Troia
Città della Troade, ai piedi del monte Ida, tra i fiumi Scamandro e Simoenta. È così chiamata da Tros (o Troe), che diede il nome anche alla regione, la Troade, e Ilio da Ilo, figlio di Tros. La spiegazione del nome è data in Iliade XX 215-240 e poi ripetuta negli autori posteriori; ma tra i moderni vi è discordia nell'interpretazione delle fonti, sebbene sia evidente che storicamente non è possibile una distinzione tra T. e Ilio, anche a tener conto dei passi - spesso tra loro contrastanti - in cui sembra si faccia riferimento ora alla rocca; ora alla città, ora a tutta la regione.
Una prima città, Dardania, era stata fondata da Dardano, figlio di Zeus e capostipite della stirpe che doveva reggerne le sorti prima col ramo dei Priamidi e poi con quello degli Eneadi. Le sue mura erano state costruite da Apollo e Posidone, costretti a servire Laomedonte, padre di Priamo, il quale per la sua malafede suscitò la loro ira, poi quella di Eracle, che distrusse la città e uccise anche tutti i figli di Laomedonte, tranne Priamo. Contro la città di Priamo, tornata fiorente per splendore e ricchezze, mosse la spedizione degli Achei che, guidati da Agamennone, vendicarono l'offesa subita da Menelao, al quale Paride, figlio di Priamo, aveva rapito la sposa. Un episodio di questa guerra è narrato nell'Iliade; ma gesta eroiche e fatti del mito erano cantati in altri poemi epici per noi perduti e che un dotto alessandrino (forse Zenodoto di Efeso) aveva raccolto e ordinato cronologicamente nel ciclo epico che, per quanto riguarda le leggende troiane, comprendeva Canti Ciprii, Etiopide, Piccola Iliade, Distruzione di Ilio, Ritorni (che si riconnettevano con l'Odissea), Telegonia. Il ciclo troiano forni l'argomento di moltissimi drammi anche ai poeti tragici; la sorte infelice della città di Priamo riecheggiò in scritti di storici e poeti di varie epoche, che ricordavano le emigrazioni troiane, soprattutto quella di Enea, che si diceva fosse approdato a Cuma, lungo le coste del Tirreno, presso il monte Erice nella Sicilia occidentale, a Cartagine. In Callia e Timeo, contemporaneo di Pirro, si leggeva dell'approdo dell'eroe troiano sulle coste latine. Presso gli autori latini, che accolsero questa leggenda, Enea, Romanae stirpis origo (Verg. Aen. XII 166), diveniva così l'antenato del popolo al quale era destinato l'impero del mondo. E padre della gente romana fu considerato nei poemi di Nevio e di Ennio, nei libri degli annalisti e degli storici, di Catone e di Cassio Emina e, soprattutto, in Virgilio.
Virgilio trasfonde un profondo senso di predestinazione agli elementi convenzionali del mito: " Certe hinc Romanos olim volventibus annis, / hinc fore ductores, revocato a sanguine Teucri, / qui mare, qui terras omnis dicione tenerent " (Aen. I 234-236, che D. cita in Mn II VIII 11). I vasti disegni della Provvidenza avranno compimento: " manent immota tuorum / fata tibi ", assicura Giove a Venere (Aen. I 257-258) ed enuncia il culmine dell'Impero di Roma: " his [cioè ai Romani] ego nec metas rerum nec tempora pono: / imperium sine fine dedi " (vv. 278-279, che D. cita traducendoli in Cv IV IV 11); " nascetur pulchra Troianus origine Caesar, / imperium Oceano, famam qui terminet astris, / Iulius, a magno demissum nomen Iulo " (Aen. I 286-288). E la profezia si fa storia; ma la storia dell'Impero universale di Roma si sublima nei dolori e nelle sventure che la travagliarono: " tantae molis erat Romanam condere gentem " (v. 33).
