TRONO
Con il termine t. si riconosce un seggio destinato a esaltare l'autorità del sedente.
Per quanto si tenda a identificare nel t. un attributo della regalità (v. Regalia), questo è un confine d'uso decisamente restrittivo, perché il diritto all'utilizzo di un seggio nobilitante competeva nel Medioevo anche a personalità minori nella scala dell'ordinamento feudale. Il fatto risulta con chiarezza dal caso delle autorità temporali raffigurate nell'Exultet Barberini (Roma, BAV, Barb. lat. 592), dove le figure affiancate di un imperatore e di un conte si riconoscono per le differenze negli attributi primari, come la corona imperiale a fronte del cappello comitale, piuttosto che per la forma del t., insegna alla quale hanno diritto entrambi.
Più che inseguire, nelle rappresentazioni d'epoca, possibili forme di veri t., è utile constatare come la semplicità strutturale rimanga una costante, anche in situazioni in cui viene messa visivamente in risalto la diversa posizione gerarchica delle autorità alle quali ne compete l'uso. In mancanza di testimonianze dirette superstiti, è sufficiente citare le miniature del codice originale della Vita Mathildis di Donizone (Roma, BAV, Vat. lat. 4922), approntato nel 1115 dallo stesso autore, per constatare come la presenza del t. sia una costante nei ritratti di tutti gli esponenti della dinastia dei Canossa e dunque costituisca un attributo d'obbligo nella definizione della loro autorità. Si tratta di t. dalle forme semplici, privi di elementi figurati, tutt'al più dotati di alti dossali formati da due colonnine, tra le quali sembra essere tesa una stoffa. È sulla base di questo particolare che si può pensare che il t. ligneo conservato nell'abbazia di Montevergine (Mus. e Galleria) sia un seggio comitale destinato all'abate dopo che questi, nel 1195, era stato investito dall'imperatore Enrico VI (1191-1197) della contea di Mercogliano. Sul suo dossale si stende un ornato scolpito con rotae all'interno delle quali si dispongono scene di caccia, che sembrano imitare il decoro di una stoffa.Il tratto più caratteristico del t. è di non avere simboli religiosi e di essere ricco di riferimenti alla potenza del sedente, espressi attraverso immagini simboliche come i leoni tenuti alla catena, sulla fronte del sedile, o le scene di cavalieri che uccidono un leone e un drago, all'interno dei braccioli. Si tratta di motivi magnificanti che risalgono a un'antica tradizione di espressione simbolica del concetto di autorità e che non competono, in senso stretto, all'idea della regalità, ma a quella della potenza. Lo conferma il ricamo di Bayeux (Bayeux, Tapisserie de Bayeux), dove i t. comitali e ducali hanno sempre degli attributi simbolici, come teste e zampe leonine, mentre, dopo la sua incoronazione a re d'Inghilterra, Aroldo riceve l'offerta della spada, seduto su un t., dalle forme semplici e lineari, con la corona sul capo e in mano lo scettro e il globo, che sono i veri strumenti significanti del suo nuovo ruolo.Non è detto tuttavia che i t. destinati ai feudatari dovessero avere di necessità un decoro simbolico: il t. ligneo conservato nell'abbazia di Isenhagen, creato nei primi anni del sec. 13° per la fondatrice, la contessa Agnes di Meissen, ha forme semplicissime. Della stessa tipologia sono anche i t. conservati nelle chiese svedesi di Husaby e di Gamla Uppsala: la destinazione laica non comporta altra decorazione se non quella derivante da una lavorazione del legno in termini aniconici.La connessione magnificante tra il t. e il leone, inteso come simbolo di potenza del sedente, risale già all'antico Egitto. Un riflesso di essa sono i due leoni che affiancano il t. fatto realizzare da Salomone e descritto nell'Antico Testamento (1 Re 10, 18-20; 2 Cr 9, 17-19). I suoi tratti più caratteristici sono costituiti dall'avere la sommità dello schienale rotonda, dall'essere d'avorio e d'oro, dunque mobile, perché con un'anima lignea, e dall'avere davanti sei gradini, dunque dall'essere disposto al di sopra di una struttura fissa, appositamente realizzata per contenerlo. Sono questi gli aspetti che più frequentemente sarebbero stati ripresi nei t. del Medioevo, piuttosto che il motivo, più appariscente ma eccessivamente ingombrante, dei dodici piccoli leoni disposti a coppie al di sopra dei gradini. In ogni caso l'esistenza di