tristo
Aggettivo assai frequente e attestato in tutte le opere dantesche, meno che nel Detto; si trova usato ora in posizione attributiva ora in posizione predicativa. In due occorrenze è sostantivato. Le sue varie accezioni si dipartono dal significato fondamentale di " malinconico ", " afflitto ", opposto di " lieto ", " allegro " (da notare che la forma ‛ triste ', masch. singol., è ignota non solo a D. ma anche alla lingua del Due, Tre e Quattrocento; i dizionari fanno risalire le prime attestazioni al XVI secolo).
L'antitesi fra i due valori è esplicita in alcuni luoghi: I' ti scontrai per quel che nel cor porto, / e perché mai de la tua dolce vista / non fosse allegra l'anima mia trista (Rime dubbie XXVII 11); Questi cotali [coloro che vivono secondo senso... a guisa di pargoli] tosto sono vaghi e tosto sono sazii, spesso sono lieti e spesso tristi di brievi dilettazioni e tristizie (Cv I IV 5); la vertù dee essere lieta, e non trista in alcuna sua operazione (VIII 7: per l'aspetto dottrinale del principio, v. Tomm. Eth. Nic. exp. II lett. III); sembianz'avevan né trista né lieta (If IV 84; per le varie interpretazioni del verso, v. F. Mazzoni, in " Studi d. " XLII [1965] 130-136); ' lieti onor tornaro in tristi lutti (XIII 69); Per letiziar là sù fulgor s'acquista, / sì come riso qui; ma giù s'abbuia / l'ombra di fuor, come la mente è trista (Pd IX 72; per una diversa lettura dei codici, v. Petrocchi, ad. l.); Molti sarebber lieti, che son tristi (XVI 142).
Il senso di " malinconico ", " mesto " si riscontra ancora in Pg IX 13 Ne l'ora che comincia i tristi lai / la rondinella; Fiore LXXXIX 3 fan la cera lor pensosa e trista / per parer a le genti più pietosi; CIV 13 per ch'i' faccia il viso tristo; CXLV 10 i' son trista quand'e' men rimembra.
Nelle Rime e nella Vita Nuova la mestizia risulta non di rado legata a momenti della vicenda amorosa di D. ond'è rimasta trista / l'anima mia che n'attendea conforto (Rime LXVII 24); 'l dolor sarà scorto / con l'anima che sen girà sì trista (LXVII 25); m'avvien che la luce di quigli / che mi fan tristo, mi sia così tolta (LXVIII 47); in questo ambito tematico altre ragioni di mestizia derivano dalla morte di Beatrice, che ha riflesso, oltre che sull'animo dantesco, su quello degli astanti, delle donne amiche, e sull'intera città: Lascia piangere noi e triste andare (Vn XXII 15 9); vedere mi parea donne andare scapigliate piangendo per via, meravigliosamente triste (XXIII 5); Piangendo uscivan for de lo mio petto / con una voce che sovente mena / le lagrime dogliose a li occhi tristi (XXXIV 10 11); Io dicea poscia ne l'anima trista (XXXV 8 12); Io vi dirò del cor la novitate, / come l'anima trista piange in lui (Cv II Voi che 'ntendendo 11, ripreso in VI 6).
Il vocabolo trova largo impiego nell'Inferno, con intensificazione del suo valore (incline a " dolente "), quasi sempre in riferimento alla condizione dei dannati. Ma in un certo numero di casi la connotazione della tristezza si estende agli stessi luoghi infernali ed è dovuta a cause naturali (l'oscurità, lo squallore, ecc.) come a motivi morali. Così se il tristo ruscel (If VII 107) può ricollegarsi al commento serviano ad Aen. VI 13 (" a tristitia Styx dicta est "), appaiono allusivi a un implicito rapporto Inferno-tristezza la trista riviera d'Acheronte (III 78), la trista conca (IX 16: la valle infernale), 'l fosso tristo (XIV 11: il letto del Flegetonte, e quindi il Flegetonte), il tristo buco (XXXII 2: il pozzo centrale del nono cerchio), il tristo calle (XXIX 69); i luoghi tristi (Pg VIII 58); e, a proposito del Limbo, con specificazione causale: Luogo... non tristo di martìri (VII 28; ma t. potrebbe qui avere funzione verbale e tutta la frase significare: " non attristato da martiri ".