D., per il quale le verità dei poeti valgono più di quelle degli storici, sostituì al senso romano e pagano della concezione virgiliana quello cristiano e profetico della missione provvidenziale di Roma, che costituisce uno dei cardini della sua poesia, stabilito nella maniera più solenne là dove Virgilio si rivela nella coscienza del poeta come colui che cantò di quel giusto / figliuol d'Anchise che venne di Troia, / poi che 'l superbo Ilïon fu combusto (If I 74). Una memoria antica e favolosa diventa perciò in lui presagio di un disegno provvidenziale (II 16-24). Come in Virgilio, più che in Virgilio, la nuova missione di Roma risuona all'inizio di un viaggio ultraterreno, incisa per l'eternità, perché stabilita in cielo in maniera inequivocabile (a voler dir lo vero) e infallibile. E allora anche la caduta di T. è voluta dalla Provvidenza, perché dalla sua rovina avesse origine Roma destinata a unificare la terra e prepararla ad accogliere il mistero dell'incarnazione, perché sulle rovine di Ilio potesse lentamente ricostruirsi l'ordine universale (Renucci, p. 256). D. trasferì tutto quel turbinare di secoli e di genti nell'al di là e lo giudicò, lui uomo, col metro della giustizia divina. Traendo spunto dalla narrazione virgiliana (Aen. II 601 ss. " non tibi Tyndaridis facies invisa Lacaenae / culpatusve Paris, divum inclementia, divum, / has evertit opes sternitque a culmine Troiam "; vv. 622-623 " dirae facies inimicaque Troiae / numina magna deum "; vv. 777-778 " non haec sine numine divum / eveniunt ") e applicando, come ha osservato A. Renaudet (p. 442), la nozione biblica della vendetta divina che si abbatte su una città colpevole, egli interpretò per i suoi fini anche la distruzione di T. e vide nel destino di questa città la speranza di una riconciliazione con la divinità, di una nuova nobiltà umana e di una santità nuova (Renaudet, p. 435).
Il Renucci (p. 248) ritiene che D. abbia accostato alla missione espiatoria di Cristo il tragico e fecondo destino di T., così come il tradimento di Sinone, decisivo per la distruzione di T., potrebbe accostarsi a quello di Giuda (p. 252). Vero è però che D., con una delle sue consuete arditezze, considera l'approdo di Enea nel Lazio avvenuto nello stesso lasso di tempo in cui in Palestina si preparava l'avvento del Messia: E tutto questo fu in uno temporale, che David nacque e nacque Roma, cioè che Enea venne di Troia in Italia, che fu origine de la cittade romana, sì come testimoniano le scritture. Per che assai è manifesto la divina elezione del romano imperio per lo nascimento de la santa cittade che fu contemporaneo a la radice de la progenie di Maria (Cv IV V 6).
È impossibile stabilire con certezza la fonte di D. ed è probabile che egli abbia rielaborato e interpretato secondo le sue esigenze fonti diverse. Com'è già stato notato (Busnelli-Vandelli), da Vincenzo di Beauvais (Spec. histor. II 71) si ricava che David cominciò a regnare 941 anni dopo la nascita di Abramo, cioè nel 1104; da Orosio (Hist. I 1) risulta che da Nino, o dalla nascita di Abramo, sino alla natività di Cristo corrono 2015 anni. Orosio (I 18) fissa, inoltre, la venuta di Enea in Italia a qualche anno dopo la distruzione di T. e da VII 3 si ricava che il ratto di Elena avvenne 430 anni prima di Roma, fondata 752 anni prima della nascita di Cristo. La guerra di T. risulterebbe (VII 4) iniziata nel 1182 (752 + 430) e terminata nel 1166 (752 + 414), essendo durata circa 15 anni, un dato questo discordante da quello fornito da Vincenzo di Beauvais (Spec. histor. II 66), il quale fissa la distruzione di T. a 835 anni dalla nascita di Abramo, cioè nel 1180. Quale che sia la sua fonte, è probabile che D. non sia andato troppo per il sottile; a lui importava stabilire un rapporto di contemporaneità per dare il crisma della verità indiscussa a quanto stava per dire. L'indagine storico-filologica gli era estranea ed egli restava del tutto indifferente dinanzi alle discordanze rintracciabili nelle cronografie medievali: per la verità del suo asserto gli bastava l'autorità delle scritture, rappresentate qui, oltre che dalle fonti citate, da Virgilio (Aen. I 1 ss.) e da Livio (I I), citati esplicitamente nel corrispondente passo della Monarchia (II III 6 nam divinus poeta noster Virgilius per totam Aeneydem gloriosissimum regem Aeneam patrem romani populi fuisse testatur in memoriam sempiternam; quod Titus Livius, gestorum romanorum scriba egregius, in prima parte sui voluminis, quae a capta Troya summit exordium, contestatur). Comincia così la storia de la santa cittade (Cv IV V 20) e dei suoi non... umani cittadini ma divini (§ 12); v. ENEA; Livio.
