tristizia (trestizia)
Il vocabolo ha per lo più il significato di " afflizione dell'animo ": io rimasi in tanta tristizia, che alcuna lagrima talora bagnava la mia faccia (Vn XXII 4); li... occhi... tanto affaticati erano che non poteano disfogare la mia tristizia (XXXI 1, e v. XXXVI 2); ven tristizia e voglia / di sospirare e di morir di pianto (XXXI 12 38; anticipato al § 6); io rimasi di tanta tristizia punto, che conforto non mi valeva alcuno (Cv II XII 1); d'ogne trestizia ti disgrava (If XXX 144). Dello stesso genere le occorrenze di Cv I IV 5, II IX 2, III XIII 2, IV XXVIII 4, If XXII 111 (nel quale esempio tuttavia t. è più vicino al senso di " dolore ", con allusione alle pene dell'Inferno), Pd XXXII 54.
La parola appare all'interno di luoghi figurati in Vn XXIII 23 48 donne andar per via disciolte, / qual lagrimando, e qual traendo guai, / che di tristizia saettavan foco, dove i lamenti suonano così dolorosi da colpire come frecce infocate, e XXXI 17 75, dove una canzone è detta figliuola di tristizia, nata cioè dal dolore, a indicare il suo tono sconsolato.
Altrove ha uso pregnante: Quali ne la tristizia di Ligurgo / si fer due figli a riveder la madre (Pg XXVI 94): la t. di Licurgo comprende da una parte il dolore del padre per la morte del figlioletto e dall'altro l'ira sua contro Isifile che di quella morte era stata l'involontaria artefice.
Per sineddoche, come causa del dolore, " spettacolo doloroso ", in If XXIX 58 Non credo ch'a veder maggior tristizia / fosse in Egina il popol tutto infermo, / quando fu l'aere sì pien di malizia, e come astratto per il concreto in Pg XXII 56 (la doppia trestizia di Giocasta, cioè i due figli di lei, Eteocle e Polinice, che con la loro morte provocarono un doppio dolore nella madre, inducendola a uccidersi).
Estensivamente t. può indicare il " pianto funebre " o " corrotto ": con ciò sia cosa che... donne con donne e uomini con uomini s'adunino a cotale tristizia (Vn XXII 3).
Un uso particolare sembra doversi riconoscere in If VI 3 la pietà d'i due cognati, / che di trestizia tutto mi confuse (e v. per analogia V 117 e VII 121), dove il termine trestizia assume un particolare significato filosofico e dottrinale.
A intenderne il substrato ideologico, è indispensabile il preventivo recupero conoscitivo del concetto di ‛ tristizia ' nell'ambito della filosofia morale. Aristotele nell'Etica Nicomachea non nomina la tristitia come passione, ma come effetto, insieme con la delectatio, delle altre passioni, mentre s. Tommaso nel relativo commento (II lect. V) ben noto a D., introduce invece la tristitia (associata al gaudium) nel numero delle passioni. Identica è la posizione di s. Tommaso nella Summa theologica, dove anzi dedica alla tristitia ben cinque questioni (I II 35-39), indagandone la natura, le cause, gli effetti e i rimedi, e l'annovera, insieme con il gaudium, con la spes e il timor, tra le quattro principali passioni a cui tutte le altre possono ridursi (I II 25 4). La ‛ tristizia ', dunque, è una delle passioni dell'appetito concupiscibile, che riguardano il male; essa si oppone direttamente al gaudium, e come questo nasce dall'acquisto del bene e comporta stabilità nel bene (" quies in bono "), così quella nasce dalla presenza del male, che provoca il differimento o la privazione di un bene desiderato, e comporta stabilità nel male (" quies in malo "; Sum. theol. I II 24 2, 77 8; II II 35 1, 156 2; I II 23 4, 36 2). Ma di maggiore interesse risultano le relazioni che intercorrono, pur nella propria autonomia, tra la tristitia e le altre passioni; essa si accompagna sempre all'ira, e può nascere dall'accidia, dall'invidia e dalla superbia, ammette cioè nella sua natura la fusa compresenza di questi vizi capitali ed è collegata in modo eccezionale all'ira (Sum. theol. I II 25 1; II II 35 2, 36 4, 162 2). In questo senso la tristitia è sempre vizio e peccato (I II 39 2).
Ma lo stesso s. Tommaso distingue da questa tristitia peccaminosa un altro aspetto della stessa passione, come " cognitio et recusatio mali ", che, come tale, non solo " potest habere rationem boni honesti ", ma " in omni fugiendo est utilis "; essa nasce da una disposizione di amore e dalla coscienza delle proprie e delle altrui colpe, ed è condizione che predispone alla remissione dei peccati (Sum. theol. I II 39 3; III 46 6). A questo secondo aspetto della tristitia è connessa la ‛ virtù ' della misericordia, che riflette sempre, nell'atto di contristarsi dinanzi al male altrui, la coscienza del proprio male, o in quanto " aestimatur ut proprium ", o " secundum quandam similitudinem ", e che si accompagna sempre al ricordo dei propri peccati: " ex metu et memoria malorum sequitur tristitia " (Sum. theol. I II 35 8; II II 30 1).
La nozione di questi significati dottrinali appariva certo meno problematica ed estranea al linguaggio culturale del tempo di quanto oggi si possa pensare; si veda, ad es., come essa si ritrovi nel Boccaccio, e proprio nel Comento alla Commedia: " sono due maniere di tristizia: o l'uomo si attrista per ciò che egli non può a' suoi dannosi disideri pervenire, o l'uomo s'attrista cognoscendo che egli ha alcuna o molte cose meno giustamente commesse. La prima spezie di tristizia non fu mai nutrice né albergatrice degl'idii... intendendo gli ‛ idii ' per l'anime de' beati; ma la seconda fu ed è nutrice degl'idii, cioè di coloro li quali divengono... beati: per ciò che il dolersi e l'attristarsi delle cose men che ben fatte niuna altra cosa è che prestare alimenti alle vertù... e noi cristiani per l'attristarci de' nostri peccati n'andiamo in vita eterna ".