Per t. attributivo delle anime dannate valgano i seguenti esempi: l'anime triste [con forte inflessione di condanna: " sciagurate "] di coloro / che visser sanza 'nfamia e sanza lodo (If III 35); anima trista (VI 55); anima trista come pal commessa (XIX 47); ombre triste smozzicate (XXIX 6); persona trista e matta (XXVIII 111; dove il dolore di Mosca de' Lamberti è acuito da un duro intervento dantesco: per ch'elli, accumulando duol con duolo, ecc. [v. 110]); e ancora, collettivamente, trista greggia (XXVIII 120).
Sugli ipocriti tristi (If XXIII 92) inciderà un'eco scritturale: " Cum autem ieiunatis nolite fieri, sicut hypocritae, tristes " (Matt. 6, 16), sia che la sembianza dei peccatori si atteggi a falsa macilenza, allo scopo di ostentare il digiuno, sia che voglia suggerire un esteriore zelo penitenziale, come interpreta s. Tommaso il passo evangelico: " Praeterea, religiosi maxime intendere debent operibus poenitentiae. Sed in operibus poenitentiae non est utendum exterioribus signis tristitiae, sed magis signis laetitiae... " (Sum. theol. II II 187 6 3); analoga la glossa del Buti: " tristi sono in effetto, e tristi si mostrano per parer santi e uomini di penitenza ".
Come si è detto, in molte delle attestazioni riferite l'aggettivo sfiora o addirittua assume il valore più marcato di " dolente ". Questo valore dimostra nei versi che dipingono la Drittura: io, che son la più trista, / son suora a la tua madre, e son Drittura (Rime CIV 34; e prima: Dolesi l'una con parole molto, v. 19; il nudo braccio, di dolor colonna, / sente l'oraggio che cade dal volto, vv. 22-23); nell'espressione tristo cesto (If XIII 142) che riguarda le dolorose lacerazioni del cespuglio in cui è trasformato un anonimo suicida fiorentino; nelle parole del conte Ugolino alludenti ai figli: Queta'mi allor per non farli più tristi (XXXIII 64). Dello stesso genere le occorrenze di Rime dubbie XV 4, If XXIII 69, XXXI 6, XXXII 48, Pg XVIII 123, XXIII 110. Le memorie triste (XXXI 11) sono le memorie delle colpe commesse. Tanto in If V 117 (Francesca, i tuoi martìri / a lagrimar mi fanno tristo e pio) quanto in VII 121 (Tristi fummo / ne l'aere dolce che dal sol s'allegra) il termine si presterebbe a essere ugualmente inteso come " dolente ", esprimendo nel primo caso un dolore misto a pietà e nel secondo un dolore cruccioso e attediato, peculiare degli accidiosi (secondo alcuni interpreti, tuttavia, i peccatori di cui qui si tratta sarebbero gl'irosi amari, che covano l'ira dentro di sé senza sfogarla: v. ACCIDIA e ACCIDIOSI). Un'altra interpretazione si collega al valore della ‛ tristizia ' come contrizione morale che recusa l'esperienza peccaminosa, secondo un principio concettuale ben noto all'etica aristotelico-tomistica (è il caso di D. innanzi ai martiri di Francesca) o come passione dell'appetito concupiscibile - correlata all'ira all'invidia, alla superbia - che nasce dal male e del male si compiace (è il caso dei dannati della palude Stigia). V. per ciò la voce TRISTIZIA.
