TROTTI BENTIVOGLIO, Costanza e Margherita
– Costanza nacque il 21 giugno 1800 a Vienna, dal marchese milanese Lorenzo Galeazzo (1759-1840) e da Maria Antonia Hedwig Schaffgotsch (1771-1837), nobildonna di famiglia morava.
Visse nella capitale asburgica fino al 1807, quando con la famiglia si trasferì a Milano, nel palazzo Trotti di via De’ Bossi dove nacque, il 4 aprile 1811, la sorella Margherita. I marchesi Trotti Bentivoglio ebbero una prole numerosa: oltre a Costanza e Margherita, nacquero Teresa (1796-1857), Antonio (1798-1879), Andreino (1799-1810), Paolina (1801-1831), Anna (1804-1841), Ludovico (1805-1856), Carolina (1806-1884), Ludmilla (1808-1876) e Marietta (1810-1887).
Ben inseriti nella vita della città, spesso presenti alla corte vicereale di Monza, i Trotti Bentivoglio ebbero buoni rapporti con le autorità austriache, frequentatrici abituali del salotto della marchesa Antonia. Ciò nonostante la figlia Costanza, sposata dal giugno del 1818 con il cugino Giuseppe Arconati, fu tra coloro che tra i primi dovettero lasciare Milano dopo i moti del marzo del 1821. Il marchese Arconati era stato infatti uno dei finanziatori più generosi dei Federati lombardi, e aveva fatto parte della delegazione che si era recata da Carlo Alberto per chiedere un suo intervento in Lombardia. Dopo il fallimento della ribellione, esortato dalla suocera informata dai vertici austriaci, Giuseppe si era visto costretto ad abbandonare in fretta e furia Milano e riparare in Francia, dove venne poi raggiunto dalla moglie e dal figlio Carlo, di soli tre anni. L’esilio dei due giovani fu un duro colpo per la famiglia, in modo particolare per Antonia, che pur non condividendo le loro azioni tentò in tutti i modi di aiutarli intercedendo presso Giulio Cesare conte Strassoldo e le autorità di governo. Ma ogni suo sforzo si rivelò vano: Giuseppe venne infatti condannato in contumacia e lui e la moglie si videro costretti a rimanere lontani da Milano. A differenza di quella di altri esiliati, fuori dall’Italia la sorte di Costanza e del marito non fu avversa: una volta riparati in Belgio, Giuseppe ereditò da uno zio una residenza a Bruxelles e un castello nella località di Gaasbeek, dove fin dai primi anni Venti trovarono riparo numerosi fuoriusciti italiani, tra cui Giovanni Arrivabene e Giovanni Berchet, che allacciò una devota amicizia con Giuseppe e con Costanza e divenne istitutore del figlio Carlo. Nonostante parte dei loro beni, quelli ‘lombardi’, fossero stati confiscati, nel corso degli anni Venti e dei primi anni Trenta i due coniugi viaggiarono continuamente in giro per l’Europa, si spostarono in Francia, Belgio e Germania. Costanza approfittò dei diversi luoghi e incontri per apprendere il più possibile, concentrandosi sullo studio delle lingue e della filosofia. Nel 1834, in una lettera a Claude Fauriel, l’intellettuale inglese Mary Clarke ne lodò le grandi doti, riconoscendone i progressi da quando l’aveva conosciuta, fresca di matrimonio (De Mohl, 1911, pp. 678 s.). Quasi ogni anno Costanza faceva rientro a Milano per incontrare i suoi familiari, o li rivedeva portandosi al confine svizzero, dove la raggiungevano dalla loro casa sul lago di Como in cui erano soliti trascorrere l’estate.
Il padre Lorenzo, nei suoi diari, non espresse mai parole di disappunto per la vita errante e per le opinioni politiche della figlia e del genero; le sporadiche occasioni d’incontro erano anzi fonte di grande gioia per tutti, in particolare per Margherita, l’ultimogenita dei marchesi.