In Cv IV IV 10 D. osserva che Dio assegnò il reggimento civile del mondo a quello popolo santo nel quale l'alto sangue troiano era mischiato, cioè Roma; e si veda anche If XXVI 59-60 la porta / onde uscì de' Romani il gentil seme. Questo è un punto fermo della concezione dantesca delle origini di Roma, sottolineato da D. a più riprese, in modo particolare nella Commedia. Quel che soprattutto importa qui stabilire è l'intima adesione del poeta alla profetica proclamazione virgiliana della necessità di Roma e del significato della sua missione universale (v. VIRGILIO). S. Mariotti, nel precisare (pp. 378-379) il profondo rapporto che unisce alcuni passi dell'Eneide e della Commedia, rintraccia non solo l'" identità verbale " ma anche le " affinità tematiche ", che finiscono con l'acquistare peso e risonanza soprattutto se considerate nell'ambito di tutto il poema. Bisognerà perciò notare, col Mariotti, i rapporti che legano i versi iniziali del III dell'Eneide e If I 74-75 (che venne di Troia, / poi che 'l superbo Ilïón fu combusto), dove D. " ‛ traduce ' l'inizio, compreso il postquam " e " riecheggia il v. 3 di Virgilio anche nell'accostamento di Troia a Ilïon ", allo stesso modo di Pg XII 61-63 (Vedeva Troia in cenere e in caverne; / o Ilïón, come te basso e vile / mostrava il segno che lì si discerne!), che richiama anche Aen. II 624-625. Come hanno notato K. Mackenzie e G. R. Silber (Troia and Ilion in Virgil and Dante, pp. 198-201), nei passi virgiliani ora citati non si fa distinzione tra i nomi di Ilio e T. (accompagnata dall'epiteto Neptunia), e D., che segue Virgilio, non mostra tracce di una distinzione. È interessante notare inoltre, col Renucci (p. 388 n. 606), che in D. a superbo Ilïón si contrappone umile Italia, espressione che egli deriva, adattandola alle sue esigenze, da Aen. III 522-523, " humilem... / Italiam ". Il primo verso e mezzo del III dell'Eneide è citato da D. in Mn II III 10, dove egli si propone di dimostrare la nobiltà di Enea alla quale hanno contribuito Asia, Europa e Africa, dandogli come avi Assaraco, Dardano ed Elettra e come mogli Creusa, Didone e Lavinia (cfr. §§ 11 ss.). Virgilio giudicava dunque immeritam la rovina di T. e D. trovava già nel suo volume il punto di partenza per quella svolta interpretativa di cui è improntato il suo poema, e le insidie dei Greci (Aen. II 65-66) diventavano per lui, uomo senza indulgenza, qualcosa di più di un risvolto del mito, in quanto gli consentivano d'inquadrare quell'avvenimento nel misterioso ordine provvidenziale dell'uomo e della sua storia. Così Sinone era il traditore che quella distruzione aveva reso possibile. E D. lo colloca nella X bolgia dell'VII cerchio (falsatoci di ogni genere). Nell'accostamento Sinon greco di Troia (If XXX 98) è tutta l'ironia del poeta, che aveva presente l'episodio virgiliano di Aen. II 57-198, in particolare i vv. 148-149, modellati sulle formule con le quali i generali romani accoglievano i disertori dal campo nemico, e che precedono le domande di Priamo (vv. 150-151) a cui Sinone risponde mentendo: ma tu non fosti sì ver testimonio / là 've del ver fosti a Troia richiesto (If XXX 114; v. SINONE).
