TRITONE (Τρίτων, Triton)
Divinità marina a figura almeno a metà pisciforme, che nelle figurazioni più antiche è difficile distinguere con sicurezza da altre personalità di natura affine, quali Nereo, Phorkys, Glauco ed altri.
La tipologia della creatura a metà umana e a metà pesce è stata ricondotta all'Assiria. Di conseguenza non è improbabile che i tardi scarabei della Sardegna che riproducono una creatura esattamente simile al T. ellenico siano invece da riferire alla mitologia orientale.
Omero non conosce o non nomina T.; in cambio egli assegna indifferentemente il termine Hàlios Gèron a Nereo e a Phorkys. Il nome compare per la prima volta nella Theogonia, 930 ss., dove è connesso con le divinità olimpiche, come figlio di Posidone e di Anfitrite. E. Buschor in un lucidissimo studio del 1940 ha tentato di separare le personalità divine di questa classe. È sintomatico peraltro che tutti gli studiosi più recenti si preoccupano di evitare di porre un nome preciso sulle creature pisciformi che figurano sui monumenti più arcaici. Così per quanto concerne la ceramica protocorinzia e corinzia, le gemme insulari, e persino le figurazioni vascolari del maturo arcaismo. Persino nella circostanza precisa della lotta con Eracle, F. Brommer riassume sotto il nome di Meerwesen gli avversarî o l'avversario di Eracle.
In definitiva il personaggio a corpo pisciforme o serpentiforme che solca i flutti in compagnia dei pesci può esser preso in considerazione come un antecedente di quella che sarà poi la comune accezione del T.; poiché se Nereo ha prevalentemente una natura umana, T. ha sempre una natura mista. In ogni modo non è possibile stabilire con assoluta sicurezza come gli antichi chiamassero ad esempio il personaggio alato e serpentiforme che s'incontra su una gemma insulare brandendo un pesce come uno scettro, o il misterioso dio marino che appare su un piatto assai frammentario di Calimno.
H. Payne chiama T. l'essere dalla lunghissima coda ondulante che appare sulla nota matrice bronzea corinzia del VII sec. nell'Ashmolean Museum (Necrocorinthia, tav. 45,3). Peraltro, appunto nella ceramica corinzia le commistioni e le interferenze con altri esseri a corpo serpentiforme, che chiamiamo tradizionalmente Typhon ed Echidna, sembrano quasi inevitabili.
L'identità del misterioso personaggio rimane malsicura anche quando lo si incontra in circostanze particolari molto precise, come quelle della lotta con Eracle. Difatti in una laminetta bronzea di Olimpia l'avversario di Eracle è detto Halios Geron (A. Furtwängler, Olympia, iv, n. 102), in una splendida hydrìa del Pittore KX, da Samo, il nome scritto accanto è Nereo, mentre in numerosi vasi attici a figure nere il nome è Tritone. In realtà è solo nella tradizione mitica relativamente recente che appare il motivo giustificativo della lotta, la necessità da parte di Eracle di estrarre dallo sfuggevole mostro le indicazioni per raggiungere il giardino delle Esperidi. D'altra parte il tema del timido, ritroso essere marino dotato di qualità profetiche e costretto a far rivelazioni dalla fermezza e dal coraggio degli eroi ha una lunga tradizione e può contribuire a incertezze sull'identità del personaggio. Sulla linea di ricerca di E. Buschor sarebbe da riconoscere Nereo, ossia lo Halios Geron in lotta con Eracle nei monumenti più antichi, e in generale in quelli in cui ricorrono i temi delle trasmutazioni, T. nei più recenti. E una certa opposizione sembra di poter rilevare tra il personaggio combattivo, irto di fiamme e di serpenti furiosi, e la timida creatura senza difesa che tenta unicamente di sottrarsi con i guizzi del lungo corpo viscido alla stretta soffocante di Eracle. L'opposizione peraltro è più apparente che reale, perché fiamme, serpenti e trasformazioni, come nel caso di Teti e di altri, non sono che i normali espedienti di difesa delle creature deboli e perseguitate. Che anzi, nella tradizione favolistica universale, non si tratta di minacce reali, ma solo di apparenze ingannevoli o meramente simboliche, intese unicamente a provare il coraggio dell'eroe attaccante. Di conseguenza non è da escludere che l'apparente antinomia tra le due concezioni del personaggio non sia che la naturale evoluzione nel tempo di uno spunto favolistico, da un mondo dominato da terrori reali o immaginari alla lucida, misuratissima visione attica.
