TRONO di BOSTON
Scultura proveniente dal mercato antiquario romano, acquistata da E. Percy Warren per il Museum of Fine Arts di Boston, dove venne esposta nel 1909.
Si diceva che fosse venuta in luce nella stessa area della Villa Ludovisi dove era stato trovato il Trono Ludovisi (v.), col quale questo di Boston mostra strette somiglianze tipologiche. È ricavato in un sol blocco di marmo greco, scavato all'interno, lasciando solo tre lati del rettangolo, quello maggiore con taglio superiore a doppio spiovente ad ampio angolo ottuso, i due laterali con un taglio quasi orizzontale nel primo tratto e obliquamente discendente nel secondo. Il lato di sinistra è più corto. Dai lati e dalla fronte partono in basso volute ioniche che si rialzano convergendo verso gli spigoli, unite da una palmetta verticale eretta. Queste volute servono di base e di appoggio alle figure che sono scolpite ad altorilievo sui lati e alle estremità della fronte, mentre un Eros frontale al centro poggia su un orlo che s'interpone fra le volute. Questo Eros nudo alato poggia la mano destra sul fianco e piega la destra in atto di reggere una bilancia, che si suppone lavorata a parte, forse in bronzo, e inserita negli incassi sul petto e sulle ali, mentre i piatti sono resi a rilievo, il sinistro più alto, il destro più basso, ambedue con due figurine nude rese a leggero rilievo su un cono marmoreo sopra ai piatti; quella a sinistra è frontale, quella a destra di profilo, ambedue con braccia alzate. A sinistra siede su un cuscino piegato una figura femminile con chitone e himàtion sul capo, con braccio sinistro levato in un gesto di meraviglia; a destra siede una figura femininile con chitone e himàtion, che copre la testa, reclinata e poggiata sulla mano destra in atto di dolore contenuto. Ambedue calzano sandali. Sul fianco sinistro è seduta, quasi rattrappita, una vecchia schiava con peplo e capelli tagliati a corta zazzera cinta da una tenia, che alza la mano destra (frammentaria). Sul fianco destro siede su un cuscino o otre ripiegato un efebo liricine nudo.
Il T. ha sollevato molte discussioni fra gli archeologi, dei quali alcuni lo considerano un prezioso originale, altri un'abile falsificazione.
Riguardo alla funzione del pezzo le spiegazioni sono analoghe a quelle del Trono Ludovisi (v.), e i più li ritengono fiancate di altare. Si è anche pensato che potessero provenire da uno stesso monumento in Roma, ma le misure dei due pezzi non corrispondono e il von Gerkan ha dimostrato che solo quelle del Trono Ludovisi si riportano ad un piede greco; manca anche la tipica anathörosis greca nell'orlo inferiore. Il Colin ha tentato di spiegare questa diversità riportando il T. di B. all'età romana. I dubbi sull'autenticità sorsero già all'epoca dell'esposizione a Boston, ma nel 1911 usciva lo studio di F. Studniczka che lo giudicava un originale ionico da un altare ad Afrodite, e l'anno dopo il Lechat lo dice il più prezioso fiore dell'arte ionico-attica. Nel 1913 il Gardner riaffacciò dubbi sul pezzo, criticato dal Norton nel 1914, e seguito invece nel 1916 dal Klein che notò incongruenze iconografiche e stilistiche. Accanto a citazioni nelle varie pubblicazioni dedicate all'arte greca e a una più generica e generale accettazione del pezzo, e oltre alla messa a punto dei dati architettonici ad opera del von Gerkan, si sono poi più decisamente pronunciati per la falsità il Cellini (1958) analizzando le concrezioni calcaree, il Becatti e la Baroni (1961) e infine lo Alscher (1964). Ne hanno invece rivendicata l'autenticità il Bastet, che lo dice un originale eclettico di periodo tiberiano usato come coronamento di un'edicola funeraria, il Bielefeld, che lo considera un prodotto dell'Italia meridionale del V sec. a. C., lo Jucker e lo Aslimole, che basano il loro giudizio soprattutto sull'analisi delle tracce ed impronte di radici, di concrezioni di patina ramificata, da loro riscontrate in varî punti, che attesterebbero una lunga permanenza del marmo sotto terra. Nuove prove di autenticità vede anche il Moebius nel confronto che il cuscino sotto il liricine, che la Simon considera invece un otre, trova in figurazioni su vasi attici del V sec. a. C.
Significativa e sospetta è innanzi tutto la varietà di interpretazione delle figure: Eros decide con la pesatura la contesa di Afrodite e Persefone per il possesso di Adone (Studniczka, Elderkin, Caskey, Eisler, Chase, Vermeule); Eros cosmogonico pesa per due spose la sicurezza della discendenza maschile (Marshall, G. M. A. Richter, Boyd Hawes, Carpenter); efebo che pesa le kères di due eroi in presenza delle madri o protettrici (J. De Mot, A. Fairbanks, R. C. Flickinger, J. Colin); Eros pesa Anchise e Tithonos alla presenza di Afrodite ed Eos (E. Simon); Eros pesa le personificazioni della stella del mattino e della sera (B. Ashmole); la scena è l'allegoria del trionfo dell'anima iniziata sulla non iniziata (H. Goldman); è una allegoria della morte contrapposta a quella della nascita del Trono Ludovisi (F. P. Johnson); Kairos pesa la buona e la cattiva sorte alla presenza di Prometheia ed Epimethis (L. Curtius); Eros pesa il destino di Enea e di Turno in presenza di Venere e Giunone e la scena è di periodo augusteo (J. Colin). Le figure laterali vengono di volta in volta variamente identificate a seconda del mito prescelto.