Intelligente e studiosa, Margherita era cresciuta tra la casa di Milano e le residenze in campagna, istruita da istitutori e dal padre. Dalle lettere scritte alla sorella Costanza, nei primi anni Trenta, è tuttavia evidente quanto l’ambiente milanese non la soddisfacesse, e quanto la sua insoddisfazione causasse attriti con la madre. I balli, le serate a teatro, i mesi nella villa di campagna di Vedano Brianza o in quella di S. Giovanni di Bellagio le risultavano monotoni, ripetitivi. Le visite della sorella maggiore erano invece per lei motivo di grande felicità. Non solo Costanza portava con sé una ventata di novità, ma era anche l’unica che sollecitava i genitori a concederle qualche libertà. Nell’estate del 1832 seguì la sorella in Ticino. Ad attenderle vi era Giuseppe, che organizzò per loro un viaggio nella zona. In quei dieci giorni la giovane Margherita, ventunenne, conobbe il nobile esule piemontese Giacinto Provana di Collegno, allora trentottenne, che accompagnava gli Arconati in viaggio. Da quella frequentazione, a quanto sembra, nacque una proposta di matrimonio che fu rifiutata dai marchesi Trotti nonostante l’entusiasmo di Margherita. A opporsi era stata in particolare sua madre, contraria alla differenza d’età e allo stato di fuoriuscito di Collegno. Negli anni seguenti quel rifiuto provocò un ulteriore distacco tra le due, di cui Antonia soffrì molto.
Nel 1834, durante una delle abituali visite estive a Milano, Costanza propose ai marchesi di lasciar partire Margherita con lei e il nipote nell’autunno seguente per l’Europa. La questione causò grandi discussioni in famiglia, soprattutto perché Antonia temeva che Margherita potesse riavvicinarsi a Collegno, in quel periodo a Parigi. Chi ebbe la meglio in quell’occasione fu il padre Lorenzo, che riuscì a intercedere per la figlia più piccola lasciando che partisse. Nei primi mesi del 1835 Margherita si trovava già con la sorella e il cognato. Dopo qualche settimana a Berlino, il gruppo formato dai coniugi Arconati e da Berchet fu costretto a lasciare la città su sollecito delle autorità che non volevano ospitare due esuli rischiando d’incorrere in traversie diplomatiche con l’Austria. Abbandonata Berlino, gli Arconati fissarono per sei mesi una dimora a Bonn, dove godevano di numerose conoscenze nell’universo intellettuale cittadino, e alla fine dell’estate raggiunsero il castello di Gaasbeek. Al gruppo si aggiunsero il giurista tedesco Eduard Gans e il poeta bresciano Giovita Scalvini, che in quel periodo intrattenne una relazione amorosa con Costanza. Nel corso degli anni la maggiore delle sorelle Trotti ebbe diverse relazioni extraconiugali: una, a quanto pare, con lo stesso Collegno, che nel 1824 aveva seguito in Francia causando grande scandalo in famiglia e a Milano. Molte voci la descrissero anche amante di Berchet: sebbene tra lui e la marchesa non vi fosse nulla, oltre a una profonda amicizia, il poeta dimostrò sempre per lei un amore fedele. Costanza tuttavia tornò sempre dal marito, cui era legata da un fortissimo affetto nonostante l’uomo soffrisse di una grave forma di nevrastenia.
Il periodo che Margherita passò in Belgio con gli Arconati, di cui rimane traccia in un diario, fu caratterizzato da una forte inquietudine: la giovane donna provava infatti un’ammirazione sconfinata per la sorella, ma paragonandosi a lei, così colta e spigliata, finiva per giudicarsi ignorante e stupida. Anche la relazione tra Costanza e Scalvini fu fonte di tristezza, dato che il suo legame sentimentale con Collegno sembrava in quel periodo non avere alcuna speranza di riuscita. Tra la fine del 1835 e l’inizio del 1836, dopo un lungo scambio con i marchesi Trotti Bentivoglio, da Milano giunse tuttavia l’approvazione al loro matrimonio. Margherita e la famiglia Arconati si recarono così prima a Parigi per incontrare Collegno e poi a Bonn, dove il 26 maggio 1836 furono infine celebrate le nozze tra i due. In seguito, i Provana di Collegno si trasferirono a Parigi, dove furono raggiunti spesso dagli Arconati. Lì frequentarono gli ambienti intellettuali vicini a Fauriel e Victor Cousin e conobbero Vincenzo Gioberti diventandone amici.