Allo stesso modo non tanto un'opposizione, quanto uno sdoppiamento di persone e di situazioni sembra di poter dedurre dai rapporti di Eracle con T. e Nereo, quali emergono dalle figurazioni. Infatti il vegliardo Nereo che in un primo tempo è l'avversario o la vittima dell'eroe, nelle immagini della ceramica attica a figure nere più matura, a partire dalla seconda metà del VI sec. a. C. viene ad assistere, immobile e impotente alla lotta di Eracle con il Tritone. Nereo è a volte designato da iscrizioni, più volte riconoscibile per il suo aspetto costantemente statico e dignitoso. Per lui l'inimicizia di Eracle si rivelerà in altri modi, poiché sarà Nereo piuttosto che Posidone, il dio marino a cui l'eroe strappa il tridente e distrugge la casa, come in tante rappresentazioni a figure nere e in particolare nella nota coppa della maniera del Pittore di Ahtiphon, Louvre G 155. Per alcuni anzi la curiosissima figura del Tritopator nel più monumentale dei frontoni in pòros dell'Acropoli non sarebbe altro che il vecchio Nereo trasformista che assiste alla lotta di Eracle e del Tritone.
Quale che sia il nome da dare al mostro pisciforme in età arcaica, gli aspetti drammatici e spettacolari della lotta con Eracle sono presenti in quasi tutte le province dell'arte greca dalla seconda metà del VII sec. a. C. Anche escludendo il piatto di Praisos la cui lettura è sempre incerta, E. Buschor ponendo l'accento sulla grande gamba bianca, ovviamente femminile, in primo piano pensa addirittura alla lotta di Peleo e Teti (v.), a partire dalla nota gemma insulare della seconda metà del VII sec. a. C., al grande fregio del tempio di Assos, sino alla raffinatissima arula da Metaponto nel museo di Napoli, la figurazione ritorna in schemi sostanzialmente invariati. Un piatto corinzio di Perachora (ii, n. 1962) conserva invece parte di un mostro dal corpo serpentiforme, alato e armato di serpenti che un braccio umano serra alla vita. Anche per questo il nome più adatto sembra essere T., come viene proposto dagli editori.
Per restare nel campo dei puri schemi formali occorre rilevare che tanto il Nereo della hydrìa del Pittore KX in Samo, come il mostro della lèkythos beotica Louvre CA 823 o del cratere a colonnette di Sophilos nel museo di Atene (n. 12.587), vale a dire il protagonista delle figurazioni più illustri e più antiche che possediamo, ha un aspetto imponente e proporzioni monumentali in aggiunta alle minacce dei serpenti emergenti dal dorso e alla coda forcuta di scorpione. Secondo questa tradizione figurativa il mostro procede quieto e sicuro, senza minimamente reagire, anzi come senza rendersi conto della presenza del minuscolo eroe abbarbicato sul dorso. In questi esempî il volto di Nereo- o del T. - è sempre rivolto in avanti, nel senso della navigazione, distaccato e anzi come estraneo a un motivo di lotta. Eracle invece guarda indietro, secondo Buschor perché allarmato dalle trasformazioni, il serpente o la testa di leone che emergono dal dorso: e le teste dei due protagonisti divergono come nell'aquila bicipite bizantina e imperiale, quasi a ribadire una sorta di indipendenza di azione tra i due personaggi. Il dialogo è tra un mostro marino gigantesco che solca i flutti, sicuro e dominatore, e un piccolo eroe trepidante abbrancato al suo dorso. Si ha l'impressione che la prova richiesta all'eroe sia non già di soffocare o piegare il mostro, ma semplicemente di resistere; ci si può domandare se non si tratti di un viaggio periglioso e quasi impossibile, come quelli che il T. fa compiere a Teseo e ad altri eroi.
A parte la grande popolarità dell'avventura con Eracle, T. possiede anche una sua vita indipendente o almeno non così tremendamente impegnata. Nel mondo figurativo corinzio, ad esempio, in cui tanta parte hanno Posidone e Anfitrite Palemone e tutto il corteggio di creature marine di incerta denominazione, T. ci appare in aspetti del tutto particolari, vestito di un corto chitone, il corpo breve e compatto di delfino danzante tra i flutti. Così in un pìnax di Pendeskoufi (Antike Denkmäler, i, vii, iI) accompagna con i suoi allegri guizzi un dialogo tra Posidone e Anfitrite, quasi opponendo la sua spensierata gaiezza di clown ai loro gesti compassati e angolosi. In questo caso si può esser sicuri che non si tratta del vecchio dignitoso dio marino Nereo, ma di una creatura minore, a contatto con la vita libera e felice dei flutti e delle creature marine. Altre volte in atteggiamenti più pacati e solenni accompagna il dio del mare e Anfitrite nel corteggio delle divinità per le nozze di Peleo e Teti. Così nel dèinos di Sophilos e nel cratere di Kleitias, sviluppando il grandioso strascico della sua groppa ondulata porta a conclusione la grande sfilata cerimoniale.