Che il destino di T. rivestisse per lui un significato che andava ben oltre il fatto episodico, si può agevolmente rilevare se solo si considera Pd VI 6 vicino a' monti de' quai prima uscìo, e Antandro e Simeonta (v. 67; Mariotti, pp. 379-380 e 395), che, a parte l'aggiunta suggerita dal passo di Lucano, costituiscono una diretta reminiscenza del montibus Idae di Aen. III 6.
In Pg XII 61-62 D. chiude con la visione della distruzione di T. e dell'annientamento della rocca gloriosa e superba di Ilio - con cui termina il periodo dell'antico errore e s'inizia quello della grazia - la serie degli esempi di superbia punita: con la distruzione di T. i tempi sono maturi per l'avvento del Messia (Cv IV IV 6, e cfr. A. Renaudet, p. 443). Il sospiro di Creusa " non haec sine numine divum / eveniunt " (Aen. II 777-778) diventa in D. una delle cause misteriose della divina Provvidenza che è sopra ogni ragione (Cv IV IV 11). Ma il realizzarsi del mistero dell'incarnazione del Verbo quale atto di umiltà e giustizia divina induce il poeta a rendere conto dello spezial nascimento e dello spezial processo (§ 13) dell'Impero di Roma, che per il suo carattere universale poteva rivendicare il diritto di giudicare a nome di tutti e mettere a morte il Redentore. Fissando e giudicando i grandi eventi della storia col metro della giustizia divina, D. considerò la distruzione di T. come determinata dalla sua superbia (anche se ottenuta dai Greci con l'inganno, ciò che non diminuisce certo la grandezza e la nobiltà dei vinti). In tutto questo maestro di verità gli era Virgilio, il quale aveva ricordato in più luoghi la ricchezza e lo splendore della città (Aen. II 290), del suo re (vv. 556-557) e della sua gente (vv. 325-326). D., cristianizzando la sua fonte, vide nella superbia e nell'orgoglio la causa della rovina di T.: cantai di quel giusto / figliuol d'Anchise che venne di Troia, / poi che 'l superbo Iliòn fu combusto (If I 73-75; cfr. Pg XII 61-63 e If XXX 13-15), dove superbo ha deliberatamente un significato diverso dal virgiliano che esso ricalca (cfr. Renucci, p. 250).
Infine in Ep VI 15 D., censurando la tendenza, diventata mania, dei Fiorentini a indulgere anche al lusso delle abitazioni considerate come soggiorno di delizie, scrive: Videbitis aedificia vestra non necessitati prudenter instructa sed delitiis inconsulte mutata, quae Pergama rediviva non cingunt, tam ariete ruere, tristes, quam igne cremari. Come ha giustamente notato il Moore (Studies in D., I 179), in almeno tre passi Virgilio parla di " recidiva Pergama " (Aen. IV 344, VII 322, X 58); per il primo e per l'ultimo di questi passi è attestata la variante " rediviva ". È probabile che tale lezione fosse nel manoscritto usato da Dante.
Citazioni dirette dall'Eneide sono in Mn II III 11 (Dardanus yliacae primus parer urbis, VIII 134) e 14 (Troya peperit fumante Creusa, III 340).
Bibl. - A. Brückner, Geschichte von T. und Ilion, in W. Dörpfeld, T. und Ilion, voll. 2, Atene 1902; W. Leaf, Strabo on the Troad (XIII, 1), Cambridge 1923; K. Mackenzie - G. R. Silber, Troia and Ilion, in Virgil and D., in " Studi Medievali " n.s., V (1932) 198-206. Inoltre: E. Moore, Studies in D., I, Oxford 1896, 179; A. Renaudet, D. humaniste, Parigi 1952, 435, 442, 459-464 e passim; P. Renucci, D. disciple et juge du monde grécolatin, ibid. 1954, ad indicem; S. Mariotti, Il canto VI del Paradiso, in Nuove lett. V 375-404.