La parola sembra adoperata con funzione avverbiale in Rime CXVI 25 il foco ond'ella trista incende, cioè " dolorosamente si consuma ".
Il senso più specifico di " infelice ", " sventurato ", prevale in If XIII 145 ond'ei [Marte] per questo / sempre con l'arte sua la [Firenze] farà trista; Pg XIV 64 Sanguinoso esce de la trista selva (dove la trista selva è Firenze, sconvolta e guasta dalla crudeltà di Fulcieri de' Calboli); Pd VI 76 Piangene ancor la trista Cleopatra; Fiore CXVII 3 e' sarà pover e tristo / colu' che viverà di lealtate. Altri esempi: If XXX 16, Pg XII 44, XXII 111.
L'ipallage di Rime LXXVII 9 tal giace per lui nel letto tristo, conferisce alla parola l'accezione di " inquieto ", " angosciato ", mentre il sintagma ‛ farsi t. ' (Pg XIV 71) equivale a " preoccuparsi " o, meglio ancora, a " sgomentarsi ".
Consideriamo infine alcuni luoghi in cui t. acquista contestualmente inflessioni semantiche particolari: Rime CVI 120 chi con tardare, e chi con vana vista, / chi con sembianza trista [" scontrosa "; quindi: ‛ con mala grazia '] / volge il donare in vender; Cv III III 4 le quali [piante] se si transmutano, o muoiono del tutto o vivono quasi triste, sì come cose disgiunte dal loro amico: il traslato riporta a una condizione umana il viver " gramo ", " stentato ", delle piante costrette a vegetare in terreno e clima avversi; If VI 97 ciascun rivederà la trista tomba: " cioè sventurata sepoltura, in quanto ella è stata guardatrice di ceneri le quali deono risurgere a perpetuo tormento " (Boccaccio); " quam auctor vocat tristem quia in ea iacuit corpus, quo tamquam organo et instrumento anima usa fuit ad peccandum " (Benvenuto); If XI 12 sì che s'ausi un poco in prima il senso / al tristo [" sgradevole "] fiato; XIII 12 tristo annunzio di futuro danno, la " funesta " predizione delle Arpie ai Troiani; XXIV 91 Tra questa cruda e tristissima copia / correan genti nude e spaventate: il superlativo, unica attestazione, si riferisce alla moltitudine " orrenda " e " tormentatrice " dei serpenti ladri; XXIV 132 [Vanni Fucci] di trista vergogna si dipinse: non della vergogna buona, che accompagna il pentimento, ma di quella " obbrobriosa ", che nasce da dispetto e ira: " Ben trista, amara vergogna, se poté far arrossire la faccia d'un ribaldo di quella sorta! " (Torraca); XXVIII 26 la corata pareva e 'l tristo sacco, il " lurido ", " ripugnante " sacco dello stomaco; non molto differente la trista squama dei golosi in Pg XXIII 39: nell'uno e nell'altro caso si afferma l'idea di " brutto a vedersi "; If XXX 76 s'io vedessi qui l'anima trista [" malvagia "] / di Guido o d'Alessandro o di lor frate; Pg VI 3 colui che perde si riman dolente, / repetendo le volte, e tristo [" rammaricato ", " avvilito "] impara; VI 108 color già tristi [" ridotti a mal partito " nelle lotte politiche], e questi con sospetti; X 69 Micòl ammirava / sì come donna dispettosa e trista, " crucciata ".
La trista ruina di Pg XXIV 81 riecheggia infine le " tristes... ruinae " virgiliane (Aen. I 238).
Due volte l'aggettivo è sostantivato: Vedi le triste che lasciaron l'ago, / la spuola e 'l fuso, e fecersi 'ndivine; / fecer malie con erbe e con imago (If XX 121), con rimando alle indovine e alle maliarde, " empie " e " sciagurate "; un de' tristi de la fredda crosta (XXXIII 109), cioè uno dei " dannati " della Giudecca.