È indubbio d'altra parte che, non tanto l'importanza del personaggio nel mondo antico, quanto piuttosto le qualità decorative di una creatura dal lungo corpo vibrante e sinuoso come un nastro, determinano la popolarità del Tritone. E indubbiamente da questa importanza puramente formale deriva il suo sdoppiamento, il suo moltiplicarsi, attestato già in età abbastanza remote. Così due T. affrontati in perfetta simmetria s'incontrano nella decorazione dipinta di una di quelle arcaiche divinità femminili beotiche dal corpo appiattito a cui è rimasto il nome popolaresco di Papadià (Louvre, n. Inv. MNB 113). Dei T. in funzione di sostegno sono ricordati nel Trono di Amyklai (Paus., iii, 18, 10) e l'opposizione di due T. simmetrici s'incontra oramai con estrema frequenza tanto nella ceramica attica- si veda ad esempio l'aröballos firmato da Nearchos nel Metropolitan Museum, l'anfora di Sidney (Journ. Hell. St., LXXI, 1951, tav. 39)- che nella ionizzante anfora di Northampton (Journ. Roman St., xi, 1931, tav. ii). Non è improbabile che qualche giustificazione per tale procedimento possa vedersi nel fatto che più di una delle divinità minori del pantheon marino veniva rappresentata sotto le forme che rimarranno poi fissate per il Tritone. Ma è indubbio che le singolari possibilità decorative del mostro e la facilità di impiego come sostegno, supporto di trono, appoggio di ansa, acroterio, indipendentemente da una precisa identificazione, sono alla base di questo suo moltiplicarsi. Presto quindi viene a fissarsi l'idea del coro di T. - il chorus Phorci di Ovidio -. E già in questo aspetto corale o di thìasos che li figura un'anfora pontica dei Conservatori: e l'inaudita congiunzione di gambe umane e di una curiosa appendice a coda di pesce sottolinea una somiglianza alla schiera dei centauri del tipo più primitivo, con figura umana completa prolungata da posteriori di cavallo.
I centri di culto più importanti per il T. nell'antichità, la palude Tritonis nella Sirte e il santuario di Tanagra, non sembra che abbiano contribuito considerevolmente alla costituzione e alla evoluzione del tipo del Tritone. Si tratta in ambedue i casi di aspetti un poco periferici della personalità del T., e in particolare per Tanagra, con particolare rilievo all'esuberanza sentimentale e lievemente sinistra del personaggio. Il T. di Tanagra è infatti persecutore di donne e, sorpreso sulla spiaggia domato dal vino, viene decapitato da un cittadino del luogo. La storia è da porre in relazione con la mummia di un gran pesce decapitato, ancora esposta nel tempio ai tempi di Pausania come tante "Sirene" o "Basilischi" ricostruiti in età più recente. Del T. di Tanagra non restano immagini al di fuori di quelle minute e sommarie delle monete locali in cui appare come una piccola figura guizzante sotto un'immagine di Dioniso inquadrata da colonne. Come a confermare il temperamento sensuale, dionisiaco del T., si può ricordare la statua di legno di cedro del thesauròs di Bisanzio ad Olimpia che reggeva un kàntharos d'argento nella mano (Athen., xi, 480 A).
Con la fine del VI sec. le figurazioni della lotta con Eracle vengono quasi completamente a cessare. Alle 128 figurazioni su vasi a figure nere, F. Brommer fa seguire solo due coppe a figure rosse: e di queste la più recente, opera prossima al Pittore di Briseide, sembra proporre ancora una volta non già un motivo di lotta, ma un viaggio. L'ultima figurazione in ordine di tempo di questa storia appare in un rilievo di bronzo da Dodona della fine del V o degli inizî del IV sec. a. C. Un curioso gruppo di età ellenistica, un tempo nella Collezione Pembroke, che figura Eracle in lotta con un mostro anguipede, potrebbe rappresentare ancora una ripresa del vecchio tema (Reinach, i, 466). Un altro motivo isolato e disconnesso della tradizione mitica può esser visto in una gemma del British Museum, in cui Eracle minaccia con la clava un personaggio marino (A. Furtwängler, Gemmen, tav. 9, 2).
