ROSSI, Troilo
– «Familiae Rosciae propagator et restaurator» nelle parole di un nipote (Rossi, in Pezzana, 1852, p. 50), nacque, secondo Bonaventura Angeli (1591), mentre il padre Giovanni (1431-1501), diseredato e cacciato, «come fuggitivo, se ne andava quinci e quindi» (p. 352), dopo il 1464, poiché il suo nome non compariva tra quelli dei figli di Giovanni e di Angela di Francesco Scotti (m. 1504), cui il nonno paterno Pietro Maria lasciò allora la legittima.
Anche per parte del bisnonno materno, Alberto II Scotti di Carpaneto e Vigoleno (m. 1461), era nato ‘piccolo signore’ e la grande impresa della sua vita fu realizzare questa potenzialità, pressoché azzerata dalle vicende del padre e degli avi. Dal 1471 la madre si rifugiò con i figli presso il fratello Giacomo, senza poter disporre neppure della propria dote, più tardi valutata a circa 4000 ducati. Giovanni e i suoi figli non ebbero parte nella lotta tra Pietro Maria Rossi e Ludovico il Moro (1482), né nella successiva spartizione dello ‘Stato’ dei Rossi. Nel 1495, nell’imminenza della battaglia di Fornovo, Giovanni si protestò fedele suddito sforzesco, come il fratellastro Bertrando, signore di Berceto, pur sospetto di accordo con Carlo VIII, che ospitò e fornì di vettovaglie; ma Troilo e il fratello Alessandro (che avevano «soldo e provvisione» dal duca di Milano: Archivio di Stato di Milano, Famiglie, 159, anno 1494) nel giugno, in risposta a una citazione del commissario ducale di Piacenza, si assentarono dalla casa paterna di Piacenza, per «andare» con il re di Francia, che poi fece inserire una clausola di protezione per loro e anche per Giovanni nel trattato di pace con Ludovico il Moro.
Ai due fratelli il re di Francia nel luglio del 1495 aveva assegnato pensioni tutt’altro che disprezzabili (1000 lire tornesi ad Alessandro, di cui non si hanno ulteriori notizie, e 400 a Troilo) ma vertiginosamente inferiori ai 60.000 franchi assegnati a Gian Giacomo Trivulzio. Poco si sa del servizio prestato da Rossi «multis annis strenue» «in castris nostris tam gallicis quam italicis» (Archivio di Stato di Milano, Feudi camerali, 36, lettere regie agosto 1502). Nel 1497 era ad Asti, probabilmente agli ordini di Trivulzio, che serviva il re di Francia e che nell’agosto-settembre 1499 come luogotenente regio usò della propria autorità per assicurargli il possesso di alcuni dei feudi aviti – San Secondo, Torrechiara e Felino –, benché già occupati, con gente stipendiata da Venezia, dal cugino Filippo, condottiere della Repubblica di S. Marco. Sostenere Troilo invece di Filippo significava bloccare un’eventuale espansione di Venezia su Parma e riservarsi, beneficando con qualche concessione un diseredato, mano libera sull’ex ‘Stato’ dei Rossi, di cui Filippo pretendeva la restituzione integrale in virtù dei propri diritti ereditari e della propria influenza a Parma e nel Parmense. Infatti, dopo un mese circa, Felino e Torrechiara furono assegnati a un francese che poi li vendette ai figli di un nemico storico di Pietro Maria Rossi, i ghibellini fratelli Pallavicino di Busseto, sui quali Luigi XII puntò per il controllo di Parma e Cremona, conferendo loro cariche militari e di governo e nuovi importanti feudi. Pare che il guelfo Troilo rimanesse fedele ai francesi durante il ritorno di Ludovico il Moro (febbraio-aprile 1500): di questo, almeno, fu lodato nel privilegio del 1502, con cui Luigi XII confermava a lui, suo «consigliere e ciambellano», San Secondo, erigendolo in marchesato. A questo segno di favore si accompagna l’inclusione, nel 1501, tra i designati ad accompagnare in Germania il cardinale Georges d’Amboise; ma i crediti dotali materni furono ignorati, le successive investiture furono solo titulo oneroso e non vi sono documenti che confermino la nomina a senatore nel 1506, asserita nelle genealogie secentesche.