Nessuna di queste interpretazioni può soddisfare e adeguarsi a tutti gli elementi delle tre scene. Ma anche varî aspetti stilistici e tecnici risultano incongruenti. Incomprensibile per un rilievo del maturo stile severo far sporgere nella fronte le due figure plasticamente a tutto tondo oltre i limiti del fondo; del tutto opposto alle regole del rilievo classico il piano di fondo non unitario ma variamente raccordato fra le figure scolpite come unità plastiche indipendenti; senza confronto nel periodo classico l'inserzione delle figure nell'ornamento a volute e palmette inteso come elemento di appoggio. Parte del piede destro della vecchia del lato sinistro è modellato sulla testata della fiancata, a cui si dovrebbe invece presupporre che fosse stato con gli incassi aggiunto un pezzo per uguagliare la larghezza del lato opposto. Incongruente la posizione del braccio e dell'avambraccio della vecchia, che appare sforzatamente compressa entro la stretta fiancata. Il sesso del liricine s'imposta sulla coscia. I piedi dell'Eros si piegano con le dita sull'orlo stesso assottigliato del piano di posa in stridente contrasto con le regole del rilievo classico. Banale soluzione è il cono marmoreo sopra ai piatti della bilancia per rappresentare le figurine, il cui stile appare manierato e non classico. Artificioso appare il solco traversante le gambe della vecchia. Discontinuo il modellato che assume toni duri e freddi nel lato con la vecchia, mentre assume morbidezze e impressionistico sfumato nelle teste femminili della facciata. Contrastante con la concezione classica, e in particolar modo della prima metà del V sec., il sorriso dell'Eros e della figura femminile a sinistra. Non classico è il tipo di palmetta, singolare appare la punta a cuspide sotto la voluta.
Antico può considerarsi invece il marmo stesso; forse si potrebbe pensare per la forma del trono alla riutilizzazione della fiancata di un sarcofago in cui siano state riscolpite le tre facce esterne. L'antichità del marmo potrebbe così spiegare quella di alcuni resti di patina ramificata e di concrezioni in qualche parte, come all'interno, sul piano di posa inferiore, che può non essere stato rilavorato, in qualche sottile fessura rimasta anche nelle parti esterne rilavorate, come ad esempio quella sulla coscia del liricine, in qualche punto più sporgente e più vicino al piano originario di partenza.
Il T. non presenta la purezza e la coerenza tecnica e stilistica che ci aspetteremmo in un'opera impegnativa e raffinata dello stile severo, né certi aspetti potrebbero giustificarsi riportandoli ad un ambiente ionico, italiòta, o addirittura neoattico o romano. Sembra quindi più persuasivo riportare la creazione del pezzo ad un abile falsario della fine del XIX sec., a un colto scultore, che ha operato forse sotto la guida di un conoscitore di arte greca per fare un pendant al Trono Ludovisi, ispirandosi al tipo della Penelope, alla vecchia dello sköphos di Pistoxenos, a coronamenti di stele funerarie, al tipo di peplo delle metope di Olimpia, ad altre sculture del V sec. e ai vasi attici, riuscendo a comporre un'opera di generica intonazione classica e di un certo suggestivo effetto, e ad imporsi alla critica più agguerrita di più generazioni di archeologi.
Bibl.: Numerosa è la serie di articoli e di citazioni del T. tutti contenuti nei due più recenti studî: F. Baroni, Osservazioni sul Trono di Boston, Roma 1961; L. Alscher, Götter von Gericht, Berlino 1963. Inoltre: F. L. Bastet, Das Bostoner Relief, ein ekletisches Meistewerk aus tiberischer Zeit, in Bull. van de Vereening tot Bev. der Kennis van de ant. Beschaving, 38, 1963, pp. 1-27; E. Bielefeld, in Gymnasium, 70, Heft 6, 1963, pp. 568-570; H. Moebius, Kissen oder Schlauch? Zur Problematik des Bostoner Throns, in Arch. Anz., 1964, cc. 294-299; H. Jucker, Sachliches zur Echtheitsfrage des Bostoner "Throns" oder Kassation des Urteils gegen die Götter, in Museum Helveticum, 22, 1965, pp. 117-124; F. L. Bastet, Die Geburt der Seele. Das Ludovisische Relief, in Bull. van de Vereeniging tot Bev. der Kennis van de ant. Beschaving, 40, 1965, pp. 26-50; B. Ashmole, The three-sided Relief in Boston, in Museum of Fine Arts, Boston, Bulletin, XLII, 1965, n. 332, p. 59 (lo Ashmole annuncia un lungo studio, che comprenderà analisi chimiche delle patine ramificate e delle concrezioni, insieme a W. J. Young).