tropo
Dal lat. tropus, gr. τρόπος, affine a τρέπω «volgere; adoperare con altro uso». Accanto a quello generale di «modo, modalità», il termine acquisisce un significato specifico nella filosofia antica, con sfumature diverse a seconda dei contesti. Nella logica peripatetica, τρόπο (sono i «modi del sillogismo», ossia le modalità con cui il predicato inerisce o non inerisce al soggetto (Analitici primi, I, 8, 29b e segg.); nel pensiero scettico t. della sospensione dell’assenso sono gli argomenti fondamentali con cui gli scettici antichi sostenevano la loro posizione di assoluto agnosticismo (➔ scetticismo). La tropologia ricopre un ruolo centrale nell’ambito dell’indirizzo scettico, nel quale i t. sono «le categorie del dubbio»; le principali fonti che permettono di ricostruirne la mappa sono Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, IX, 79-89), Filone di Alessandria (De ebrietate) e Sesto Empirico (Schizzi pirroniani, I, 31 e segg.). La formalizzazione della tropologia scettica si ha nel 1° sec. a.C. con Enesidemo, il quale aveva indicato dieci modalità di argomentazione che conducono a sospendere il giudizio sulla verità o falsità delle tesi avanzate dai dogmatici. Essi descrivevano le situazioni che danno origine a opinioni contrastanti o addirittura contraddittorie, per es., la diversa costituzione degli individui, la quale dà luogo a percezioni diverse degli stessi oggetti, così come le differenze di educazione o delle leggi originano diverse valutazioni di ciò che è buono o cattivo, giusto o ingiusto. Sulle orme di Enesidemo, Agrippa, nel 1° sec. d.C., individuò altri cinque t., ai quali Sesto Empirico aggiunse altri due (Schizzi pirroniani, I, 178-179), pur dichiarando programmaticamente di non voler affermare nulla né intorno al loro numero, né intorno al loro valore. Se assunti categoricamente, infatti, i t. esporrebbero all’accusa di dogmatismo.