CAVANIGLIA, Troiano
Figlio di Diego, conte di Montella, e di Margherita Orsini dei duchi di Gravina, nacque nel 1479. Rimasto orfano di padre, ottenne il 28 genn. 1482 l'investitura dei feudi, con il titolo di conte, e l'esenzione dalla tassa del relevio, per il fatto che il padre era morto combattendo contro i Turchi a Otranto. Affidato dapprima alla tutela della madre, passò poi sotto quella diretta del sovrano, Ferdinando d'Aragona, e trascorse l'infanzia presso il fratello della nonna, Giovanni Caracciolo, duca di Melfi. Quando, giunta all'epilogo la vicenda dei baroni ribelli, questi fu convocato a Napoli nel 1487, il C. dovette seguirlo nella capitale. Questo provocò da parte dei cittadini di Montella un tumulto diretto contro il commissario regio, Giusto Citarella.
Scomparsi tragicamente il suo tutore e la nonna, Giulia Caracciolo, passata in seconde nozze la madre, il C. ancora minorenne rimase affidato al sovrano, che ne amministrò i beni e ne curò l'educazione. Il successore di Ferdinando, tutto teso a cercare l'adesione dei baroni, mentre le armi francesi minacciavano il Regno, provvide a emancipare il C., dandogli in moglie Ippolita Carafa dei duchi di Ariano. I capitoli nuziali furono stipulati il 16 ott. 1494 e al C. fu conferito anche il titolo di regio consigliere e confermata la signoria di Montella, con il titolo di conte, come pure quella di Bagnoli, Cassano e altre terre.
Non si sa come il C. reagì alla conquista del Napoletano da parte di Carlo VIII, ma sembra che non ottenesse, come invece accadde a molti altri baroni, alcun beneficio dal sovrano oltremontano; inoltre pare che nei suoi feudi si opponesse una resistenza agli invasori. Conclusasi la parentesi francese e morto Ferrandino, il C. assistette a Capua all'incoronazione di Federico d'Aragona. Subito dopo partecipò alla spedizione che il sovrano organizzò contro il castello di Diano, ove era assediato Antonio Sanseverino, principe di Salerno, ribelle al potere regio. Dopo questa fortunata spedizione il C. tornò a Montella, ove rimase dall'autunno del 1498 fino all'11 luglio del 1501, quando, poco prima della caduta dell'ultimo Aragonese, si arrese ai Francesi.
Scoppiate le ostilità fra costoro e gli Spagnoli, il C. prese posizione in favore di questi ultimi, versando loro dalla primavera del 1502 i pagamenti fiscali, relalativi ai suoi feudi, e resistendo alle autorità francesi, che giunsero a confiscargli, nominalmente, la contea. La sua opposizione ai Transalpini trovò il modo di esprimersi con ferocia, quando, dopo la battaglia di Cerignola (28 apr. 1503), egli assalì, mentre transitava per le sue terre, decimandolo, un contingente di quella parte delle superstiti truppe francesi, che da Melfi raggiunsero Atripalda, attraversando le valli dell'Ofanto e del Calore.
Nel 1504 il C. continuò a soggiornare a Montella, dando inizio in quell'anno a una lite contro il fisco a proposito del dazio sul ferro. Recatosi successivamente in Spagna, il C. vi rimase per tutto il 1505; fu infatti uno dei tre gentiluomini concessi in compagnia allo sfortunato figlio di Federico, Ferdinando d'Aragona.
Tornato a Montella, il C. si dedicò alla difesa dei suoi diritti, intricato in travagliatissime liti contro il fisco, che lo tennero occupato fino alla fine dei suoi giorni e che non mancarono anche di generare disordini nei suoi territori. Inoltre il C., che il 30 maggio 1510 ricevette da Ferdinando il Cattolico la conferma dei suoi feudi, era assillato da insuperabili difficoltà finanziarie. Un buon affare sembrò nel 1521 l'acquisto della contea di Troia, che Carlo V gli concesse per la metà del suo valore reale, donandogli la differenza in compenso dei servizi prestati alla causa spagnola in pace e in guerra. Ottenuto il 22 febbr. 1522 l'assenso regio definitivo alla vendita, il C. non riuscì ad appianare le difficoltà in cui si dibatteva, poiché la necessità di versare la somma pattuita per la vendita e quella di sedare disordini sorti nella città pugliese lo indussero non solo a procedere a una serie di vendite di suoi possedimenti, ma addirittura a cedere alcune entrate di Troia, prima della conferma della vendita. Il C. risiedeva ormai a Napoli, nel "seggio" di Nido, e, pur perseguitato dai creditori, stipendiava tuttavia a proprie spese una compagnia di cavalleggeri, comandata dal figlio Cesare, ed una di uomini d'arme, a capo della quale era un altro figlio, Diego.
Nel 1528 il C., che oltre ai due già nominati aveva avuto altri sei figli maschi e due femmine, giaceva ammalato a Montella, quando ebbe notizia dell'avanzare del Lautrec verso la Puglia. Inviati avanti i figli con gli armati di cui disponeva, egli li seguì subito dopo in lettiga, ma appena giunto a Troia vi morì. Fu sepolto lì, nella chiesa di S. Francesco.
Il C. era stato membro dell'Accademia Pontaniana e amico di letterati, fra cui Andrea Matteo Acquaviva; ne aveva anche ospitato alcuni nel suo palazzo a Montella. Fra questi Iacopo Sannazzaro, che gli dedicò due egloghe ed una "selva" e Giano Anisio, che dedicò ai Cavaniglia la prima delle sue satire (Satyrae, Neapoli 1532). Per lui il pittore Andrea Sabatino dipinse un'Assunzione, andata perduta, in cui uno degli apostoli aveva i lineamenti del Sannazzaro, per la cappella dell'Assunta nella chiesa di S. Francesco a Montella. Al C., sensibile estimatore delle lettere e dell'arte, si imputa però di avere tenuto a lungo in prigione, sotto l'accusa di aver scritto un libello contro di lui, lo scienziato, probabilmente di origine montellese, Giov. Battista Abioso, in favore del quale intervenne con successo lo stesso Leone X.
Il figlio Diego successe al padre nei feudi e combatté nel 1528 contro il Lautrec in Puglia, dove ricevette presto l'ordine di abbandonare Troia al nemico: obbedì, mettendo in salvo solo le donne e i bambini e si rifugiò a Napoli, ove rimase fino alla fine dell'assedio. Tornato a Montella, il cui castello era stato così danneggiato da cadere poco dopo in rovina, si trovò sommerso dai debiti, cui fece fronte alla meglio con i denari della moglie, Giustiniana di Capua, rimanendo in possesso solo nominalmente dei due feudi principali, le cui rendite erano totalmente assorbite dai creditori. Ebbe quattro figli, Troiano, Pirro, Carlo ed Antonio e cinque figlie. Morì prima del 1537.
Fonti e Bibl.: P. Rosso, Ristretto dell'istoria della città di Troia, a cura di N. Beccia, Trani 1907, p. 289; Regesto della Cancelleria aragonese di Napoli, a cura di I. Mazzoleni, Napoli 1951, p. 148; E. Nunziante, Un divorzio ai tempi di Leone X…, Roma 1887, p. 109; F. Scandone, I Cavaniglia conti di Troia e di Montella..., in Arch. stor. per le prov. napol., n.s., IX(1923), pp. 150-89.