una tradizione tipologica in tal senso ha conferma dal fatto che un t. analogo venga attribuito ad Assuero nei dipinti murali della sinagoga di Dura Europos (Damasco, Mus. Nat.), con alcune varianti: i gradini sono solo tre e vi si alternano due coppie di aquile e una di leoni.Il caso più noto di t. direttamente ispirato a quello salomonico fu visto nel sec. 10° dal vescovo di Cremona Liutprando (Antapodosis, VI, 5; MGH. SS rer. Germ., XLI, 19153, pp. 154-155) nel gran triclinio del complesso della Magnaura nel Grande Palazzo a Costantinopoli. Con ogni probabilità si trattava di un meccanismo automatico mosso ad acqua, che era stato arricchito, alle spalle, con un albero dalle foglie d'oro, sul quale si disponevano degli uccelli che avevano la capacità di gorgheggiare. I leoni che lo affiancavano battevano per terra la coda ed emettevano ruggiti dalle fauci, mentre il seggio vero e proprio poteva sollevarsi. Quest'ultimo aspetto testimonia del fatto che gli imperatori bizantini avevano fatto propria l'idea del volo come momento glorificante, da esprimere attraverso gli attributi del trono.Quest'idea era stata tipica della Persia sasanide. Come nel caso della coppa di Cosroe I, la c.d. tazza di Salomone (Parigi, BN), i t. presenti nei ritratti degli imperatori sasanidi sono retti da animali alati, come grifoni o leongrifi, con il compito di suggerire la possibilità del sovrano di essere sollevato in un volo magnificatorio. È questo un aspetto che non colpisce l'immaginario del Medioevo occidentale, il quale ricava altre possibilità di espressione simbolica dal complesso amalgama di suggestioni legate al ricordo biblico del t. salomonico e agli esempi derivati dalla tradizione cui anch'esso si rifaceva.Oltre che nel mondo orientale, l'attributo delle protomi leonine, derivato dalle immagini della dea Cibele, è presente anche in quello romano, come testimonia il t. marmoreo proveniente dalla città di Luni (Torino, Mus. di Antichità), probabilmente destinato in origine a reggere la statua di un imperatore della dinastia dei Severi. Tuttavia non è la presenza di questo attributo ad apparire determinante nella non fitta casistica dei t. medievali sopravvissuti. Esso è di prammatica nei faldistori, ai quali arriva per il tramite della imitazione della sella consolare, così come è rappresentata nei dittici eburnei tardoantichi. Il t. sul quale siede il re longobardo Agilulfo nella lamina conservata a Firenze (Mus. Naz. del Bargello) è semplice di forme e privo di attributi. Si tratta di un seggio senza schienale, retto da zampe decorate da borchie e pomoli che sembrano suggerire una struttura lignea, impreziosita dall'inserto di altri materiali. È questa una delle caratteristiche del modello salomonico maggiormente presente al Medioevo occidentale, nel senso che il t. può essere fisso, ma anche mobile e fatto di materiali leggeri, senza che questo interferisca nella sua funzione magnificante. Si tratta del resto di uno degli aspetti che contribuiscono a distinguerlo sia dal faldistorio (v.), sempre mobile e di materiale leggero, sia dalla cattedra (v.), sempre fissa e di materiale pesante. Il t. appare invece come una struttura per niente legata a una canonizzazione tipologica e capace di darsi, volta a volta, delle caratteristiche proprie, anche sul piano materico.Esempio significativo è il t. marmoreo di Carlo Magno, conservato nel matroneo della Cappella Palatina di Aquisgrana. Malgrado gli spostamenti e le manomissioni subìti, esso conserva ancora elementi sufficienti per essere giudicato. Il richiamo al t. salomonico è sottolineato dalla terminazione arrotondata dello schienale e dai sei gradini che precedono il seggio vero e proprio. Nuova è invece la presenza di un vano vuoto, destinato ad accogliere una reliquia, all'interno del basamento sul quale poggia il sedile, con accesso dal lato posteriore. A un livello strettamente formale l'idea del t. contenitore non è nuova: la c.d. cattedra di s. Marco (Venezia, Tesoro di S. Marco) è un piccolo reliquiario di provenienza siriaca. La differenza è data dal fatto che, viste le sue modeste dimensioni, il t.