Saldamente inserito nell’entourage trivulziano, Rossi fu nel seguito nuziale del figlio di Gian Giacomo Trivulzio (benché il matrimonio non fosse gradito a Luigi XII); si affidò alla mediazione dei suoi nipoti, presso i quali usava risiedere quando si recava a Milano, per il proprio matrimonio, e a sua volta protesse un parente filosforzesco dei Trivulzio, Rolando Pallavicino di Cortemaggiore. Decisivo per le sue fortune fu il matrimonio, concluso all’inizio del 1503, con Bianca Riario, anche lei figlia di un signore spodestato e nipote e cugina rispettivamente di due cardinali, uno dei quali sarebbe di lì a poco divenuto papa Giulio II, pronto a sostenere il suo «secundum carnem affinem» contro il cugino Filippo nell’acquisto di un altro castello già rossiano, Basilicanova (1504, da Gian Giacomo Trivulzio che ne era stato investito nel 1499) e dell’eredità dello zio Bertrando (1505). Rossi (che aveva incassato una dote superiore ai 3500 ducati) ricostituiva così, pagando 10.000 ducati a Trivulzio e 8000 scudi alla Camera regia, una parte dell’antico Stato rossiano: mancavano Noceto, Felino, Torrechiara, Roccabianca, Corniglio, c’erano invece San Secondo, in pianura, Fornovo, Carona, Roccalanzona, Basilicanova, in collina, Berceto, Bardone, Roccaprebalza in montagna; era comunque il maggior complesso feudale del contado parmense. Nel riparto del sussidio regio (1515) Rossi si trovò al primo posto insieme con i Sanvitale di Fontanellato.
Risiedeva abitualmente a San Secondo, che «restaurò [...] quasi tutto rovinato e l’adornò di bellissime habitationi et lo fornì regalmente, ampliandolo di circuito e di mura» (Sansovino, 1582, c. 80r), e dopo il 1506 ebbe anche una casa propria a Milano, nella vicinia del nonno Pietro Maria.
A differenza dei piccoli Stati tre-quattrocenteschi, quello di Rossi non era espressione di una rete di amicizie e fedeltà locali, né retribuzione di un condottiero, neppure derivava da consolidati diritti ereditari; era invece il patrimonio raggranellato da un cliente per così dire di secondo grado, che aveva potuto contare sui prestiti di altri gentiluomini filofrancesi (Tornielli, Fieschi, e i suoi parenti Spinola) e che a Parma appariva quasi un homo novus. Di qui l’«inimicitia» (Archivio di Stato di Parma, Famiglie, Rossi, b. 2, 18 giugno 1512, papa Giulio II a Rossi) a vita con i cugini Bernardo e Filippo, condottiere protetto dal marchese di Mantova e dall’imperatore, che gli contendeva i castelli e la fedeltà degli homines e della squadra cittadina, imprescindibili fondamenti dell’utilità di Rossi per il re di Francia, che poteva chiedergli – così come agli altri feudatari parmigiani – di fornire zente in vista della guerra a Venezia (Sanuto, 1496-1533, 1969-1970, col. 244) o di assicurare il controllo della città mediante la propria parte o squadra (per esempio nel novembre del 1510).
Ma non tutti i cittadini della parte rossa di Parma lo riconoscevano come capo: secondo un cronista nel 1508 la squadra impegnò, invano, «fin ai panni» per comprare a Filippo la grazia dal re; l’anno dopo Troilo bandì ben cento uomini dai propri feudi «per aver tocco la mano del conte Filippo» (Smagliati, 1494-1518,1970, pp. 128 s.), che venne quindi preso in considerazione proprio da Giulio II come strumento per conquistare la città (1510), rivelatosi poi inutile (1512). Non sembra che Troilo abbia avuto una parte nel contrastato passaggio dal dominio francese a quello pontificio; né nei successivi rivolgimenti: sede vacante, breve ritorno alla sudditanza milanese (11 marzo-2 maggio 1513) e progetto di Leone X di includere Parma in uno Stato per il fratello Giuliano. La posizione di Rossi come cliente papale decadde da nipote d’acquisto a cognato di un cugino del pontefice, l’adolescente fratellastro di sua moglie Giovanni de’ Medici, poi detto dalle Bande Nere, allora pupillo di Iacopo Salviati, dal 1516 cognato di papa Leone. Malgrado un certo lealismo in materia fiscale e i viaggi a Roma (1511, novembre 1512, maggio 1515), dove fallì l’ennesimo tentativo di accordo con i cugini, inutilmente mediato dai principali della squadra rossa, Rossi (secondo i genealogisti secenteschi nominato senatore di Milano nel 1514 da un Luigi XII al momento privo del ducato) nel giugno 1515 era annoverato dal segretario mediceo Goro Gheri tra i gentiluomini ‘ecclesiastici’ soltanto per odio al duca di Milano e pronti ad aderire al re di Francia, a cui in effetti egli si rivolse tramite Teodoro Trivulzio e poi inviò un proprio cancelliere.
Subito dopo il ritorno di Parma al dominio francese fu nominato senatore miles (17 ottobre 1515) nel Senato regio di Milano (con stipendio di 1000 lire tornesi ridotte a 500 dopo il 1517). Fu spesso a Milano, ‘intrinseco’ del luogotenente regio Odet de Foix signore di Lautrec e al tempo stesso di Trivulzio, e con il guelfo e parente Francesco Torelli conte di Montechiarugolo soppiantò i Pallavicino come referente principale a Parma di Francesco I, che nel 1518 gli confermò le giurisdizioni; ma i due non monopolizzarono il patronage sulla città e non furono in grado di garantire stabilità e ordine, anzi parteciparono attivamente con i loro uomini alle lotte di fazione, che in quegli anni travalicarono il piano strettamente locale, collegandosi specialmente agli scontri esplosi a Reggio. Rossi inviò gente anche a Mirandola, a sostegno della figlia di Gian Giacomo Trivulzio.