Così nella tradizione letteraria come nelle figurazioni, una funzione abituale di T. dalle epoche più remote sino alla tarda classicità è quella di un mirabile veicolo per il trasporto di eroi sulle vie del mare. Nonnos menziona il trasporto di Afrodite (i, 58) e di Teti nel diluvio di Deucalione (vi, 293). Luciano quello di Latona a Delo (Dial. morali, x, 2). E nelle figurazioni il T. appare come sostegno dei Dioscuri cavalcanti nell'etere nel frontone del tempio di Locri, sostituisce il cavallo marino di Posidone (Arch. Zeit., 1871, 58), rapisce fanciulle e trasporta eternamente le Nereidi in gioiosi corteggi che vengono intesi nel simbolismo romano come viaggi alle Isole Fortunate. Persino il T. in attesa che incrocia in basso nelle onde marine, nella scena del suicidio a lieto fine di Saffo nell'abside della Basilica di Porta Maggiore, per quanto insolita sia la figurazione, conferma questa sua funzione di raccoglitore e di benevolo trasportatore. Questo carattere si puntualizza nel mito di Teseo in fondo al mare, dove T. sostiene le piante dei piedi o trasporta con affettuosa premura nel suo viaggio l'eroe adolescente. Ed è come se a contatto con il giovane principe, anche il vecchio T. abbia ritrovato una nuova nobiltà. Così egli ci appare vestito di tuniche ornate e incoronato come un re (rilievi di Milo, coppa del Pittore di Briseide New York, cratere a calice del Pittore di Kadmos, Bologna n. 303). In questi casi si ha l'impressione che il tipo iconografico del T. venga a incrociarsi ancora una volta con quello ben altrimenti dignitoso e solenne del vecchio re Nereo che assiste nel coro delle Nereidi sgomente alla lotta tra Peleo e Teti.
Di per se stesso il T. è un mirabile tema figurativo: il suo corpo sinuoso si adatta assai felicemente al tondo di una coppa, e così egli ci appare in una varietà di aspetti, contorto e agitato in una coppa del Pittore C, ingenuamente irto di serpenti in una coppa laconica da Caere. I limiti estremi si direbbero segnati dal T. grasso, calvo e dal naso camuso come un sileno di una laminetta di avorio ionico-etrusca e il poetico, sognante protagonista della squisita coppa a fondo bianco del Pittore di Eleusi.
Con l'avvento della piena classicità il carattere e persino l'aspetto del T. cambiano completamente. Non soltanto l'interesse mitico scade, scompaiono le lotte con Eracle e anche i suoi interventi in favore del fanciullo Teseo divengono sempre più rarî. In definitiva può dirsi che il T. non è più una personalità concreta, ma un'unità nel "coro di Phorkys" o nel corteggio di Posidone, più spesso un elemento di sfondo, un'evocazione simbolica di un personaggio marino. Cambiano anche gli attributi, il pesce o il delfino brandito come uno scettro o un'arma viene sostituito dal remo o più spesso da una conca. Così che basta la presenza del T. a evocare il fragore dei flutti e del vento marino. Quasi a secondare queste funzioni un poco esteriori, di solenne parata, il T. acquista due code attorte a sferzare i flutti: e presto zampe anteriori equine che lo trasformano in un vero e proprio centauro marino (Khthyokentauros). Non abbiamo idea di come apparisse il T. dipinto da Zeusi (Luc., Timon, 54). In compenso, di un grandioso gruppo di Skopas con T. e ninfe e altre creature marine abbiamo una citazione di Plinio (Nat. hist., xxxvi, 5, 26) e con ogni probabilità repliche di figure isolate, come i T. della Galleria delle Statue (Vaticano) e di Berlino. Questi ultimi hanno un aspetto giovanile e appassionato, senza alcun ricordo della brutalità dei centauri o della volgarità dei satiri: il volto ha un vero e proprio carattere eroico malgrado le orecchie ferine, e la chioma selvaggia irta di sale marino diviene un elemento di virilità e di fiera poesia. Le Nereidi che in età classica cavalcano delfini, trovano ora il loro complemento abituale nel centauro marino. Inoltre il T. non è soltanto un mezzo di trasporto e il gruppo centauro marino-Nereidi si colora subito di un appassionato fervore erotico. Quella che nel caso di Teseo poteva chiamarsi appassionata tenerezza diviene un rapporto amoroso chiaro e inevitabile. Il noto gruppo della Sala degli Animali con il ratto di una fanciulla disperata e gesticolante è un poco un'eccezione: generalmente il T. giovane e imberbe o maturo e barbuto che porta sul dorso una ninfa forma coppia con lei e il trasporto diviene collbquio amoroso intenso e appassionato sino agli ultimi simbolici viaggi alle Isole Fortunate dei sarcofagi romani.