- reliquiario non era destinato a un uso pratico, ma veniva venerato come contenitore di una reliquia e per questo evocava il santo al quale era idealmente destinato, mentre nel caso del t. di Carlo Magno contava il legame tra il sedente e l'oggetto di culto. Non si conosce con certezza quale fosse la reliquia contenuta nel t. e dunque risulta difficile stabilire il senso effettivo di quel rapporto.Lo stesso legame simbolico ricorre anche in altri troni. Che il c.d. altare di Crodo (Goslar, Goslarer Mus.), unito al dossale in bronzo conservato nella Domvorhalle di Goslar, formasse in origine un t. conservato nella cattedrale e destinato alla consacrazione dei re di Germania è solo un'ipotesi, tuttavia molto suggestiva, perché ripropone la situazione di rapporto tra sedente e reliquia presente nel t. di Aquisgrana. L'altare, sicuramente destinato a contenere una reliquia nella zona interna vuota, è retto da quattro telamoni e questo suggerisce un confronto con l'immagine di apoteosi presente in un evangeliario di età ottoniana (Aquisgrana, Domschatzkammer, c. 16r), in cui un telamone regge sulle spalle il t. su cui siede, chiuso all'interno di una mandorla, un imperatore sul cui capo la mano divina sta ponendo la corona. Il t.-reliquiario doveva rappresentare, in termini simbolici, la sacralizzazione della investitura regia che solo la miniatura poteva rendere esplicitamente, creando una scala gerarchica che andava dalla terra, simbolizzata dal telamone, alla divinità, da cui derivava il potere esercitato sulla prima.La consuetudine del t. contenitore ha una conferma nella Coronation Chair, conservata a Londra, nell'abbazia di Westminster, il seggio sul quale dal 1308 vengono consacrati i re inglesi. Esso venne fatto realizzare tra il 1299 e il 1300 da Edoardo I (1272-1307), che ne diede incarico al pittore di corte Walter di Durham. L'opera finita avrebbe dovuto essere in bronzo ed è verosimile che quello che sopravvive sia l'iniziale modello in legno dipinto su fondo oro. Nel suo insieme il t. è di forme semplici, con un sobrio decoro goticheggiante fatto di arcatelle cieche trilobate e di un dossale terminante in un gâble gattonato, affiancato da due flèches. L'aspetto saliente è dato dal vano vuoto, creato, al di sotto del sedile, per racchiudere la Stone of Scone, la pietra utilizzata come t. per la consacrazione dei re scozzesi. Essa era stata catturata da Edoardo I nel 1297 e il suo possesso era stato la ragione per la costruzione di un t. che la contenesse e che sottolineasse come, al momento della loro consacrazione, i sovrani inglesi fossero investiti di entrambi i regni, quello inglese e quello scozzese.Proprio la Coronation Chair sottolinea come il t. solo occasionalmente fosse una struttura fissa. Già dai ritratti imperiali presenti nei codici di età carolingia e ottoniana si deduce che la più parte dei troni doveva essere mobile e dunque lignea, perché si tratta di strutture decorate, ma dalle forme molto semplici: un seggio a cassa sul quale si innesta un dossale. Che la loro testimonianza sia attendibile è confermato dal confronto puntuale che è possibile istituire tra il t. su cui siede Carlo II il Calvo (843-877) nel ritratto contenuto nel Codex Aureus di St. Emmeram di Ratisbona (Monaco, Bayer. Staats-bibl., Clm 14000, c. 5v) e la c.d. cattedra lignea di S. Pietro, conservata nella cattedra berniniana della basilica vaticana, che le ricognizioni moderne hanno riconosciuto essere un t. donato da quell'imperatore a papa Giovanni VIII (872-882). Al di là del non risolto problema rappresentato dalle due tabelle lignee, contenenti formelle in avorio con immagini di costellazioni e delle fatiche di Ercole, incastrate sulla fronte del sedile, la parte sicuramente carolingia del t. presenta forme sobrie e lineari, fondate su un ornato di arcatelle a giorno, sia nel sedile sia nello schienale. È compito del decoro in avorio, applicato lungo tutto il percorso lineare della struttura, di impreziosire la semplicità dell'opera lignea. Dominante vi appare un tralcio abitato di vivace tenore classicheggiante, governato, al centro della traversa orizzontale del timpano, da un ritratto a mezzo busto dell'imperatore, con in mano lo scettro e il globo, al quale due angeli offrono delle corone. È questo l'unico riferimento alla natura 'imperiale' del destinatario del t. che è possibile rintracciare nell'insieme, anche ammesso che il fitto brulicare di figurette che anima il tralcio possa avere una funzione simbolica di controparte nei confronti di quel potere.
