86; C. Vanzetto, G.B. T. detto il Malosso, in I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, cit., pp. 238-248; M. Tanzi, Microstorie malossesche: pratica di bottega e problemi di committenza, in Dal disegno all’opera compiuta, a cura di M. Di Giampaolo, Perugia 1987, pp. 105-107; G. Fiori, La cappella della Concezione in San Francesco di Piacenza e le sue opere d’arte, in Strenna piacentina, 1991, pp. 61-70; M. Tanzi, Malosso e “dintorni”: dipinti e disegni, in Prospettiva, 1991, n. 61, pp. 67-74; Id., schede n. 1-3, in Barocco nella Bassa: pittori del Seicento e del Settecento in una terra di confine (catal., Casalmaggiore), a cura di M. Tanzi, Milano 1999, pp. 60-65; Id., schede 88-98, in Disegni cremonesi del Cinquecento (catal.), a cura di M. Tanzi, Firenze 1999, pp. 140-155; A. Loda, schede 138-144, in La Pinacoteca Ala Ponzone. Il Cinquecento, a cura di M. Marubbi, Cremona 2003, pp. 177-190; M. Marubbi, Don Diego Salazar. Un mecenate spagnolo a Pizzighettone e nel Cremonese, in Castelli e mura tra Adda, Oglio e Serio, Cremona 2003, pp. 25-34; M. Tanzi, Misto Cremona, 1, in Kronos, IX (2005), pp. 115-156; V. Guazzoni, Pittura come poesia. Il grande secolo dell’arte cremonese, in Storia di Cremona. L’età degli Asburgo di Spagna (1535-1707), a cura di G. Politi, Azzano San Paolo 2006, pp. 350-415 (in partic. pp. 402-406); M. Tanzi, Malosso per Giambattista Marino, in Kronos, X (2006), pp. 123-132; R. Poltronieri, L’opera pittorica di G.B. T. detto il Malosso, tesi di laurea, Università Cattolica di Milano, a.a. 2009-10; F. Cavalieri, Episodi e protagonisti della pittura a Lodi tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento, in F. Cavalieri - M. Comincini, Oltre i Piazza. La cappella del Rosario in S. Domenico e altri episodi dell’arte a Lodi tra fine ’500 e metà ’600, Lodi 2010, pp. 11-79; A. Cadoppi - F. Dallasta, L’atelier del Malosso: tele e disegni fra libri, piante e animali, in Aurea Parma, XCVI (2012), 1, pp. 87-109; M. Tanzi, scheda n. 2, in L’ultimo priore. Dipinti cremonesi dal Cinquecento al Settecento (catal., Cremona), a cura di M. Tanzi, Persico Dosimo 2012, pp. 26-33; A. Ferrari, Il convento di San Domenico a Cremona: opere d’arte e inquisitori nella Lombardia spagnola, tesi di dottorato, Università Statale di Milano, a.a. 2016-17, pp. 136 s.; R. Poltronieri, Una grande bottega artistica nella Lombardia della seconda metà del Cinquecento: G.B. T. detto il Malosso, tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari di Venezia, a.a. 2016-17; E. Guzzo, scheda n. 319, in Museo di Castelvecchio. Catalogo generale dei dipinti e delle miniature delle collezioni civiche veronesi, II, Dalla metà del XVI alla metà del XVII secolo, a cura di P. Marini - E. Napione - G. Peretti, Cinisello Balsamo 2018, pp. 272 s.; A.C. Fontana, Ritorno a Fontevivo: la pala veronese del Malosso con San Domenico e il rogo dei libri eretici, in Arte Documento, 2019, n. 35, pp. 144-149; R. Poltronieri, Il Malosso e la sua bottega, Milano 2019.