L'ellenismo porta numerosi nuovi elementi esteriori, spesso fantasiosi e insoliti nella tipologia del Tritone. Così abbiamo un T. con orecchie appuntite di satiro e con corna di capro come Pan, T. a corpo di gambero e di aragosta (Roscher, v, c. 1178), T. alati e con una curiosa membrana a grembiule articolata come un ombrello intorno ai fianchi (Olimpia, pavimento a mosaico del tempio di Zeus). Assai probabilmente non riconosceremmo T. nella strana creatura dalle ali di pipistrello e zampe leonine nella Gigantomachia dell'ara di Pergamo se non rimanesse il nome iscritto accanto.
In definitiva la stessa enorme popolarità del T., l'impiego costante, anzi quasi meccanico in rilievi, decorazioni di vesti e di sandali di statue monumentali, di sostegni di troni, appoggi di statue, acroterî, coronamenti del Faro di Messandria e della Torre dei Venti non può nascondere la scarsa importanza del personaggio. Lo si incontra dappertutto e sino Cicerone ci parla con un certo dispregio dei Tritoni di tutte le fontane. Riflessi ne giungono sino all'arte del Gandhāra.
Del T. di Libia sappiamo da un passo di Apollonio Rodio (Arg., v, 1610) che aveva anch'esso due code e che una sua immagine di culto fu portata a Roma a celebrare il trionfo per la conquista della Libia (Claud., 28,874). Non del tutto tranquillizzante rimane invece l'identificazione di un piccolo gruppo in bronzo ellenistico, un tempo Trivulzio, in cui un personaggio barbuto e con gambe anguiformi porta sul dorso un giovanetto, come T. ed Eufemo, secondo un noto episodio, sempre di Apollonio.
Con riguardo alla pluralità del T. occorre anche tener presente che nel noto mosaico di Saint Rustice quattro T. o centauri marini dall'aspetto più normale vengono chiamati Triton, Glaukos, Borios e Nymphogenes, probabilmente in base a una caratterizzazione che a noi sfugge.
Tritonesse. - L'apparire del contrapposto femminile del T. non è solamente un effetto della moltiplicazione del personaggio singolo del dio marino. Esistono creature femminili parallele e indipendenti tra cui può esser ricordata la figlia di Oceano Eurinome, di cui Pausania descrive uno xòanon in Phigalia in aspetto di donna per la parte alta del corpo e di pesce per il resto (viii, ii, 6). A volte è difficile distinguere possibili T. da donne-serpenti, Lamie o altri tipi di ninfe del genere. E le rare e disgiunte figurazioni del genere della lèkythos Gallatin (C.V.A., U.S.A. i, iii, Ja, tav. 27,1 5) con una Tritonessa che sembra inseguire una donna o lo shöphos di Bonn in cui una creatura dello stesso tipo porta sul dorso Dioniso (Arch. Anz., L, 1935, p. 475) non si riterrebbe abbiano contenuto mitico preciso. Tra le più antiche figurazioni di T. sono le figurine bronzee a tutto tondo che presumibilmente decoravano il carro di San Mariano nel museo di Perugia. E in un noto vaso falisco, un tempo Castellani, la coppia marina s'incontra programmaticamente opposta in rozzi aspetti provinciali (Roscher, v, 1170). Non occorre peraltro far presente che tale opposizione non è frequente, in quanto il complemento. femminile del T. in generale è la ninfa marina che egli porta sul dorso: mentre dal punto di vista formale, come espansione di code e di tentacoli nelle onde il contrapposto più preciso e più spettacolare è rappresentato da Scilla. Isolata rimane peraltro la figurazione di una famiglia di Tritoni, padre, madre e bambino naviganti tra i flutti in un gran frustare di code in una gemma a Firenze (A. Furtwängler, Gemmen, tav. 41.41). Si veda anche tritun.
Bibl.: Drexler, in Roscher, V, 1916-24, c. 1150 ss., s. v. Triton; Windberg, in Pauly-Wissowa, VII A, 1948, c. 245 ss.; S. B. Luce, in Amer. Journ. Arch., XXVI, 1922, p. 174 ss.; L. Curtius, in Rend. Pont. Acc. Ant., XIV, 1938, p. 174; E. Buschor, Meermänner, in Sitzungsb. Bayr. Akad., 1941; K. Shepard, The Fish-tailed Monster, New York 1940; F. Brommer, Vasenlisten, Marburgo 1960, p. 111 ss.; J. Boardmann, Island Gems, Londra 1963, p. 51 ss.