Il t. mobile di età carolingia poteva essere anche in metallo, oltre che in legno, come quello bronzeo detto di Dagoberto, conservato a Parigi (BN, Cab. Méd.). Si tratta in realtà di un'opera composita, nata, forse ancora in epoca merovingia, come faldistorio pieghevole, dotata per questo di protomi di pantere, e trasformata in t. fisso durante il periodo carolingio, con l'aggiunta dei braccioli e dello schienale, che hanno, nell'ornato, dei punti di contatto con la cattedra di S. Pietro. Presente nell'abbazia di Saint-Denis alla metà del sec. 12°, il t. venne fatto restaurare dall'abate Suger (1122-1151), al cui intervento sono da riferire le due testine a tutto tondo, ai lati del dossale, che ricordano le figure a mezzo busto presenti, nella stessa posizione, nel t. ligneo dell'abbazia di Montevergine. La fase carolingia del t. è anche in questo caso contraddistinta da un ornato sapientemente classicheggiante privo di espliciti riferimenti al potere del sedente.La mobilità del t. impone di trasferire all'architettura che lo ospita la funzione magnificante. La questione è già presente in età tardoantica: il fastigio 'siriaco' che fa da sfondo alla scena della presentazione imperiale, nel missorium dell'imperatore Teodosio I (379-395; Madrid, Real Acad. Historia), risalente al 388, adatta le sue forme alla determinazione dell'importanza gerarchica dei personaggi, cosa che non contribuiscono a fare i troni sui quali siedono. Lo stesso accade nelle scene di presentazione contenute nei codici di età carolingia e ottoniana, in cui gli imperatori in t. sono accolti al di sotto di baldacchini o all'interno di recinti, ai quali è demandata la funzione di sottolinearne la regalità. Più difficile è passare dalla dimensione astratta fornita da quelle testimonianze al concreto degli edifici; nel senso che la c.d. architettura di potenza è fenomeno sfuggente, sempre alla ricerca di conferme che pongano con sicurezza lo spazio architettonico in funzione di sostegno del tema maiestatico. Tale è il caso dell'ipotesi che nelle abbazie carolingie la balconata interna del Westwerk potesse essere riservata a sede del t., in occasione delle visite imperiali, sulla scorta di un modello di comportamento che sarebbe stato fornito, in prima istanza, dalla Cappella Palatina di Aquisgrana.Un legame sicuro tra architettura e t. mobile è presente tra le testimonianze superstiti del regno normanno di Sicilia. Nella sistemazione raggiunta nel corso del regno di Guglielmo I (1154-1166), in corrispondenza della navata centrale, al culmime di cinque gradini, la controfacciata della Cappella Palatina a Palermo ospita un ampio ripiano, chiuso lateralmente da plutei, destinato a contenere un t. mobile, secondo un modello che ricorda il tribunal tardoantico. A dare senso compiuto alla sistemazione interviene il mosaico sovrastante, con la figura del Cristo in t., benedicente e affiancato dai ss. Pietro e Paolo, destinato a sovrastare il sovrano, una volta che questi si fosse disposto al centro della balconata. Lo spazio riservato al t. invade l'asse principale dell'edificio e sostituisce quella che è la tradizionale posizione della principale via di accesso, funzione che adesso viene deferita solo alle navate laterali. Soprattutto la scenografia dell'insieme prevede una stretta relazione visiva tra il Cristo in t. e il sovrano in t., nel senso di una diretta derivazione del potere regio dalla divinità.Un'analoga sistemazione, voluta da Gugliemo II (1166-1189), sopravvive nella cattedrale di Monreale, addossata al pilastro sulla sinistra che divide il transetto dal presbiterio: pur cambiando il senso del rapporto con l'architettura, sviluppato lungo l'asse maggiore del transetto, anche in questo caso il t. mobile veniva collocato, al culmine di cinque gradini, su un piano sopraelevato, chiuso lateralmente da due transenne. L'alto fondale cuspidato, solcato da due rettangoli in porfido, conduce visivamente al mosaico soprastante, in cui il tema della investitura divina si fa esplicito, visto che il sovrano vi è rappresentato nell'atto di ricevere da Cristo la corona, mentre due angeli stanno portando in volo lo scettro e il globo.Nessuna notizia si ha relativamente alla tipologia dei troni mobili impiegati all'interno di questi spazi; tuttavia non è fuori di luogo pensare che fossero simili a un faldistorio posseduto dall'imperatore Federico II (1220-1250), nel quale comparivano quattro tabelle, con ritratti di re e di regine, un modo per affermare la legittimità dinastica del potere di chi vi si sedeva. In definitiva il t. non ha, nel Medioevo, una ragione formale univoca, capace di farne una insegna primaria del potere, in quanto caratterizzata da un preciso e costante simbolismo. Può essere piuttosto definito una insegna secondaria, in quanto, di volta in volta, adatta forme e materiali alle situazioni storiche in cui viene realizzato e alle personalità giuridiche alle quali è destinato.
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