Le tendenze politiche liberal-moderate delle due coppie furono chiare anche nella scelta delle loro amicizie: famosa fu ad esempio l’antipatia che le due sorelle nutrirono per Cristina Trivulzio di Belgiojoso. Nel 1837 Costanza non cedette persino davanti alle insistenze di Alessandro Manzoni (amico la cui figlia Sofia sposò nel 1838 il fratello di Costanza, Lodovico) perché accogliesse a Gaasbeek Bianca Milesi Mojon, pittrice milanese e patriota, a causa di voci di una sua «dileguata riputazione», e forse ancora di più, come riconosceva Berchet (1956), perché «verrebbe a tornare in quella specie di società del 21 e 22, del che non la credo desiderosa» (II, p. 70). Ecco quindi i primi segni da parte degli Arconati di un loro allontanamento dalle idee forse più radicali dei primi anni Venti.
Nel 1838 il marito di Margherita si era intanto laureato in scienze naturali, corso di studi che aveva intrapreso nel 1831 in Svizzera, e aveva continuato nella capitale francese, specializzandosi in geologia. Alla fine dello stesso anno gli fu assegnata la cattedra di botanica, mineralogia e geologia all’Istituto superiore di Bordeaux, città dove i Collegno si trasferirono all’inizio del 1839. Il passaggio dalla vita parigina a quella della provincia francese non fu facile, soprattutto per Margherita; la città, dalla natura prettamente commerciale, non offriva circoli intellettuali da poter frequentare, e l’unica distrazione per la giovane donna erano le visite degli amici o della sorella.
Nel giugno del 1839 la famiglia fu colpita da un grave lutto: Carletto, il figlio di Costanza, morì a causa di una malattia improvvisa. I genitori e tutti gli abituali frequentatori del circolo di Gaasbeek ne furono scossi, primi fra tutti i Collegno, che si ritirarono con gli Arconati nella cittadina di Pau per il resto dell’anno. Motivo di tale allontanamento dalla scena pubblica, da Parigi e da Bruxelles, fu quello di superare il doloroso lutto per la morte di Carletto. Nel novembre dello stesso anno Costanza, senza comunicarlo a parenti e amici, diede alla luce un altro figlio, Giammartino. Non sono certe le ragioni per le quali fu celata la sua gravidanza (Scioscioli, 1955, pp. 162 s.).
Nel 1840, grazie a un’amnistia dell’impero austriaco, gli Arconati fecero infine ritorno in Italia, prima viaggiando tra Genova, Pisa, Roma e Napoli, e poi fermandosi a Pisa.
I Collegno approfittarono invece dell’indulto concesso da Carlo Alberto solo nel 1846, e si trasferirono a Firenze. Il Granducato di Toscana fu scelto da entrambe le famiglie perché sembrava garantire una libertà di pensiero che il Lombardo-Veneto e il Regno di Sardegna non avrebbero potuto concedere.
A Firenze Margherita e Giacinto entrarono nel circolo di Gino Capponi, mentre a Pisa Costanza e Giuseppe frequentarono assiduamente Giuseppe Giusti e Giuseppe Montanelli.
L’attività epistolare fra Costanza, Margherita e i loro numerosi amici sparsi per l’Europa fu molto viva in quegli anni, in particolar modo quella con i fratelli e le sorelle rimasti a Milano; particolarmente ricchi furono gli scambi con il fratello Antonio e con la sorella Marietta. Nei primi mesi del 1848 le due famiglie furono raggiunte dalle notizie delle tensioni che erano esplose in città tra austriaci e milanesi in seguito allo ‘sciopero del fumo’, e delle sanguinose conseguenze che ne erano derivate. Anche il Granducato di Toscana, dove risiedevano, non sembrava peraltro rappresentare più un’oasi lontana dai fatti che in quel tempo coinvolgevano il Paese. Temendo un’invasione austriaca, a partire dalla fine del 1847, il governo aveva già varato un programma di potenziamento dell’esercito, e attribuito a Collegno l’incarico di ispezionare le difese stanziali toscane. Da quel primo ruolo al suo ritorno in grande stile sulla scena politica, il passo fu breve. Solo a causa degli strascichi di un’operazione chirurgica Collegno non riuscì a raggiungere Milano durante le Cinque giornate. Una volta guarito, all’inizio di aprile si recò a Torino, dove fu nominato senatore del Regno di Sardegna e in seguito direttore del ministero della Guerra a Milano, dove in quell’occasione fecero ritorno anche la moglie e i cognati Arconati. In quegli anni anche Costanza e Margherita si impegnarono attivamente nel promuovere la necessità di un’annessione lombarda al Piemonte, sfruttando le loro spiccate capacità d’intessere relazioni sociali. L’impegno di Collegno fu totalizzante anche durante la prima guerra d’indipendenza. Dopo l’armistizio fu tuttavia costretto amaramente a consegnare le dimissioni, ed entrambe le famiglie Arconati e Collegno lasciarono nuovamente la Lombardia: i primi fecero ritorno in Toscana, mentre nell’autunno del 1848 i Collegno si trasferirono a Torino, dove Giacinto riprese il ruolo di senatore. La partecipazione alla vita politica sabauda impegnò entrambi i coniugi: Giacinto attivamente, Margherita come spettatrice delle sessioni parlamentari, che erano aperte al pubblico. Le posizioni politiche della coppia, decisamente ostili alle frange democratiche, si allontanarono anche da quelle dei moderati più conservatori.