Il recupero di tali significati può giovare a una più esatta lettura dell'episodio di Francesca da Rimini, e a suggerire una possibile soluzione alla travagliata e controversa quaestio circa la specie di dannati puniti nella palude Stigia del quinto cerchio.
Quanto al c. V dell'Inferno, restituire alla ‛ trestizia ', di cui qui parla D. (V 116-117 Francesca, i tuoi martìri / a lagrimar mi fanno tristo e pio; VI 3 Al tornar de la mente, che si chiuse / dinanzi a la pietà d'i due cognati, / che di trestizia tutto mi confuse), il suo valore di contrizione morale di fronte al peccato, significa chiarire il valore particolare che assume la pietà di D. nei confronti di Paolo e Francesca, e liberare l'interpretazione del termine da ogni residua e falsa coloritura sentimentale e ‛ romantica '.
Udendo il racconto sofferto che Francesca fa della sua storia, D. vive il suo primo dramma psicologico, nell'avventura morale del suo viaggio oltremondano, di conoscenza e rifiuto del male: la cognitio del male presente e la memoria malorum della propria vita secundum quandam similitudinem, suggeritagli dal linguaggio di Francesca improntato all'ideologia stilnovista, sfociano in un moto di tristitia, di contrizione spirituale, di recusatio di un'esperienza ormai sentita come rischiosa e insufficiente per l'anima, e in un moto di misericordia (cfr. Cv II X 6 E non è pietade... dolersi de l'altrui male, anzi è questo uno suo speziale effetto, che si chiama misericordia; e IV XXV 10 pentimento del fallo, lo quale ha in sé una amaritudine che è gastigamento a più non fallire; e così in If XXX 144), che coinvolge il peccato di Paolo e Francesca, e il ricordo del proprio passato (così già i commentatori antichi e in particolare il Boccaccio: " intende l'autore d'ammaestrarne che noi non dobbiamo con la meditazione semplicemente visitar le pene de' dannati; ma, visitandole e conoscendole, e conoscendo noi di quelle medesime per le nostre colpe esser degni, non di loro, che dalla divina giustizia son puniti, ma di noi medesimi dobbiamo aver pietà e temere di non dovere in quella dannazione pervenire e compugnerci ed affliggerci, acciò che tal meditazione ci sospinga a quelle cose adoperare, le quali di tal pericolo ne traghino e dirizinci in via di salute ").
Quanto ai dannati della palude Stigia, una volta rilevata la difficoltà ad accettare la tradizionale identificazione di essi con gl'iracondi, gli accidiosi, e anche i superbi e gl'invidiosi, per la diffusa presenza di questi vizi, quali ‛ radici ' capitali del peccato in tutto l'Inferno, dove il peccato viene punito nei suoi molteplici aspetti proprio in quanto effetti di quelle ‛ radici ' (Sum. theol. I II 71 6, 84 3, 93 1; II II 11 1), e una volta acquisita la nozione del carattere complesso del peccato di tristitia, con le sue relazioni e interdipendenze con l'ira, l'invidia, l'acedia e la superbia, appare plausibile la possibilità d'identificare proprio nella tristizia il peccato punito in tutto il quinto cerchio dell'Inferno, col conforto di quanto D. stesso afferma, forse molto più esplicitamente di quanto si è finora creduto, indicando nel tristi fummo (VII 121) la speciale categoria di dannati di cui intendeva trattare nel quinto cerchio (compresi Filippo Argenti, persona orgogliosa, e coloro che portarono dentro accidioso fummo e che ora ‛ si attristano ' nella belletta negra), e assegnando adeguatamente a essi come luogo di pena la palude Stigia, chiamata, con qualifica chiaramente allusiva, tristo ruscel (VII 107); e il cui nome, secondo l'etimologia del tempo (Uguccione Deriv.; Isidoro Orig. XIV 9), veniva comunemente interpretato col significato di " tristizia ", come ci testimoniano tutti i commenti antichi, sin da Pietro (" Stigiam paludem quae ‛ tristitia ' interpretatur "), che per primo associò alla tristitia dello Stige la " superbia ", l' " invidia ", l' " ira ", e l' " accidia ", come farà ancora più esplicitamente anche Benvenuto: " Ista quatuor vicia… sunt quasi fraterna, et habent eandem originem et tendunt ad tristitiam. Ideo Auctor punit ipsa in Stygia palude quae interpretatur ‛ tristitia ' ".
In realtà un testo come la Commedia, entro cui si articola una coscienza morale e dottrinale compatta e unitaria, un mondo d'interessi ed emozioni di carattere intellettualistico e raziocinante, continua a svelare sensi e significati insospettati o impercepiti, ogni qual volta la ricostruzione storica, l'indagine delle ragioni etiche, la restaurazione lessicale riescono a reintegrare le zone perdute, gli aspetti sfocati della cultura e dell'ispirazione dantesca, le intenzioni e le trame intellettuali del poeta, che a volte possono racchiudersi nei sensi logori o smessi di una sola parola.
Bibl. - V. Russo, " Tristitia " e " misericordia " nel c. V dell'" Inferno ", in Sussidi di esegesi dantesca, Napoli 1966, 53-70; ID., " Ma dimmi: quei della palude pingue...? ", ibid. 71-128.