Morì prima del 9 giugno1521, non senza avere salvato i beni «solerti cura, non sine maximis laboribus et expensis adeptis et quasi e medio inimicorum redemptis» (Archivio di Stato di Parma, Notarile, 1145, testamento 3 giugno 1521) dal frazionamento tra i sei figli maschi, spendendo ben 20.000 ducati per avviarne due, Giovanni Girolamo ed Ettore, alla carriera ecclesiastica, dotando di beni allodiali il sordomuto Alessandro e Bertrando (anche lui destinato alla Chiesa, ma invece morto in battaglia a Valmontone nel 1528), istituendo due assai diseguali primogeniture per Pietro Maria e Giulio e destinando una dote di ben 10.000 scudi, al livello delle maggiori famiglie del Ducato di Milano, alla figlia Angela e 6000 ciascuna alle altre figlie Camilla e Costanza.
Forse malattia, morte e giovane età degli eredi (posti tutti sotto tutela della madre) impedirono alla casa Rossi di San Secondo di influire nei rivolgimenti politici di quell’anno, che segnò l’inizio della guerra della lega antifrancese e il passaggio di Parma alla Chiesa; ma sembra che i francesi incolpassero proprio Rossi (Sanuto, 1496-1533, 1969-1970, col. 48) del fatto che la città, benché dopo la sua morte, «havia fato novità» (col. 408).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Cremona, Notarile, 8450 (Inventario [...] dell’eredità Rossi di San Secondo, 20 aprile 1802); Archivio di Stato di Milano, Famiglie, 159, f. Rossi, 171, f. Scotti; Feudi camerali, p.a., b. 36, f. Rossi di San Secondo; Notarile, bb. 4186, 4375, 5954; Sforzesco, bb. 876, passim, 1553, 10 ottobre 1495; Archivio di Stato di Parma, Famiglie, Rossi, bb. 2, 4-6, 8; Notarile, 1145, 3 giugno 1521; Parma, Archivio del Comune, b. 4327, Libro antico dell’inclita prosapia dei Rossi; Biblioteca palatina, Ms. parm. 570: F. Stella, Genealogia dei Rossi Parmigiani marchesi di San Secondo, secolo XVII; Roma, Biblioteca dell’Accademia nazionale dei Lincei e Corsiniana, Fondo corsiniano, 2408, Archivio Rossi di San Secondo, s. I, bb. 19-22.
L. Smagliati, Cronaca Parmense (1494-1518), a cura di S. Di Noto, Parma 1970, ad ind.; M. Sanuto, I diarii (1496-1533), Bologna 1969-1970, II, VIII, XX, XXX, XXXI, ad ind.; Stati delle finanze del ducato di Milano, 1510, 1516, 1518, in M. Di Tullio - L. Fois, Stati di guerra, Roma 2014, pp. 107-314; F. Sansovino, Della origine e dei fatti delle famiglie illustri d’Italia, Venezia 1582, c. 80r; V. Carrari, Historia dei Rossi parmigiani, Ravenna 1583, pp. 181, 199, 202, 221; B. Angeli, La historia della città di Parma, Parma 1591, pp. 307-309; J. Dumont, Corps universel diplomatique, III, 2, Amsterdam 1726, pp. 331-333; Lettere di monsignore Goro Gheri pistoiese..., a cura di B. Pallastrelli - L. Scarabelli, in Archivio storico italiano, Appendice, VI, Firenze 1848, p. 57; A. Pezzana, Storia della città di Parma, IV, Parma 1852, V, 1859, ad ind. (in partic. F. Rossi, Elogia virorum Rosciorum, IV, Appendice, pp. 49 s.); M. Sanuto, La spedizione di Carlo VIII in Italia, Venezia 1873, pp. 617, 623; U. Benassi, Storia di Parma, I-IV, Parma 1899-1906, ad ind.; C. Argegni, R., T., in Id., Condottieri, tribuni, capitani di ventura, III, Milano 1937, p. 60; M.C. Basteri - P. Rota, I conti Rossi e la residenza di San Secondo, in La rocca dei Rossi a San Secondo. Un cantiere della grande decorazione bolognese del Cinquecento, Parma 1995, pp. 19, 85; M.C. Basteri, La rocca dei Rossi a San Secondo, Parma 1996; R. Lasagni, R., T., in Id., Dizionario biografico dei Parmigiani, IV, Parma 1999; L. Arcangeli, Principi, homines e «partesani» nel ritorno dei Rossi, in Le signorie dei Rossi di Parma tra XIV e XVI secolo, a cura di L. Arcangeli - M. Gentile, Firenze 2007, pp. 231-306; R. Damiani, Troilo dei Rossi conte e marchese di San Secondo, 2013, in Il dizionario anagrafico dei condottieri di ventura, www.condottieridiventura.it; S. Meschini, La seconda dominazione francese a Milano. La politica e gli uomini, Varzi 2014, p. 209.