Nel 1849 furono raggiunti dai cognati a Torino, dove Costanza costituì un nuovo salotto di stampo liberale. In seguito all’abdicazione di Carlo Alberto, Collegno maturò la decisione di lasciare la vita politica e con la moglie raggiunse il sovrano in esilio in Portogallo per consegnargli un omaggio del Senato piemontese. Dopo aver ottenuto la cittadinanza sarda anche Arconati fu eletto al Parlamento e questo lo legò ulteriormente alla visione politica moderata del cognato, che non vedeva di buon occhio Camillo Cavour e si allineava a quella di Massimo d’Azeglio.
A partire dal 1850 la salute di Collegno cominciò a declinare, ciò nonostante il senatore non abbandonò il suo ruolo; alla vita di Torino si aggiunse quella delle rive del lago Maggiore, nella località di Baveno, dove lui e la moglie passavano parte dell’anno, e dove costituirono un salotto frequentato, oltre che dagli Arconati, anche da Manzoni, Antonio Rosmini e Ruggero Bonghi. Alla fine del 1851 la vita dei Collegno, che si stava facendo sempre più tranquilla, fu scossa da un nuovo incarico per Giacinto: venne infatti inviato come ministro plenipotenziario del Regno in una Parigi scossa dal recentissimo colpo di Stato di Luigi Napoleone. Agli inizi del 1852 la coppia si trasferì nella capitale francese in aperta opposizione al regime bonapartista, pur restando in contatto con tutti i familiari e con gli Arconati rimasti in Italia, mal sopportando l’ambiente politico parigino, asservito al nuovo presidente, e anche quello torinese, da cui si sentivano più esclusi che spalleggiati. L’atteggiamento di d’Azeglio, in particolare, che tendeva a non curarsi dei rapporti diplomatici intrattenuti da Collegno, rafforzava la loro idea che la funzione di Giacinto fosse meramente rappresentativa. Per questo motivo nel novembre del 1852, quando fecero ritorno a Torino, fu con grande sollievo che ripresero un ritmo meno serrato, che meglio si addiceva alla salute sempre più debole del senatore. Lo scoppio della guerra di Crimea lo riportò tuttavia nuovamente a doversi occupare dell’organizzazione dell’esercito dopo la dichiarazione di guerra sabauda del marzo del 1855. I due coniugi si trasferirono allora a Genova, da dove partivano le navi per il fronte russo. Nella città ligure fu evidente quanto il senatore fosse ormai allo stremo delle forze. Resistette fino a settembre, quando venne sostituito e poté tornare a Baveno. Nella primavera del 1856 Giacinto morì; da quel momento Margherita si ritirò a vita privata, dividendosi tra le residenze di Torino e Baveno, e vedendo quasi esclusivamente i familiari.
Morì il 5 settembre 1867, a soli cinquantasei anni, e fu tumulata accanto al marito nel cimitero di Baveno.
Gli Arconati continuarono invece a vivere a Torino per seguire la carriera di Giuseppe, che militava nelle file della Destra e che in seguito all’Unità venne nominato senatore del Regno. Costanza, nel corso dei suoi ultimi quindici anni di vita, si concentrò sul figlio Giammartino. Il marito si dedicò a lunghi viaggi in Europa e in Oriente, dove poté sfogare la sua passione per l’arte e contrasse una malattia che ne indebolì il fisico e lo avrebbe portato prematuramente alla morte, nel 1876. Costanza tentò in tutti i modi di aiutarlo a guarire, accompagnandolo in varie località dove potesse farsi curare.
Morì il 18 maggio 1871 a Vienna, proprio durante uno dei loro tanti viaggi.
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